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Autore: Novizia_Ood    11/01/2017    4 recensioni
SPOILER 4x01, chiunque non l'avesse vista, meglio non leggere.
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Come aveva sbattuto la porta in faccia a Sherlock quella volta, non era mai successo.
“Vattene, come te lo devo ripetere? Questo non è un gioco e io non sono più l’idiota che ti ascolta né che ti segue ovunque vai.” Il suo tono aggressivo e l’espressione feroce, la bocca distorta in una smorfia dolorosa da guardare per Sherlock. John faceva male in quel modo, più del solito.
“I-io volevo solo vedere se tutto andasse bene, se vi servisse-”
“Tu non ci servi, Sherlock. Né a me, né a Rosie. [...]"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Let's Hurt Tonight

 

 

Come aveva sbattuto la porta in faccia a Sherlock quella volta, non era mai successo.
 

Vattene, come te lo devo ripetere? Questo non è un gioco e io non sono più l’idiota che ti ascolta né che ti segue ovunque vai.” Il suo tono era aggressivo e l’espressione feroce, con la bocca distorta in una smorfia dolorosa da guardare per Sherlock. John faceva male da vedere in quel modo. Più del solito. 

“I-io volevo solo vedere se tutto andasse bene, se vi servisse-”

“Tu non ci servi, Sherlock. Né a me, né a Rosie. La mia famiglia ha chiuso con te e smettila di presentarti almeno due volte a settimana. Sono uscito io oggi perché speravo di essere chiaro con te e che capissi che non voglio più vederti girare qui intorno. Sono stato chiaro?” E forse non valeva nemmeno più la pena avvicinarsi a quella casa se ad aprirgli non sarebbe stato il sorriso di John o la sua voglia di uscire con lui e andare dietro al prossimo caso; se la luce negli occhi della persona che più ammirava si era spenta, allora nulla aveva più senso e ora che lo aveva finalmente visto di persona, faceva più male, ma forse era più facile da accettare. Sarebbe stato più facile girare i tacchi e andarsene. Magari facendo il sostenuto, magari arrabbiandosi, magari… 

“A mai più rivederci.” E fu un attimo che John rientrò sbattendo la porta e chiudendolo fuori. E lì non c’era solo Sherlock, ma anche i suoi sentimenti, la sua mente che stava cadendo a pezzi da quando Mary si era sacrificata per lui e la vita che ora avrebbe dovuto portare avanti da solo. 

Non riuscì a muoversi, nemmeno dopo un minuto.

Era stato sbattuto fuori da John, dalla sua vita, da quella della bambina. 

Sherlock era fuori, ormai in tutti i sensi. Troppo esposto, troppo dolorante. Troppo vulnerabile. 

Eppure Mycroft gliel’aveva sempre detto di stare attento, di stare lontano dai sentimenti, perché quelli non facevano altro che annebbiarti la ragione per nessun motivo, rendendoti perdente in partenza in qualsiasi situazione. 

E Sherlock aveva appena perso tutto.

 

“Sherlock, caro. Tutto bene?” La voce della Signora Hudson gli arrivò dolce quanto una carezza materna sul viso, cosa che lo incitò ad abbassare lo sguardo e a non incrociare quello di lei una volta che fu rientrato a casa. Per fortuna non domandò esplicitamente come fosse andata con John, altrimenti avrebbe visto Sherlock crollare davanti ai propri occhi.

“Le dispiace non disturbarmi per i prossimi giorni?” Lo stava chiedendo in tono gentile, perché aveva assoluto bisogno che quella sua richiesta venisse accolta, ascoltata. Non poteva vedere nessuno e preferiva restare da solo. Non voleva avere a che fare con le preoccupazioni degli altri nei suoi confronti, erano già abbastanza quelle che aveva verso se stesso.

“Va bene. Chiamami nel caso…” cosa? Non avrebbe avuto comunque bisogno di nulla, non avrebbe mai chiesto niente. 

E la salita verso la sua stanza fu molto lenta, a tratti trascinata, perché il peso di essere stato capace di aver ferito John, e sopratutto la piccola Rosie, lo avrebbe accompagnato per un bel po’ di tempo e per molti e molti passi. 

Si sarebbe abituato, forse. Prima o poi. 
Erano piuttosto il silenzio e la sensazione di vuoto che in quella casa non lo avrebbero mai più abbandonato.

 

 

Tre settimane e mezza dopo, senza ricordare né come, né perché, Sherlock si ritrovava nel letto di un ospedale. Quando riaprì gli occhi la stanza era calata in un buio disturbato solo dal blu delle luci dei vari macchinari che aveva alla sua destra. Mosse appena gli occhi per guardare di lato a sinistra. 

Una poltrona vuota era accanto a lui. Ma quando lo spostò per guardare davanti a sé, ai piedi del letto incrociò lo sguardo di chi non si sarebbe mai immaginato. 

John.

E si accorse solo dopo di averlo detto esclusivamente nella sua testa, perché intorno alla bocca aveva una mascherina che lo aiutava a respirare meglio, fornendogli ossigeno a sufficienza. Probabilmente, in quella situazione, con il suo ex coinquilino (e ex amico) lì presente, ne aveva proprio bisogno.

John strinse più forte la barra di plastica che aveva tra le mani, così forte da farsi diventare bianche le nocche e non si azzardò nemmeno per un istante a staccare gli occhi da quelli di Sherlock. Anche i suoi erano stanchi, tristi, delusi, ma con una spruzzata leggera di speranza. Era lì e forse tutto ciò che contava. 

“Che cosa stai combinando…” non sembrava nemmeno una domanda, perché sapeva che il detective non sarebbe stato in grado di rispondere e, anche se ci avesse provato, con molta probabilità gli avrebbe intimato di tacere e di riposare, senza sforzarsi troppo. 

Sherlock lasciò andare la testa sul cuscino dietro di sé di nuovo e si fermò a fissare il soffitto. Gli occhi pungevano come non mai. Era deluso? Aveva pianto per lui? Chi lo aveva chiamato?

“Me lo ha detto Molly che eri sulle tracce di qualcuno. Hai cominciato a dare di matto nell'obitorio e...” Rispose John come se fosse stato capace di leggere nei suoi pensieri e forse ne era capace davvero. Non finì la frase però, perché quello che aveva fatto dopo avrebbe preferito dimenticarlo.

Sherlock avrebbe voluto dirgli che gli dispiaceva, cento, mille volte. Non si sarebbe mai fermato se fosse servito a qualcosa o a qualcuno. 

Mi avresti potuto chiamare, avresti potuto parlarmene!” Gli aveva detto quasi un anno prima e invece adesso qual era la sua scusa per essere lì? Perché se ne stava con quello sguardo distrutto e colpevole attaccato ai piedi del suo letto? 

Sherlock si mosse scomodo sul materasso, alzandosi appena, ora gli occhi erano lucidi. 

“Ma tutto questo non è per un caso, vero?” Domandò mentre lo guardava spostarsi e a quel punto lo sguardo di Sherlock si fissò in quello del compagno. Gli stavano dicendo: “potrei mentirti e mentire a me stesso ancora una volta, rispondendoti di sì.” Mantenne il contatto visivo finché non fu John a distruggerlo, lasciando che i suoi occhi si posassero sulla coperta poco più avanti. Allungò entrambe le mani per afferrargli entrambe le caviglie, poi lasciò che i pollici lo accarezzassero piano. 

Sherlock respirò più pesantemente nella sua mascherina.

Perché non ti avvicini? Perché resti a distanza di sicurezza? Non ti farei più del male, John. Non vedi? Non ci riesco.” E ancora una volta, era tutto un copione muto nella sua testa mentre lo osservava con attenzione, intimorito da qualsiasi cosa. Se solo avesse alzato anche solo un dito, lui sarebbe fuggito. 

