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Autore: Andrew Foulieur    11/01/2017    0 recensioni
Ogni figlio eredita anche le responsabilità dei genitori e per un padre supereroe, anche il figlio di Andrew Foulieur è tempo d'indissare la maschera e farsi carico di salvare il proprio mondo, nel mentre il padre sembra scomparso e non si trova da nessuna parte.
Genere: Azione, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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«Qui è dove inizia e dove finisce, dove c’è un fottuto idiota che compie sempre qualcosa di cui si pentirà per molto tempo!» – Disse desolata La Morte.

 

Pilota

 

Casa Foulieur. Nuova Chicago. Erano passati quasi quattro mesi, dallo “storico” incontro con Ted, da parte di Axel e Sara, appena tornati dal rifugio dove il ragazzo s’era voluto eclissare per evitare il problema che lui stesso aveva creato.

Era sempre stato il più forte di loro, ma sentiva che quella battaglia non era più sua.

Quell’infausto pomeriggio, Axel era sdraiato sul suo letto a una piazza a poltrire: questa fu la situazione prima dello squillare del suo smartphone criptato: aveva il vizio di sonnecchiare anche quando era realmente sveglio; però, la sua predisposizione nel cacciarsi in guai d’ogni tipo e uscirne sempre per il rotto della cuffia era divenuta leggendaria, ma quel giorno… e soprattutto in quel momento… era già in divisa da combattimento: jeans nero, delle scarpe da ginnastica nere e rosse con abbinata una felpa senza maniche con cappuccio… anche dei guanti da motociclista ergonomici in pelle. Aveva il sentore che qualcosa di grave bussasse alla sua porta, ma il fato decise di scegliere una via leggermente più tecnologica: alla morte piace scherzare.

 

«Driin!» – Il telefono, rigorosamente criptato, suonò facendo vibrare il comodino su cui era poggiato. Un unico squillo, prolungato di qualche secondo, gli fece capire che non era uno scherzo. Axel non si mosse dal letto, semplicemente allungò il braccio per prenderlo e lo cercò a tastoni, fino a trovarlo. Guardò il numero: tirò un semplice un sospiro di sollievo, mentre premette il tasto verde e lo avvicinò all’orecchio.

«Chi è?» – Chiese, atono. La sua apatia cronica lo assaliva nei momenti più disparati. Praticamente ogni volta che si annoiava, il che non accadeva spesso fortunatamente.

«Sebastian. Riunione straordinaria. Devi venire subito da me» – La voce dall’altro capo del telefono tossicchiò.

«Questa è la linea per le emergenze, non per le riunioni» – Axel gli disse quasi ammonendolo.

«Ho nuove informazioni, mi serve il tuo aiuto. Questa è un’emergenza, non trovi?» – Un sospiro dall’altro capo del telefono, ma più che una chiamata era una richiesta d’aiuto che lo stesso Axel non avrebbe dovuto ignorare.

 

Axel si concesse qualche secondo per decidere. Quell’imprevisto era un violento calcio in culo al suo programma di nullafacenza giornaliera. Sbuffò, ma Sebastian meritava il suo tempo. Si alzò fin troppo rapidamente dal letto, esiliando momentaneamente la sua apatia cronica. Si sarebbe depresso volentieri più tardi. A passi rapidi e misurati vagò in modo calcolato per la stanza, chiudendo finestre, porte e riattivò l’allarme. Diede un’ultima occhiata al suo rifugio solitario, spense la luce e uscì chiudendosi la porta alle spalle. E per paranoia, diede una gloriosa girata di chiavi nella toppa della serratura. Nessuno poteva entrare, e nessuno poteva uscirne.

Si incamminò per strada a passi lenti. Non aveva tanta fretta, quindi iniziò a ripensare da quando gli avevano appioppato il compito di risolutore del gruppo.

La città era sempre più desolata, mentre qualcosa sembrava muoversi nella ricostruzione, ebbene si il loro lavoro di salvaguardia della città stava funzionando: in soli tre mesi, il tasso di vittime era decisamente calato… quasi la metà del trimestre precedente.

Incomincò a correre… Ted non avrebbe aspettato a lungo… regolandosi sugli 80 km/h. Passo dopo passo, sfrecciata dopo sfrecciata, decise d’aumentare la velocità per non smettere di fare l’eroe sui 300 km/h: in Canada – dove s’era esiliato con Sara – gli allenamenti fruttarono davvero bene. Nel correre, vide una vecchietta che stava attraversando la strada. Tutto bene. Una macchina fuori controllo con la vecchietta sulle strisce pedonali: non stava più tutto bene. Aumentando la velocità, all’incirca di altri venti chilometri orari, riuscì a salvarla e a riportarla sul marciapiede, fermando anche la macchina subito dopo. La macchina se la cavò con soltanto una pesante ammaccatura sul cofano: il conducente è stato estratto con facilità smontandogli la portiera. Nessuno lo vide in faccia per via della sua enorme velocità, perché fece tutto in velocità, proprio per non essere riconosciuto.

Riprese a correre, mentre il suo cuore superò i trecento battiti al secondo e non era affatto un bene, proprio per cercare d’arrivare il più presto possibile alla base ove vi si erano stabiliti subito dopo l’incontro. Nel secondo tentativo di corsa, proprio per la sua enorme velocità e forza nell’imprimere i piedi per terra, riuscì a non travolgere: un bambino biondo in bicicletta, un cane idiota, una mucca, una casa, tre macchine, un palo della luce, una signora gravida e un ambulanza.

Tutto questo rischio per la fretta.

Tre minuti per riuscire ad arrivare ad uno degli accessi della base era nel garage nella vecchia casa di Ted. Infatti, Axel incomincò a preparare l’orologio… a cui trovarono un nome leggemente più originale: Vector.

Lo stile e la fortuna di Ted fu che viveva in un condominio, ma di quelli che nessuno sapesse niente di chi avessero vicino: solo lui però sapeva tutto di tutti. Era a cinque piani, con i balconi incassati nella stessa struttura e fatti in modo che un ladro abbastanza abile con i rampini possa riuscire ad entrare senza problemi: in via del tutto anonima. Tralasciando il dettaglio che qui tutti sapevano di tutti e che essendo quasi le quattro del pomeriggio, lì non sembrava esserci nessuno… al massimo qualche passante che preferì passare alla fuga appena lo videro arrivare.

 

«Aiuto… che cazzo volete da me, smettetela!» – Urla. Ragazze. Axel si voltò e cercò subito di capire da dove provenisse. Passò un altro secondo, mentre le urla divenirono leggermente più forti.

«Trovate!» – Le sentì. Erano sopra le scalinate a un centinaio di metri. Ci andò subito. Nell’arrivare, vide una ragazza che stava cercando di dimenarsi dalla presa da due giovani teppisti: uno l’aveva presa per le braccia e la stava per far sedere con il sedere per terra, mentre l’altro l’aveva presa per le gambe e le stava allargando. La loro posizione era scomposta perché erano su una scalinata. I due erano semplici ragazzi: niente di particolare. Un completo di tuta da jogging per entrambi, di quelli comodi: anche le scarpe… adattissime a scappare. Alti sul metro e settanta… entrambi potevano avere all’incirca vent’anni ed erano soprattutto ignari di quello che gli sarebbe potuto succedere.

«Adesso non fai più la puttana? Adesso non ti piace più? Non ti vuoi fidanzare con me, ma vuoi avere il famoso triangolo… te lo do io il triangolo!» – La ragazza era ormai allo stremo delle forze, i suoi occhi color nocciola erano gonfi dalle lacrime, mentre i capelli neri erano leggermente più grigi per via della polvere presa per terra e i vestiti ormai erano logori sempre per la sporcizia. Ne analizzò la mente… Axel… capendo che il tutto era nato perché non gli piaceva il ragazzo che le stava sorreggendo le gambe e quello “alle braccia” era il suo compare: chiaramente voleva dare prova della sua forza verso la sua preda, ma dinanzi all’improbabile trio vi era qualcuno che avrebbe voluto provare la sua di forza sui due importunatori.

 

Axel tossì per attirare l’attenzione.

Loro non se lo filarono di striscio.

Lui tossì di nuovo, alzando leggermente la voce.

Loro non se lo filarono per la seconda volta, cercando ancora d’approfittarsi di lei.

Si volle far notare ai tre, mentre era lampante il fine di tutto quel giro di parole, ma senza fargli male perché sapeva che gli sarebbe bastato un suo sputo per annullare per sempre la sua amatissima pace: però in qualche modo, li avrebbe dovuti fermare. Si decise: una folata di ventò passò sotto il collo dei due malcapitati, ma al collo d’entrambi vi era una mano di Axel. Erano entrambi nelle sue mani. Il desiderio di donargli la morte era fortissimo, ma qualcosa in lui stava mutando ancora. Gli occhi del ragazzo divennero completamente iniettati di sangue: color rosso cremisi. Il sistema circolatorio gonfio di sangue per l’eccessiva frequenza di battito del cuore. Dal metro e novantanove era diventato quasi due metri e mezzo, per l’eccessiva produzione d’adrenalina e di proteine, con cui ingrossò ogni muscolo del suo corpo: in poche parole, era diventato un vero e proprio mostro, come quello dei fumetti sui supereroi… i suoi vestiti non si strapparono perché erano stati progettati con un tessuto, creato con un polimero adattabile al DNA di chi lo indossa, ottenuto da un chimico canadese, amico di suo padre: oltre alle uniformi presenti nella base, gli donò anche i Vector.

Tic. Tac. Tic. Tac. Passarono secondi di terrore e altri ne sarebbero passati nelle menti di quei stolti che erano completamente nelle mani del nostro Axel, incurante delle difficoltà che avrebbero incontrato i due nel recuperare la sanità mentale. Li sollevò da terra di circa un metro, ma non fece pressione nel collo, anche se si trattenne nel liberare la sua normale forza. Percepì il loro battito cardiaco, mentre vide che la ragazza si spostò, in preda al terrore e lentamente, dal gruppetto appena formatosi e anche i due la notarono andare via molto celeremente: in circa un minuto si fece circa cento metri… a quanto pare, la paura fa brutti effetti. Le parole non servono sempre, soprattutto se si vede qualcuno strangolare due persone senza il minimo sforzo: lei capì subito di doversene andare; ormai il loro volto era quasi viola. Lui strinse i denti per non gridare per la rabbia, dato che percepì meglio i pensieri dei due tizi riguardo le crudeltà che le avrebbero inflitto solamente perché si sentivano liberi di farlo.

 

«Sara, ma che diavolo?» – La vide lì, che lo fissava. Non era tra le sue braccia, ma il suo volto era al posto di quello dei due suoi ostaggi. Il suo viso dolce lo fissava con occhi sbarrati, freddi e terrorizzati. Non emise una parola di suo, ma ben presto la sua voce si sostituì a quella dei due. Non capì più niente il povero Axel, preso da chissà che cosa, perché lui sapeva che lei non era lì. Non volle credere che non gli avesse detto niente e si fosse semplicemente materializzata, ma questa poca esitazione lo fece cedere in una scia di dubbi che lo fecero quasi cedere nel trattenere i due. Ci mancò poco.

