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Autore: Damnatio_memoriae    11/01/2017    5 recensioni
«Quando il pericolo incombe, gli uomini appartenenti alla stessa tribù o alla stessa famiglia tengono in minimo conto la vita dei propri simili; ma un gruppo che si è consolidato con l'amicizia radicata nell'amore non si scioglie mai ed è invincibile, poiché gli amanti, per paura di apparire meschini agli occhi dei propri amati, e gli amati per lo stesso motivo, affronteranno volentieri il pericolo per soccorrersi a vicenda.» Plutarco, "Vita di Pelopida, 18"
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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Capitolo 18
 
Quando vedi una buona mossa, aspetta.
Cercane una migliore.
Lasker

 


Forse furono i raggi di un sole freddo che filtravano attraverso le tapparelle, o il rumore del condizionatore che riscaldava la stanza, o ancora il respiro regolare della ragazza che le dormiva accanto. Qualunque fosse la ragione, si svegliò stiracchiandosi e scoprendosi dal piumone stropicciato. Guardò appena l’orologio che segnava già le dieci passate. Si girò su un fianco e allungò il braccio per cingere la vita della sua compagna, stringendola a sé dolcemente. L’altra si lasciò abbracciare, emettendo solo un lieve sospiro.
«Buongiorno» le sussurrò all’orecchio, scostandole i capelli scuri dal collo.
La ragazza schiuse appena gli occhi per guardarla e subito tornò a chiuderli, affondando il viso nel cuscino.
«Vuoi continuare a dormire?».
«Si» biascicò lei, la voce impastata.
«Ne sei sicura?» domandò ancora, mentre le insinuava una mano sotto la felpa, stringendole il seno.
L’altra si inarcò sotto il suo tocco. «Ora un po’ meno» ammise.
«Faremo tardi».
«Se continui così faremo tardi sicuramente» obiettò la ragazza. Girò il viso per cercarle la bocca con la bocca e quando l’ebbe trovata le catturò le labbra, inebriandosi del suo sapore.
«E’ per una buona causa» sorrise l’altra, accarezzandole il costato, la schiena, scendendo fino ai glutei e abbassandole gli slip. La sentì rabbrividire e se ne compiacque.
«Mi sei mancata così tanto…».
«Sono stata via solo tre giorni» provò ad obiettare.
La mora arricciò le labbra in un blando broncio che subito scivolò via. «E’ abbastanza» disse sollevandosi e mettendosi a cavalcioni sui suoi fianchi. Si chinò su di lei per baciarla ancora e ancora, esplorandole il collo e il seno con la punta della lingua, mentre la ragazza la teneva stretta in vita. Mosse il bacino contro il suo, strusciandosi su di lei, e non riuscì a trattenere il gemito che le uscì dalla bocca. Improvvisamente si sentì ribaltare e di nuovo si trovò sdraiata sul materasso, imprigionata sotto il corpo della donna. Una cascata di capelli chiari le coprì il viso.
«Serena» sussurrò il suo nome, stringendo le ginocchia intorno ai suoi fianchi «Serena, ti voglio…».
La bionda le abbassò i pantaloni, mordendole piano l’interno coscia. Le sollevò la felpa, scoprendole il ventre, lo stomaco, il solco tra i seni e baciando ogni centimetro del suo corpo come se da questo potesse trarne vita. Posò la fronte sulla sua pancia - una curva troppo pronunciata per una ragazza così minuta – e vi depose un bacio più delicato.
«Allora, piccolino?» domandò, le labbra piegate in un dolce sorriso «Ti sei comportato bene?».
La mora storse il naso. «Non molto. La notte si diverte a tirare calci».
Serena rise. «E’ dispettoso come la mamma».
«Io non sono dispettosa!» ribattè subito con fare indignato.
«A volte sì. E anche testarda, permalosa e un po’ egocentrica» la guardò divertita.
L’altra rimase in silenzio. «Molto bene» disse poi, con aria di sfida «Non vorrei dover aggiungere a questa lista anche la parola ritardataria, quindi…» si sottrasse alle sue carezze e chiuse le gambe, incrociando le braccia al petto.
«Oh, bimba…» la sbeffeggiò «Non ti conviene provocarmi».
«Perché no?».
«Perché sappiamo entrambe che non sai resistermi».
«O forse sei tu quella che non riesce a resistermi».
Serena si morse le labbra. La costrinse ad aprire la cosce quando si sdraiò sopra di lei e la ragazza la accolse senza opporre resistenza, abbracciandola e stringendola a sé. «Questa è una certezza, ormai» sussurrò, affondando il viso nel suo petto e riscoprendo il suo profumo.
La mora si inarcò sotto il suo corpo. Le prese una mano e la guidò su di sé. «Serena, ti prego» la implorò con voce calda «Toccami».
«Voglio sentirti venire, Ramona» sussurrò lei in risposta, muovendo le dita fra le sue gambe e sentendola pronta. «Vieni per me. Amo il modo in cui pronunci il mio nome…». Le baciò il collo, le guance, la bocca, le catturò le labbra e la sentì tendersi e fremere sotto di lei, in un modo che le era piacevolmente familiare.
«Adesso sì che è tardi» rise poi Ramona, accoccolandosi tra le sue braccia. Serena annuì, accarezzandole il viso e sfregando la punta del naso contro la sua. Si allungò per prendere il cellulare posato sul comodino e iniziò a digitare il messaggio.
 
