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Autore: Melanto    11/01/2017    8 recensioni
[Sequel di "New Year's Eve (Second) Story - ultima storia della serie]
Si cresce sempre un po', ogni giorno dell'anno, ma è solo all'ultimo che si capisce davvero quanto.
"«E ora perché ti sei fermato?»
«Volevo parlarti un momento.»
«Parlare? Qui? Adesso? Ma siamo in ritardo e-»
«Dopo sarà un casino e sono sicuro che finirei col rimandare all’anno nuovo. E non mi va. Volevo farlo ora.»"
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'New Year's Eve Stories'
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New Year's Eve (Third) Story

Nota Iniziale:e niente, siamo di nuovo in quel periodo dell’anno che ne segna l’inizio e che s’accompagna alla prima ficcyna della stagione! :D
Il ciclo “New Year’s Eve Story” si chiuderà con questa terza e ultima storia :D
I nostri personaggi sono cresciuti un po’ di più ogni volta, e hanno affrontato quei piccoli e grandi problemi, gioie e dolori, che alla fine di ogni anno arrivano a battere cassa cosicché possano lasciarseli alle spalle e ricominciare. :)
Quale sarà questa conclusione che, come sempre, apre a un nuovo inizio?
Scopriamola insieme! ;)

Buona lettura! :D

New Year’s Eve (Third) Story

 