«Sara, sei davvero tu?» – La vedeva ancora. Tutt’e due gli ostaggi si voltarono l’uno verso l’altro e poi dall’altra parte. Niente. Non videro nessuno, ma lui la vedeva. Adesso il vedere della ragazza era totale: i due non vi erano più e al loro posto vi era lei. La stava strangolando con forza necessaria quasi a creare danni seri ad un umano normale, ma non li stava lasciando. La pressione era forte, ma lui voleva assicurarsi che non fosse lei. Non le avrebbe mai fatto del male, ma quei due avrebbero dovuto pagare: in un modo o nell’altro.

«Ma qui non c’è nessuna ragazza, che merda ti fumi? Lasciaci, brutto figlio di puttana!» – Quasi lo intimarono, nonostante non avrebbero potuto fare altro che aspettare il suo volere: che non si fece attendere.

 

Si concentrò meglio, infatti fece mente locale su dov’era e che stava facendo: la rabbia lo aveva completamente accecato. Adesso non più. Ritornò leggermente più lucido e capì che i due da lì non se ne erano mai andati, ma capì che non avrebbe mai dovuto esagerare: sarebbe diventato come quelli da cui avrebbe voluto proteggere il mondo… un mostro, in poche parole.

 

«Brutto figlio di puttana, a me? Io sono Il mostro. Ora ve lo do io il triangolo: io vi trattengo qui e voi non fiatate… l’ho capito che non vi è nessuna ragazza oltre a noi: sicuramente se lei fosse stata qui, vi avrebbe salvato la vita da me!» – Un animale con incredibili abilità per sopravvivere, ecco cos’era. Li guardò in cagnesco, mostrando i denti. Nessuno l’avrebbe mai voluto vedere arrabbiato. Il suo battito cardiaco aveva raggiunto i duecentocinquanta battiti al secondo, mentre pensò che la soluzione migliore era quella di lasciarli a qualcuno che potesse punirli senza ucciderli: optò per farli arrestare.

 

«Ehi tu, cosa ci fai con quei due. Lasciali a terra! Mani in alto! Metti le mani in alto, lasciali a terra ti ho detto!» – La ragazza di prima era tornata, non Sara, ma quella che era appena fuggita. Una voce maschile con lei, più adulta. Da quello che dice è un poliziotto. Un solo poliziotto: Axel era già sotto tiro. Basso e tarchiato, sul metro e settantadue, divisa leggermente stropicciata verso la pancia… segnale di un leggero sovrappeso… occhi gonfi dalle occhiaie, forse s’era appena svegliato – pensò Axel. Non era tempo di perdersi in chiacchiere, pensò sempre Axel.

 

I due ostaggi risero… per quello che potevano.

Gli puntò la pistola addosso. Lì decise che era meglio ragionare: non avrebbe potuto rischiare un incidente… oppure peggiorarlo.

 

«Siamo salvi!» – Disse uno dei due, non avente ancora capito con chi avessero a che fare.

«Identificati e ripeto: mettili a terra!» – Il poliziotto, trovatosi di pattuglia… avrà visto la ragazza correre e l’avrà portato lei sulla scena dell’ulteriore litigio… non si mosse di un singolo centimetro, forse perché non sapeva come reagire ad una cosa del genere: normalmente non c’avrebbe speso due singoli secondi nel renderlo inoffensivo ed arrestarlo… solamente che il dettaglio dei due nelle sue mani non sarebbe da sottovalutare.

 

Arrivò anche il secondo invito a posizionarli per terra, mentre era già arrivato quello di identificarsi. Non ne gliene avrebbero concessi altri. Non era molto sicuro di lasciarli a terra, ma avrebbe dovuto specificare il perché di quell’incresciosa situazione: volle sperare che nessuno si sarebbe fatto male.

 

«Sono dalla vostra parte. Stavano per violentarla: li ho fermati. Lei non ve l’ha detto?!» – Cercò di giustificarsi, ma l’averli afferrati al collo non sarebbe stato un fattore a suo favore… tutt’altro. Nel frattempo, il poliziotto si posizionò a tre metri dal trio.

«Allora se non sei pericoloso a tua volta, lasciali a terra che ci penso io: sei visibilmente scosso, non peggiorare la tua situazione!» – Il poliziotto cercò semplicemente di farlo calmare, forse temeva che potesse adirittura ucciderli, da quella posizione.

«Non chiami i rinforzi, è quello che sta pensando da ormai tre minuti. Questi due vi hanno già dato problemi in passato, ma dato che le sono già sfuggiti altre volte, adesso viene a dare problemi a me che ve li ho bloccati con un’accusa di tentato stupro servita su un piatto d’argento? Lei non si fida di me, però ve li lascio lo stesso in custodia: non voglio avere altri problemi. Faccio soltanto il mio dovere!» – Axel era determinato sia nel mantenere la calma e sia a non farsi arrestare, perché era conscio che non sarebbe stato più utile da recluso.

«Come fai a saperlo? Dimmelo!» – Una lacrima. Reazione non molto esagerata, ma involontaria e convincente. Questa scese dall’occhio destro del poliziotto: aveva capito che poteva avere l’età di un suo probabile figlio. Non li dovette chiamare per lui i rinforzi, mentre era quasi tentato a rinfoderare l’arma, ma per portare i due teppisti in centrale e questo Axel l’aveva capito.

«Faccio quello che va fatto. Sei la risposta al recente calo di crimini… avevamo dei sospetti, ma mai delle prove concrete. Ci hai tolto qualche grana e dovrei pure arrestarti? Lasciamolo andare, ma i due li prendiamo in custodia: intanto voi due andate in galera!» – I due ostaggi non erano della stessa felicità del bestione. Lui si che potè tirare un piccolo sospiro. S’avvicinò al suo interlocutore e gli consegnò i due ragazzi, tendendogli le braccia… anche se s’assicurò, con una veloce lettura nella loro mente, che non lo volle arrestare e glieli porse. Li arrestò preventivamente. Lo guardarono, gli occhi castani del ragazzo fissarono quelli del poliziotto che gli fece un gesto d’intesa con il capo. Li lasciò sicuro che avrebbe fatto il loro dovere senza riserve.

«Christie MacFarlan. È questo il tuo nome? Fagliela pagare per quello che hai subito e io devo andare!» – Ormai gli era semplice il trucchetto della telepatia per conoscere le identità delle persone e Axel semplicemente, mentre il poliziotto… il cui nome era Vincent Russell… che disse la solita frase di rito per accettarsi dell’arresto dei due ragazzi, scese soltanto le scale e si diresse verso il suo obiettivo, senza lasciare solchi per terra per evitare altri problemi.

 

Axel si ricordò che doveva andare da Ted, impaziente di trovare le maledette informazioni da lui. Riscese le scale celermente, ma senza molti estremismi.

 

«Sara perdonami, non sono la persona giusta per te. Dovrei renderti fiera di me, ma resto solamente un’ipocrita. Sono dentro a questa storia solamente perché sono costretto, ma ne tirerò fuori appena potrò: sei la mia unica ragione di vita e non so che farei se non fossi più con me… non voglio nemmeno pensare all’eventualità che possa accadere!» – Una lacrima iniziò a scendere dal suo occhio destro, mentre anche gli occhi erano ritornati di un normale marrone scuro. La calma l’aveva sopraggiunto già quando confessò i suoi atti d’eroismo al poliziotto.

 

Aprì il garage del condominio ove Ted passò molta della sua infanzia, guardandosi sempre in giro se vi fosse chi potesse seriamente riconoscerlo. Un ultima volta, un ultimo sicuro sguardo. Non volle usare abilità… oppure dare spettacolo. Rassegnato dalla impossibilità d’essere felice… al momento… entrò nel garage costituito solo da una piccola curva e successiva una piccola via di una trentina di metri. Vide il garage di Ted, tra gli altri venti che ve ne erano, vi ci avvicinò il Vector alla serratura e s’aprì. La saracinesca che faceva da porta ci mise circa un minuto per aprirsi, ma nel complesso non sembrò arrugginita: in questi mesi s’erano dati da fare per essere operativi… tanto che eseguivano controlli molto frequenti per evitare emergenze.

All’interno era vuoto, proprio per permettere un facile accesso e destare ogni sospetto.

V’era soltanto un pulsante di fronte alla saracinesca: rosso e abbastanza grosso da essere premuto per ogni evenienza. Lo premette e da lì v’uscì un fascio di luce che permise ad Axel d’arrivare in un batter d’occhio alla base sotterranea.

Qui non era cambiato niente dal loro primo ingresso, forse il tocco femminile di Sara aveva messo in riga i suoi colleghi nell’avere un po’ d’ordine… anche se Ted aveva monopolizzato tutto: appena seppe dei soldi dati ad Axel, in via molto indiretta… dal padre ancora scomparso… li monopolizzò tutti per sezionare ogni tipo di spesa da fare.

La base era divenuta una sua seconda casa, se non la prima.

 

«Probabilmente te ne saresti liberato almeno cinque minuti prima, se non ti fossi perso in inutili chiacchiere con quel poliziotto!» – Venne accolto con un tono non molto rassicurante: come al solito, ha agito troppo impulsivamente. La voce di Sebastian… Ted… provenì dala stanza allestita con i vari monitor collegati alle videocamere per tutta la città. Il tempo per collegare il cervello e alzarsi dalla sedia e presentarsi di fronte al suo interlocutore, con l’imprerturbabile espressione di uno a cui avessero tolto la voglia di vivere cinque minuti prima. Aveva semplicemente un paio di cuffie alle orecchie, attaccate a nulla e con indosso una tuta e una maglietta, proprio per evitare qualsiasi scomodità in casa.

«Avresti anche ragione, ma ho creduto che fosse meglio dirgli che non siamo tutti dei mostri… noi!Eccomi: sono qui… cos’è successo di così irreparabile?» – Axel era semplicemente in aspettativa di notizie succulente.

«Fammi pensare un attimo cosa potrei cercare da te: perché ti sei esposto così tanto? Tu che non vuoi e devi dimostrare nulla a nessuno. Stiamo facendo un buon lavoro, ma non dovresti esporti troppo… oggi hai rischiato, ma credo d’aver riparato abbastanza le cose con il poliziotto. Non ho fatto quasi niente in realtà, ti credeva davvero e te lo posso giurare, ma volevo esserne sicuro anche io! Ho solamente calcolato la percentuale di riuscita della missione e non ci sono riuscito: con te non ci riesco mai… è come se fossi fuori da qualsiasi mio calcolo… agisci troppo di testa tua. Smettila di dover dimostrare per forza di essere il migliore, perché finirai per farti ammazzare… o peggio… anche se sembra molto difficile, ma ti chiedo di darti una calmata… amico mio!» – Lo sguardo di Axel non fece trasparire chissà cosa, ma una sua smorfia fece presagire che qualcosa stava andando storto al momento… non ne voleva parlare con nessuno, ma era visibilmente nervoso, stizzato e più alterato del solito, come se avesse la sensazione che qualcosa di brutto stesse arrivando.

«Non è colpa mia se sono diventato l’uomo più ricercato del mondo, in appena cinque minuti; se non fossi tornato, quest’ora eravate tutti nella merda: ecco cosa ci si guadagna a cercare di dare una mano a quelli che credevi degli amici!» – L’amico sbotta perché si sente evidentemente attaccato, ma tra il rimanere immobile e l’agire, preferì la seconda e in quel momento ne stava pagando solo le conseguenze: chiaramente ne era frustrato e si sentiva incompreso perché ognuno pensava soltanto ai fatti propri – anche lui, difatti se ne era eclissato con l’unica persona che riteneva importante – e il sentirselo rinfacciare lo faceva stare male.