Quando la sveglia suonò, con quella fastidiosa suoneria che ormai conosceva a memoria, lei era già sveglia da almeno un paio d’ore. In salotto, seduta alla sua scrivania, fra carte, appunti, libri, elenchi, il giornale di quel giorno – in verità già macchiato dal caffè che gli aveva involontariamente rovesciato sopra -, batteva freneticamente i tasti del portatile nella speranza di finire il progetto per tempo.
Il cammino acceso riscaldava l’ambiente tiepido e le volte in muratura, nell’aria aleggiava l’odore di un mattino troppo freddo e sul fuoco la caffettiera borbottava. Appeso al muro di fronte a lei, il quadro di Diana appena restaurato dava alla stanza un’atmosfera familiare. Rebecca non si era mai sentita tanto a casa come in quel luogo.
Aprì ancora una volta il prototipo della mostra, sfogliando le pagine senza in realtà vederle davvero.
«Oh…» sussurrò, prendendosi la testa tra le mani e maledicendo in silenzio il suo capo «Questo dovrà valermi come minimo un aumento. O la promozione».
Sussultò quando due braccia le circondarono il collo, le mani posate sulle sue spalle, ma subito una voce assonnata la tranquillizzò e al naso le giunse quel profumo che ormai sarebbe stata in grado di riconoscere tra mille.
«Scusami, non volevo spaventarti» le sussurrò all’orecchio Rachele, accennando un sorriso sul suo zigomo.
«No» ricambiò la sua stretta Rebecca, baciandole il polso «Scusami tu se ti ho svegliata così presto».
«Non importa».
«Questo lavoro mi manderà ai matti».
«Ce la farai, ne sono sicura. Nessuno si è impegnato quanto te».
«È che ci sono così tante cose da preparare…la mostra, il viaggio, la nuova squadra di periti. E lo sai, tutto dovrà essere perfetto: George mi tiene sotto stretta sorveglianza e non aspetta altro che io fallisca per prendere il mio posto» fece un lungo sospiro «Quel verme schifoso. Odio gli americani».
«Ma non era canadese?».
«Solo per metà. La metà sbagliata» sbottò.
Rachele le accarezzò la testa, tirandole indietro i capelli per baciarle la fronte. «Ti faccio il caffè».
«Sì, per favore» grugnì.
«Quanti ne hai già bevuti stamattina?» le chiese distrattamente, storcendo il naso e osservando vicino ai fornelli le tazzine lasciate sporche.
«Non abbastanza» allungò una mano per prendere il giornale e mostrarle la prima pagina «Metà me l’ha rubato lui».
«Un vero prepotente». La ragazza scosse la testa divertita. «Lo vuoi con un cioccolatino?».
«Oh, tu sì che mi capisci» sospirò, reclinando la testa «Ma mettimelo a parte».
Rachele aprì e chiuse il frigo. «Dopo tutti questi anni pensi davvero che non me lo ricordi che il caffè ti piace amaro?» le sorrise.
«Sbadata come sei? Meglio prevenire» la prese in giro «A che ora arrivano?».
«Mi ha scritto Serena, ha detto che ritarderanno di un’oretta. Per il traffico».
Rebecca alzò gli occhi al cielo. «Sì, il traffico» schioccò la lingua sul palato «Solo loro riescono a trovare traffico su una strada di campagna».
«Lasciale stare» versò il caffè in una tazzina pulita «Non avranno più molto tempo per stare insieme quando nascerà il pupo. Sono state carine ad accettare l’invito».
«Ramona ti adora».
«Anche tu mi adori» la guardò maliziosa, sedendosi sulla scrivania e allungandole il suo caffè.
«Ah, davvero?».
«Davvero».
«Non lo sapevo».
«Ah, no?».
«No» la guardò di sottecchi.
«Allora è un bene che ci sia io a ricordartelo, non credi?».
Rebecca le slacciò il nodo che teneva chiusa la vestaglia. Con le dita le tastò il fianco e attraverso la stoffa la ragazza ne percepì le dita fredde. «Quanto ego in una persona così…».
«Bella?» la interruppe, chinandosi su di lei per baciarle le labbra.
«Stavo per dire piccola, ma le tue conferme sono sempre le benvenute». La trasse a sé, toccandola sotto la camicia da notte, stringendole i glutei, mettendola a cavalcioni su di sè.
«Non dovevi lavorare?».
«Credo mi serva un po’ più di fantasia per andare avanti».
Rachele arcuò le sopracciglia. «Che fine ha fatto la mia stakanovista preferita?».
«E’ sotto stress. Pensi di poter fare qualcosa a riguardo?».
«Oh, sì. Ma è un peccato, mi manca il tempo» finse di allontanarla.
«Come?».
«Ho ancora il dolce da preparare».
«É al cioccolato?» le domandò.
«No» le diede un buffetto sulla guancia.
«Allora può aspettare» concluse, catturandole la bocca.

