Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Lady_Levi_Malfoy    13/01/2017    3 recensioni
Mancavano pochi giorni alla riconquista del Wall Maria. La missione in cui stavano per imbattersi era suicida e lo sapevano tutti, ma scoprire la verità era più importante di ogni cosa. Forse per gli altri, per Levi no: a lui importava solo una persona.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Il giorno del funerale diluviava. Il cielo livido non lasciava trapelare nessuna spiegazione per quanto era successo e la pioggia scrosciava sui presenti come per sostituire tutte le lacrime che non vennero versate. Levi non si curava dell'acqua che gli colava sul volto e sul cappotto perché era come se una barriera si fosse frapposta tra lui e il mondo. Non soffriva più come i primi giorni, tutto il suo dolore si era pietrificato in una calma stanca che lo lasciava insensibile: guardava con occhi vuoti la bara di legno che lo separava dal corpo del suo amato e in qualche modo quell'ostacolo lo estraniava. Ormai apparteneva a un mondo in cui i vivi non avevano spazio. Anche le altre persone sembravano accorgersene e si tenevano alla larga da lui e dal suo volto perso dietro ai fantasmi. Lo ignoravano così come lui ignorava loro: ora che non c'era più Erwin a unirli, aveva perso ogni interesse nei confronti di quanti lo circondavano. Non c'era più nessuna ragione per restare. Non aveva dovuto organizzare nulla per le esequie perché la Polizia militare, con la scusa delle loro perdite, si era occupata di tutto. Avevano sequestrato quel funerale nel quale non avevano voce in capitolo e ora riempivano la ferita di altri con i loro discorsi infamanti. Parlavano di Erwin e del suo valore dopo averlo insultato per tutta la vita e distorcevano il suo ultimo ritratto con arroganza. Levi poteva percepire alle sue spalle la rabbia della propria squadra, costretta a subire quelle menzogne che suonavano come affronti, e si accorse che se la Polizia avesse tirato troppo la corda non avrebbe potuto trattenerli. Lui si obbligava a non ascoltare. Fino a quando lo avessero lasciato oltre il suo confine, fino a quando lo avessero dimenticato assieme alla bara che stavano coprendo di terra, tutto sarebbe stato sopportabile. Improvvisamente, nella triste messinscena che era quella cerimonia, chiesero al comandante della Legione di dire qualcosa e Hanje si fece avanti con lo sguardo cupo. Tutti si aspettavano che tenesse un discorso, ma lei esitò per qualche secondo, furiosa, poi si avvicinò a Levi e gli fece cenno di andare al posto suo. Levi la guardò con occhi di fiamme, odiandola per averlo costretto ancora una volta a tornare alla realtà, ma incontrò il suo viso e capì che era giusto così. Non gli era concesso fuggire: almeno alla fine era giusto che qualcuno dicesse la verità e facesse giustizia a Erwin. «Non rispondo delle mie parole» minacciò in un soffio. Hanje alzò le spalle: era ciò che voleva. Levi fece un respiro profondo e si portò nel mezzo dello spiazzo. Aveva addosso gli occhi di metà esercito, ma l'unica cosa che riusciva a farsi spazio nella sua coscienza era la bara di legno massiccio che attendeva nella fossa. Si tolse i capelli bagnati dalla fronte ed esordì ad alta voce «Non ho nessun diritto di parlare a nome del comandante Smith, come non ce l'ha nessuno dei presenti. Cercare di dire cosa ci fosse nella sua testa è soltanto presunzione di merda: credo che tra tutti noi non ci fosse uno solo in grado di capirlo veramente, quindi chiudete quelle bocche del cazzo e ingoiatevi i vostri discorsi!» ignorò i mormorii contrariati che si levarono attorno a lui e continuò «L'unica persona che vale la pena ascoltare oggi è lui stesso, quindi lasciate che vi legga le sue ultime parole». Mise una mano in tasca e ne tirò fuori il foglietto che gli aveva dato Hanje. Lo protesse con la manica del cappotto perché la pioggia non lo rovinasse e lo aprì con il cuore in gola. Non avrebbe voluto condividere con nessuno quel tesoro, tanto meno con i suoi nemici, ma sapeva che era giusto farlo. Quanto meno lo doveva ai suoi uomini. Prese un respiro profondo, poi iniziò a leggere l'ultima lettera di Erwin. «Perdonami Levi» disse con voce roca «Ho sempre saputo che sarei morto così, lottando per voi, per salvarvi, perché siete l'unica cosa per cui valga la pena morire. Ero orgoglioso della strada che avevo scelto, poi ho incontrato persone come te che mi avrebbero pianto e ho iniziato ad avere paura. Scusami, Levi, se ti infliggo un nuovo lutto. Scusami se ti lascio ancora una volta solo. Se le mie non sono solo illusioni, io sarò l'ultima vittima» esitò un secondo «Ti pregò non ti lasciare schiacciare: sei l'unica persona rimasta per loro, non perderti dietro ai nostri fantasmi. Vivi per dare la vita, ti imploro. È il mio ultimo ordine. Non seguirmi: portali a vedere il mare e quando ti chiederanno di me chiedi perdono a nome del loro comandante, perché anche se li ho amati non sono riuscito a proteggerli». Terminò con la voce spezzata e abbassò gli occhi cercando di riacquistare il controllo mentre riponeva il biglietto nella divisa. «Ha voluto che questo fosse il suo testamento» mormorò piano «Non sprecatelo». Nel cimitero era calato un silenzio assoluto. Stavano in silenzio tutti coloro che avevano servito Erwin e