John, perché non resti per sempre e mi liberi da questa pesante paura?

“Ti faranno uscire domani. - Fece una pausa accarezzandolo ancora, poi finalmente rialzò lo sguardo sui suoi occhi. - Verrai a casa con me, non ti lascio tornare in quel tugurio.” 

Perché alla fine la signora Hudson gliene aveva parlato. La casa era più disordinata del solito e i ritagli di giornale ormai erano sparsi ovunque: sul pavimento, sui muri, sulle finestre. Fili rossi che ricoprivano il perimetro del salone in una mappa infinita senza inizio né fine nella quale Sherlock si era chiaramente perso. 

“Sto bene” biascicò dietro la mascherina prima di allungare una mano per provare a sfilarsela dal viso e a quel movimento John serrò di più la stretta. Il tocco aveva smesso di essere gentile e con velocità si ritrovò accanto a lui a posizionarla di nuovo nel modo giusto.

“Non mi pare di aver chiesto il tuo parere per questo, Sherlock. Verrai a casa, nessuna storia.”

E non aveva ribattuto nulla, non ci sarebbe riuscito e forse non lo avrebbe fatto nemmeno se ne avesse avuto la forza. 

 

 

Era passata già una settimana da quando si trovava in casa di John e per quanto quell’odore gli fosse familiare, c’era qualcosa che non lo faceva sentire completamente a casa sua. 

“Ti ho preparato la colazione” disse l’uomo con la bambina in braccio voltandosi poi a dargli le spalle quando Sherlock scese dalle scale già vestito e con la propria vestaglia addosso. Udì qualche versetto di sottofondo e preferì non aggiungersi al dolce quadretto, bensì si avviò in cucina dove una tazza di tè caldo era ad attenderlo. Era bollente. Lo aveva forse sentito prepararsi e aveva avuto il tempo necessario per renderla pronta al momento giusto? Sherlock era molto confuso. Fino a che punto poteva lasciarsi credere che quelle fossero premure da parte di John e invece fino a che punto fossero semplici doveri da essere umano verso un altro? Prese posto al tavolo e avvolse le mani intorno alla tazza calda, sospirando un paio di volte prima di toccarsi la barba ancora incolta e troppo lunga per i suoi standard. Ma in quel periodo di disintossicazione la barba era l’ultima cosa a cui avrebbe voluto pensare. 

In realtà riusciva a pensare veramente poco in quei giorni. Tutto era molto confuso. Il suo caso a che punto era ormai? Smith non erano ancora riuscito ad incastrarlo. Doveva assolutamente tornare in forze per-

“Mi ha chiamato Greg prima, dice che non ci sono novità.” John interruppe i suoi pensieri entrando in cucina con Rosie accoccolata contro il suo petto e andò a sedersi sulla sedia davanti a quella di Sherlock. Ancora una volta era stato in grado di leggergli nel pensiero.

“Certo che non ci sono novità, io sono bloccato qui.” E quella era irritazione che gli bruciava le punte delle mani, dei piedi. Doveva muoversi e invece era immobile in una casa che non era la sua, ma che conteneva quanto di più prezioso e familiare lui avesse. Ed era scomoda lo stesso.

“Sei bloccato qui perché sei andato in overdose, ti sei drogato per settimane, di nuovo. Non dare la colpa a me.” E quel tono così fastidiosamente saccente fece infastidire Sherlock, che lasciò uscire la frustrazione di giorni di convivenza forzata in quel modo che non era né un aiuto di un amico né il menefreghismo di uno sconosciuto. Era confuso, era spaesato e non riusciva a capire.

E Sherlock odiava non capire.

“E a te cosa importa? Stavo lavorando ad un caso e ora per colpa di questa stronzata il caso sta subendo un rallentamento non indifferente.” Si sarebbe lanciato di nuovo a capofitto, con tutte le scarpe, dentro quella faccenda pur di dimenticare tutto il resto; pur di dimenticare ciò che era presente in quella casa come un fantasma; pur di evitare ancora quel discorso rimasto incompleto tra di loro.

“Sarà per te una stronzata, perché per me un’overdose non lo è affatto.” Commentò laconico, mentre cullava il più possibile la piccola Rosie affinché non si scocciasse cominciando poi a piagnucolare per chiedere più attenzioni di quante in quel momento John potesse concedergliene. 

“Non sono sotto la tua responsabilità.” Scosse la testa allontanandosi dalla tazza, come se quello fosse stato parte da sempre di ciò che John gli doveva in veste di… di cosa? Medico curante? Badante? 

“Lo sei invece, da quando ho deciso di farti venire qui.”

“Che idea stupida, perché mai l’avresti deciso?” Alzò gli occhi al cielo. Perché sì, cosa diavolo gli era saltato in mente nel prendere una decisione simile visto il loro rapporto/non rapporto da un mese ormai? Era molto frustrante quella situazione e Sherlock non sarebbe riuscito a sostenerla ancora a lungo.

“Perché è improbabile che la Signora Hudson ti prenda a pugni per impedirti di uscire di casa. Io invece non avrei il benché minimo rimorso.” E di nuovo quello sguardo aggressivo si era dipinto sul suo volto. In quel momento la sua espressione stonava tantissimo con quella bambina che aveva tra le braccia. Sherlock scattò in piedi immediatamente avvicinandosi a lui.

“Se mi hai trascinato qui solo picchiarmi come vorresti, fallo pure adesso.” Lo sguardo basso su di lui, scuro quasi quanto quello di John. Non avrebbe più subìto quella situazione, stava diventando insostenibile. “Ma fai in fretta, perché ho altre cose più importanti da fare che stare qua a farti sentire meglio.” 

La chiave di Molly girò nella serratura della porta principale, ma nessuno dei due riuscì a sentirla da lì.

Anche John a quel punto si alzò e, nonostante la differenza d’altezza, sembrava essere minaccioso tanto, se non più, di Sherlock.

“Credimi che se cominciassi a picchiarti probabilmente non ce la farei a finire in fretta.” Rispose a denti stretti.

“E allora comincia subito, non vorrai certo perdere tempo!” Esclamò teatralmente avvicinandosi a lui di un passo. E fu un attimo in cui Molly entrò in cucina per assistere alla scena: John aveva il petto che si alzava e si abbassava velocemente; il corpo di Rosie quasi a sfiorare il petto di Sherlock che era fin troppo vicino e il suo viso che stava cominciando a contrarsi per il pianto che sarebbe scoppiato da un secondo all’altro.

“Cosa credevi, che mi bevessi la cazzata dell’amico che lo fa per sostenermi?” La voce di Sherlock era davvero troppo alta in quel momento, ma la piccola riuscì a non gridare ancora.

“Sei il solito ingrato, egoista e-” 

Io? Ma senti chi parla, chi mi ha trascinato qui solo per pulirsi la coscienza da chissà quale peccato e chi mi ha incolpato di qualcosa su cui io non avevo assolutamente nessun potere. Hai fallito, John. Tanto quanto me.” Tirò fuori all’improvviso e a quel punto il viso del dottore divenne troppo rosso per non far muovere Molly dal posto.

Tu-

“Ragazzi, smettetela!” Urlò lei proprio quando Rosie cominciò a piangere a squarciagola. Corse tra di loro prendendo in braccio la bambina e poi li guardò entrambi, nessuno le stava dando abbastanza attenzione. Spalle contro Sherlock, Molly provò a guardare John negli occhi. “John, John, per favore.” Chiamò più volte e ci volle qualche secondo prima che l’uomo decidesse di lasciar stare gli occhi di Sherlock per scendere su quelli di lei. “Smettetela.” 

“Io non credo proprio che dovremmo smetterla, perché questa cosa mi sta facendo impazzire da giorni. Se ha qualcosa da dire, può benissimo dirmelo in faccia invece di nascondersi di continuo.” E quella era un’altra provocazione da parte di Sherlock.