Ramona bevve un sorso della camomilla che Rachele si era premurata di portarle, posando poi la tazzina bianca sul piattino, accanto al cucchiaio e alle briciole di qualche biscotto divorato troppo in fretta.
Seduta accanto a lei, Serena si rigirava fra le dita una sigaretta, guardando fuori dalla finestra la neve che cadeva e che la stava trattenendo dall’alzarsi per andare in balcone a fumare. Mosse una mano sotto al tavolo, posando il palmo sul ginocchio della ragazza, com’era solita fare quando erano in macchina e non aveva bisogno di cambiare marcia. In risposta, Ramona roteò il bacino, attenta a non urtare con la pancia il bordo del tavolo, avvicinando le gambe alla sedia della sua fidanzata.
«E poi e poi?» chiese Ramona entusiasta, gli occhi scuri spalancati, se possibile ancora più rotondi e grandi, pieni di entusiasmo e di curiosità.
«Non è evidente?» la prese in giro la bionda.
L’altra le riservò una bonaria occhiataccia.
Rachele fece spallucce. «Bhe…» continuò imbarazzata, il rossore che dalle guance iniziava a colorarle tutto il viso e le orecchie.
Serena sorrise maliziosa, alzando gli occhi al cielo. «Guardatela come si emoziona…!».
Lele appallottolò velocemente il tovagliolo e glielo lanciò addosso, mancando di poco il bersaglio.
Una risata cristallina, chiara e sguaiata le riempì le orecchie. Rebecca si portò le braccia dietro la testa, stirandosi la schiena intorpidita. «Cosa vuoi farci?» domandò ironica «É l’effetto che le faccio».
«Non ti ci mettere pure tu!» la riprese l’altra, assestandole una sonora pacca sulla spalla.
«Dio, quanto sei manesca! Ahia, ahia!».
«Ben ti sta!».
«Piccola bulla che non sei altro».
Rachele le riservò la linguaccia più riuscita di tutto l’anno.
«Lele» ne richiamò l’attenzione Ramona «Ti prego, continua!».
Serena si passò una mano sul viso, riponendo la sigaretta dentro il pacchetto. «Sì Rachele, ti prego, continua. Dai a questa povera creatura la sua dose di romanticismo quotidiano, prima che mi costringa a riguardare Titanic per la tredicesima volta».
«In verità non c’è molto da dire…Insomma, lei…» si voltò a cercare con gli occhi Rebecca «É tornata indietro. È tornata da me».
«Oh…» si lasciò scappare Ramona, passando lo sguardo da una all’altra.
«Non è stata una cosa molto romantica, a dire il vero» storse il naso Revy.
«Mhmh no, decisamente no» rise la sua ragazza, ripensando a quel momento «Si è messa ad urlare in mezzo alla strada e mi ha fatta arrivare in ritardo all’appuntamento con il relatore».
«Lo credo bene» ribattè con veemenza «Fosse stato per te sarebbe finita così, senza dire e fare nulla».
«Ma se non mi hai neanche salutata! Te ne stavi lì, impalata, in mezzo ai tuoi amici, e mi sei passata di fianco come se non fossi mai esistita!».
«E cosa avrei dovuto fare? Aspettavo mi fermassi».
«Anche io aspettavo mi fermassi».
«Si, ma sono io quella che si è voltata per guardarti».
«Anche io mi sono voltata!».
«Allora abbiamo una coordinazione pessima».
«Se fosse stato facile non sarebbe stato divertente».
«E vi siete baciate?» le incalzò Ramona, guardandole come estasiata. Nulla sembrava intrigarla quanto i lieti fine.