«Axel, aspetta… non volevo…» – Lo sguardo di Ted divenne malinconico, mentre ascoltò quelle parole uscire dalla bocca di quello che credeva un amico sincero, ma andrebbe accennato che prima della partenza da parte di Alexander erano molto amici. Un sentimento fraterno li univa. Ted era uno dei pochi che Axel permetteva di stare anche vicino a Sara, perché era sicuro che non l’avrebbe tradito: tanta la fiducia, ma Axel aveva qualcosa che non andava e Ted se lo sentiva dentro l’anima… non avrebbe voluto dirglielo: non sapeva minimamente come avrebbe reagito.

«Cambiando discorso: perché c’avete messo così tanto tempo?» – Lo stesso Ted cercò d’arrivare al sodo, chiedendo come mai fossero rimasti in Canada per così tanto tempo.

«Ovvio: dovevamo allenarci con costanza ed assicurarci che tutto fosse apposto per tornare senza fare macelli!» – Sebastian sembrò volersi calmare e prendere leggermente un attimo di fiato, ma il suo interlocutore si volle sedere su una delle sedie presenti nell’atrio e lo fissò negli occhi. L’intesa tra i due era altalenante, ma sempre molto forte e lo era perché Axel era un lupo solitario. Nulla di meno e nulla di più, specialmente nell’affrontare le sfide.

«Credo d’aver capito cosa stia succedendo, ma ho bisogno anche io di vedere gli altri: non solo che abbiamo speso del tempo per contattarli, ma alla fine non ne hanno voluto sapere… anche se Sara sembra essere stata abbastanza convincente nel chiedergli di tornare… qualcosa non quadra!» – Con la sedia ove era seduto, si posizionò davanti all’armadio e alla destra del tavolo a quattro posti, proprio per non avere impedimenti nei movimenti. Il suo sguardo risultò nervoso, anche se allo stesso tempo traspirava tanta tristezza e malinconia, perché sentiva d’avere così tanta responsabilità da volersene liberare tutta in una volta. Doveva semplicemente risolverla: aveva scelto di farlo, ma sia per amore verso Sara e sia perché i genitori credevano che lui potesse e volesse avere una responsabilità del genere. Lui l’ha voluta fino a che non si rese conto che la sua tranquillità fosse da mettere al primo posto: non avrebbe dovuto rischiare di diventare lui il mostro per difendere qualcuno da un mostro.

«In che senso c’è qualcosa che non quadra?» – Sebastian si spostò da lì per andarsi a sedere su di un altra sedia posta al lato opposto a quello di Axel, corrispondente a quello per entrare nelle varie stanze, posizionandosi con i gomiti sulle ginocchia e lo sguardo verso l’amico.

 

Tum. Tum. Tum.

Ted tanburellò le dita della mano sinistra contro il lato piano della sedia… quello per sedersi… lo continuò ad osservare senza dire nulla, ma attendente qualcosa: anche lui sembrò pensieroso, forse aveva qualche affare in sospeso e non voleva scoprire subito le carte. Con il tentativo di ramanzina, cercò di far capire ad Axel che non stava per nulla approvando il suo astio verso il suo “resto del mondo”, ma lo stesso stava solo cercando di non accumulare altri problemi a quelli già esistenti: si stava sentendo colpevole per tutto quello che stava succedendo e non avrebbe mai voluto perdere tutto per un suo fatale errore.

La grande responsabilità che Axel sentì di dover ottemperare a tutta questa storia fu la causa delle sue formidabili abilità, infatti durante i tre anni trascorsi dalla fuga della coppia, molti superumani si diedero alla pazza gioia perché poterono usare i loro poteri e le loro abilità per i loro fini di sopravvivenza o di vendetta contro tutto quello che gli diede o dava semplicemente fastidio. L’etica divenne molto opzionale tra di loro, soprattutto per tipi come Ted che preferì fuggire invece d’essere rinchiuso di nuovo, ma le sole forze dell’ordine ordinarie erano diventate inutili per gestire un’emergenza propagatasi poi su scala mondiale: l’ottenere delle abilità che ti rendono un’arma, soprattutto se non hai l’etica e la giusta maturità per decidere cosa sarebbe giusto fare, può essere quello che contraddistingue un eroe da un cattivo… come quelli dei fumetti.

Semplicemente loro erano sfigati con dei poteri assurdi, spesso ingestibili. Furono subito catturati, studiati come cavie da laboratorio, dopo che si scoprì essere, tutti questi ragazzi, perché presero inconsapevolmente parte a una festa cui somministrarono a tutti gli invitati un cocktail che fece una strana reazione con il loro dna. Loro non seppero subito il mandante, ma Foulieur lo capì solamente quando venne prelevato: passò quasi quattro anni a progettare la fuga, ma lui era l’unico che sapeva l’intera storia e probabilmente è per questo che si sente ancora responsabile e allo stesso tempo non ne volle sapere più niente.

 

«Te lo ricordi il “Point Break”? Ormai sono anni che non ci vado! Dovremmo farci una capatina, ma ogni tanto» – Chiese Ted con tono tranquillo e pieno di rimorsi, mentre Axel si limitò a riportare indietro la memoria a quell’ultimo giorno: il “Point Break” era una piazza di New Chicago ove loro andavano quando erano più piccoli e fu quello stesso luogo ospite dell’ultimo scontro, prima della loro fuga verso il Canada.

 

Due capigruppo. Uno dei due era Axel, con sempre Sara e Ted al suo fianco, che si preoccupò anche d’assicurarsi dell’entità dei danni… morti, feriti e sani. Dall’altra, un ragazzo che lui conosceva benissimo, ma di cui… in questi tempi non sembra ancora sceso in campo… forse è nell’ombra a osservare e gestire il proseguire degli eventi… in tal modo, i due erano visibilmente sul piede di guerra, mentre i solo amici erano semplicemente desiderosi di scappare per evitare la nuova cattura da parte dei militari che li stavano inseguendo. Axel non disse niente. L’altro ragazzo neppure. Axel fece un cenno con il capo per indicargli che avrebbe dovuto andarsene: voleva essere sicuro che nessuno venisse danneggiato prima della sua fuga con Sara. Ognuno è scappato utilizzando le proprie abilità, alcune potenti altre meno, da quel fottuto centro di detenezione spacciato per sede d’addestramento: se non fosse stato per Axel, starebbero ancora marcendo ancora lì dentro e quel gesto da parte sua, sotto la luce fioca di uno dei lampioni della piazza, stava nel riassumere tutto questo e l’altro ragazzo se ne andò senza dire niente… con circa una cinquantina di loro, mentre altri decisero d’andarsene alle loro case: la fuga da quel posto durò circa un minuto, coperto dai poteri di Ted e da quello di altri ragazzi che potevano in qualche modo occultare la loro presenza.

Erano rimasti tutti soli.

Ted guardò Axel per augurargli buona fortuna, mentre anche i più stretti collaboratori dei due procedettero nel proseguire la loro fuga. Una stretta di mano e un conseguente abbraccio: come se sapessero entrambi che si sarebbero rivisti tra non si sapeva quando tempo.

 

«Ricordo ancora quando decidemmo di separarci… era necessario e lì capì che ognuno aveva la propria vita, anche se saremmo dovuti rimanere in contatto» – Disse Ted, ancora preso dal rimorso.

«Invece no, perché c’avrebbero rintracciato e messo di nuovo in qualche altra struttura e sarebbero rincominciati i problemi!» – Gli rispose Axel, con risrerbo.

«Dimenticavo: tu e la tua sete di risolvere i problemi… ne vedi dovunque!» – Continua a parlare, Ted quasi perculando l’amico.

«Se disturba è un problema!» – Axel gli diede quasi il benservito, con l’ultima battuta prima del suo futuro chiarimento.

 

Cercarono di cambiare discorso. Entrambi.

Per non affogare i loro dispiaceri e i loro dubbi nelle loro stesse assenti lacrime. Erano considerati reietti della società: oltre a tutto il resto, nel senso che sarebbero rimasti dei fuorilegge solamente perché tutto il resto del mondo… quelli considerati ancora solamente degli homo sapiens… ebbbero paura e quelli che poterono decidere, sottoposero il problema all’Onu. Il problema venne subito a galla, solamente perché vennero a crearsi dei disordini d’ordine pubblico messi in atto da alcuni dei ragazzi poco eticamente allineati che cercarono subito di farsi notare al mondo: la Nato decretò, in una riunione straordinaria, che chiunque fosse sorpreso nel usare le proprie abilità… verrà arrestato con la pena di morte o con la segregazione: oltre al fatto che giuridicamente erano considerati senza diritti e per questo furono definiti “Gli esiliati” o Exiles. Fu inutile dire che i razzisti e i criminali di tutto il mondo si sentirono il dovere di cercare queste galline dalle uova d’oro e gli eserciti di ogni nazione civilizzata v’era la licenza d’ucciderli e di farne quello che si voleva – sempre se si riusciva a catturarli – senza che nessuno li denunciasse per rapimento o altro.

Tutto per una credenza di credenza: io credo che tu mi stia imbrogliando e quindi, a prescindere, io ti tratto da bugiardo… oppure la storia del mostro e che rendono il mostro davvero quello che loro pensavano di lui.

 

«Ma alla fine hai risolto quel che dovevi risolvere, Axel?» – Chiese Ted, impaziente di conoscere la risposta.

«Non ci sono riuscito: Sara mi ha costretto a tornare!» – Rispose Axel, desolato.

«Come avrebbe fatto?» – Chiese curioso Ted.

«Mi ha fatto scegliere tra lei e il rimanere da solo in Canada!» – Ammise Axel, alquanto frustrato.

 

A proposito di questi propabili mostri… Exiles o qualsiasi altro nome gli si voglia dare… appena Axel e Sara ritornarono, decisero di recuperare quelli di loro disponibili per formare dei mini gruppi atti alla salvaguardia delle stesse persone che avevano, chi più e chi meno, paura e terrore di loro: però con il passare dei mesi e degli atti eroici, soprattutto i bambini incominciarono a vedere in loro quasi degli idoli, cosa che loro non intendevano per nulla essere. soprattutto Axel, ma dato che sia il suo grado di pericolosità sarebbe paragonabile a quello di un terrorista internazionale per via del suo corpo molto “prodigioso” e sia perché bastava un suo intervento per sedare ogni tipo d’azione pericolosa, venne soprannominato “Il Risolutore”: soprattutto prima della fuga, fece in modo che questi ragazzi avessero una specie di punto di riferimento, quasi un fratello maggiore e cercò di usare le proprie abilità per insegnare agli altri come usare le proprie.

A fin di bene: in fondo è il figlio di Andrew Foulieur.

 

L’uno guardò l’altro, pieni entrambi di una solida intesa, mentre Axel sembrò calmarsi un attimo. La fustrazione però non se ne era andata. Era peggiorata, tanto da far prendere ad Axel un coltello che aveva nella tasca sinistra del suo jeans… il suo volto presagì qualcosa di strano. Raccolse le forze ed ebbe tutti i muscoli del volto in tensione, quasi ad indicare uno sforzo fisico e si tagliò il dito medio della mano sinistra di netto.