“Te ne dico quante ne vuoi” sibilò tra i denti stretti.

“Potete parlarne da persone civili? Per favore, altrimenti mi costringete a restare qui con la bambina.” Cadde il silenzio nella stanza e sia Sherlock che John presero un respiro profondo prima di provare a calmarsi guardando altrove. Sherlock si voltò di spalle percorrendo la cucina nel lato opposto a dove fosse in piedi John, mentre si passava le mani tra i capelli.
Il cuore di entrambi ancora a correre più velocemente del solito. 

“Grazie.” Disse Molly prima di cullare un attimo Rosie e uscire dalla stanza con qualche versetto simpatico e squillante. 

Nella cucina cadde di nuovo il silenzio. 

Quando Sherlock si voltò di nuovo verso di lui i loro occhi si incrociarono di nuovo e rimasero a fissarsi per qualche secondo. John appoggiato al tavolo e Sherlock con entrambe le mani puntate sui fianchi. 

“Io non so che dirti, Sherlock. Non voglio dirti niente.” 

“Certo che non vuoi dirmi nulla, vuoi solo picchiarmi come hai fatto in obitorio prima che svenissi, giusto?” A quel punto il respiro di John quasi si fermò. Non gliel'aveva certo raccontato eppure non ci aveva messo niente a ricordarlo da solo. 
Se ne vergognava profondamente. 

“Stavi avendo le allucinazioni e non avevo idea di come-”

“Certamente, quindi la prima cosa che ti è venuta in mente è stata sferrare un pugno da farmi cadere per terra. Tutto normale.” Era tutto normale, certo. Colpirlo nei momenti di maggiore vulnerabilità era una cosa assolutamente normale per John e Sherlock quasi aveva alzato nuovamente quel muro tra lui e le persone o almeno tra lui e quella persona che ora gli stava davanti. Così fastidiosamente familiare e lontana al tempo stesso. Era una sensazione contrastante che Sherlock non riusciva a gestire in nessun modo.

Voleva allontanarlo, picchiarlo o voleva avvicinarlo, stringerlo e…

“Ero arrabbiato, va bene?” Ringhiò di nuovo corrugando la fronte e alzando di nuovo la voce.

“Non lo eri, tu lo sei.” Quella volta anche Sherlock urlò. “E smettila di far finta che tutto questo ancora ti interessi, perché non è così e tu non sei il buon samaritano. Non mi devi niente.” Si fissarono. “E gradirei che la prossima volta che mi cacci dalla tua vita, sia una decisione definitiva, perché questa cosa io non la tollero.” Fece una pausa e un passo avanti. “Cos’è? Vuoi farmela pagare adesso? Vuoi sfogarti? Prego, sono qua. Fai di me quello che vuoi.” Terminò a voce alta e con le braccia aperte, pronto per essere colpito e mostrando la parte più vulnerabile di sé. John gli si avvicinò velocemente afferrandolo per i risvolti sul collo della vestaglia per tirarlo più vicino.

“Ti caccerei di casa all’istante se potessi” era livido in viso, ma Sherlock probabilmente lo era di più, a metà tra l’arrabbiato e il deluso.

Fallo allora. Fammi tornare lì fuori, perché qui dentro non ho niente che mi trattenga.” Si respirarono a qualche centimetro dal volto mentre si guardavano negli occhi, mascelle serrate e muscoli tesi pronti a rispondere a qualsiasi stimolo.

“Ti piacerebbe troppo.” 

“Qualsiasi posto sarebbe meglio di qui dentro.” E quella non era una bugia. Sherlock aveva smesso di sopportare quel posto da giorni ormai, troppo opprimente, troppo grande e troppo diverso dallo spazio nel quale era solito muoversi.

Si guardarono negli occhi ancora per qualche secondo prima che John potesse allontanarlo con una spinta da sé. Sherlock si ritrovò spalle contro il frigorifero. 

“Non ho assolutamente intenzione di venire a ripescarti in chissà quale buco sperduto della città di Londra.”

“E allora non farlo. Lasciami lì. Mi hai chiuso fuori una volta, puoi farlo ancora.” Lo provocò con acidità e cattiveria. Ora stava provando ad allontanarlo lui, perché quella situazione gli stava diventando sempre più estranea e sempre più difficile. Non era semplice accettare il sentimento che provava per John e vedersi spingere via in quel modo; non dopo aver provato a consolarlo per la morte di Mary; non dopo aver provato a fare il padrino della bambina chiedendo se vi fosse qualcosa che poteva ancora fare per loro. 

Sherlock era stato ferito. “A me non importa più niente di ciò che hai intenzione di fare tu, né del perché. Voglio solo essere lasciato in pace.” Concluse.

Era quello che voleva davvero: essere lasciato in pace da John, dai propri sentimenti, dal dolore nascosto e sotterrato. Voleva concentrarsi solo sul caso. Era troppo una richiesta del genere? 

John abbassò lo sguardo sul proprio orologio e sospirò pesantemente.

“Adesso devo andare a lavorare.” Disse solo, mentre nella sua mente giravano vorticosamente ancora le parole di Sherlock poco prima. Stavano cominciando a fargli effetto perché il suo cervello stava cercando di rielaborarle, trovando dei nuovi significati, nuovi sensi alle frasi e forse… forse, lontanamente, Sherlock poteva avere ragione. Alzò lo sguardo su di lui e, senza salutare, uscì dalla stanza. Sherlock lo sentì parlare con Molly a bassa voce e poi con Rosie, quello che seguì fu forse il rumore del suo bacio sulla sua testolina e poi la porta chiudersi.

Sherlock rimase in silenzio nella cucina, appoggiandosi con le spalle al frigorifero prima di lasciare andare all’indietro anche la testa. 

“Tutto bene?” La voce di Molly gli arrivò leggera e preoccupata. Ricambiò il suo sguardo solo dopo aver lasciato uscire dal naso un sospiro pesante. 

“Tutto perfetto” sorrise fintamente prima di rimettersi in ordine e dirigersi verso l’uscita, quando la ragazza si voltò a guardarlo, fermandolo con le parole prima che potesse risalire in camera sua.

“Lo sai che lo fa perché si preoccupa per te. Nelle settimane in cui ha cercato di tenerti lontano è stato malissimo e, per quel che vale, ora lo vedo… diverso.” La sua voce era così flebile che per un attimo Sherlock ebbe l’impressione che quella situazione l’avesse ferita più del previsto. Trovarsi in mezzo al loro fuoco incrociato non doveva essere stata una bella posizione per lei.

“Anche io sono diverso.” Rispose prima di serrare la mascella e con essa anche i pugni. Era diverso ora, con i sentimenti che scorrevano liberamente per il suo corpo, senza più esserne spaventato, ma solo ferito. Era difficile più di altre volte adesso, perché non aveva idea di quanto sarebbe riuscito a tollerare e quanto invece lo avrebbe schiacciato eccessivamente. 

Molly abbassò lo sguardo mordendosi un labbro e Sherlock colse quell’occasione per passare avanti e dirigersi al piano di sopra dove richiuse la porta alle sue spalle.

 

La giornata fu molto lunga e John non tornò a casa per la pausa pranzo come invece era stato solito fare nei giorni precedenti e Sherlock non lo aveva certo aspettato. Erano le sette quando finalmente il dottore rientrò a casa, trovando sul divano Sherlock con le gambe incrociate e un gomito appoggiato sui cuscini dello schienale. Rosie era placidamente addormentata sulla sua copertina davanti agli occhi del detective che la percorrevano continuamente da un’estremità all’altra, in silenzio e senza muovere nemmeno un muscolo per non svegliarla. John li fissò per qualche secondo, il tempo che qualcosa si sciogliesse e rompesse dentro di lui, portando tutti i pensieri che lo avevano accompagnato fino a quel momento, alla luce. 