Rising Sun
- Yuzo&Mamoru -

«Ma guarda. Hanno già messo i saldi e ancora non è Capodanno.»
Mamoru si fermò ad adocchiare una vetrina lungo la strada che portava allo S-Pulse Dream Plaza. Alle sue spalle la gente camminava svelta, infagottata in giacconi e cappotti, sciarpe e cappelli, ma il freddo non era insidioso come al solito e nonostante il mare fosse così vicino da sentirne l’odore, non c’era il vento tagliente che faceva ululare la sua cervicale.
«Ti ci porto in questi giorni, ma ora andiamo. Siamo già in ritardo. Quest’anno saremo gli ultimi, quanto ci scommetti?» Yuzo guardò l’orologio. Avevano appuntamento proprio all’interno del centro commerciale di Shimizu-ku, ultimo piano, per passare una fine dell’anno diversa dalle altre.
Teppei non avrebbe dovuto tirar fuori tovaglie o star dietro alle gatte mangia-sushi. Le ragazze non avrebbero dovuto cucinare.
C’era odore d’aria nuova fin dalle basi.
Mamoru e Yuzo se l’erano presa più comoda del solito, rientrati a Shimizu-ku già il giorno prima, dove li aspettava Takeshi che era uscito di casa prestissimo quel pomeriggio nonostante l’appuntamento fosse stato fissato per le sette. Hajime e Teppei, assieme a Shingo e Mary Beth, erano sul luogo dell’appuntamento già da un’ora; avevano viaggiato tutti insieme da Nankatsu. Taro, Azumi, Ryo, Yukari e Hanji – che per l’occasione si era unito alla combriccola al suono di: ‘questa, cazzo!, non me la voglio perdere!’ – erano giunti da Iwata.
Mamoru staccò gli occhi dalla vetrina e si fermò a osservare il compagno, fermo qualche passo più avanti: aveva l’aria impaziente di chi non voleva fare tardi, ma l’espressione del viso rilassata, quasi luminosa, con un accenno di sorriso che gli piegava gli angoli delle labbra. Lo osservò nascondere la mano con l’orologio nella tasca del giaccone e poi guardarsi attorno, fino a concentrarsi sull’alta ruota panoramica che apparteneva al complesso commerciale. Brillava di mille luci, come un diamante.
A Mamoru bastarono pochi passi per essere di nuovo al suo fianco e camminare insieme, senza alcuna fretta.
«Cerca di non essere troppo sfacciato nella tua felicità, stasera. Anche Teppei si è raccomandato. Sai, per la storia di Hajime.»
«Ehi. Sono io che faccio le raccomandazioni a te, di solito.» Yuzo incrociò le braccia al petto, guardandolo storto. «Penso di essere quello che può capire Hajime meglio di tutti. L’hanno scorso è toccato a me avere il morale sotto i tacchi.» Strinse le labbra, mordicchiando l’interno della guancia. «Non è divertente rimanere da soli in J2.»
«Oh, vedrai che se il Jubilo continua così, il Verdy tornerà ad avere compagnia molto presto.»
«Mamoru! Facci almeno disputare il derby della Prefettura!»
La sfacciataggine di Izawa sapeva toccare punte di vera perfidia, certe volte, e quella risatina non fece eccezione.
Il terzino alzò il viso e i capelli si mossero da sopra alla sciarpa che gli teneva caldo il collo. Il fiato si condensò in un paio di nuvolette che si dissolsero subito. Con lo sguardo seguì la sagoma brillante della ruota panoramica divenire a ogni passo più vicina. Quelle stesse luci gli si riflettevano negli occhi, dando profondità al nero delle iridi.
«Sta bene che tu sia felice», disse poi. «Te lo sei meritato.»
«E tu sei stato paziente.»
«Lo sono sempre.»
«Ma fottiti.»
Mamoru sorrise della leggera spallata che lo raggiunse. Non aveva avuto davvero chissà che bisogno di essere paziente con Yuzo: dopo la sfuriata del capodanno precedente, il portiere era rimasto così concentrato da non essersi neppure lamentato per le sconfitte subite nella metà iniziale del campionato. Focalizzato tutto sull’obiettivo, proiettato così tanto in avanti da dargli quasi la sensazione d’essere rimasto indietro, nonostante l’ottimo campionato disputato dai Marinos e la semifinale per l’Emperor Cup persa di un soffio.
Si erano sentiti e visti meno del solito, se n’era accorto. E per quanto fosse stato orgoglioso del modo in cui Yuzo aveva saputo affrontare la J2, quella distanza aveva avuto il suo peso. Un peso che non aveva potuto fingere di ignorare.
Yuzo si volse, dopo essersi accorto di essere rimasto di nuovo da solo.
«E ora perché ti sei fermato?»
«Volevo parlarti un momento.»
«Parlare? Qui? Adesso? Ma siamo in ritardo e-»
«Dopo sarà un casino e sono sicuro che finirei col rimandare all’anno nuovo. E non mi va. Volevo farlo ora.» Mamoru gli indicò una stradina laterale, e si incamminò. La sorpresa sul volto di Yuzo se l’era aspettata, ma il discorso lo stava rimandando già da troppo per fermarsi e decidere che forma dare alla conversazione. E pensare che l’aveva in testa dal giorno prima, ma aveva procrastinato. Non era riuscito a capire cosa l’avesse frenato fino a quel momento, visto che il 90% era ormai fatto. Un po’ la tensione per la Emperor Cup e un po’… un po’ la reazione che Yuzo avrebbe avuto.
Quella, per quanto ci si fosse sforzato, non era proprio riuscito a figurarsela.
Si allontanarono dalla via principale, e Mamoru si sarebbe voluto addentrare ancora di più, ma Yuzo lo fermò che la luce del lampione più vicino impedì alle ombre di prendersi le loro figure.
«Si può sapere che sta succedendo?» chiese, trattenendolo per il braccio. «Pensavo fosse solo per la semifinale della Emperor che mi eri parso così pensieroso, ma a questo punto credo d’essermi sbagliato…»
Il campione dei Marinos ne osservò l’espressione preoccupata, poi prese un respiro profondo e gli si fermò davanti. Faccia a faccia, pronto per affrontarlo e per affrontare un po’ anche sé stesso.
Perché i tempi cambiavano e cambiava anche lui, non poteva fingere di non vedere anche quello.
«E’ stato un anno difficile» esordì; lo sguardo che cercava la terra e poi tornava negli occhi di Yuzo.
«Sì… Mi dispiace, io-»
«Tu sei stato speciale. Non è la prima volta che lo noto, ma sembra che quando la situazione si fa più dura e difficile, riesci anche nell’impossibile. Hai giocato la stagione perfetta, hai lottato dall’inizio alla fine e guarda: siete tornati in J1 in un solo anno. Non so come tu faccia, ma… hai una forza che non ho visto in nessuno. L’avevo notato alle elementari, e poi al World Youth, e quest’anno… i risultati parlano da soli.»
«Mamoru Izawa che fa tanti complimenti in una volta sola? Dov’è il trucco? Non è da te.»
«Già, non lo è.»
«Sta per arrivare il ‘ma’, vero?»
Questa volta, nel tono del portiere Mamoru colse quella serietà che Yuzo aveva iniziato a sviluppare proprio in quell’anno.