 

«Allarme. Salute psicofisica del soggetto: a rischio. Rescissione del dito medio della mano sinistra. Urgente bisogno d’essere stabilizzato. Ripeto: urgente bisogno d’essere stabilizzato. Rigenerazione in corso» – Disse il Vector al polso destro di Axel.

 

Ted sembrò molto incuriosito anche se leggermente stranito da così tanta follia; passarono almeno una cinquina di secondi dal folle gesto, nonostante Axel fosse concentrato per richiamare a se le proprie energie: sorrise, appena si rese conto che aveva fatto e alzando solamente la parte del dito mancante, si vide le cellule del dito stesso formicolare, per poi aumentare il loro numero e andare a comporre quello che era il dito prima della rimozione. Pelle, ossa, ogni minima cellula che contiene il nostro corpo, incluse quelle del sangue e dei muscoli, erano già nel suo fottuto DNA e s’adoperò subito per non cercare di farlo rimanere dissanguato: infatti il processo di rigenerazione stava divenendo più sempre più veloce e questo era indicato anche dal volto concentrato del ragazzo, oltre alla determinazione e al tentativo di controllare il tutto, mostrò anche una fortissima volontà.

Nel frattempo, Ted capì che quella che gli ha dato Axel era l’informazione che gli serviva. Il voler rischiare tutto solo per rimanere in relativa solitudine, anche se in compagnia di Sara. Non sorrise, ma il suo volto ne era stranamente compiaciuto. L’occhio destro, sia cornee che le pupille, divennero d’un azzurro intenso, proprio per indicare l’utilizzo delle proprie abilità di manipolazione spazio-temporale, decidendole d’usare per qualcosa che sarebbe totalmente accostabile alla sua concezione della vita stessa.

 

«Capiamoci per un solo attimo: la possibilità che la moneta possa essere nella mia mano è meno dell’1% ed è una apppartenente alla collezione di Giuda. Il poter manipolare le probabilità ti dice qualcosa?» – Sorrise lo scommettitore folle, nel cacciare qualcosa dalla tasca sinistra. Soltanto una moneta: con un falco inciso su entrambi i lati. Sorrise di nuovo, come se avesse avuto ragione. Per l’ennesima volta.

«Rigenerazione dito: completata» – Nel frattempo, il processo di rigenerazione stava andando egregiamente: tanto che ci vollero solo tre secondi. Tre. Due e uno: fatto. L’orologio ci mise poco ad avvisare i suoi “interlocutori”.

«Tutti e due abbiamo avuto le informazioni che ci servivano per dormire tranquilli stanotte, ma adesso dovremmo riunire il gruppo e decidere il da farsi!» – Non sorrise all’amico, mentre mosse la mano e le dita per testare subito la loro motricità, che era perfetta come al solito. Come una faina, parlò per primo Axel, mentre Sebastian cercò d’emettere fiato ed alzare il dito indice della mano destra per predere la parola, ma accettò di buon grado la proposta di Axel, anche se si sarebbe trattato più che altro di verificare se il metodo pacifista di Sara avesse funzionato correttamente. Ted sembrò rassegnato al fatto che l’amico lo preceda sempre per tempo sul piano operativo e decisionale, mentre l’amico fece segno d’uscire dalla base perché era tempo d’andare via ed aprì direttamente tutt’e due le porte del garage: sia quella della base stessa, quella della libreria e sia quella dall’altro capo del tunnel. Lo percorsero con passo lento, così da ammirare anche le stalattiti che andavano a comporre la caverna, ma tutt’e due capirono che l’altro portava con se più segreti di quanti ne potesse immaginare. Ted si voltò verso Axel e gli toccò la spalla destra con la mano sinistra… ce la fece mettendosi sia in punta di piedi e sia tendendo totalmente il braccio. L’amico si voltò per cercare di capire cosa volesse fare, ma poi capì e lo lasciò fare senza dargli problemi: solo allora il ragazzo si concentrò e sparirono dalla grotta… con consequenziale chiusura d’entrambe le porte d’accesso alla base.

 

Si ritrovarono entrambi fuori dalla porta del garage di Sebastian. Lì fuori Axel incominciò a guardarsi attorno. Non percepì tracce che potrebbero ricondurre a pedinamento alcuno, ma Sebastian incominciò a fare capire all’amico che voleva dire qualcosa… con un fischio.

 

«Scommettiamo che questi sette anni di totale paranoia nel cercare di farci un futuro tranquillo, ci sono serviti tutti per affinare le nostre abilità e che potremo già usare per sistemare tutti questi diavolo di problemi. Pensa se ci fosse anche lui in questa storia… non sarebbe cambiato niente da quando c’è stata la fuga» – Ebber il coraggio di chiedere ad Axel, proprio per sottolineare un suo presentimento.

«Hai ragione: infatti se lo prendo quel pezzo di merda questa volta lo mando all’ospedale!» – Disse Axel con voce dura e marcata. Ebbe un picco di rabbia che cercò trattenere stringendo i pugni, cosa che non riuscì a fare per tanti secondi perché con ancora molta rabbia nel suo corpo, ma fece attenzione nel trattenersi e ci riuscì: evidentemente la persona di cui stanno parlando gliene fece passare di cotte e di crude, creando verso di lui un odio quasi morboso.

 

Incominciarono ad incamminarsi verso il “Point Break”, sicuri che nessuno gli avrebbe dato dei problemi, ma chiusero perfettamente anche il cancello che dava sui garage… proprio per essere sicuri che nessuno potesse entrare… facendo intendere che la loro paranoia era arrivata già ad alti livelli. I condiminii erano leggermente diroccati, ma interi e la strada era fatta in mattonicini di cotto, come le scale di prima, tesa verso il basso perché lì si era su una specie di piccola collina, tanto che per il caldo s’erano riscaldate un bel pò e le persone però ancora non preferivano uscire. Ah, la primavera.

 

«Scommettiamo che farai come al solito: cercherai di fare l’eroe e poi te ne andrai come tuo solito? Non lo dico in base alle mie abilità, ma perché fai sempre così: salvi il mondo e non vuoi nemmeno che qualcuno sappia chi sei. Appunto: chi sei diventato adesso?» – Chiese di nuovo Ted, nel solo tentativo di capirci di più e far parlare l’amico.

 

 

 

«Hai ragione: infatti non sono un eroe. Non ho la stoffa dell’eroe e l’unica cosa che so fare è quella di rovinare qualsiasi cosa io tocchi!» – Sussurrò Axel divenendo cupo. Il suo volto divenne serio, mantenendo il silenzio per un paio di secondi, mentre ripensò a tutto quello che aveva e stava sacrificando nel solo tentativo d’ottenere la tranquillità tanto sperata.

 

Camminarono. Chi con il teletrasporto e chi mediante la propria super velocità. Fatto sta che nessuno riuscì a godersi il panorama di una città di un presente abbastanza distopico… anche se molto più reale di quelle realtà in cui persone poco affidabili blaterano che va tutto bene mentre, in realtà, calpestano i loro simili sotto le risate attonite dei loro simili. Orwell aveva ragione. L’uomo non è nulla di diverso dal maiale: siamo animali anche noi, nel vero senso della parola, però l’uomo usa il suo intelletto “superiore” per avvantaggiarsi sull’altro per poi mangiare alle sue spalle.

 

«Siamo già arrivati?» – Chiese Ted: entrambi si resero conto d’aver fatto molta strada in così poco tempo… giusto dieci minuti… capendo dal diradarsi delle abitazioni e dell’ingresso ad una piazza ove v’era il famoso “Point Break”, ma il sospetto d’essere davvero seguito pervase la mente di Axel, facendo pure in modo da farlo entrare nella piazza senza essere propriamente sicuro delle sue azioni.

 

Nessuno li vide arrivare, ma solo il loro stare lì.

Ted usò le sue abilità e Axel era quasi impercettibile all’occhio umano. Quando voleva. Non vi erano molte altre persone anche se l’ambiente emanava uno strano senso di pericolo, che lo stesso Axel stava percependo, mentre qualcuno l’osservava cercando riparo da qualche parte: un ammiratore segreto, forse. Una persona sospetta, ma non sembrava riconoscerlo, forse non era neesuno di pericoloso, soprattutto per Axel, che pensò leggermente a rilassarsi. Nel camminare, videro, loro due, la panchina ove si sedevano sempre con gli altri, la quale accerchiava il centro della piazza con la sua forma semianulare, al quale centro v’era una mattonella con su incisa una rosa dei venti, ma stranamente la piazza era vuota. soprattutto per quell’ora, per via del fatto che lì v’andavano a giocare i bambini.

 

«Scommettiamo che tra voi non è cambiato niente perché sa chi sei davvero e quello che provi per lei? Sicuramente non sa quello che hai passato in questi anni di fuga, ma sono sicuro che avrà capito la tua scelta… anche se non la condivido del tutto: non avrei mai lasciato i miei compagni al loro destino, ma giustamente non avevi nessuna reale responsabilità su di noi… eravamo anche noi grandi e vaccinati e avremmo solamente gradito un vostro aiuto: anche noi non eravamo pronti come voi due, ma non tutti potevamo scapare così lontano» – Per Ted d’importante era chiudere il discorso sul buco di tempo passato distante dall’amico. Parlò però con leggerezza e non molta cognizione di quello che stava dicendo: nonostante sapesse il fatto suo in fatto di scommesse con vittoria assicurata.

 

Il volto di Axel divenne ancora più cupo e strinse i pugni per un motivo che il ragazzo non vuole confessare all’amico, perché semplicemente non accetta le critiche, come tutti quelli della sua età che vogliono cambiare il mondo solo perché sono ancora giovani, ma non vuole fargli capire che anche lui possiede dei sentimenti e non vuole vedere la delusione sul volto delle persone che lui stesso ha deciso di proteggere… anche da se stesso. Sebastian, anche se con leggerezza ed incoscienza, sembrò molto sicuro nel suo parlare, come se sapesse qualcosa che Axel non sapesse che anche lui ne sarebbr a conoscenza. Lo stesso Axel non disse chissà cosa, forse solo un leggero mugugno, che potrebbe presumere un certo silenzio atto a confermare l’esattezza della tesi dello scommettitore folle.

 

«Sei il solito ed incorreggibile lupo solitario. Non parli mai con nessuno di quello che ti passa per la testa e decidi sempre all’ultimo secondo, come se proprio ci godessi nel sentir fluire tutta l’adrenalina nel tuo sangue ed eppure le mie abilità d’influenza delle probabilità con te non sembrano funzionare: sei strano perfino per me e io mi ritengo folle!» – Ormai Ted era senza freni, mentre Axel preferì ascoltare soltanto, con la sua espressione dura e pensierosa, mentre il silenzio stava per pervadere il momento alquanto critico per i due, mentre attorno a loro la gente andava e veniva, anche se nessuno sembrava volersi avvicinare.

 

Tutti a debita distanza. Facevano inconsciamente paura. L’ignoto fa sempre paura. Il sole stava iniziando a calare e infatti quei pochi bambini che v’erano, se ne tornarono a casa. Con i loro genitori. Il tramonto era già alle porte della nostra giornata, ma la giornata per i nostri due compari era appena iniziata per qualche folle scherzo del destino o del fato. Axel divenne improvvisamente più strano.

«C’è qualcuno… di pericoloso!» – Disse nervosamente.

