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Autore: Danda93    12/01/2017    1 recensioni
Sono anni che Porthos non gira per la Corte dei Miracoli, eppure quel luogo rimarrà sempre parte di lui. Le mura, i panni stesi, tutto gli ricorda casa, specialmente un volto.
Dal testo:
"L’aveva rivista. Flea. L’aveva rivista durante la ronda con Aramis, senza che il compagno se ne accorgesse. Ma d’altronde il bruno non aveva lo stesso occhio esperto che possedeva il gigante. Non era cresciuto alla Corte dei Miracoli, non sapeva come si veniva allevati – o lasciati al proprio destino – né quali trucchi si era costretti a imparare pur di vedere l’alba del giorno dopo. Aveva cercato di capire, quando gliene aveva parlato, ma Porthos sapeva che l’amico non poteva comprendere fino in fondo."
Con questa Fanfiction ho partecipato al contest "Due Cuori e una Capanna" sul forum themusketeersitaly.forumfree.it, ma ci tenevo a pubblicarla anche qui.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Porthos
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’aveva rivista. Flea.

L’aveva rivista durante la ronda con Aramis, senza che il compagno se ne accorgesse. Ma d’altronde il bruno non aveva lo stesso occhio esperto che possedeva il gigante. Non era cresciuto alla Corte dei Miracoli, non sapeva come si veniva allevati – o lasciati al proprio destino – né quali trucchi si era costretti a imparare pur di vedere l’alba del giorno dopo. Aveva cercato di capire, quando gliene aveva parlato, ma Porthos sapeva che l’amico non poteva comprendere fino in fondo. Per questo non aveva notato quella che sembrava una vecchia signora avvolta in un manto grezzo e sdrucito, china su se stessa a fingere una prominente gobba, eppure le mani lui le aveva notate. Quelle mani giovani, bianche, lisce. Lui le aveva viste mentre sfioravano il manto in pesante velluto di un signorotto che passava di lì. Sarebbe dovuto intervenire, ma non lo fece. Finse di non vedere perché avvicinarsi a lei, in quel momento, avrebbe significato fronteggiare di nuovo il passato. E Porthos non era pronto. Non dopo quello che era successo con Charon.
Molti giorni erano passati da quell’istante, così tanti che il moschettiere moro quasi se n’era dimenticato. Era giunto l’inverno, era caduto uno spesso strato di scricchiolante neve fresca su tutta Parigi e sui campi nei dintorni, mentre altri fiocchi scendevano danzando dal cielo lattiginoso.

Di domenica, Porthos aveva deciso di uscire dalle mura della città, di prendere il suo selle français e prepararlo per una lunga cavalcata. Sentiva il bisogno di passare un po’ di tempo da solo, senza le battute di Aramis, gli sguardi torvi di Athos o il chiacchiericcio borioso di D’Artagnan. Aveva bisogno di prendersi una pausa, nonostante il Fleur de Lis fosse la sua ragione di vita, parte della sua identità complessa. Così sellò il cavallo dal manto bruno e montò prima di uscire dalla guarnigione al trotto, il cappello calato sul volto, il Fiore ben visibile sulla spalla. Quando raggiunse i vasti campi ricoperti di neve, si fermò e smontò dal destriero. E lì, avvolto da quel silenzio così estraneo e apparentemente lontano dal chiacchiericcio confuso delle strade di Parigi, si sentì avvolgere da un senso di beatitudine che raramente aveva provato in vita sua. Almeno finché la visuale periferica non registrò un movimento tra gli alberi che costeggiavano le lande. Uno stormo di capelli biondo cenere nascosti in malo modo da un cappuccio largo e rovinato dal tempo furono la prima cosa che le pupille del moro catturarono quando si voltò, in allerta. Bastò che le iridi color cioccolato si posassero sui lineamenti spigolosi e armonici della figura perché i muscoli del gigante si distendessero. Flea. Di nuovo. Eppure stavolta non avvertiva lo stesso nervosismo insistente che aveva provato tempo prima. Forse perché lì, nel nulla dell’immensa brughiera, erano solo loro due. Solo i due ragazzini che da piccoli si rincorrevano tra le sudice vie della Corte dei Miracoli. Lì erano solo due anime solitarie, avvolte dal dolce e freddo manto innevato dell’inverno. Per questo non si scompose quando la donna si avvicinò in silenzio, né quando le dita sottili e pallide sfiorarono lo spallaccio in cuoio duro. Non si mostrò affatto turbato. Non c’erano ruoli in quel luogo. Erano solo Porthos e Flea. Nient’altro.