Prim’ancora di riuscire a chiudere la porta alle proprie spalle, Sherlock incrociò il suo sguardo che si indurì all’istante. Certo quello che riservò al padre della bambina doveva essere ben diverso, più severo, meno dolce e più sulla difensiva. 

“Si è appena addormentata.” Disse a bassa voce, sciogliendosi da quella posizione morbida e confortevole, cominciando ad assumerne una più rigida che rispondeva alla presenza dell’altro. John lo osservò immobile per qualche altro secondo e per un attimo si sentì triste e dolorante anche lui, al centro del petto. Quando aveva cominciato a permettere che tutto quello accadesse? Quando aveva lasciato che Sherlock diventasse così nei suoi confronti? Quando e come aveva cominciato a permettersi di trattare quella che doveva essere la persona più importante per lui, in quel modo? Vedere Sherlock così ora gli faceva male e, per la prima volta, lo faceva sentire in colpa.

Non era una sensazione arrivata dal nulla quella che ora provava.

Dopo la discussione con Sherlock quella mattina aveva camminato a piedi fino a lavoro mentre le sue parole ancora gli rimbombavano nel cervello.

Era stato un egoista e le cose gli erano sfuggite di mano. Il suo voto di matrimonio, il suo voto di compagno. Tutto distrutto da lui. Tutto distrutto per colpa di un sentimento che sentiva di aver perso nei confronti di Mary molto tempo prima e di qualcos’altro che invece era sempre rimasto lì per il suo migliore amico. 

E se n’era accorto, perché le parole di Sherlock lo avevano prima messo all’angolo e poi schiaffeggiato con aggressività.

Finalmente riuscì a muoversi, chiudendo con calma la porta dietro di sé per non svegliare la piccola, posò la sua borsa sul pavimento e, senza nemmeno sfilarsi il cappotto, si avvicinò al divano. Ad entrambi.

Si inginocchiò davanti alla piccola e, con un braccio a sfiorare la gamba di Sherlock, rimase a guardarla in silenzio per qualche istante.

“Deve averti fatto penare abbastanza, stava piangendo?” Sherlock abbassò velocemente lo sguardo sulla testa dell’uomo che aveva davanti, stranito da quel tono così normale, quasi morbido e attento. Forse era semplicemente intenerito dalla vista della propria figlia che dormiva. 

“L’ha messa Molly a dormire, io non-”

“Oh John, sei tornato.” Disse la donna, sbucando dal bagno con un sorriso sulle labbra. Vederli stranamente l’uno nello spazio personale dell’altro le portò un sollievo non indifferente. “Com’è andata a lavoro?” Domandò per non lasciar ricadere la stanza nel silenzio. Sherlock la osservò con attenzione, poi spostò di nuovo lo sguardo su John.

“Un po’ pesante oggi ad essere sincero.” Sospirò portando gli occhi su Rosie. “È stata buona?” Le domandò mentre con tutto se stesso provava a non accarezzare la piccola per non svegliarla, ma avrebbe tanto voluto farlo. Avrebbe voluto stringerla e baciarla e proteggerla e dirle tantissime cose che forse non avrebbe mai compreso totalmente. 

“Un angelo, solo quest’ultima oretta si è un po’ infastidita.” Sorrise guardando l’uomo seduto sul divano. “Ma secondo me è stata colpa di Sherlock, - e a quel punto anche i suoi occhi scattarono su di lei. - Le ha parlato per tutto il pomeriggio, finché non ha deciso di chiudersi in camera e lei dev’essersi arrabbiata.” Un peso scivolò via dal cuore di Sherlock che aveva già iniziato ad immaginare un John furioso come quella mattina. 

“L’avevo annoiata abbastanza, avevo annoiato anche me stesso.” Aveva girato per ore e ore su una prova sbagliata e non se n’era accorto. Probabilmente era quel periodo di astinenza a rendergli i pensieri più confusi e meno precisi, i sensi meno attenti. E solo quando si era reso conto dello sbaglio era corso in camera per riflettere da solo, in silenzio e al buio della stanza. Una volta uscito aveva trovato la piccola già addormentata e si era preso il suo tempo per osservarla mentre respirava piano, con la bocca leggermente aperta che provava a succhiare qualcosa nel sonno. 

“Penso anche io che gli piaccia la tua voce…” si ritrovò a dire John, mentre con più peso si appoggiava alla gamba dell’altro, con lo sguardo ancora fisso su sua figlia. A quel contatto Sherlock s’immobilizzò e al tempo stesso si sciolse. Avrebbe voluto sorreggerlo così per tantissimo altro tempo, sarebbe rimasto immobile in quella posizione se fosse servito, ma John si staccò quasi subito, mettendosi in piedi e avvicinandosi di poco a Molly.

“Molly, ti dispiacerebbe portare con te Rosie questa sera? Io…- infilò le mani nelle tasche e poi si voltò a guardare Sherlock velocemente prima di tornare con l’attenzione su di lei - … avremmo bisogno di parlare.” Quelle parole rimasero in sospeso in quel salone prima che gli altri due potessero veramente decifrarle e comprenderle. A quel punto la donna lanciò un’occhiata al detective prima di alzare le spalle e sorridere appena.

“Va bene, non c’è nessun problema.” Aveva già preso tutta la giornata libera dal lavoro e se quello voleva dire permettere a loro due di parlare, allora Rosie l’avrebbe tenuta anche tutta la settimana. Sherlock, dal canto suo, non era così  però così tranquillo come Molly, tutto il contrario, anche se il tono del dottore non dava a vedere nessun’emozione troppo ostile, anzi in quel momento gli stava dando qualche messaggio contrastante che nemmeno si applicò a decifrare.

“Ti ringrazio” le disse abbassando leggermente la testa, poi con un sorriso stanco si sfilò la giacca che ancora aveva addosso. “Ora, scusatemi un attimo, ma ho bisogno di farmi una doccia.” Con un gesto veloce della mano avvisò gli altri due che si sarebbe dileguato e poi si diresse verso le scale. 

Sherlock era ancora seduto sul divano, schiena dritta e occhi persi davanti a sé. Molly attese qualche secondo prima di provare ad interrompere il flusso dei suoi pensieri, prendendo posto dall’altro lato, accanto a lui.

“Era più rilassato o era solo una mia impressione?” Lo vedeva che in qualche modo il detective fosse agitato o quanto meno scosso, forse cercare di aiutare le sue deduzioni gli avrebbe fatto bene? Sherlock ci mise un po’ a rispondere.

“Tu dici?” Perché non aveva pensato a nulla, non aveva avuto bisogno di riempire la sua mente di deduzioni inutili - certo si era accorto di quanto fosse stanco e del fatto che avesse dovuto subire chiaramente un vomito violento da parte di un paziente visti gli schizzi all’altezza dei fianchi. Probabilmente era stato un bambino. - perché la sua mente era già piena di altre cose, i sentimenti gli stavano passando dallo stomaco al cervello di continuo, mescolandosi poi al sangue nelle vene, come se portare quelle sensazioni a tutto il corpo fosse la cosa più importante al momento. 

Era difficile stare attento a ciò che provava e al tempo stesso focalizzarsi sui dettagli del corpo di John. Non era stato in grado di farlo.

“Andrà tutto bene, okay?” Chiaramente lo stava dicendo per lui e Sherlock non era così sicuro che sarebbe andato tutto per il meglio. Aveva riconosciuto, dopo quel colpo fatale per Mary, la sua possibilità di fallire per colpa della sua eccessiva sicurezza.

Norbury.

Norbury.

Avrebbe ripetuto quella parola all’infinito adesso, soprattutto per cose che riguardavano John. Non poteva più fidarsi nemmeno di se stesso, non quando c’era lui di mezzo, perché il tavolo si sarebbe potuto ribaltare in un batter d’occhio e lui non avrebbe potuto fare nulla per sistemare ciò che aveva distrutto. 