 

Si concentrò per qualche secondo dando un’occhiata più accurata, ma vide soltanto che la gente era più veloce nello scappare dalla loro zona. Si mise in allerta, mentre nel camminare raggiunsero il centro della piazza. Cercò allora di capire cosa stava succedendo in quei pochi secondi e si voltò.

 

«Bang!» – Un colpo di pistola. Li prese leggermente alla sprovvista. Solo per un netto secondo. Odore di sangue fresco, quello di Axel: capì che era il suo dall’odore e dal caldo che il suo corpo stava emanando. Respirava a fatica, quindi capì che il danno era ad uno dei polmoni. Il destro, per la precisione: una chiazza di sangue vi s’era già formata. Il bersaglio non era lui, ma Ted: lo capì analizzando la direzione del proiettile. Si mise solamente in mezzo. Gli bastò soltanto un secondo per farlo: ci si passò la mano destra, proprio per far capire ai propri aguzzini che aveva protetto il suo amico e lui ne era uscito illeso come al solito. Il suo sguardo divenne minaccioso.

 

Tutto accadde in qualche secondo.

 

«Fatti avanti!» – Disse nervosamente Axel.

 

Così il teppista si fece avanti. Lo guardò sogghignante, ma senza emettere parola alcuna. Lui, la prima mossa l’aveva già fatta. La pistola fumante nella sinistra ne era il segnale, mentre nella destra soltanto un coltello a serramanico. Sembrava arrivare dagli anni settanta… Del 1900… il suo vestire era praticamente uguale a quello di Fonzie… quello di Happy Days… anche se, al posto del sorriso finto di un motociclista egocentrico, solamente un presunto ghigno d’ego che non lo mise in una buona ottica verso Axel e Ted. Nessuno disse niente. Tutto rimase immobile. Quasi subito, quasi con una lentezza disarmante e solenne, il primo piegò la testa leggermente verso la sua destra. Non disse niente, ma dalla sua schiena spuntò un braccio sinistro. Poi un destro… una gamba sinistra… una destra e si spinsero fuori con la loro sole forze e ne fuoriuscì uno identico al primo teppista. Senz’armi però. I due spettatori non dissero niente, ma il loro volto non traspirava di certo sorpresa. Uno. Due. Tre. Quattro. Quattro altri identici al primo: sempre disarmati. Axel si mise subito tra il quintetto e Ted, a protezione dell’amico e compare.

 

«Alexander Foulieur. Axel. Quanto tempo è passato. Tre anni di solitudine per cosa? Non si salutano più i vecchi amici?» – Disse sogghignante il teppista.

«Noi non siamo amici!» – Disse nervosamente Axel, rivolgendosi a lui.

«Adesso capisco il perché sono stato buttato in mezzo a questa guerra. Non fraintendermi, io voglio che ci sia una guerra… non sono affatto sorpreso che dietro al calo dei crimini ci sia tu. L’unico di noi che ha preferito rimanere in disparte per vivere felicemente, mentre il resto del mondo crolla sotto le fiamme di chi ha deciso che quelli come noi sono solo feccia» – Rispose il teppista, con fare alquanto spocchioso e beffardo.

«Io sono solo UNO e non sarebbe toccato solo a me, o soltanto a Ted oppure solo a chiunque altro. Lo so già che è stato lui a cercare di farmi fuori, quella volta a scuola: non ce l’avrebbe mai fatta da solo e ha chiesto il vostro aiuto… peccato che vi fermai appena saputo chi foste!» – S’alterò Axel, nell’ascoltare la risposta ipocrita del suo interlocutore.

«Mi… ci hai tolto le parole di bocca, ma non hai detto che spera che tu possa incappare di una morte atroce: ha saputo che sei scappato con quella che ti porti dietro solo per inseguire i fatti tuoi. Senza avvisarci!» – Rispose il teppista, con fare alquanto spocchioso e beffardo.

«Più che assicurarmi che foste tutti salvi, non avrei potuto fare!» – Contrabbattè Axel, pieno solo di rimorsi non risolti.

 

Alexander Foulieur. Axel. Era da tanto tempo che non lo sentiva dire da un suo avversario. Tanti ricordi gli attraversarono la mente, soprattutto legati alla sua infanzia e al periodo delle scuole superiori, dove conobbe tantissimi dei ragazzi divenuti metaumani o Exiled. Strinse i pugni con forza, il suo respiro divenne ancora più forte di prima, facendo divenire il suo corpo tutto un fascio di nervi e muscoli. Lo fissò con aria di sfida.

 

«Brian Gamble…» – Sussurrò Axel a bassa voce.

«Non sono più Brian Gamble… il mio nome è Frontman!» – Axel venne interrotto dal dire altro, dal finto Fonzie.

«Come ti chiami non m’importa: io ti fermerò qui ed ora» – Concluse lo stesso Axel, considerando le nuove informazioni.

 

Il piede sinistro posizionato leggermente indietro rispetto al destro. Il resto del corpo proteso in avanti: bastò questo per indicare che ormai la fine del quintetto era vicina. Partì alla volta dei cinque, nel dire l’ultima frase, proprio perché non sopportò l’idea che qualcuno possa criticare una sua scelta ponderata… per quasi quattro anni di prigionia e tre di fuga… da un mondo in rovina perché qualche invasato ha pensato di creare delle armi umane: dunque il suo scatto, durato una frazione di secondo, gli permise d’averli subito a portata di mano.

Non diede nemmeno il tempo al quintetto di considerare la folle idea di scappare.

Un sibilio del vento passò come suono imprescendibile del suo arrivo di fronte ai cinque, che non riuscirono nemmeno a muoversi. Nemmeno con un muscolo. A quel punto, gli apparve di fronte. Inspirò, poi espirò. Un urlo, di quelli sonici, fu più che sufficiente. Li stordì, creandogli molto dolore. Le urla erano forti e Frontman svenne. Gli altri quattro divennero solo polvere.

 

«La prossima volta non m’interrompere! Brian Gamble… Frontman… ti condanno per tentato omicidio alla detenzione preventiva. In un normale carcere, usciresti alla prima ora d’aria con le abilità di scissione molecolare che ti ritrovi» – Frontman era stato totalmente sconfitto, mentre Ted sembrò non aver risentito minimamente degli effetti del combattimento tra i due, infatti si sturò semplicemente le orecchie. Si diresse verso l’amico che si stava calmando con i soliti respiri profondi combinati ad una postura rilassata. Gli si avvicinò ancora di più, mentre lui aveva quasi recuperato la sua calma, con espressione malinconica risaltata anche dai suoi occhi azzurri ritornati marroni dopo l’uso probabile delle sue abilità casistiche e lo stesso Axel lo nota soltanto in quel momento.

 

«Sei sicuro di volerlo fare?» – Chiese atono Ted.

«Si, convintissimo!» – Rispose Axel.

«Allora non posso e voglio fermarti» – S’ammonì Ted, sempre atono.

«Voglio solo accertarmi che non si presenterà di nuovo!» – Rispose Axel, anche lui atono.

 

Nel frattempo.

Esterno del "Point Break". La gente sembrò quasi attratta da quel piccolo atto di violenza provocato dai due combattenti… in qualche secondo di ordinaria follia. Non osarono avvicinarsi per l’evidente paura che s’aveva verso Axel. Rimasero tutti vicino al cancello della piazza ad aspettare un qualche suo cenno. La tensione non sembrò calare nemmeno al silenziarsi del ragazzo, ma che fece soltanto un cenno verso l’amico, prese il corpo inerme di Brian e scappò via.

«Lo porto alla Fracture: non è venuto qui di sua iniziativa. Ce l’hanno mandato qui e chiama gli altri… il prima possibile!» – Non disse altro, Axel. Preso da vecchi rancori verso la persona a cui si stava riferendo in quel momento: infatti strinse soltanto il pugno sinistro e afferrò Brian con l’altra, caricandoselo poi sulle spalle… che era ancora svenuto… e si posizionò in modo che nel correre non gli sarebbe scivolato.

 

Tutto solo per portarlo via dalla scena: oltre a non voler dare spettacolo, preferì risolvere subito il problema proprio per risolvere il suo atroce dubbio sull’identita del mandante di Frontman. In un altro secondo e con un poderoso scatto, Axel decise d’allontanarsi portandosi anche il suo indiziato, mentre Ted rimase da solo in tutta la piazza e il senso di solitudine lo assali perche si rese conto di non avere piu la solida intesa che avevano sette anni prima. Quando si era solo dei ragazzi spensierati e con tutta la vita davanti.

 

«Messaggio urgente: tutti quelli liberi devono presentarsi immediatamente al “Point Break” il prima possibile!» – Decise di chiamarli subito per velocizzare la pratica. Solo Axel era capace a fargli eseguire degli ordini: neanche lui era lo stinco di santo che ci si poteva da un ragazzo non più calmo e timido… soprattutto con quello che poteva fare.

 

Il precedente gruppo di curiosi raddoppiò in pochi minuti. Anche Ted s’incominciò ad alterare, ma anche lui sapeva essere molto risoluto: soprattutto in quello che faceva. Li fissò. Strinse il pugno destro. Azzerò quasi del tutto la probabilità che si fossero avvcinati e alzò quasi al massimo quella per cui sarebbe riuscito a farli intimorire con la sua espressione facciale. Solamente per avere un po’ di pace: solamente tre secondi e il “Point Break” risulto di nuovo pieno soltanto della presenza di Ted… infatti anche gli abitanti delle case circondanti la suddetta piazza decisero d’abbassare sia le finestre e sia di chiuedre le porte e sia le finestre: avrebbero solo dovuto osare nel tentativo di disturbarlo. Eccolo lì, l’ennesimo tentativo di sopprimere una crisi di nervi dovuta al suo dogma di reprimere le proprie emozioni perché secondo lui si devono negare le emozioni al minimo accenno di rilevante pericolo.

 

«Perché devi sempre complicare tutto, amico mio!» – Disse Ted malinconico, riferendosi ad Axel.

 

In questi attimi di puro silenzio, in cui Ted cercava solamente di riottenere dell’autocontrollo, si sentì solo del vento spingere verso di lui. Il vento non cessò subito, ma ci mise qualche secondo, come se fosse uno strano campanello d’allarme per qualche altro problema. Un solo secondo e un altro ragazzo si posizionò a qualche centimetro da Ted, mentre lui era ancora assorto nei suoi pensieri e nei suoi dubbi, con gli occhi chiusi, mostrando una strana calma nonostante comprese benissimo cosa stava per succedere. È impaziente, per quello che dovrà fare, suo malgrado. Questo si vede sul suo volto leggermente malinconico, non molto incline al parlare, ma dietro di lui qualcosa sembra muoversi. Precisamente tre passi da lui, ma il soggetto ignoto ancora non venne percepito con gli occhi… li aveva ancora chiusi. Rimase vigile, ancor di più chiudendo gli occhi, mentre analizzava la scena, con i suoi poteri attivi non necessitanti obbligatoriamente degli occhi, le varie possibilità e proprie probabilità.

Li aprì. Se lo ritrovò dinanzi a se: era talmente vicino che fece un passo indietro per aumentarne leggermente le distanze. Il volto del nuovo arrivato era sorridente, ma pronto a fare qualcosa: non era mai il sorridente e fermo. Uno come lui non sarebbe stato fermo.