Anche lui cambiava, assieme al tempo.
Mamoru si strinse nelle spalle per contrastare il freddo e la tensione.
«Ma ti ho visto pochissimo. L’anno scorso la distanza la colmavamo anche con le partite, cosa che non abbiamo potuto fare in questa stagione.»
«Me ne sono reso conto anch’io…»
«Davvero?» Mamoru inarcò un sopracciglio, il tono gli sfuggì amaro. «E quanto? Quanto hai capito la distanza che si è creata tra noi? Quando l’hai notata? Perché io me ne sono accorto già dopo neppure un mese, mentre tu eri troppo concentrato su quello che dovevi fare, sul tuo obiettivo. Lo capisco.»
«Che… stai cercando di dirmi?»
L’ennesimo sospiro gli fece afflosciare le spalle tese, ma a Mamoru non sfuggì l’espressione terrea sul viso di Yuzo: l’ombra della mascella contratta parlava di come stesse stringendo i denti, nascondendoli a ridosso delle labbra. Era facile capire le sue emozioni, era cristallino. Anche quando si sforzava di volerle nascondere, lui riusciva a leggerlo come fosse un libro da poter sfogliare avanti e indietro quante volte si voleva.
Mamoru avvertì il cuore venire stretto fino a togliergli il fiato.
«Sto dicendo che questa distanza l’ho detestata fino all’ultimo centimetro. Sto dicendo che non ci ha permesso di confrontarci come abbiamo sempre fatto, non mi ha permesso di poter vivere assieme a te l’anno difficile che abbiamo passato. Che tu hai passato. E quindi… quindi ho deciso che ne ho abbastanza e  che tutto questo non fa per me.»
Con un gesto deciso tirò via la mano dalla tasca del giaccone, dove l’aveva tenuta per tutto il tempo, girando e rigirando qualcosa nel palmo. Sollevò lo sguardo e vide il volto di Yuzo pallido come quello di uno spettro alla luce del lampione. Non c’era più il sorriso luminoso che aveva fatto capolino con la fine del campionato e con la certezza di vedere l’alba del nuovo anno dalla J1.
«A-abba… che vuol dire… che non fa per te? Mamoru…»
«Vuol dire basta.» Allungò la mano verso il portiere, aprendo il palmo.
Yuzo vide la sagoma di una chiave delinearsi alla luce artificiale. Le labbra erano rimaste aperte e gli occhi incollati a quell’oggetto. Un gong gli era stato battuto dentro al petto e il rumore cupo delle vibrazioni gli avevano fatto tremare anche le ossa, assieme a stomaco e cuore. Fece per dire qualcosa, ma poi strinse gli occhi, guardò meglio.
«Non è quella di casa mia che ho dato a te.»
«No. E neppure della mia.»
Mamoru fissò la confusione sul viso del compagno, ma attese che gli occhi nocciola tanto amati tornassero a incontrare i propri prima di sorridere.
«Ma potrebbe essere quella di casa nostra.»
«N-nostra?»
«A Luglio ho comprato una casa, a metà strada. Metà strada da Yokohama City, metà strada da Shimizu-ku. Lo so che la vita del pendolare non sarà facile e che un sacco di volte neppure ci dormiremo perché resteremo in ritiro, ma vorrei che avessimo un posto mio e tuo, che abbia le nostre cose e i nostri ricordi e che… anche se magari io ci sarò e tu sarai fuori, o viceversa… non saremo mai davvero soli. Saremo sempre vicini.» Il sorriso si tirò sul lato destro, assumendo la sfumatura sfrontata che gli era usuale. «Riusciremo finalmente a tenere lo spazzolino nello stesso bicchiere.»
«Una casa…»
«Vorrei poterti vedere ogni fottuto giorno dell’anno.»
«Hai comprato una casa…» fece eco Yuzo, gli occhi nocciola erano divenuti enormi e la bocca silenziosa. Continuava a fissare la chiave, scollegato da tutto. «E’ un passo importante… avremmo dovuto parlarne, vederla insieme-»
«Si trova a Odawara.»
Yuzo sollevò di scatto lo sguardo, come si fosse svegliato all’improvviso. Gli occhi si fecero ancora più grandi. Mamoru continuava a sorridere, a tenere quella mano aperta verso di lui, quella chiave ferma lì, nel mezzo.
«Non sarà mica… non sarà… quella con i ciliegi lungo la strada che abbiamo visto quando siamo andati alle terme, lo scorso anno?»
«Con vista su castello e vulcani…»
«…e l’engawa sul retro.»
«Doveva piacere a tutti e due, no? Quanto l’ho fatta grossa la follia, questa volta?”
«Enorme…» Yuzo aveva un nodo alla gola che non voleva saperne di sciogliersi. «Cazzo, se l’hai fatta enorme.»
Mamoru gli si avvicinò quando si accorse che stava piangendo. Gli fece scivolare le dita dietro la nuca per tirarselo addosso, abbracciarlo stretto.
«E io che speravo di farti sorridere.»
«Ma non lo vedi come rido, idiota? Non lo senti?»
Mamoru sentiva solo le spalle che sussultavano appena, e la voce che arrivava incerta, spezzata in alcuni momenti, ma aveva anche una nota divertita che cercava di tenere testa alla commozione.
«Più cretino di te, si muore.» Con il viso nascosto tra capelli e sciarpa, Yuzo lo stringeva così forte che Mamoru per un attimo sentì di avere il fiato corto. «Mi hai fatto quasi venire un colpo, te ne rendi conto? Pensavo mi stessi lasciando! È questo il modo di dire le cose?»
«L’ho buttata troppo sul melodrammatico, scusa! È che mi sono ridotto come sempre all’ultimo momento e il discorso che mi ero preparato è andato un po’ in vacca.»
Mamoru lo costrinse a guardarlo di nuovo. Il pallore cinereo di qualche istante prima sostituito da guance più rosse e quel sorriso luminoso che gli faceva brillare anche lo sguardo; che rendeva lui luminoso come un diamante.
«Però la sostanza non cambia, Yuzo. Sono anni che affrontiamo a distanza la nostra relazione, anni che ci vediamo solo nei week-end o nelle pause di campionato e io vorrei…»
«Normalità.»
«Lo so che potremo avere quella definitiva solo quando smetteremo di giocare e che fino ad allora saremo eterni vagabondi, però… possiamo iniziare a costruire qualcosa?»
La chiave fece di nuovo capolino tra di loro; Mamoru la sollevò, tenendola tra pollice e indice. Lo sguardo speranzoso brillava assieme alle luci di Natale, della ruota panoramica e del lampione.
«Vogliamo provare?»
Il sorriso di Yuzo gli esplose nel petto quando snudò i denti, e gli sfilò la chiave dalle dita.
«Le camicie te le stiri da solo, che sia chiaro.»
«Stirerò anche le tue, se cucinerai.»
«Andata.»
Risero nel clima mite di quel Dicembre ormai agli sgoccioli, e si baciarono senza preoccuparsi troppo d’esser visti oppure no, perché loro erano ormai andati oltre qualsiasi apparenza da mantenere, perché stavano per andare a convivere e la loro vita aveva fatto l’ennesimo passo importante verso la felicità.
Perché insieme, ancora, avrebbero visto sorgere il sole del nuovo anno e della loro avventura.