Avrebbe voluto rispondere a Molly che non poteva essere così sicura di ciò e invece si limitò a stendere le labbra in un sorriso tirato.

“Vado a preparare la borsa di Rosie allora. Dalle un’occhiata nel caso si svegli” disse prima di battergli una mano delicatamente sulla gamba, poi si alzò sparendo anche lei al piano di sopra. 

Sherlock sospirò pesantemente. Non si sentiva così sicuro a restare da solo in casa con la persona che nemmeno 24 ore prima aveva accusato di volerlo picchiare di brutto. Forse non si sentiva pronto a sentire ciò che aveva da dirgli, né ad affrontarne poi le conseguenze. 

Il respiro gli si appesantì nuovamente, poi si voltò ancora verso la piccola che ora stringeva i pugnetti. Come quella bambina potesse tranquillizzare tutti era ormai un mistero per Sherlock, ma lasciò che quel suo potere aiutasse anche lui mentre continuava a bearsi della sua vista. Era così calma, così tranquilla, totalmente ignara di tutto ciò che le era intorno; l’unica cosa che sapeva era che quel posto fosse al sicuro e che nessuno avrebbe potuto farle del male. 

Poteva pensare anche lui lo stesso? 
 

Passarono circa una quarantina di minuti prima che John potesse venire giù dalla propria stanza, vestito già con il proprio pigiama e una vestaglia. I passi trascinati sul pavimento fecero dedurre a Sherlock che avrebbe decisamente preferito infilarsi direttamente a letto per dormire, piuttosto che scendere ad affrontare qualsiasi cosa avesse in mente. 

“Molly?” Domandò il dottore arrivando nel salone. 

Sherlock ancora seduto sul divano come lo aveva lasciato.

“È andata a preparare Rosie. Si è svegliata qualche minuto fa,” rispose senza guardarlo. Voleva iniziare a parlare ora? Dopo? “Vanno via tra poco.” Aggiunse. E voleva provare ad alzare lo sguardo, davvero, ma proprio non ci riuscì. John annuì, poi si passò una mano tra i capelli.

“Cosa vuoi mangiare? Preparo qualcosa di-”

“Parla e basta.” Gli disse improvvisamente, interrompendolo. Non sarebbe stato capace di aspettare un altro secondo e solo in quel momento si convinse ad incrociare il suo sguardo. John rimase fermo a fissarlo. 

“Abbiamo tutto il tempo di farlo dopo, adesso devi mangiare. Suppongo tu non abbia pranzato, giusto?” Domanda retorica più che lecita, tanto che Sherlock non rispose nemmeno, limitandosi ad uno sbuffo annoiato prima di appoggiarsi allo schienale del divano mentre John invece si avviò in cucina. 

“Ecco qui, noi siamo pronte!” Esclamò Molly scendendo dalle scale e avvicinandosi alla porta di casa. La borsa era pronta, il passeggino era già lì davanti e Rosie era tranquillamente attenta a tutto ciò che le stava succedendo intorno. John ci mise poco a uscire di nuovo dalla cucina per salutarle entrambe. Dopo averle dato un bacio affettuoso sulla testolina, le mise il cappellino e si assicurò che il cappottino fosse ben chiuso fin sotto il mento per non farle prendere freddo. 

“Ci sentiamo dopo allora?” Disse lei.

“Va bene, chiamami per qualsiasi cosa, ti prego.” Rispose John che, da un lato, si sentiva tremendamente in colpa. Era la prima volta che lasciava sua figlia da quando Mary era morta e non sembrava essere un distacco semplice. 

“Ti manderò qualche foto durante il bagnetto, promesso!” Sorrise, poi spostò lo sguardo su Sherlock ancora sul divano intento a fissare il soffitto e preso in tutt’altri pensieri. Si abbassò leggermente su John e poi sussurrò, “per favore… andateci piano.” Disse. Non aveva paura che si potessero far del male a vicenda fisicamente, ma era già stata una tragedia abbastanza grande per lei seguire Sherlock da un lato, nel suo dolore, nella droga e nella difficoltà di uscirne e seguire al tempo stesso John, la sua rabbia che si scioglieva davanti al viso della piccola, ma che ritornava a galla a tratti. Erano state settimane dure per tutti e se quello doveva essere un chiarimento, Molly sperava che fosse anche un punto di svolta. Doveva esserlo o sarebbe stato difficile reggere quella situazione ancora per molto. E se per lei era dura, quanto doveva esserlo per loro due? John le rivolse un sorriso triste prima di annuire appena. 

“Allora vado, buon- buon proseguimento” disse poi prendendo tutto e uscendo. Quando John ebbe richiuso la porta il suo sguardo si posò su Sherlock che ora aveva gli occhi chiusi, le mani giunte sulla pancia. 

“Vieni in cucina?” Domandò con tono già stanco e il detective lo captò quel piccolo particolare che lo invogliò ad aprire un occhio per ricambiare lo sguardo. Non rispose, ma si alzò senza dire una parola, seguendolo in silenzio.

Entrarono in cucina e Sherlock rimase in piedi appoggiandosi al muro, senza osare sedersi ad una di quelle sedie intorno al tavolo, mentre John avanzò verso il frigorifero per aprirlo e vedere un po’ cosa ci fosse all’interno.

“Pollo e patate al forno?” Domandò chinandosi un po’ per controllare anche negli altri scompartimenti. “Ci sono fagioli, piselli… vuoi qualcosa in particolare?” 

“Voglio solo parlare, adesso.” Disse a voce alta, ma controllata, mentre un brivido gli percorreva tutto il corpo. Era il bisogno di chiarire, di annullare quella sensazione di essere sul filo del rasoio; di non riuscire a capire cosa John avesse da dirgli. Era la cosa più frustrante che avesse mai provato.

Il dottore incrociò il suo sguardo, senza staccare la propria mano dalla maniglia del frigo. Sospirò. Era forse la settimana in cui aveva sospirato di più di tutta la sua vita. Forse quel peso sulle spalle stava cominciando a diventare insopportabile anche per lui, non sarebbe riuscito a restare in silenzio a lungo.

“Se vuoi picchiarmi o mandarmi al diavolo fallo in fretta. Fallo adesso.” Lo incitò allargando le braccia in un doloroso invito. Via il dente, via il dolore. Anche perché non sarebbe riuscito a sopportarne altro. Non in un momento così vulnerabile della sua vita. 

John rimase a guardarlo per qualche istante, senza bene sapere cosa fare. 

Sospirò abbassando la testa e rialzandola poi mentre si manteneva il ponte del naso tra indice e pollice. Occhi rigorosamente chiusi. Non sarebbe riuscito più a trascinarsi dietro quel peso allucinante.

“Ho tradito Mary” disse nel silenzio più totale. Sherlock non osò interromperlo, limitandosi ad abbassare le proprie braccia lungo i fianchi, restando a guardarlo. “Era- doveva essere solo un flirt senza secondi fini su un autobus e invece mi sono lasciato trascinare da- io non lo so.” Silenzio di nuovo, occhi bassi adesso. “Lei mi ha lasciato il suo numero di telefono e io le ho scritto la stessa sera una volta rientrato a casa. Abbiamo cominciato a messaggiare e… è andata com’è andata. Ci siamo visti per qualche giorno, nonostante non siamo mai andati a letto insieme, poi Mary è sparita e… le avevo scritto che non ci saremmo dovuti più vedere.” Lo sguardo sembrava improvvisamente pieno di vergogna, Sherlock lo percepiva dal modo in cui doveva faticare per incontrare i suoi occhi e per la strana curva che disegnavano le sue spalle. “Sono arrabbiato, sì, hai ragione. Perché ho permesso a tutto questo di confondermi, di distrarmi. Invece di aiutarti con il caso o di parlare con Mary ero a perdere tempo con un’altra donna. E Mary è-” la voce gli si ruppe per un attimo e Sherlock ne approfittò per avvicinarsi di qualche passo, ma senza esagerare. L’idea di rivedersi rifiutato da lui, incredibilmente, scottava ancora sotto il palmo della sua mano. “Non era colpa tua se non l’amavo più da un po’ e nemmeno colpa della ragazza con cui sono uscito e nemmeno del passato pericoloso di Mary. È stata colpa mia.” Sherlock ancora in rigoroso silenzio, ora con un peso molto diverso sul cuore. Avrebbe voluto consolarlo, ma non aveva ancora idea di dove fosse il confine immaginario tra loro due. Non si sarebbe avvicinato senza il suo permesso. “Avevi fatto un voto - e il viso del detective si rabbuiò, pronto a fare un passo indietro. - E lo avevo fatto anche io. È finito tutto. Era già finito tutto da molto tempo.” Disse alla fine con voce sottile, rotta dal nodo che gli intasava la gola, creando un ingorgo di lacrime e parole che non riuscivano a venire fuori. 