 

«Tu cosa ci fai qui Rino, non dovresti essere a gestire i tuoi loschi affari lontano da qui?» – Disse Ted amareggiato. La desolazione e la malinconia erano visibili sul suo volto… anche le spalle sono leggermente abbassate, nel mentre la sua pazienza era al limite: la colpa era per il ritardo degli altri suoi amici… ritardatari come pochi… che stava attendendo da tre anni.

 

Non era sicuro che Sara fosse riuscita a convincerli, conoscendo anche il livello della sua paranoia e il loro ego nel cercare d’essere preziosi a tutti i costi. Uno scatto molto veloce. Più veloce di quello che aveva mai visto fare ad Axel. Il nuovo arrivato gli passò dal porsi di fronte al stargli dietro la spalla destra… sempre a debita distanza… indossava uno smoking grigio, con guanti coordinati, alto sul metro e ottanta, occhi azzurro chiaro e capelli brizzolati, ma questo suo nuovo interlocutore sembrava più volergli dire qualcosa che desideroso d’avere uno scontro diretto.

 

«Oh, Ted. Da quel che ricordo, l’ultima volta non eri cosi scontroso: non sono più il cazzone che avete conosciuto… anche io ho avuto modo di crescere, ma non m’importa più per chi o cosa devo correre: questo è il mio unico compito e non lo cambierei per null’altro al mondo. Le ultime due cose: da oggi in poi, per te e gli altri della tua combriccola, sarò solo Mr. Grey e invece il mio capo vi manda i suoi saluti… soprattutto a Foulieur e quella che si porta sempre dietro: non si è nemmeno degnato nemmeno di salutarci quando è scappato. Adesso ho finito e vado che altri affari più importanti mi stanno chiamando!» – Il suo tono era beffardo, volenteroso nel burlarsi del suo interlocutore non molto incline ne alla perdita di tempo… soprattutto per avvisi del genere, ma evidentemente non aveva ancora finito d’avvisarlo.

 

Nessuna risposta da parte di Ted: l’unica cosa che stava desiderando, che tutto l’inferno finisse.

 

«Dimenticavo di dirti una cosa. Presumo che Axel sia tornato… in questi mesi, abbiamo notato che qualcuno della nostra combriccola è scomparso e nessuno ha così tanta… fortuna… nel batterci e sopravvivere allo stesso tempo. Come lui è impegnato nella sua crociata, il mio “capo” è impegnato nella sua: togliergli tutto quello che gli è più caro, soprattutto voi… tanto sapete benissimo dove trovarci» – Semplicemente Grey cercò di comprarsi la fiducia di Ted, ma il suo volto era tutto tranne che incline a seguire le istruzioni e le infamie pronunciate dal velocista, difatti la posizione del corpo era sempre più chiusa e ostica al dialogo.

«Neanche io non sono più il ragazzino indifeso e che ha bisogno della guardia del corpo. Te lo posso dimostrare come e quando vuoi, anche adesso. Axel è sempre stato un amico sincero e sono sicuro che darebbe anche la sua vita per difendere chiunque ne avesse bisogno, cosa che il tuo capo non farebbe mai. Se avete dei problemi con la vita privata di Axel, parlatene con lui e non con me. Adesso dovresti davvero andartene: probabilmente il tuo tempo qui è finito» – Rancore. Tristezza e malinconia. Non voleva provarne più, mentre la sua tenacia saliva sempre di più. Era determinato nel voler risolvere quest’ormai rancore del passato in cui era considerato solo perché spalla di Axel, ma dalla determinazione passo alla rabbia e chiuse gli occhi per un secondo. Riaprì gli occhi il secondo successivo. Il loro colore azzurro era il solo dettaglio per fare intendere che il suo interlocutore era nei guai fino al collo. Ted non fece altro che vedere come mandarlo via con atroci dolori e decise di fregarlo con gli stessi metodi: decise di farlo inciampare semplicemente per fermarlo, facendogli subire la maggior quantità di danni possibili. Il piano era semplicemente e dannatamente diabolico, ma la ciliegina sulla torta fu la stupidità del velocista che, essendosi accorto solo all’ultimo secondo di quello che stava succedendo alle sue scarpe: in pratica, gli fece sciogliere i lacci delle scarpe appena iniziò ad aumentare della sua velocità. Il suo correre da fermo era ormai condizionato, infatti raggiunti i 300 km/h, i lacci delle sue scarpe incominciarono a smuoversi e a slegarsi.

«Guarda qui inetto!» – Disse Mr. Grey, che non s’accorse del piano di Ted.

 

Primo passo. Mr. Grey perse l’equilibrio. Non poteva più esercitare le proprie abilità perché non aveva attrito con il suolo. Cadde… con il volto schiantato a terra. Creò una piccola crepa.

 

«Ma che cavolo…» – Polvere. Macerie. Tante ne produsse il velocista nel suo schianto: pochi secondi di pura follia. Ted l’aveva evitato perché s’assicurò di farlo cadere dove non potesse fargli del danno. Si rialzò a fatica, mentre il suo avversario s’era dimostrato leggermente più forte di lui e capace di potergli rivoltare le sue stesse armi. Qualche osso non era in linea con tutto il resto, mentre la scia di detriti era ormai ben nota anche al semplice passante e/o commentatore da bar, ma Mr. Grey non volle cedere il passo e rassegnarsi al pensiero d’aver trovato qualcuno che potesse impedirgli di correre con così tanta facilità. Il sangue dal naso era ormai tanto, mentre una smorfia di dolore era stampata sul suo volto. Un altro passo. Un’altra caduta: uguale alla precedente.

 

Un altro inciampare che rese il velocista ancora più distrutto ed umiliato di quanto non lo fosse già… le caviglie non gli ressero più, le braccia erano lussate ai gomiti e non le riusciva nemmeno a muovere, mentre il resto del corpo era pieno di lividi e il completo era rovinato. Tante toppe sarebbero dovute essere adoperate per rendere qualcosa di figo… qualcosa di accettabile… tanto valeva comprarlo nuovo. Il suo corpo mostrò i primi segni d’affaticamento. Non era così stabile. Il respiro era lento.

 

«L’appeso giudica il folle perché potrebbe finire come lui: sono l’appeso perché ho scelto io di esserlo, ma tu non conosci le conseguenze di quello che provocherai con le tue fottute abilità, dato che io so che non sei come noi. Ci rivedremo, dato che non voglio correre troppo con te!» – Attese il folle, per replicare. Si sentì minacciato, ma non tanto quanto il suo interlocutore.

«So come sei e so che non sarò come voi. Probabilmente creerò dei casini, ma l’appeso ha più probabilità di essere appeso perché è nella sua natura, mentre il folle sceglie d’esser folle ed io sono Cash, il folle agente del caos. Guai a tormentare il karma: te la fa pagare!» – Disse Ted, imprudente.

 

Il velocista non sembrò averne più, neanche per spiegare ad un folle e maniaco del controllo quali siano i rischi del suo comportamento: gli apparve strano che qualcuno trattato come un inetto per una vita intera possa dire qualcosa di sensato, ma non ci pensò due volte ad andarsene senza dire altro. Il suo volto mostrava evidenti segni d’affaticamento e di rassegnazione, ma non ne volle dire il motivo: era troppo oscuro anche per qualcuno che non prese sul serio la morte di molti dei suoi compagni perché decise di correre via da tutto. Corse via anche da questo. Di nuovo. Nel correre, stranamente, non ci furono complicazioni dovute a qualche strano fattore spazio-temporale immesso a caso da Cash.

Qualche secondo e dell’ingenuo velocista non ci furono altre tracce che quelle lasciate dallo stesso nella discussione appena avvenuta: decise di ritornarsene a casa sua.

 

«Qui dovrei essere al sicuro» – Evidentemente temeva qualcuno e chiuse tutte le porte e le finestre. Si posizionò sotto il letto della sua camera e si mise anche i tappi per non avere altri rumori. Si guardò in giro e non vide nulla, fino a che non sentì una voce a lui stranamente familiare.

 

«Bravissimo… il tuo intervento quasi fuori controllo ha prodotto comunque degli ottimi risultati. Bastava aiutarmi nel mettergli il seme del dubbio nella testa ed aspettare lo scorrere degli eventi. Dovrei riuscire a manovrare anche il resto, proprio per non permettere a nessuno di sfuggire al mio controllo. È la strategia migliore, oh si» – La voce misteriosa era di un ragazzo che Rino conobbe alle superiori e che divenne amico della sua famiglia, infatti non cercò nemmeno di scappare… e stranamente… decise d’ascoltarlo, ma i suoi occhi divennero spenti, vitrei, quasi se il suo cervello non fosse collegato al resto del corpo. Lo vide, forse fisicamente, forse solo nella sua testa. Da lì percepì il corpo della sua conoscenza che lo guardò con sorriso beffardo, quasi da ipocrita.

 

S’avvicinò al letto, mise la testa sotto il letto per osservare il suo interlocutore.

 

«Ti sono mancato? So che sei qui: io sto vedendo quello che vedi tu e so che la tua mente è leggermente più strana di quella di molti altri, ma eccoci qui. Solo io e te, come due cari e vecchi amici che non si vedono da un bel po’ di tempo!» – Si passò la mano destra sul ferro degli occhiali e s’avvicinò a lui con fare sicuro e determinato, come se entrambi sapessero quale fosse il motivo di quella prossima discussione. Passo molto lento. Cadenzato. Il suo bianco smoking era solo per testimoniare il suo mostrarsi immacolato di fronte al suo pubblico.

«So quello che hai visto e non vorrei mai desiderare venire a pensare che tu mi possa tradire. Tu sai che potrei fermarti da un momento all’altro: non potrai mai essere un eroe se non riesci nemmeno ad essere sincero con te stesso. Gli idioti non dovranno mai sapere quello che sai» – Il misterioso ragazzo continuava a parlare, mentre il volto di Rino mostrava segni di terrore: non credeva che qualcuno potesse essere entrato nel suo posto sicuro e provando a fuggire, si rese conto che i suoi muscoli erano completamente immobilizzati. La paura prese il sopravvento sul velocista e il suo interlocutore lo capì, infatti non lo fece andare via perché bramava la sua paura e soltanto quando vide le prime lacrime sul volto terrorizzato di Mr. Grey, decise di svanire nel nulla.

«Sarò sempre nei tuoi pensieri, Rino: non puoi immaginare cosa ci si prova nel perdere tutto… per colpa di una sola persona… ignobile. Io sarei dovuto… io sono Mister Ego» – Finì così il suo strano comizio, come era iniziato: a scomparsa e proclamandosi il re del mondo.

 

Rino si calmò nonostante il cuore avesse una velocità molto alta e si rilassò sopra il letto, dopo qualche secondo di shock completo: non era certamente una passeggiata sopportare il peso di tutta questa situazione, ma ce l’avrebbe dovuta fare comunque. Questo pensò nel guardare il soffitto della sua camera, arredata con mobili d’alta fattura e con il letto matrimoniale proprio per attestare uno status economico molto alto, mentre decise che si sarebbe preso una piccola vacanza per evitare anche il problema del ritorno di Axel: il suo capo l’avrebbe mandato di sicuro al manicomio pur di ferire il suo eterno nemico. Ne era sicuro: in dieci secondi, prese tutto e si diresse verso il posto più lontano ove fosse al sicuro anche da misteriosi postini.