«Baciate?» sbuffò Rebecca mentre Rachele scuoteva la testa a destra e a sinistra «Proprio no. Solo per riuscire ad abbracciarla ho rischiato di prendermi un pugno in faccia».
«Non puoi dire che la mia reazione fosse ingiustificata» incrociò le braccia al petto.
«Ingiustificata no, un po’ esagerata sì».
«Esagerata? Io esagerata?».
«Solo un po’» avvicinò il pollice e l’indice per rendere l’idea «Prima che mi dessi un’altra possibilità ho dovuto rincorrerti per mesi».
«Era il minimo che avresti dovuto aspettarti dopo un anno che non ti facevi sentire».
«A mia discolpa» mise le mani avanti «Posso dire di averti scritto una lettera dolcissima. Corta, ma dolcissima».
«Io non l’ho mai ricevuta».
«Prenditela con le poste, non con me, io l’ho spedita».
Ramona le osservò con un sorriso «Siete così carine. Io l’ho detto fin dall’inizio che eravate fatte per stare insieme. Si vedeva da come vi guardavate».
Serena le posò una mano sulla testa in una carezza leggera. «Mi chiedo se avresti detto la stessa cosa dopo tutte le litigate».
«E i pianti» convenì Rachele.
«E i “Vaffanculo» continuò Rebecca.
«E i “ti odio”».
Rebecca sussultò. «Non mi hai mai detto ti odio».
Rachele arricciò le labbra. «Ogni tanto l’ho pensato» ammise «Ma mai seriamente».
«Io l’ho pensato seriamente» si intromise Serena, lo sguardo rilassato.
«Grazie per la puntualizzazione».
La bionda fece spallucce «Ti ho solo tenuta d’occhio per un po’».
«Fatela finita voi due» le riprese Rachele «Mi avete fatto passare dei brutti quarti d’ora entrambe» guardò Ramona «Poi è bastato piazzarle davanti alla Motogp. Non so se ci rendiamo conto della gravità della situazione: Valentino Rossi è riuscito dove io ho fallito».
Serena e Rebecca si scambiarono un’occhiata d’intesa.
«Temo che la tua ragazza abbia appena pronunciato il nome di Dio invano».
«Che ci vuoi fare, non c’è stato verso di convertirla».
«Già, a chi lo dici» guardò Ramona da sotto le lunghe ciglia «Bisogna sempre fare a gara per il telecomando».
«Per questo noi abbiamo messo due televisori» disse Rachele.
«Anche se nessuno dei due è in camera da letto, dove dovrebbe stare».
«No» rispose categoricamente l’altra «Non ci sarà nessuna televisione in camera da letto, scordatelo».
«Tanto comandi sempre tu» guardò Serena «Perché comandano sempre loro?».
Rise. «Perché sono quelle che hanno la voce più acuta e noi non le vogliamo sentire urlare?».
«Mi sembra una risposta sensata».
Ramona scosse la testa. «Non potresti stare senza di me».
Serena si sporse per darle un bacio sulla guancia e accarezzarle la pancia. «Potrei, ma non voglio».
«Tutto è bene quel che finisce bene».
Lele sorrise «Tutto è bene quel che io mi sono impegnata a far andare bene».
«Esagerata!» la schernì Revy «Mi avevi già perdonata. È solo che non volevi ammetterlo».
Le fece l’occhiolino. «Mi amavi già, è solo che non volevi ammetterlo».
«Non l’ho ancora ammesso» precisò con aria di sfida.
«Poco importa, io lo so» le sussurrò, stampandole un bacio sulla tempia «E lo sai anche tu».

 
   
 
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