«Ti avevo visto, sai? Tra la folla.» Il sussurro delicato proveniente dalle labbra sottili liberò una nuvola di condensa. «Anche io.» Era così diversa la voce dell’uomo. Calma, ma profonda, forte. Flea ricordava ancora quando era cambiata. Il periodo in cui Porthos aveva superato l’adolescenza. Lo aveva impresso a fuoco nella mente. Era il periodo in cui giocavano ai Tre Ladri, lei, il moro e Charon. Charon. Un’ombra oscurò lo sguardo della bionda per qualche secondo. Abbastanza perché Porthos la notasse. Sapeva come poteva sentirsi Flea, erano gli stessi sentimenti che provava lui. Aveva sollevato il volto delicato della ladruncola, incontrando il suo sguardo. E non aveva dovuto dire nulla. «Non ne voglio parlare.» Aveva risposto lei, con tutta la calma del mondo, mentre la mano guantata del moschettiere scivolava a sfiorare la guancia nivea. «Hai freddo?» Scosse il capo, nonostante il naso appuntito fosse rosso come le guance. Avvolse il braccio, assieme al mantello, attorno alle spalle della donna, senza che questa si scomponesse o irritasse. Non avrebbe mai ammesso una debolezza con lui, né sarebbe avvenuto il contrario. Ne erano entrambi consapevoli. E tuttavia non avevano bisogno di esprimersi per comprendersi, per leggere dentro l’altro. «Vorrei che il mondo fosse diverso. Che la vita fosse diversa.» Si strinsero attorno all’esile corpo di donna rivestito di stracci le braccia di Porthos, amorevoli e decise, mentre Flea si sollevava sulle punte per avvicinare le labbra a quelle dell’uomo, ad azzerare la distanza fisica che c’era tra loro. Mai sarebbero potuti vivere assieme come le normali coppie di Parigi, erano troppo diversi, troppo testardi. Venivano dalla polvere entrambi, ma uno tra loro era riuscito a rialzarsi, l’altra ancora si arrabattava tra i vicoli bui pieni di malviventi, senza aver ancora trovato un appiglio per cambiare vita. Senza neppure cercarlo. Nello scontro della carne, si intrecciarono le anime in una danza armonica, accarezzata dai fiocchi di neve, avvolta nel mantello del moschettiere.

Riuscivano sempre a ritrovarsi. Nonostante tutto.

«Non andare.» Ci provava ogni volta, la sua Flea. Voleva trattenerlo, impedirgli di tornare ai suoi doveri, alla sua vita. E una parte del moschettiere gli gridava di ascoltarla, di lasciar perdere tutto, di rimanere tra le braccia di quella che era stata il suo primo amore. L’altra, quella che era riuscita a guadagnarsi una vita fuori dalla Corte, invece, lo spingeva ogni volta ad andarsene, a voltarle le spalle, conscio del fatto che si sarebbero ritrovati, prima o poi. «Non posso.» La bionda accennò un sorriso «Lo so.» Sembrava rassegnata. Sapeva che quello era stato il loro ritornello da quando Porthos era tornato alla Corte dei Miracoli, da quando Charon era morto. Sapeva che quel copione non sarebbe cambiato. Lo sapevano entrambi. Eppure ogni volta erano lì, a ripeterlo. Quasi una routine. «Flea, costruisciti una nuova vita. Scappa dai bassifondi. Potresti integrarti senza problemi. Sposarti, magari. Vivere serena.» Quella però era una battuta nuova e Flea sgranò lievemente gli occhi chiari, sorpresa da ciò che Porthos stava dicendo «Meriti una vita migliore.» Le stava porgendo un borsello in cuoio grezzo, contenente chissà quante monete, guardandola come chi davvero l’amava. Come solo lui sapeva fare. «La mia vita va bene così. Non sono infelice.» «Però non sei neppure felice. Non puoi nascondermelo.» La donna gli sorrise mesta, consapevole. «Non posso accettare la carità da te. Lo sai.» «Non è carità. È una via d’uscita. È giusto che anche tu abbia una possibilità e io voglio che tu sia felice.» Era titubante, Flea, mentre guardava quel sacchetto, quella scappatoia che le veniva offerta. «A me sembrerebbe comunque carità.» Si strinse ancora tra le braccia di Porthos, mentre lui l’avvolgeva a sé. Era sempre stato affettuoso con lei, se n’era preso cura in ogni modo, anche quando lei non avrebbe voluto perché troppo orgogliosa; lui aveva sempre trovato il modo di rompere le sue difese e travolgerla col suo affetto smisurato. Se il mondo fosse stato diverso, lei sarebbe potuta essere addirittura sua moglie. «Ho sempre voluto vedere il mondo.» Il moro sbuffò un accenno di risata gutturale poggiando la guancia contro la fronte di Flea «Potresti farlo.» «Tu non ci saresti, però.» Il cuore dell’uomo perse un battito. La compagna stava ricadendo nel copione, stava cercando di nuovo di farlo allontanare da se stesso. La strinse più intensamente. «Vorrei fosse diverso, Flea.» «Potrebbe essere diverso.» Aveva già cambiato la sua vita una volta, ora non si sarebbe modificato molto. Per D’Artagnan e Constance non era cambiato molto. Lui era rimasto tra i moschettieri, lei aveva continuato la sua vita. Erano solo più felici. «Lasceresti la Corte dei Miracoli?» Un mormorio semi nascosto dai baffi scuri mentre il moschettiere abbassava lo sguardo sulla bionda. «Per te. Non ho nulla che mi trattenga lì, ormai.» Si era di sicuro ammorbidita, dall’ultima volta che ne avevano parlato seriamente, quando si era impuntata testardamente su come stesse bene tra quei vicoli sudici. Porthos li avrebbe voluti portare tutti via da lì, erano la sua gente, ma si sarebbe accontentato di Flea, se lei avesse voluto. «Sposami.» Una folata di vento gelido li spinse a stringersi l’uno contro l’altra, forse nel tentativo di mascherare quella singola parola pronunciata dal moro. E lì, avvolti dai fiocchi di neve e dalla tormenta che sembrava stesse per nascere, in mezzo ai campi nivei di Parigi, Flea alzò gli occhi azzurro cielo verso il suo moschettiere, distendendo le labbra rosee in un sorriso prima di dischiuderle per dare una risposta. «...
  
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