 

«Mi dispiace: speravo di potervi dare una mano!» – . Disse Mr. Grey amareggiato.

 

Base numero cinque.

Nello stesso momento dell’intervento di Rino al “Point Break”. Axel si ritrovò solo e pensieroso nella stanza degli interrogatori allestita da sé, per evitare che gli stessi Exiles possano ferire se stessi e gli altri e investigare su possibili guai provocati dagli stessi, pensante a tutto quello che potrebbe essere successo in questi anni d’assenza. Si sentì ancora inerme nonostante il duro allenamento affrontato proprio per cercare d’ottemperare al suo destino, ma si era appena accorto che non avrebbe potuto salvarli da se stesso: Frontman non si era appena ripreso dal trauma ricevuto poc’anzi e questo non andava per nulla bene. Se ne accorse e cercò di scuoterlo, afferrandolo per le spalle e scuoterlo leggermente. Sarebbe un eufemismo dato che il suo “pugno con poca forza” potrebbe causare danni permanenti alla struttura ossea di un uomo in ottima salute fisica, ma cercò di non causargli danni trattenendosi dal rompergli qualcosa: non era necessario accanirsi, oltre al fatto che lo stesso Frontman era visibilmente stremato dallo scontro. Rammaricato per aver dovuto usare le maniere forti per ben due volte, cercò di svegliarlo più moderatamente, senza però risultato alcuno e quindi cercò di pensare ad un modo per ottenere informazioni da lui.

 

«Frontman, tutto apposto?» – Chiese Axel di routine, con tono tranquillo.

 

Nessuna risposta.

 

«Ci sei?» – Chiese sempre Axel di routine, e sempre con tono tranquillo.

 

Ancora nessuna risposta, ma nel rilassarsi notò che era presente del grumo di sangue nel condotto uditivo e quindi capì quale fosse il problema che lui stesso aveva causato. La soluzione di renderlo momentaneamente sordo funzionò più del previsto e se ne rese conto soltanto nel momento in cui avrebbe dovuto risolverlo. Pensò a come fare, ma nel sbattere il pugno destro sul tavolo posto tra le due sedie, sentì una voce femminile nella sua testa che sembrò chiamarlo e dirgli di tranquillizzarsi. Lui lo fece senza problemi.

Non era da tutti calmarlo quando era arrabbiato per qualche guaio… soprattutto se commesso da lui. Ne riconobbe la voce, soave e gentile allo stesso tempo, emanante una calma sbalorditiva… tale da riuscire a calmare anche un grizzly infuriato, ma il soggetto in terapia era leggermente più umano e si voltò verso la porta.

S’aprì, la porta.

Lei entrò.

Lui si voltò.

Il suo cuore palpitò all’impazzata, tanto che la ritrovata calma se ne era andata leggermente a farsi fottere. Era Lei. La Donna. La sua donna, quella per cui si sarebbe fatto strappare l’anima dal cuore pur di vederla felice solo per un altro istante: Sara.

 

«Che gli hai fatto?» – Lei semplicemente gli sorrise notando anche… però… il brutto stato di salute del loro improbabile interlocutore e si voltò di nuovo verso di lui, ma con espressione preoccupata.

«Niente che non si possa risolvere» – Le rispose con aria tranquilla, mostrando un leggero sorriso.

«Ci credo, l’hai reso sordo. Non ti preoccupare, lo so che l’hai fatto per una buona causa: mi fido di te» – Gli rispose lei, come usava fare… proprio come un botta e risposta… con una leggera ironia.

«Ti amo, Sara!» – Le disse, abbracciandola e cercando del calore umano.

«Ti amo anche io Axel, ma adesso pensiamo a prepararlo per le cure mediche… di certo non può farlo da solo» – Gli rispose, ma si staccò ponendogli la mano sul petto e facendo valere di più il suo “Giuramento d'Ippocrate”.

 

«Axel, ci sei? Mi dai una mano ad aprire la cella?» – Passarono poche decine di secondi, ma Sara notò che il suo ragazzo era perso nei suoi pensieri e gli chiese dolcemente una mano.

 

«Si, va bene. Mi ero un attimo perso, scusami» – Il cuore di Axel si placò e la sua determinazione era appena salita alle stelle, facendo in modo che prendesse in mano la situazione con il suo aiuto. Nel prenderlo per le braccia per metterlo nella cella di contenimento… studiata per adattarsi ai geni di chi ci entra dentro per non dargli modo d’essere dannoso per se e per gli altri… percepì il natural profumo della sua bella e gli vennero alla mente i ricordi su come fosse bella il giorno in cui si sono conosciuti: sarà il camice da medico, gli occhiali da riposo che miglioravano il risultato, i suoi capelli di un rosso naturale… che era di suo un attira supereroi per antonomasia… e gli occhi verde smeraldo gli fece ricordare il motivo per cui s’innamorò di lei quel giorno di metà settembre di circa dieci anni prima.

 

Ritornando al malcapitato, Axel ebbe di nuovo una delle sue visioni, mentre ci pensò Sara a riportarlo alla realtà ed aprì, mediante il codice apposito, sia la saracinesca a botola per l’accesso alle celle e sia… successivamente… la cella di contenimento più vicina. Considerando che il tavolo era ad un due metri dall’entrata di quel rifugio ove erano i tre, lei si caricò sulle spalle il malcapitato e camminò per circa tre metri: solo nel mentre lei era già di fronte all’entrata delle botole… creata con materiali non commerciabili e molto più resistenti perché nessuno sarebbe dovuto entrare senza un men che minimo di autorizzazioni e avrebbe dovuto sopportare attacchi di qualsiasi genere. Nel riprendersi, notò lei lo stava già aspettando di fronte alla porta e solo allora si recò da lei con il solito scatto fulmineo che ormai lo contraddistinse: passo con il piede destro visibile con successiva corsa con gambe non umanamente percettibili tale sarebbe la forza con avverrebbe il tutto.

Pochi passi.

Era già lì ed aprì la porta in pochi secondi.

 

«Non preoccuparti, però se me lo puoi mantenere un secondo Axel… così lo curo un attimo: gli vorrei riparare le orecchie dato che se no non può rispondere anche se hai dei metodi per cui non ti servirebbe nemmeno la sua parola» – Lei sapeva di questi strani “sensi di colpa” di Axel, tanto che ormai non ci faceva nemmeno più caso. Nel cercare di curare il malcapitato, lei glielo passò con la stessa facilità con cui si maneggerebbe un semplice ramoscello, sorridente e felice di averlo rinsavito. Lui se lo caricò sulle spalle con la medesima facilità e glielo posizionò in modo che lei potesse arrivare al contatto delle orecchie di Frontman. Si concentrò, facendo fluire parte della sua energia vitale dal suo corpo verso le sue mani. Ne accumulò tanta da riuscire ad operare in pochi secondi, ma attese d’avere anche lei il suo attimo “a sorpresa” e chiuse gli occhi soltanto per scena, mentre Axel fece in modo che il loro assistito non potesse scappare mantenendogli premuto abbastanza forte… umanamente parlando… sia il collo con le mani e sia i fianchi con i gomiti. Il nome esatto per la posizione è "Posizione di recupero marino a rana", ma i soggetti erano entrambi in piedi e quindi era solo una posizione prima di un pestaggio.

Intanto Sara fu pronta per incanalare l’energia per curarlo, cosa che fece in pochi secondi e si capì… dalla successiva riuscita del tentativo… che entrambe le orecchie lentamente si stavano rigenerando d’ogni ferita. Cellula dopo cellula: come se avessero avuto una forte scarica d’energia e potessero divenire più efficienti e la stessa Sara ne vide i risultati tramite l’utilizzo delle proprie abilità percettive.

 

«Che diavolo è stato?» – Frontman si risvegliò subito dopo che gli tolse le mani di dosso, mentre anche Axel notò che il suo cuore aveva ripreso a battere con regolarità e con un’alta velocità di reazione lo buttò nella cella di contenimento non permettendone la riuscita, semplicemente chiudendone la porta prima che potesse anche pensare di poterne uscire.

«Lui aveva ragione allora: sei scappato per evitare le conseguenze delle tue azioni. Dire che ti avevo anche difeso… dannazione!» – Il modo brusco di Axel di buttarlo dentro la cella gli provocò un enorme mal di testa perché l’urtò contro la parete precedente all’entrata e si voltò verso i due perché aveva realizzato ove si stava trovando.

 

«È per tuo bene e lo sai!» – Axel cercò di darsi un tono più serio perché sapeva quello che sarebbe potuto succedere se uno come il suo interlocutore fosse stato in libertà, ma lo stesso Frontman appoggiò la mano sinistra e li fissò entrambi come conscio della propria reclusione forzata. Lo sguardo era arrabbiato, al contempo nervoso e malinconico. Non voleva credere alle parole del Risolutore, ma forse un po’ di ragione ne aveva anche lui.

«Guardati, sei ridicolo. Adesso TU vuoi DECIDERE quello che è meglio per me e per gli altri. TU che te ne sei andato con quella che ti porti dietro e ci avete lasciato soli. Saresti potuto fuggire da solo e lasciarci dentro, ma invece dovevi dimostrare di poterci liberare perché ti sei sempre ritenuto il migliore in qualsiasi cosa tu facessi. Io li riconosco quelli come te: i codardi. Volevi andartene fin dall’inizio, noi altri… senza contare te, Sara… per te non abbiamo mai contato nulla. Sei un BASTARDO, Axel!» – Inspirò. Espirò. La sua rabbia era sincera, come quello che era successo e come altri non aveva avuto le risposte per tutto quello che era successo ed evidentemente qualcuno gli aveva instillato le idee appena espresse: che però si rivelarono esatte, alla fine.

 

Axel non si smosse di una virgola, attendendo il prossimo sproloquio.

Frontman camminò nevroticamente nella stanza da vero recluso e arrabbiato con entrambi… ma soprattutto con Axel: sapeva che quella sarebbe stata la sua unica e ultima occasione per cui gliene poteva dire quattro. Lui non l’avrebbe pestato e lei non gli avrebbe detto niente: i cinque minuti di gloria di un uomo senza futuro.

 

«Chiudendomi qui dentro, ti vuoi pulire la coscienza. Tu saresti il simbolo che avrebbe dovuto liberarci e salvare il mondo dagli oppressori, invece sei solo un millantatore che preferisce non saperne della spazzatura come noi perché troppo preoccupato a gestirti il tuo fottuto orticello. Un lupo opportunista eretto come capo, ma fammi il piacere d’andartene a farti fottere… bastardo!» – E Inspirò. Espirò. Ancora.

 

Axel non si smosse ancora. Neppure di una virgola. Attese.