A cat is never alone
- Hajime&Teppei -


«Ma dove diavolo si saranno andati a cacciare quei due? Ancora non si fanno vedere!»
Hajime sbuffò all’ennesimo rimbrotto spazientito di Ishizaki: andava avanti e indietro con quei passettini stretti e il tacchetto basso che risuonava in maniera fastidiosa nella stanza in cui si stavano preparando.
Appoggiato a un mobile, l’attaccante dei Verdy ruotò gli occhi con noia tirandosi dietro l’orecchio la solita ciocca della lunga parrucca bionda che Kumi gli aveva fatto indossare.
Cazzo, la odiava!
La parrucca, ovviamente.
Pizzicava nei punti in cui le forcine gliela tenevano ferma sulla testa, e quei capelli sintetici non facevano che ricadergli sul viso. Avrebbe dovuto essere abituato, ma non erano i suoi ed erano troppo lunghi. Per non parlare di quel cavolo di vestito!
Vestito, poi. Parolone. Erano quattro pezzetti di stoffa che coprivano i punti necessari e basta. E gli faceva freddo alla schiena. Ryo faceva presto a dirgli che, una volta in pista a ballare, lui sarebbe stato quello più fortunato tra tutti.
Lo svolazzare delle lunghissime maniche a losanga del vestito dell’amico del Jubilo, pieni di veli e pizzi, gli fece abbozzare un sorriso involontario.
«Se continui a sbuffare così, diventerai una locomotiva. Ti manca solo il fischio.»
Teppei lo raggiunse con passo sicuro. Appariva perfettamente a suo agio nel costume da leopardo che sfoggiava senza il minimo imbarazzo: stivale di pelo maculato fino al ginocchio, gonnellina a balze di organza e tulle della stessa fantasia che arrivava a coprire giusto le chiappe ma che si sarebbe irrimediabilmente sollevata al movimento sbagliato; top imbottito ad arte sulle tette mancanti che gli faceva risaltare quegli addominali sapientemente cesellati ma anche poco femminili. Kumi si era rifiutata di mettergli una parrucca, perché diceva che i suoi riccioli naturali erano perfetti e Hajime dovette darle ragione: il cerchietto con le orecchie si mimetizzava nella massa di capelli, rendendo il tutto molto più naturale.
«Sembriamo due viados» sentenziò Hajime con espressione rassegnata.
Teppei allargò le braccia, i guantoni a zampa di gatto erano morbidissimi e oversize, così kawaii.
«E’ la serata del Gender-Bender, che pretendi? E poi sei una bella panterona.»
«Bionda.»
«Risalta sul nero.»
«Se lo dici tu.» Hajime agitò una mano e i campanellini appesi al guantone nero e peloso tintinnarono per l’ennesima volta. «Ma dove s’è vista mai una pantera con i campanelli?»
«Eddai, non essere polemico. Pensavo saresti stato il primo a fare baldoria e a divertirti.» Teppei si avvicinò, incrociando le braccia al petto e poggiandosi con la spalla contro lo stesso mobile cui era poggiato Hajime. Uno di fronte all’altro. Abbassò il tono, con un po’ di mestizia.
«Speravo ti facesse passare il cattivo umore almeno per questa fine d’anno.»
Hajime osservò gli occhi scuri del compagno provando una fitta di dispiacere. «Dai, scusa. Vedrai che durante la serata mi riprenderò.»
«Non credevo che il rimanere in J2 potesse abbatterti così tanto…»
«Ma non è mica per quello. E’ che siete risaliti tutti… il Sapporo di Matsuyama, la S-Pa. Il tuo Cerezo. La prossima stagione sarà una noia mortale.» Dicendolo, smise di rigirarsi la ciocca bionda tra le dita e appoggiò il mento nel palmo, mettendo il broncio. «Sai che barba senza di voi? Mi sentirò solo.»
«Oh, ma Kitty-Cat, i gatti non sono mai soli.»
Hajime lo fulminò con un’occhiataccia. «Non sono un gatto. Piantala.»
Teppei sfilò la mano dal guanto. «Nei sei sicuro? Eppure sei individualista come loro, dispettoso, insofferente e… se ti tocco qui…» gli passò appena la punta delle dita sullo spazio tra le scapole lasciate scoperte dal bustino nero che indossava, facendogli accennare un mugolio di piacere e un brivido. «…fai le fusa.»
Hajime arrossì, perché di solito era lui quello che provocava, che aveva i suoi raptus sessuali e che faceva mugolare il compagno.
«Idiota» sibilò a denti stretti, mentre drizzava la schiena.
Tentò di fare un passo indietro, ma non riuscì ad allungare la gamba come avrebbe voluto perché la minigonna stretta e pelosa non era così comoda come quella a balze di Teppei.
«Tch! Come diavolo fanno le ragazze a stare strizzate come salsicce?!»
«Ecco, lo vedi?» ridacchiò l’attaccante del Cerezo Osaka. «Sei proprio un gattaccio lunatico.»
Hajime si volse con tutta l’intenzione di replicare ma nell’osservare come il compagno lo guardasse pacifico e soddisfatto si rese conto di non essere affatto indispettito, né nervoso o malinconico. Non più. Che il suo Verdy non fosse ancora al livello delle altre squadre lo sapeva da solo da molto tempo, e stava pure iniziando a pensare di cambiare aria, per tornare a giocare agli alti livelli degli inizi. Quell’anno aveva avuto la riprova definitiva che stavano rischiando la J3, e lui s’era stancato di rischiare con loro.
Buttò fuori un lungo sospiro e fece per passarsi la zampona sul viso quando Teppei lo fermò con foga.
«No! Sei pazzo?! Così rischi di rovinare il trucco fatto da Kumi!»
«Ah! E’ vero! Hai ragione! E’ che mi dimentico, cazzo! Non sono proprio tipo da ‘ste cose.»
Si volse e cercò di guardarsi nel piccolo specchio appeso alla parete. Sperava di non aver fatto danni, ma il bellissimo lavoro di Kumi non era stato toccato, per fortuna, e le macchie nere che imitavano il manto maculato della pantera erano ancora lì, dove la giovane le aveva disegnate: dalla fronte, fino al collo scoperto. Strinse gli occhi dove lo smokey e la matita gli allungavano lo sguardo, conferendogli una sensualità felina, assieme alle lenti gialle. Si disse anche di stare attento a non grattarsi il naso, perché anche quello era stato truccato, assieme alle labbra, di un intenso colore nero. Al suo riflesso si accompagnò quello di Teppei. Una maculatura differente, perché richiamava quella dei leopardi, ma l’esecuzione era ottima allo stesso modo. E quelle labbra rosso scuro, quasi mattone, erano sagomate ad arte, rendendole troppo invitanti; i loro rossetti non sarebbero arrivati alla fine della serata, questo gli fu così chiaro da fargli assottigliare lo sguardo con malizia.
«E allora?» chiese proprio Kisugi, appoggiandosi alla sua spalla. Le labbra strette gli sussurravano vicino all’orecchio. «Vuoi davvero restare imbronciato?»
Hajime sollevò leggermente il mento con felina altezzosità.
«No… Ma stanotte pagherai pegno.»
«Io? E che ho fatto?»
«Per ora niente…» Gli afferrò il mento dopo aver sfilato la zampa finta. Lo strinse senza fare male, ma dichiarando un evidente possesso. «…ma a fine serata quel tuo bel culetto lo avranno visto tutti. Figurati se te la faccio passare liscia.»
Un lampo furbo negli occhi, una strizzata d’occhi maliziosa e la solitudine da campionato era già stata lasciata alle spalle.