“Mi dispiace” disse finalmente Sherlock. E se glielo avesse permesso, lui lo avrebbe detto anche quel giorno all’acquario. Se solo fosse riuscito ad avvicinarsi lo avrebbe abbracciato, gli avrebbe chiesto scusa, si sarebbe preso forse tutte le colpe del mondo lo stesso e… sarebbe stato diverso. 

“Tu sei sempre stato l’uomo che poteva tutto per me.” Disse John, come se non avesse minimamente sentito le parole dell’altro. “E vedere che non avessi potuto fare niente per Mary mi ha paralizzato. Ti avrei dato la vita di Rosie in mano, ma dopo quello…” 

“Io non-”

“Tu niente, Sherlock. Non esiste qualcuno che può tutto, non esiste sempre la soluzione a qualsiasi cosa e non possiamo proteggere da tutto e da tutti le persone che amiamo. Nemmeno io avrei potuto fare qualcosa.” Incrociò il suo sguardo e sospirò, cercando di trattenere un singhiozzo e le lacrime. “Sono molto arrabbiato.” 

Sherlock rimase in silenzio a respirare più lentamente, preso allo stomaco da una nuova consapevolezza: nessuno era al sicuro. 

“Ma posso ancora proteggere te da… questo,” continuò indicandolo con entrambe le mani, riferendosi al modo in cui lentamente si stava riducendo. Possibile che fosse tornato alle droghe per la sua lontananza? Una parte del cuore di John si accese di speranza a quel pensiero seppur egoistico. “Lasciamelo fare.” Terminò con voce tremante.

Sherlock rimase ad osservarlo. Non sapendo se avvicinarsi fosse la scelta più saggia. In quel momento John era troppo fragile anche solo per sfiorarlo e il detective aveva molta paura di fare un passo falso. 

“John-” a quel punto l’ex soldato si mosse velocemente per arrivare a prendergli la mano nella propria. Il respiro di Sherlock si bloccò all’improvviso mentre l’altra mano di John delicatamente tirava su la manica del suo braccio sinistro, scoprendo i segni e i lividi provocati dal continuo bucarsi per assimilare quante più sostanze possibili. Tutti e due i paia di occhi erano incollati a quelle chiazze sulla pelle e entrambi si sentirono incredibilmente in colpa nel guardarli.

Sherlock lo aveva probabilmente deluso ancora una volta; 

John non era stato in grado di risparmiargli la solitudine; 

“Non sono stato l’uomo che Mary avrebbe meritato, come Mary non è stata la persona che avrei meritato io.” Disse in un soffio, accarezzando quella pelle macchiata con il pollice della mano opposta, mentre l’altra manteneva stretta quella di Sherlock. “Ma forse sono ancora in tempo per…” la voce gli morì di nuovo in gola. Tutto il senso di colpa gli si era accumulato alla bocca dello stomaco rendendogli impossibile la formulazione di altre parole. In quel silenzio Sherlock tremò leggermente tra le sue mani, nell’attesa che continuasse. “… per essere una persona migliore.”

“Lo sei già.” Disse finalmente l’altro guardandolo con più sicurezza. Ora non voleva che John si sgretolasse davanti ai suoi occhi.

“Oh no, Sherlock. Per nulla. Ho sbagliato tutto fino ad ora. È giunto il momento che io cominci ad aggiustare un po’ di cose.” Le labbra gli tremarono prima che potesse aggiungere qualche altra parola. “Devo migliorare perché non posso deludere nessun altro, né Rosie, né te.” E fu a quel punto che John si permise di crollare totalmente.

Il polso di Sherlock stretto ormai nella sua presa, testa bassa per nascondere le lacrime che ora scivolavano via, cadendo sul pavimento. Stava tremando.

E per la prima volta Sherlock si sentì pronto. 

Se John fosse caduto a pezzi tra le sue braccia, lui sarebbe stato in silenzio a recuperare le sue parti per rimetterle insieme. Per curarlo e tenerlo tutto d’un pezzo per tutto il tempo che gli sarebbe servito. 

Gli ci volle un passo per accoglierlo tra le proprie braccia, con una presa sicura, ma dolce e leggera al tempo stesso; perché se John avesse voluto liberarsi da quella vicinanza gli sarebbe bastato fare un passo indietro, senza metterci alcuna forza. Ma contrariamente a ciò che si aspettò, l’altro allungò le braccia dietro la sua schiena aggrappandosi con tutta la propria forza alla sua vestaglia blu, permettendo al suo singhiozzo di venire inghiottito dal petto di Sherlock. 

Avrebbe silenziato tutti i suoi dolori, la sua tristezza; avrebbe asciugato ogni lacrima e avrebbe scrollato via ogni sua preoccupazione. 

Sherlock voleva farlo, per lui.

“Ssshhh… va tutto bene, John.” Lo sentì mugolare e scuotere appena la testa.

“No, non va tutto bene.” Sherlock lo strinse un po’ più forte in quel momento, dopo aver capito che non si sarebbe più tirato indietro da quel contatto.

“Ma ce la possiamo comunque fare, insieme.” Rispose. Avrebbe fatto tutto ciò che gli era possibile pur di tenere John e Rosie al sicuro ormai. Sarebbe bastata mezza parola da parte sua e Sherlock avrebbe fatto tutto ciò che voleva. 

“Non ti lascerò solo, Sherlock. Promesso.” E il peso di quel voto ora era più sentito che mai. Tra i capelli di John, sorrise, poggiando le labbra sulla sua testa e lasciando che quelle parole lo avvolgessero con un calore del tutto nuovo. A quel contatto il dottore si permise di inspirare profondamente il profumo di Sherlock che ora lo avvolgeva dolcemente. Non era fastidiosa quella vicinanza, anzi. John sentiva di averne assolutamente bisogno.

Staccò il viso dal suo petto e provò ad asciugarsi le lacrime dalle guance, ma le mani dell’altro furono più veloci. I palmi sulla sua faccia e i pollici a pulirla dalle lacrime. Sherlock non voleva più vederlo piangere così.

Quel tocco così leggero fece tremare le labbra di John che immediatamente chiuse gli occhi, provando a riprendere un respiro normale e a rilassarsi, cosa che tra quelle mani non fu difficile. Lasciò andare in avanti la testa, con la fronte ora poggiata delicatamente sul mento dell’altro.

“Rosie è fortunata ad avere un padre come te” sorrise Sherlock, mentre lasciava scivolare una mano di nuovo dietro il collo di John con una carezza leggera. 