 

«Non si fugge da una guerra solo perché si pensa d’essere una celebrità e quindi essere immuni dallo sporcarsi le mani: ci hai lasciato a morire perché non volevi più saperne. Oppure non ne hai mai voluto sapere di noi. Avrei preferito che ce lo dicesti subito, invece hai voluto essere un fratello maggiore. Quello che non abbiamo mai avuto o che non avevamo più. Noi ci fidavamo di te e tu te ne sei ANDATO PER I FATTI TUOI: MOLTI DI NOI sono MORTI… INNOCENTI… SOLO perché erano qualcosa di speciale. È morto persino il ragazzo che poteva raccogliere le rose senza farsi male: sparato alla testa mentre lavorava in un vivaio. Perché tu non c’eri a salvarlo. Sei un simbolo di morte, Alexander Foulieur. Non potrai mai più sfuggire alle tue responsabilità. Noi eravamo tuoi amici, ma adesso sei contro di noi. Sei come quei militari che ci hanno tenuto in ostaggio per circa quattro anni, ma almeno lì abbiamo imparato qualcosa e con te al comando tutti eravamo valorizzati: adesso siamo stati solo un tiro al piattello per militari ritardati e tu nei sei la causa, ma non più la soluzione. Andrà sempre peggio e tu lo sai, ma non sei disposto a perdere nulla di tuo e ti nascondi dietro ai tuoi fottuti poteri!» – Frontman divenne un “cavallo a briglie sciolte” e ci stava andando giù pesante, nel criticare Axel, ma aveva ragione. Tutt’e due si guardarono l’uno con l’altro, mentre Axel sembrò sfuggire dalla serenità donatagli dallo stare vicino a Sara e strinse i pugni. Lei capì cosa che si stava innervosendo perché i suoi muscoli erano totalmente tesi ed era lì per spaccare la cella solo per ucciderlo con le proprie mani. Mormorò qualcosa in cagnesco, gli occhi gli stettero per divenire rossi dalla rabbia, ma bastò un tocco da parte della ragazza per farlo tornare abbastanza calmo per non sfasciare nulla. Axel chiuse gli occhi: forse per cercare una calma del tutto innaturale… ragionando anche sulle parole dette dal suo interlocutore, senza però diventarne succube.

«Sara, ha ragione lui. Li ho delusi nel momento del bisogno: non avrei dovuto scatenare una rivolta senza prendermene cura. Solo i codardi e gli idioti scappano senza una motivazione e non avrei voluto far sapere che non mi sentivo pronto: dunque ci siamo allenati per altri tre anni… anche se voi non siete una mia responsabilità… dunque siamo tornati e risolviamo questa cosa!» – Parlò a bassa voce e a denti stretti. Stringendo i pugni ed evitando di dire altro, ma cercò d’essere chiaro con entrambi i suoi interlocutori per non ammettere di nuovo i suoi sbagli e scelse semplicemente d’andarsene voltando le spalle di entrambi.

 

«Sara, andiamo a chiudere la faccenda: tanto lui da qui non può uscire!» – Parlò con distacco, ma nel sentirlo, lei lo seguì senza fare troppe domande perché sentiva d’averle esaurite e lasciarono il loro indiziato da solo, a marcire nel suo tugurio di false speranze e di gente che lo avrebbe tradito per i propri affari personali: posizionò il sedere per terra e la schiena alla parete, chiudendo gli occhi per un’ultima volta.

 

«Frontman… Brian… Hai fatto un ottimo lavoro. Ottima performance» – Una voce calda e al contempo profonda gli parlò, sicuramente non fu quella di una sua altra copia perché la tecnologia con cui è stata creata la cella ne avrebbe impedito la creazione, ma qualcun altro che lui conosce benissimo e con tono confidenziale: il ragazzo di prima, quello che si è recato da Mr. Grey solo per dimostrargli che l’avrebbe sempre comandato a bacchetta: forse erano amici oppure quel ragazzo aveva imbrogliato anche lui con false dicerie sul conto di Axel.

«Non ho fatto nulla di speciale, ho solo detto la verità: vero?» – Gli domandò Brian, alla ricerca di una soddisfazione personale.

«Pagheranno per i loro errori: è una promessa!» – Lo rassicurò lo stesso Mr. Ego.

«Adesso vorrei dormire!» – Suggerì lo stesso Brian.

 

E lo fece: un attimo di pace anche per lui.

Tante possibilità v’erano sul perché di questa guerra, ma le convinzioni sono dure a morire se chi le ha non è per nulla convinto di volerlo fare: nel mentre Axel e Sara s’erano già avviati per l’uscita della Fracture, ossia tutto l’agglomerato ove erano custodite le celle per recludere qualunque cosa non potesse essere gestita, ne chiusero anche l’accesso immettendoci tutti i codici, avviandosi poi per la stanza principale del medesimo rifugio e Sara si sedette sulla sedia precedentemente occupata da Frontman.

Axel era già qualche passo davanti a lei, proprio nell’attimo in cui lei decise di sedersi: attese un attimo per respirare leggermente più profondamente. Inspirò… espirò.

 

«Inizialmente non volevi nemmeno tornare: se non era per me saremmo ancora in Canada ad allenarci. Per poi essere comunque additati come fuggitivi?!» – Incominciò ad attaccare bottone sul discorso Canada, che per lei non era ancora chiuso e come se volesse metterlo fuori discussione.

«Avevamo finalmente trovato un posto che potevamo chiamare casa senza aver paura che ci potessero venire a cercare con i fucili puntati: ho cercato d’essere la persona migliore che ci si poteva aspettare, ma ho miseramente fallito in tutti i sensi. Sapevo già che appena sarei spuntato fuori, tutti quelli ansiosi di volermi morto si sarebbero fatti avanti e che ti avrebbero usato soltanto come esca per attirarmi in tutte le loro numerose trappole» – Lui si voltò leggermente dopo l’iniziare il discorso di lei, forse era già nelle sue mille turbe mentali da supereroe o già aveva pensato a come avrebbe risolto la situazione.

«Ascolta Axel, non sto dicendo che hai sbagliato… hai preferito pensare più a noi due che al resto del mondo e romanticamente è l’azione più fantastica a cui qualcuno potrebbe arrivare, ma con una guerra silenziosa a livello mondiale in atto sarebbe stato meglio preoccuparsi subito della gestione del tutto invece di starcene nell’angolino. A proposito, prima ero di ritorno dalla ricerca degli altri e sembra essere andata bene… non ho voluto interferire, ma credo che troveranno un modo per pensarci su» – Si corresse quasi subito, proprio per evitare fraintendimenti.

«Conosco le mie responsabilità, ma di certo non sarei essere l’unico a riuscire a difendere chi ne aveva bisogno: è vero che tutti noi Exiles siamo stati reclusi per circa quattro anni, ma ci hanno addestrato a utilizzarle senza che ci potessimo fare male. Sarebbe stata solo nostra l’arbitrarietà con cui le avremmo volute usare e conta risolvere le questioni, non rimuginare!» – Parlò con tono risoluto e cercante di chiudere la situazione: per non mettere altra carne al fuoco.

 

Incominciarono a discutere i due, ma Axel incominciò a controbattere quello che Sara gli diceva e queste incomprensioni erano quasi all’ordine del giorno anche se poi l’amore che provavano l’una per l’altro era talmente tanto che finivano sempre per cercare un po’ d’intimità, anche piccola, proprio perché sentivano e sapevano che erano una cosa sola. Lei s’alzò dalla sedia, guardando Axel con lo stesso sguardo malinconico con cui si sono dati il primo bacio, lui le tende le braccia e lei s’impatta su di lui. Il suo chiudere le braccia attorno alla vita di lei sta a significare soltanto che aveva bisogno di lei più che mai e che il mondo sarebbe potuto davvero crollare, ma lui non gli sarebbe importato null’altro che di lei. Quanto aveva ragione Frontman, rinchiuso perché ritenuto pericoloso da colui che non aveva accettato la sua responsabilità di salvare il mondo per amor proprio, ma in quel momento v’erano soltanto loro due e niente avrebbe scosso quel momento: si guardarono entrambi con sguardo malinconico, lui non riusciva a resistere allo sguardo di lei… i suoi occhi verde smeraldo, il suo profumo delicato e tutto quello che di dolce poteva esserci nel mondo era lì a portata di mano di un ragazzo che non voleva per nulla avere la responsabilità di salvare il mondo: nonostante sarebbe stato uno dei pochi che avrebbe potuto farlo senza il minimo sforzo. Un bacio delicato ci fu tra i due dopo qualche secondo d’attesa. Candida attesa, che rese il tutto più delicato, tanto che sarebbero contati solo due. Il resto era noia. Forse era per questo che Axel avrebbe pensato di risolvere la gravosa situazione in cui era. Passò quasi un minuto. Nessuno dei due accennava a staccarsi dall’altro in quello che era un bacio senza altre effusioni. Due minuti. Ancora nulla. Tre minuti. Si staccarono, per meglio dire Axel tolse le sue braccia dalla vita di Sara e con lo stesso sguardo malinconico gli fece capire che doveva realmente andare. Altre parole non sarebbero servite alla coppia per intendersi. Lui aprì la porta del rifugio, mentre lei si recò su uno dei letti nel rifugio a qualche metro di distanza a dove erano loro. Incominciò a correre per andare da Ted, lui che non avrebbe mai voluto arrivare alla possibilità d’intervenire personalmente. Un passo alla volta, alla velocità stabile degli ottanta chilometri all’ora… in corsa ovviamente… decise il tempo d’arrivo di Axel al “Point Break” in circa due minuti.

 

«Già di ritorno, Axel?» – Chiese Cash, nel vedere Axel così presto: in fondo erano passati solo dieci minuti dalla sua “fuga”.

«Si!» – Infatti l’unica risposta di Axel è un semplice cenno vocale.

«Probabilmente hai qualche brutta notizia da darmi: Rino è passato di qui dieci minuti fa e cercava te» – Gli disse Ted, mostrandogli le due buche.

«Hai ragione, c’è lui dietro tutto questo e questa volta lo pesto a sangue!» – A quanto pare, il totale sentimento di repulsione non vi è soltanto da parte dell’ormai dichiarato telepate, ossia del biondino capo di Mr. Grey, verso Axel, ma anche da parte dello stesso Axel. Qualche cosa sarà successo tra i due, anche se il motivo del biondo potrebbe essere puramente egoistico, ma non lo si potrebbe sapere fino a che non lo si farà parlare per bene, dandogli i suoi cinque minuti di palcoscenico.

 

«Spero per gli altri che stiano arrivando!» – Apostrofò Axel al povero Ted, quasi costretto a subirsi le turbe mentali di un superuomo insicuro anche della sua stessa ombra. Nessuno nasce vittorioso, ma tutti e due si sedettero a una delle panchine… prendendo i loro cellulari e facendo si che gli amici potessero arrivare prima possibile.

 

Nel frattempo, qualcuno era già pronto per entrare in scena.

 

«Il bastardo già ha capito che so che è tornato? Che cosa curiosa: mi è bastato far leva sulle sue emozioni in modo totalmente casuale e ha scombinato tutti i suoi favolosi piani di solitudine. Ti farò soffrire come nessuno ha mai fatto prima, ma non ti ucciderò subito: ti farò desiderare di voler morire piuttosto che vedere tutti gli altri farlo. Non dovevi lasciarmi solo, amico. Mio. Adesso provvederò io a lasciarti solo e verrai a pregarmi pur di starti vicino, a cominciare dalla sgualdrina che ti porti dietro. Voglio dimostrare al mondo che nessuno può fermarmi: tutti devono sapere chi è Mr. Ego!» – Il biondino in qualche modo, ha piazzato telecamere ovunque forse può controllare qualcuno che può pedinare chiunque lui voglia… o tutt’e due… e dunque decise quali sarebbero stati i suoi intenti al momento che Axel non si sarebbe dovuto mai più intromettersi nei suoi affari.

 

Staremo a vedere!

 

Tutto era ormai pronto per l’evoluzione degli eventi: che vinca il migliore.

   
 
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