Gender Bender
- Corale -


«Eccoci! Eccoci! Scusate il ritardo.»
Yuzo non fece in tempo a mettere piede nell’anticamera del camerino che venne quasi travolto da una procace bionda cotonata; il vistoso decolleté era stato imbottito, ma tutta l’attenzione veniva catturata dalla collana di luccicante bigiotteria. Sul viso, aveva un’espressione stravolta ed esausta.
«Dove cazzo eravate finiti? Graziaddio siete qui!»
«…Taro?» Yuzo sgranò gli occhi nel riconoscere dietro al trucco l’asso del Jubilo Iwata.
«Sì, sull’orlo di una crisi di nervi.» Azumi, dall’incarnato pallidissimo di cerone e le occhiaie violacee, mostrò un sorriso alquanto sinistro e un po’ folle. Con la calotta di silicone che la rendeva calva, sia Morisaki che Izawa faticarono a riconoscerla subito.
«Ma sei fantastica!» esclamò Mamoru, andandole incontro per vederla da vicino. «Sei uno Zio Fester perfetto!»
«Grazie grazie, ma non devi complimentarti con me.» Azumi indicò Kumi con il pollice, impegnata a dare gli ultimi ritocchi a una Yukari/Gomez altrettanto irriconoscibile.
Davanti a un simile lavoro, Mamoru saltellò fino alla make-up artist che, pur senza staccare gli occhi dal proprio lavoro, stava sorridendo della conversazione.
«Non vedo l’ora di indossare il mio costume!» cinguettò il giovane, sbattendo le ciglia. «Mi raccomando, Kumi-chan, fammi bellissima.»
«Scemo.» Kumi gli mollò una leggera gomitata, divertita e anche un po’ in imbarazzo per tutti i complimenti che stava ricevendo.
Takeshi arrivò l’attimo dopo, seguito dalla vivace Mila che era andata a prendersi le coccole di benvenuto da Yuzo, con in mano le grucce cui erano appesi i completi da Orange Wave e da Tricolore Mermaid.
«Andatevi a cambiare, ché siete rimasti gli ultimi.»
«Vorrei proprio vedere la faccia del coach Saori-san» ridacchiò Mamoru, mentre si liberava del giaccone. «Sono sicuro che mi metterebbe in squadra subito!»
Yuzo venne invece distratto dal sospiro rassegnato di Taro, che quasi gli collassò addosso.
«Non avete idea di quanto Ishizaki abbia continuato a lamentarsi per il vostro ritardo. Vi giuro… cominciavo a cedere addirittura io.»
«Oooh, Debbie-cara.» Azumi allargò le braccia. «Vieni, ci pensa Festeruccio tuo.»
«A proposito di Ishizaki… non lo vedo.» Yuzo si guardò attorno; convinto che sarebbe stato il primo ad accoglierli con valanghe di improperi, era rimasto sorpreso nel non vederlo in giro.
«Era qui fino a un attimo fa.» Hajime sollevò una mano, indicando poi la porta di uno stanzino secondario. «Sarà andato a mettere qualcosa sotto i denti. Se non rompe, mangia.»
«Miao.» Mamoru partì con lo sfottò, facendo il gesto della zampetta verso la Coppia d’Argento.
«Fottiti, tu.» Hajime piegò le labbra in una smorfia di sfida. «Non aspetto altro che di vederti con i pon-pon e i tuoi polpacci da aerobica da sotto al gonnellino. Poi rideremo.»
«Quello di sicuro.» Izawa incrociò le braccia al petto, sollevando il mento.
Tirarsi indietro davanti a una sfida non era proprio nel suo stile, e quando gli avevano detto da cosa si sarebbe travestito per quel Capodanno fuori dagli schemi, aveva deciso che lui e Yuzo avrebbero fatto le cose in grande.
«Abbiamo preparato anche la coreografia. Vedremo chi riderà per ultimo.»
Hajime sostenne il suo sguardo, e poi scosse il capo agitando una zampa.
«Sei senza vergogna.»
«Mai detto d’averla. Forza, Yuzo. Andiamo a cambiarci.» Mamoru passò il completo da cheerleader al portiere degli S-Pulse, quando la voce accusatoria di Ishizaki li raggiunse; e aveva la bocca piena.
«Era ora! Ma dove vi eravate cacciati?!»
Mamoru fece per ribattere, ma vi rinunciò quando i suoi occhi incrociarono la figura in nero – capelli e abito lungo – di Ryo ‘Morticia’ Ishizaki.
«Ma che cavolo…»
«Lo so.» Ryo lo fermò; le mani dalle unghie laccate tagliarono l’aria con insospettabile femminilità. «Sono stupenda.»
«Ryo, accidenti a te, non potevi aspettare a mangiare?! Ti rovinerai il rossetto!» Yukari si alzò in fretta dalla sedia su cui era rimasta seduta a farsi truccare. Diede una lisciata alla giacca del completo gessato e poi si lisciò i baffi finti.
«Uffa! Non essere noiosa, ci sono stato attento, che credi?» E girò il viso con fare altezzoso.
«Continuerai a tirartela così per tutta la serata? Sai le risate che si faranno i ragazzi quando mostrerò loro le tue bellissime foto?» Hanji, uscito anch’egli dalla saletta assieme a Ishizaki, scosse il capo, incrociando le braccia al petto. «Tranquilla, Yukari. C’ero io a dargli un’occhiata.»
«Ah, beh. Siamo a posto.»
«Ma che belle treccine, Mercoledì Urabe!»
«Visto che roba, Izawa? Anche se avrei voluto indossare qualcosa di più sexy, invece di questo vestitino da educanda» borbottò Hanji nel lisciarsi la gonna. «Insomma, ho un sacco di bella mercanzia da mostrare alle signorine presenti in sala.»
Ishizaki sputacchiò parte del salatino che stava masticando. «Quale mercanzia?!»
«E dove sarebbe finita la tua tanto decantata femminilità?»
«No, un’altra delle loro discussioni infinite non la reggo.» Taro afferrò il finto fucile a pompa e lo fece scattare, in maniera minacciosa. Si attirò gli sguardi dei due litiganti, che deglutirono nello stesso istante. «Volete farmi arrabbiare?»
«Psst… si direbbe che Misaki si sia calato perfettamente nella parte…» Mamoru pungolò Yuzo con il gomito, parlandogli a bassa voce.
«Una parte che gli dona benissimo, aggiungerei.» Una terza voce, femminile, si intromise nella conversazione, facendo capolino tra di loro. «A proposito: perché Misaki sta brandendo un finto fucile con fare così minaccioso?»
«Beth!» esclamò Yuzo. «Che schianto!»
La ragazza gli strizzò l’occhio, sollevando la tesa del borsalino che aveva sul capo. I capelli erano stati nascosti sotto una parrucca dal taglio maschile, la riga al lato era stata fissata con delle gelatina che disciplinava tutta la pettinatura e non faceva sfuggire nulla da sotto al cappello. Un anello d’oro spiccò subito al mignolo quando si portò la mano alle labbra per afferrare il vero sigaro stretto tra i denti.
«Grazie, darling. Ma dovresti vedere la mia signora, che femminone!»
«Posso iniziare ad avere paura?»
«Oh! Don’t be silly, Mamoru! Bear è una vera bomba.» Mary Beth si volse, giocherellando con la catenella dell’orologio da taschino che restava nascosto nel gilet. «Ehi, honey. Come here, babe. Don’t be shy!»
La profonda voce di Shingo lo annunciò con decisione.
«Al primo che dice una parola fuori posto, lo incollo al muro. E non gli piacerà: ho il tacco dodici.»
Una gamba fece capolino, scivolando fuori dal tessuto rosso dell’abito lungo, mettendo in mostra un sandalo pieno di lustrini luccicanti. Lo stacco coscia stratosferico fu accompagnato dal resto della figura. Mano al fianco con guanto fino al gomito, rosso come l’abito, attorno al cui polso risaltava un bracciale di finti diamanti. Decolleté imbottito così bene da sembrare naturale, e una coda di pelliccia ecologica bianca che girava sulle spalle dove una cascata di capelli neri, appoggiati in onde sensuali e precise, parlava di un enorme lavoro di spazzola, phon, ferro per arricciare e quantità industriali di lacca e cera. Ciglia finte lunghissime, una coda d’eyeliner infinita e rossetto rosso che sagomava le labbra con precisione al millimetro.
Kumi incrociò le braccia al petto, annuendo con fierezza. «Con loro due è stato come giocare in casa. Sapevo già cosa ne sarebbe venuto fuori.»
«Una stangona di tre metri? Cazzo, Orso, mangerai in testa a tutti in sala!» Mamoru non riuscì a trattenersi e Kumi gli lanciò un’occhiataccia.
«Hai qualcosa da ridire? E’ semplicemente fantastica! Il mio lavoro migliore, stasera! Mi varrà un voto altissimo.»
«Sentito, zucchero?» Beth gli strizzò l’occhio. «Sei il pezzo forte della serata.»
«Grazie… mi sto già vergognando così, sono a posto.» Bear puntò minacciosamente l’indice verso Mamoru, assottigliando lo sguardo. «Uomo avvisato… dal tacco salvato.»
«Shingo, non fraintendermi: se fossi stato etero, ci avrei provato.»
«Anche io ci avrei provato», intervenne Urabe, «se non fosse stato alto quattro metri!»
«Stanotte avrò gli incubi…» Shingo rabbrividì, mentre Beth gli offriva mascolinamente il braccio.
«C’mon, honey. Andiamo ad aprire la serata. Ho sempre voluto essere il ‘boss’ per poter sfoggiare la mia ‘pupa’
«Cosa non si fa per amore e amicizia.» Bear lanciò anche un’occhiata eloquente e un sorriso a Kumi, che giunse le mani, arricciando il naso in un sorriso divertito.
Grazie, mimarono le sue labbra.
E, davvero, non sapeva come avrebbe potuto dimostrarlo, ma era davvero grata a tutti loro: gli amici migliori che si potessero desiderare.