“È più fortunato suo padre ad avere una persona come te accanto, credimi.” Era crollato molte volte nella sua vita, sia in guerra che non, ma mai era stato così a suo agio nel mostrare il suo dolore e le sue insicurezze a qualcun altro. Di solito era sempre la maschera da soldato che indossava a nascondere tutto perfettamente e invece, quella volta, in quella cucina, John aveva accettato la vicinanza di qualcuno e non era una persona qualunque, ormai gli toccava capirlo.
Si trattava di Sherlock.
Era a lui che stava permettendo di vederlo, di raccoglierlo e, perché no, di curarlo.

Era qualcosa di nuovo e al tempo stesso qualcosa che aveva sempre saputo.

Il detective gli sorrise mentre incrociava di nuovo i suoi occhi e gli accarezzava il viso.

“Mi dispiace.” Disse John, senza staccare lo sguardo da lui. “Non avevo nessuna intenzione di picchiarti o di incolparti o… scusa.” Ed erano le scuse più vere che avesse mai avanzato a qualcuno, perché Sherlock non meritava assolutamente nulla di tutto ciò che lui gli aveva fatto. Era stato cattivo, meschino e scorretto con lui e non se lo sarebbe perdonato presto. Avrebbe fatto di tutto per meritarsi di nuovo la sua fiducia. Sherlock sorrise e avvicinò le proprie labbra alla sua fronte.

“Ti avevo perdonato un secondo dopo in realtà” John chiuse di nuovo gli occhi a quelle parole soffiate sulla sua pelle. Era un sollievo che sentiva di non meritare. Non era giusto che Sherlock si lasciasse scivolare via da dosso un tale torto che a John invece pesava ancora così tanto. Più ci pensava, più si sentiva in colpa. “Non pensarci, va bene?” Disse lui come se avesse potuto leggergli nella mente e a quelle parole dalla gola di John salì un rantolo di disapprovazione. 

“Ti ho fatto del male, come potrei non pensarci?” Rispose con uno sbuffo d’aria dal naso, riaprendo gli occhi. 

“Quel che fatto è fatto, possiamo pensare ad andare avanti adesso?” Fu la risposta di Sherlock. Un’altra domanda. Occhi fissi in quelli di lui. 

John moriva dalla voglia di andare avanti. O di tornare indietro a quando Mary ancora non c’era? Era un desiderio non più troppo nascosto nel retro della sua testa quello, con il quale ancora non era sceso a patti completamente. 

Sarebbe stato una persona migliore e avrebbe cominciato dallo smetterla con il sotterrare le proprie emozioni e i propri sentimenti. Non poteva più permettere che tutto gli esplodesse in mano senza far nulla per fermarsi. Era stato un comportamento inaccettabile, ma il senso di colpa per il tradimento lo aveva divorato dall’interno. Quante volte aveva provato a dire qualcosa e non ci era riuscito? Quante volte era stato troppo tardi per lui? Mentre il ricordo di Sherlock che cadeva dal tetto del Bart’s si faceva spazio nella sua mente, le sue mani strinsero più forte la vestaglia di Sherlock dietro le spalle.

Lì si era tenuto qualcosa dentro? C’era qualcosa che non aveva detto, ma che avrebbe voluto dire? Sì. Non le aveva dette alla sua psicoterapeuta, perché non era possibile affrontarle in quel momento, non quando Sherlock gli aveva riempito il cuore e poi lo aveva svuotato al tempo stesso. 

Quale senso avrebbe avuto ammettere a se stesso di provare qualcosa per qualcuno che era appena morto? Nessuno, si sarebbe solo garantito una dannazione a vita probabilmente. E così aveva scelto di cominciare una nuova vita, quella da civile e… non era andata molto bene nemmeno quella.

Era stato difficile reprimere tutto una volta che Sherlock fece la sua entrata ad effetto di nuovo nella sua vita. Era stato tutto estremamente difficile da quel punto in poi ed era peggiorato tutto ancora di più nel momento in cui Mary si era scoperta un’assassina incinta di sua figlia.

Era stato tremendo.

Il correre dietro i casi con Sherlock e il messaggiare con qualcun’altra era molto meglio che restare ad ascoltare i propri sentimenti. 

Si era silenziato per tutto quel tempo ed era andato tutto liscio fino a quel momento.

“Voglio andare avanti, sì.” Rispose sicuro guardandolo di nuovo e tirandolo più vicino a sé, annullando completamente la distanza che era rimasta tra i loro corpi. Sherlock gli sorrise dolcemente, accaldato da quel contatto.

“Bravo il mio Watson,” disse lasciando scivolare le mani via dal suo viso per posarle alla base del suo collo. 

“Sherlock?” Lo chiamò nonostante fosse cosciente del fatto che avesse già tutta la sua piena attenzione. La sua mano, dalla schiena, andò a posarsi sul viso più lungo dell’altro e rimase ad osservare tutti i piccoli particolari di quella faccia. Dagli occhi di Sherlock, John scese a guardare le guance, gli zigomi, le labbra… “Posso?” Domandò rialzando lo sguardo nel suo e avvicinandosi un po’ di più. Il detective, nonostante quel suo titolo, non riuscì a dedurre quale fosse in realtà la domanda dell’uomo che ancora stringeva tra le braccia.

“Fare cosa?” Chiese mentre John cominciava a raddrizzare la schiena e ad allineare le loro labbra. Ormai John vedeva solo quelle mentre sotto il palmo delle proprie mani, Sherlock poteva sentire le pulsazioni del cuore dell’altro che stavano cominciando ad aumentare. 

“Baciarti.” Rispose soffiandogli quelle parole sulla bocca e a Sherlock mancò il respiro. Perché quasi si era preoccupato di essere respinto nel momento in cui si era avvicinato ad abbracciarlo e ora John era lì a chiedergli di avvicinarsi ancora di più?
Lui bruciava al solo pensiero.

“Puoi farmi quello che vuoi, te l’ho già detto.” Disse. Sul pavimento di quell’obitorio lo aveva detto, pensando di meritare tutto ciò che John avrebbe voluto fargli, tutte le percosse, le colpe, Sherlock era lì a prenderle una ad una, ma il dottore non aveva più nessuna intenzione di riempire il loro rapporto di frustrazione e di rabbia. 

Voleva essere un uomo migliore e allora avrebbe cominciato con la sincerità che doveva prima a se stesso e poi alla persona che ancora stringeva tra le braccia. Nel sentire quelle parole John non sorrise, ma si limitò ad allungarsi di più per raggiungere le labbra dell’altro che lo incontrarono a metà strada. Inspirò profondamente, provando a riempirsi dell’odore di Sherlock; di quella sensazione di leggerezza e di verità che lo attraversava; di quella preoccupazione che ormai era lontana anni luce. 

Le mani di Sherlock, dalla base del suo collo, risalirono fino ad accarezzargli il viso. Lui sarebbe stato pronto a prendere tutto ciò che John avrebbe voluto offrirgli, senza chiedere di più, senza chiedere troppo e forse era pronto a dare tutto quello che poteva anche lui. Era una strana sensazione quella che Sherlock sentiva scorrere per tutto il corpo: la consapevolezza di aver appena ottenuto qualcosa che non aveva mai saputo di bramare così tanto, non fino a quel momento. Le braccia di John scesero di nuovo a cingergli la vita per stringerlo ancora mentre con quel bacio chiedeva scusa un altro miliardo di volte.

Un miliardo e uno. Le mani di Sherlock ora tra i suoi capelli.

Un miliardo e due. I palmi delle mani di John schiacciati sulla sua schiena.

Un miliardo e tre. I loro corpi premuti l’uno contro l’altro ora con più forza e sicurezza. Quando, nel bacio, Sherlock aprì la bocca e un mugolio gli sfuggì dalla gola, John ne approfittò per accarezzargli le labbra con la punta della lingua, leggero. Non era lì per chiedere a Sherlock ciò che non era ancora pronto a dargli, ma con grande sorpresa fu lui stesso a permettergli di entrare. E a quel punto fu John a emettere un suono. Probabilmente il più osceno che Sherlock gli avesse mai sentito fare. E in quel momento il bacio cambiò pericolosamente, andando in una direzione completamente nuova per entrambi.

“John-” riuscì a dire tra un bacio e l’altro, giusto il tempo che il dottore cambiasse angolazione della testa prima di riavvicinarsi. Lo zittì di nuovo e Sherlock non riuscì a riprendere le funzionalità del suo cervello per qualche altro secondo mentre le mani di John gli accarezzavano le scapole dietro la schiena. “Torna a Baker Street” disse cogliendo l’attimo di pausa e senza più fiato. I loro toraci che si schiacciavano sempre di più l’uno contro l’altro per colpa dei loro respiri ora più affannosi. John rimase a guardarlo per qualche secondo cercando di togliersi dalla testa per un attimo le labbra dell’altro su di sé e provando a concentrarsi per formulare un pensiero. 

“Come?” Domandò cercando di guadagnare un po’ di tempo per riflettere sulla vera risposta.

“Torna a vivere con me,” ripeté spiegandosi meglio e mantenendo delicatamente ancora il viso dell’altro tra le mani. 

“Lo sai che non ci sono più solo io ormai” rispose velocemente, scuotendo la testa. Non avrebbe mai potuto lasciare Rosie per tornare dov’era prima. 

“Lo so. Ma era scontato che venisse anche lei…” e John si rabbuiò leggermente. 

“Sherlock, quella non è esattamente una casa adatta ad una bambina…” e il detective si sentì mortificato. Il caos che si era lasciato dietro, il laboratorio di metanfetamina in cucina; i pezzi di cadavere in frigo, sul tavolo, nel microonde. Non era posto per Rosie. Ma se solo John fosse tornato, forse…

“H-hai ragione, scusa. Voi qui avete una casa vostra, le vostre stanze, i-io-” cominciò sciogliendo l’abbraccio e allontanandosi con un passo. Era stato un illuso a pensare che potesse tornare in effetti. Avrebbe dovuto saperlo e avrebbe evitato di chiederlo in primo luogo, godendosi quel momento che ora invece sembrava passato in un battito di ciglia.

“No, Sherlock. Ascoltami” disse velocemente, interrompendolo posandogli una mano sul braccio per fermarlo ed evitare che continuasse ad andare all’indietro. “È un periodo delicato per-”

“Sì, per Rosie. Ha perso la madre, suppongo. Scusa, non avrei dovuto chiederlo nemmeno.” Avrebbe potuto dedurlo con molta facilità, ma alla sicurezza… beh, lui non era ancora totalmente abituato, non a quella che serviva per una bambina di nemmeno un anno almeno.

“No, è un periodo difficile per te.” Disse dopo che l’altro ebbe interrotto quel flusso velocissimo di parole. John lo guardò per un attimo triste e Sherlock sospirò sonoramente. “Sei ancora a rischio di crisi d’astinenza e ancora non puoi smettere del tutto di prendere quella roba viste le dosi e la quantità giornaliera alla quale ti sottoponevi. - E in quelle parole Sherlock la sentì quella punta di rimprovero che lo costrinse ad abbassare lo sguardo. - Non sei pulito nemmeno ora.” Terminò con tono deluso e colpevole. 

“Sì, hai ragione.” Lo sguardo ancora basso e la voce poco più di un sussurro. 

“Ma se per quando ti sarai ripreso questa offerta sarà ancora valida, allora potremmo rivalutare la scelta.” Aggiunse John accarezzandogli il braccio e lì Sherlock rialzò gli occhi. “Baker Street mi manca da morire e anche tu.” Disse accarezzandogli anche la guancia con l’altra mano e solo in quel momento Sherlock decise che ne sarebbe valsa la pena di mollare qualsiasi caso pericoloso; qualsiasi sostanza che era inutile per la sopravvivenza del proprio corpo; di migliorare, proprio come John aveva promesso a lui.

Sherlock annuì, come se quella fosse più una promessa per il futuro che un ‘no’ secco. 

“Lo sarà,” disse immediatamente. Avrebbe addirittura permesso alla Signora Hudson di spolverare quanto voleva pur di rendere quella casa un posto vivibile per qualcuno che non fosse solo se stesso. 

“Non vedo l’ora di tornare a casa allora,” rispose John avvicinandosi e posando di nuovo la propria fronte sulla spalla di Sherlock, inalando ancora una volta il suo profumo.
Lo avrebbe sentito di nuovo per tutto l’appartamento una volta tornato al 221b? Molto probabile. 

 

 

Dopo un criminale in meno a piede libero e circa tre settimane, Sherlock era tornato a sedere sulla sua poltrona nera in pelle, il completo classico addosso e il tè mantenuto con una mano mentre la Signora Hudson continuava a parlargli in quell’appartamento che non era mai stato così pulito (ma ancora totalmente disordinato).

“Per quanto ami la tua presenza qui, Sherlock, avrei trovato molto più saggio se fossi stato tu a trasferirti da loro.”

“Signora Hudson, in realtà ancora nulla è deciso. È passata una settimana da quando John è stato qui e la casa era un gioiello, a proposito, grazie per- il pulito che c’è- qui in giro è pulito.” Unì le sopracciglia verso il centro della fronte mentre con una mano indicava tutto l’appartamento. Non ce l’aveva comunque fatta a non mettere delle rotule nel microonde, ma per quello avrebbe avuto molto altro tempo per lavorarci o magari ne avrebbe comprato un altro per John e per Rosie e lui si sarebbe tenuto quello per i suoi vari esperimenti. Sì, comprare doppi elettrodomestici poteva essere una soluzione.

Dopo qualche secondo la porta d’ingresso al piano di sotto si aprì e richiuse velocemente. Fu un attimo in cui il cervello di Sherlock arrivasse a scartare chiunque conoscesse, per arrivare all’unica possibilità di chi potesse essere.

“John,” sussurrò posando immediatamente la tazza sul tavolino che aveva di fianco prima di correre e precipitarsi ad aprire la porta dell’appartamento, mentre la Signora Hudson non aveva accennato ad alzarsi nemmeno per un secondo, con un sorriso stampato sul viso e le mani ben salde sui braccioli rossi della poltrona ad accarezzarla un po’.

John aveva fatto di corsa la prima rampa di scale e non appena si voltò per percorrere la seconda, la visione di Sherlock lo bloccò. Era appoggiato con una mano allo stipite e l’altra alla maniglia. 

“Sherlock-” 

E un solo sguardo bastò. Occhi pieni di speranza, passo sicuro e veloce, nemmeno una mano era appoggiata al muro o alla ringhiera. 

Aveva fretta di arrivare su. Era da troppo tempo che Sherlock lo stava aspettando per non capire cosa ci facesse lì in quel momento.

“Sì. Resta, ti prego.”









Angolo della scrittrice:
Dopo la visione della 4x01 eravamo tutti piuttosto scossi e io, come al solito, non sono riuscita a non far volare la fantasia e ho cominciato a scrivere questa OS completata solo oggi, post visione della 4x02. È stato difficile far quadrare alcune cose visto ciò che avevo già scritto, ma sono stata assolutamente felice di vedere John che confessa davvero il tradimento di Mary e, dopo quello, immediatamente l'abbraccio. Queste due cose le avevo già scritte prima di vedere la puntata e poi ho scelto di modificare i dialoghi per avvicinarli il più possibile a ciò che abbiamo visto... 
E niente, racchiude un po' l'idea di come sarebbe dovuta andare secondo me e i sentimenti di John e Sherlock che, diamine, sembrano sempre essere messi in secondo piano rispetto alle azioni e che invece secondo me non devono assolutamente andare dimenticati. Per il resto, sì: ho bisogno che John torni ad abitare con Sherlock a Baker Street per fine di questa stagione, altrimenti non riuscirò a sentirmi soddisfatta in nessun modo çç 

  
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