New Year’s Eve (Third) Story
- Takeshi&Kumi -


Distrutta.
Si poteva dire che quella semplice parola fosse la perfetta sintesi del suo stato attuale.
Aveva saputo fin dall’inizio che quella sera sarebbe stata la più impegnativa del corso di Make-up Artist che stava seguendo, ma forse la sua immaginazione le aveva fatto sottostimare la reale stanchezza che l’avrebbe colta alla fine di tutto.
Kumi si lasciò cadere sullo sgabello, sfilando il foulard che aveva tenuto attorno alla testa, per tenere indietro i capelli durante il lungo lavoro di trucco e parrucco ai suoi amici.
La porta che dava sulla sala da ballo era rimasta aperta più di uno spiraglio, permettendole di poter sbirciare quello che stava accadendo.
Un sorriso soddisfatto e grato le piegò le labbra nel vedere tutti che si stavano divertendo, perfettamente mischiati al resto degli invitati al party di fine anno. La musica disco aveva sonorità datate in anni passati ma che sapevano rimanere attuali come poche cose al mondo, le stroboscopiche proiettavano i loro colori dappertutto come impazzite. Mamoru aveva già dato prova delle sue insospettabili abilità da cheerleader, coinvolgendo suo malgrado anche il povero Yuzo, che ancora teneva alla propria dignità. Yukari aveva mostrato a una primadonna Ishizaki come si comportasse un vero galantuomo, facendogli più volte il baciamano – e baciabraccio, in perfetto stile Gomez Addams –, aveva visto Hanji sparire assieme a una Aladdin dalle forme procaci e, a ben guardare, non era ancora tornato. Shingo la stangona, suo orgoglio di quella serata, era stato subito attorniato anche dai suoi insegnanti, che Kumi sapeva sarebbero stati presenti alla festa. Da come parlavano e annuivano, facendo domande anche a Beth, immaginò che il tutto fosse di loro gradimento e questo le fece tirare via un paio di sospiri sollevati.
Gli insospettabili, invece, quelli che non avrebbe mai creduto potessero riscuotere tutto quel successo di pubblico furono la Coppia d’Argento. Kumi aveva visto Hajime e Teppei venire più volte avvicinati da ragazzi e ragazze… e uno aveva anche provato ad allungare una mano sulle chiappe sbagliate, a giudicare dal modo in cui Hajime aveva ritorto il polso del malcapitato.
Un successo, davvero, in cui non aveva sperato, preferendo rimanere più concreta e obiettiva. E invece… i suoi amici avevano fatto centro.
«Stanca?»
Takeshi prese posto davanti a lei, trascinandosi dietro uno sgabellino e crollandoci sopra. Anche lui non si era risparmiato… non si risparmiava da che si era trasferita a Shimizu-ku.
Stesso stabile, stesso piano, e Cicerone della città e degli uffici ogni volta che lei ne aveva avuto bisogno. Se non ci fosse stato Takeshi si sarebbe sentita di sicuro persa.
«A pezzi.» Kumi sorrise, passando una mano nei capelli in disordine. Mila zampettò fino a poggiarle il muso sulle cosce per un paio di grattini. «Dovremmo prepararci anche noi, siamo rimasti gli ultimi.»
«Sì, c’è tempo. Con calma.» Takeshi agitò una mano. «Hai già corso abbastanza, il più è fatto.»
«Per fortuna ho scelto dei costumi semplici per noi; avevo messo in conto che alla fine ne sarei uscita morta.» La giovane ridacchiò, lanciando un’occhiata agli abiti di Merlino e Magò appesi alle grucce, con le relative parrucche e la barba posticcia. Sospirò. «Avrei tanto voluto truccarti da Malefica… è così bella. Peccato non abbia un compagno per presentare la coppia.»
«Re Stefano?» propose Takeshi, ma Kumi s’affrettò a scuotere il capo, con vigore.
«Scordati ch’io scelga l’adattamento del film, per carità! Mi hanno trasformato una meravigliosa cattiva, in una finta cattiva dal cuore buono. Bleah!»
«Sia mai che ci sia troppa bontà nei paraggi.» Takeshi la prese in giro e lei gli mollò un buffetto sul braccio. Poi tornò a guardare in sala, appoggiandosi allo stipite della porta.
«Non so davvero come ringraziarvi per l’aiuto che mi avete dato. Se non ci foste stati voi, non so come avrei fatto.»
«Te la saresti cavata benissimo, ne sono sicuro.»
«Mh, troppo fiducioso, tu.» Kumi agitò l’indice con severità. «Dovresti essere più concreto, caro mio. La nostra insegnante make-up tradizionale ce lo ripete sempre. ‘Concretezza e obiettività, per contrastare ogni delusione.’»
«Se fossi stato più concreto e obiettivo forse non avrei avuto la forza necessaria per riuscire a sognare il ritorno in J1. E a riprendermelo.» Takeshi appoggiò il viso nel palmo, un sorriso ironico gli piegava le labbra. «E io sono sempre stato molto obiettivo. Pure troppo. Ma se non si ha un po’ di fiducia e forza d’animo, non ci si può godere la vittoria quando arriva. O, a volte, non la si riesce neppure a raggiungere.»
Kumi lo guardò con divertito sospetto. «Da quando sei diventato così ottimista?»
«Da qualche annetto. Mila lo sa. Vero, pelosa?»
Il cane sollevò il muso dalla coscia di Kumi per raggiungere quella del padrone e leccargli le dita.
Mila, che era divenuta la scusa migliore per lei di bussare alla porta dell’appartamento di Takeshi e Yuzo, e per lui di bussare a quello di Kumi, anche se forse nessuno dei due se ne era reso ancora conto.
«Sì, lo ricordo anche io. Lo scorso capodanno.»
«Già, e hai visto dove sei arrivata? Neppure volevi provare. Ora non c’è più solo Nankatsu.»
Kumi non seppe rispondere, perché avrebbe finito col dargli ragione, che non si viveva di sola obiettività e concretezza. Ma lei avrebbe dovuto saperlo meglio di chiunque altro, essendo sempre stata uno spirito abituato a vivere sopra le nuvole, e invece forse aveva davvero bisogno di qualcuno che le insegnasse di nuovo a togliersi gli schemi dalle spalle. Qualcuno che di schemi aveva sempre vissuto.
«Via, vado a diventare Magò.»
Kumi sentì la mano di Takeshi poggiarsi sulla spalla. Si volse, afferrandogli il polso prima che si allontanasse.
«Grazie per essere gli amici migliori del mondo.»
«Ti vogliamo bene, e non devi ringraziarci per questo.» Kishida le pungolò la fronte con l’indice, avvicinandosi a lei abbastanza da farla arrossire in maniera inattesa. E poi lasciarla lì, con quella dichiarazione d’affetto che sapeva scaldarle il cuore come nient’altro al mondo.
Per anni aveva pensato di non essere un elemento molto importante del gruppo, ma qualcuno dimenticabile negli anni. Takeshi, e non solo lui, le aveva dimostrato in più occasioni che non era così.  Che anche lei era importante.
Abbandonò lo sgabello con il cuore leggerissimo, e le guance ancora rosse. Le notò quando fu davanti allo specchio circondato da lampadine a luce naturale presso il quale aveva fatto sedere tutti per truccarli a dovere. Osservò il proprio viso, il colorito troppo acceso, e si domandò se anche Takeshi l’avesse notato, ma sperava di no. Strinse l’abito di Merlino e si passò le dita sulla guancia, adagio. Quasi che il rossore potesse svanire magicamente al solo tocco. Lo stesso con cui Takeshi le aveva pungolato la fronte.
Se ripensava alla facilità con cui gli aveva sempre preso il braccio quando erano in giro, o il modo in cui lo aveva sempre toccato, le venne normale chiedersi come avesse potuto essere così naturale con lui, quando ora, all’improvviso, pareva non essere più tanto semplice. Anche la sola idea di doverlo truccare divenne di colpo difficilissima da mettere in pratica.
«Ma Magò aveva i capelli così lunghi? No, Mila! Non si lecca il vestito!»
La voce di Takeshi, proveniente dal camerino, la fece sobbalzare e stringere il costume un po’ di più al petto.
«Ah… sì. Cioè, li ha quando dà prova della sua magia ad Artù…»
«Ah! Ricordo! Posso aver fascino, un bel visin. Uuuugola d’oro, morbido crinnn!» Takeshi venne fuori canticchiando, apparendo per nulla a proprio agio sui tacchi. Per non parlare del reggiseno imbottito. «...Io ci casco da questi cosi prima della fine della serata.»
Zampettò fino alla sedia nemmeno stesse camminando sulle uova, e con Mila che gli si infilava tra le gambe era ancora più difficile.
«E tu? Non ti sei ancora cambiata?»
«Eh? Ah! Sì, ora…» Kumi guardò gli abiti di Merlino di ritorno da Honolulu e poi di nuovo Takeshi. «Facciamo che prima ti trucco, ok? A truccare me ci metto un attimo.»
Appoggiò il costume da una parte e gli fece cenno di accomodarsi in poltrona. Takeshi non se lo fece ripetere, anche se camminò piuttosto adagio e con attenzione. Si lasciò cadere sulla seggiola e tirò indietro la testa, sorridendole nel guardare la sua figura capovolta.
«Fammi brutta!»
Infine chiuse gli occhi, per rilassarsi. Era una cosa che faceva spesso quando andava dal parrucchiere: di solito non guardava mai il professionista al lavoro, osservandosi solo a lavoro completo, ma si godeva il lavorio delle dita sulla testa.
Kumi rimase un attimo ferma, dietro di lui. Le mani sollevate e le dita che, forse per la prima volta in vita sua, non sapevano cosa fare. Avevano quasi il terrore di toccare quella testa, quei capelli, quella fronte.
Prese un profondo respiro e afferrò la sedia con le rotelle, sistemandola alle spalle del calciatore.
«Sai che un po’ ci assomigliano Magò e Merlino?»
«Dici?» Il pettine iniziò a districare piano i capelli del giovane, erano tiepidi tra le dita e spessi, eppure morbidi. Kumi li attraversava adagio, assieme ai denti del pettine.
«Sì. Lei è vivace come te, lui è un po’ caustico come me.» Sorrise. «E tutti e due facciamo magie, a modo nostro.»
«…la maga dei pennelli, il mago del pallone.»
«Anche se non sono così bravo. Dovrei allenarmi di più.»
«Come dite sempre tutti.»
«Deformazione professionale.»
Ridacchiarono entrambi e poi si fecero silenziosi. Kumi seguiva la facilità con cui il pettine scivolava tra i capelli neri, ormai già sbrigliati. I suoi gesti divennero quasi un massaggio involontario, cui Takeshi sospirò, rilassato.
«Sono diventati lunghi…»
«Non ho avuto tempo di spuntarli. Sai, prima il campionato, poi gli impegni della squadra… abbiamo sempre qualcosa da fare, qualche manifestazione.»
Lei sorrise nel ricordare quante volte li avesse visti in televisione, da che era Shimizu-ku, o sui cartelloni pubblicitari.
«Saresti potuto venire da me. Ci avrei pensato io.»
«Neanche tu hai avuto un attimo, non mi sembrava giusto disturbarti.»
«Il tempo per te lo avrei trovato.»
«Non ti avrei chiesto di sottrarlo al riposo… Delle sere ti ho sentita rientrare tardi.»
Kumi si fermò, allontanando le mani dal giovane e rendendosi conto di quanto Takeshi avesse vegliato su di lei. Silenzioso come i corvi, ma vigile come i cani pastore. Una presenza che non l’aveva fatta sentire sola nemmeno una volta. E poi Mila che le andava a grattare la porta quando usciva per la sua passeggiatina, o Yuzo che cucinava sempre in più gli yakitori tsukune di cui andava ghiotta.
Tutti preziosi, tutti dalla sua parte, al suo fianco.
Non credeva che l’anno appena trascorso potesse terminare in maniera tanto perfetta e poi aprirsi al nuovo con la stessa continuità di perfezione. A volte si pensava di ricevere troppo e non si sapeva come reagire. Lei sorrise.
Appoggiò il pettine sulle gambe e tornò a immergere le dita nei capelli di Takeshi, li lasciò scivolare lentamente percependo il calore della testa, delle tempie e poi della pelle lungo le guance e la linea della mascella.
«E’ tutto a posto?»
La domanda di chi capiva subito che aveva qualcosa di strano, come era accaduto il capodanno precedente. La domanda di una persona con cui non era proprio capace di avere segreti.
Fece scivolare le mani lungo le spalle fino a cingergli il collo. Il viso adagiato contro il suo.
«Grazie per essere la persona che sei.»
«La magnifica, splendida Maga Magò?»
Kumi liberò una risatina nella guancia del giovane. «No, il ragazzo migliore del mondo. Grazie per avermi fatto da ombra in quest’anno passato.»
«Detta così, mi fa sembrare uno stalking.»
Le dita di Takeshi si fecero strada tra i capelli spettinati di Kumi, con tocco caldo e piacevole.
«Scemo.»
«E’ che i complimenti mi imbarazzano. Non so mai come rispondere.»
«Se uno ti ringrazia, magari con un ‘prego’
«Dipende sempre dalla persona che te li fa. A volte un semplice ‘prego’ non basta.»
Una mano si poggiò sulle sue, Kumi ne riconobbe il contatto e l’intreccio delle loro dita scivolò naturale. Le une nelle altre, incastrate con dolcezza.
Quella fine d’anno, come ogni volta, vide anche Takeshi fare i propri bilanci, e la somma era che la sua vita era andata cambiando sempre di più, nella maniera che non avrebbe creduto. Quando si era rassegnato, Mila era comparsa sulla sua strada dandogli una consapevolezza e dell’amore dal naso umidiccio. Quando aveva capito che non doveva vivere nell’attesa di qualcosa, ecco che quel qualcosa che aveva sempre aspettato aveva iniziato ad avvicinarsi a passi piccoli e leggeri. E lui, che in definitiva non si era mai davvero innamorato, aveva imparato a farlo poco alla volta, con quegli stessi passi piccoli. Si erano venuti incontro, trovandosi a metà strada. E il nuovo anno era sicuro che lo avrebbero percorso insieme.
Si volse appena, cercando il viso di Kumi. Le dita scivolavano dai capelli alla linea del viso, il palmo poggiato sulla guancia. Iridi scure e luminose vicinissime alle sue, e labbra piccole, disegnate come quelle delle bambole. Labbra che gli sorrisero, lo cercarono e chiusero insieme l’ultimo dell’anno per aprirsi sul nuovo.

Fermo sulla porta che conduceva alla sala trucco, Yuzo fece più piano possibile per tornare indietro, un passo alla volta. Anche in maniera inconscia, considerando la musica forte che di sicuro avrebbe finito col coprire qualsiasi rumore avesse fatto, non voleva rovinare nulla di quel momento che aveva involontariamente rubato a Kumi e Takeshi.
«Ehi? E il cellulare?»
Alle sue spalle, Mamoru lo pungolò con un pon-pon, rivolgendogli un’espressione interrogativa. Le due code di cavallo ai lati della testa facevano involontariamente ridacchiare il portiere ogni volta che le vedeva, ma si trattenne. Portò alle labbra colorate di rosso un dito dall’unghia laccata e gli intimò di abbassare la voce.
«Lo prenderò dopo il tuo cellulare.»
«Cosa? E perché?»
Yuzo sorrise, facendosi da parte; il caschetto castano oscillò al movimento. Mamoru sbirciò nella direzione della sala trucco e un sorriso furbo gli tirò le labbra verso destra.
«E bravi.»
«Non mi sembrava il caso di disturbare. Takeshi mi avrebbe ucciso.»
«Ottima mossa. Almeno puoi star sicuro che Kishida non si sentirà troppo solo, dopo che ti sarai trasferito a Odawara.»
«Sì, per fortuna.»
«Che tempismo che ho. Sono davvero un uomo perfetto.»
Yuzo inarcò un sopracciglio, portandosi i pon-pon ai fianchi. «Mamoru, tu non sei perfetto nemmeno nell’imbottitura del reggiseno che indossi.»
«Può darsi, ma di sicuro sono perfetto in quello che ho sotto la gonna» rispose l’altro con un sorriso smagliante. «Prova a smentirmi.»
«Mah, se proprio insisti…»
«Ehi, ehi! Cosa? Hai da lamentarti? Tu?!»
Yuzo sbottò a ridere. «Mamoru, non è nelle mutande che devi essere perfetto. L’importante è che tu lo sia qui» disse, spostando la finta imbottitura per toccargli il cuore. «E devo ammettere… che lo sei.»
Mamoru addolcì lo sguardo. Gli rubò un bacio nella confusione della festa, tanto nessuno se ne sarebbe accorto, ed era divertente come poche cose al mondo sfidare la sorte.
«Dai, torniamo dagli altri.» Yuzo gli sistemò di nuovo le tette finte e il top, prima di superarlo. Mamoru gli passò il braccio attorno al collo.
«E comunque sono perfetto anche nelle mutande.»
«Il solito maiale.»
«Lo vuoi negare?»
«Che sei un maiale?»
«No, che sono perfetto!»
«Vedremo. Per essere perfetto devi mantenere alte le prestazioni, sai com’è…»
«Oh, allora è chiaro come inaugureremo il nuovo anno. Vedi di essere pronto, ché più tardi te la faccio fare io l’onda, Orange Wave
Mamoru gli mollò un sonoro schiaffo sul sedere prima di superarlo per raggiungere gli altri.
«Qualcosa mi dice che Takeshi sarà felicissimo di sapere che mi trasferisco.» Yuzo scosse il capo ridendo di gusto, con Mamoru che, ormai, stava di nuovo agitando i pon-pon gridando ai quattro venti quel ‘DATEMI UNA EMME!’.
Potevano passare gli anni, e le esperienze sulla loro pelle, ma in fondo al cuore il legame che univa tutti loro, la Nankatsu, non sarebbe mai cambiato.

“A thrill of hope the weary soul rejoices /
Un fremito di speranza allieta l’anima stanca,
for yonder breaks a new and glorious morn /
perché laggiù comincia un nuovo e glorioso giorno.

Perry ComoO holy night

Nota Finale: sono in ritardissimo, lo so. :/
Questa storia sarebbe dovuta arrivare il 1° Gennaio, come da tradizione, ma quest’anno non sono riuscita a rispettare i tempi soliti. ç_ç mi dispiace moltissimo.
Con questa storia si chiude la Trilogia dedicata al Capodanno :) Mi sembrava giusto dare una chiusura anche a questa breve serie, perché penso che i personaggi avessero detto moltissimo di loro e delle loro storie. :)
Tre San Silvestro, e chi doveva crescere è cresciuto.
Spero che anche questa ultima vi sia piaciuta e, anche se in ritardo, auguro a tutti voi che mi avete sempre seguito un meraviglioso 2017! :D


E di seguito, per farvi fare due risate, ecco a voi tutti i riferimenti della storia! XD
- il trucco di Hajime e quello di Teppei; e l'ispirazione per il costume di Hajime. Purtroppo per Teppei non ho trovato nulla che soddisfacesse la mia idea :3
- non so se ve la ricordate dal film "La Famiglia Addams 2", ma Debbie è lei: Debbie XD
- le Orange Wave e le Tricolore Mermaid sono i gruppi di cheerleading rispettivamente della Shimizu S-Pulse e degli Yokohama F. Marinos
- per l'abbigliamento di Beth mi sono ispirata ad Al Capone (e ovviamente ai millemila film sul genere; uno su tutti: Gli Intoccabili ♥) - per la pettinatura di Shingone mi sono rifatta allo stile della bellissima Dita von Teese.

   
 
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