stavano in silenzio tutti coloro che lo avevano osteggiato: in qualche modo quelle parole erano stato il suo ultimo colpo di stato. Levi quasi gustò la cappa di gelo che si era stesa sulla folla: aveva avuto paura di parlare perché temeva che sarebbe crollato di nuovo, ma a quanto pareva anche il suo dolore si era spezzato con lui. Non aveva più nulla a che vedere con quella gente, era ora di andarsene, però c'era ancora un compito da portare a termine. Alzò il capo con una sicurezza che non sapeva più di avere e disse con voce sarcastica «Ho promesso che non avrei detto niente di mio, ma dopo questa toccante cerimonia credo di dover fare alcuni ringraziamenti» si voltò verso gli alti ufficiali e sorrise loro con cattiveria «Innanzitutto devo ringraziare la Polizia militare: nessuno aveva chiesto loro di venirci a rompere i coglioni con i loro convenevoli del cazzo, ma si sono sentiti in dovere di non lasciarci in pace nemmeno in un giorno come questo». I soldati della Gendarmeria si irrigidirono ostili, ma lui riprese senza lasciare il tempo di reagire «Ci avete ostacolato in ogni modo, avete cercato di distruggerci, ci avete mandato a morire per proteggere i vostri preziosi culi, avete torturato Erwin... Vi ringrazio di esservi presi la briga di venire al suo funerale anche dopo tutti questi crimini». Diede le spalle ai commenti indignati che aveva scatenato e continuò sicuro «Ringrazio la Guarnigione, sinceramente, perché ci ha supportati quando era bene farlo e in particolar modo il comandante Pixies perché, anche se non lo appoggiava sempre, ha continuato ad aiutare Erwin a fare la cosa giusta» si voltò verso i soldati che aspettavano dietro di lui, ridicolmente pochi, ed esclamò forte come se avesse avuto davanti un esercito «Ringrazio voi, le Ali della Libertà, perché lo avete seguito fin qui! Grazie per il vostro coraggio e i vostri dubbi perché vi rendono le uniche persone in grado di portare a termine il suo sogno, anche se ora vi sembra di essere stati sconfitti. Io non sono mai riuscito a capirlo, ma so che voi ce la farete!». L'aria era piena di tensione, ma non si alzava più nemmeno una voce: tutti gli occhi erano puntati su Levi, perché sarebbe bastata una sua parola per scatenare il caos. A lui non importava. Aveva già detto addio a tutti loro. «Ringrazio il comandante Zoe per essere stata la nostra migliore amica, mia e sua, e forse un giorno riuscirò a perdonarla per avermi impedito di morire». Trattenne il fiato chinandosi sulla tomba e in quel momento tutto il resto cessò di esistere. Non avrebbe saputo dire se quelle che gli scorrevano sul viso fossero gocce di pioggia o lacrime, ma aveva poca importanza in quell'istante fuori dal tempo nel quale neanche il suo corpo sembrava appartenergli. «Ringrazio te, Erwin» aggiunse in un mormorio dolce «per avermi dato la vita. Mi hai preso come tuo sottoposto nonostante tutti i miei delitti. Hai permesso che giurassi fedeltà soltanto a te, mi hai dato una meta dove andare perché vedevi più lontano di me. Mi hai dedicato i tuoi ultimi giorni» fece una pausa «Hai accettato di lasciarti amare da me e mi hai amato a tua volta. Mi hai dato tutto te stesso ed è stato l'unico dono che io abbia mai ricevuto». Quella era l'accusa di cui avevano bisogno. Non appena ebbe finito, gli uomini della Gendarmeria si fecero avanti minacciosi, ma lui estrasse lentamente le spade e riuscì a zittirli con quell'unico gesto. «Ora che avete sentito questa confessione, potete finalmente venirmi a prendere e farmi pagare gli insulti di prima» esclamò duro «Ma sappiate che non mi lascerò portare via senza combattere, per il solo fatto che non permetterò ai nemici di Erwin di toccarmi senza cercare di ammazzarne il maggior numero possibile» roteò le lame facendole scintillare nella luce cupa delle nubi «Ma prima di venire a sgozzarvi contro le mie spade, ascoltate ciò che devo dire. Vi do l'opportunità di liberarvi di me senza mandare a morire nessuno: mi esilio da solo». Aspettò la reazione inevitabile a quella decisione apparentemente assurda. «Uscirò dalle mura, non per farmi ammazzare, come potreste supporre, ma per cercare di vivere, perché qui non posso più farlo» distolse lo sguardo dalla folla e concluse brusco «È la mia ultima opportunità di obbedire al mio comandante, per cui non rompetemi le palle e lasciatemi andare!». Si voltò e tornò sui suoi passi. Che lo attaccassero, se ne avevano il coraggio: avrebbero finalmente scoperto di cosa fosse in grado quando non c'era nessuno a trattenerlo. Gli uomini della Gendarmeria avanzarono veloci e si prepararono a colpire, ma in quel momento la sua squadra si richiuse ad ala attorno a lui e portò la mano alle spade. Gli avversari esitarono un secondo, ma quando Mikasa si preparò a combattere preferirono ritirarsi. Lo lasciarono passare e Levi non poté non sentirsi suo malgrado orgoglioso. Nessuno dei loro corpi scelti sarebbe stato in grado di competere con uno solo dei suoi sottoposti: la resistenza di Erwin non sarebbe caduta con lui. Non fece nulla per dire addio ai suoi compagni, se ne andò mentre gli coprivano le spalle e si allontanò da tutto. Abbandonò la caserma e, preso un cavallo, si avvicinò al cancello. Con il tramonto aveva smesso di piovere e ora il cielo era coperto di nubi pesanti. Non si accorse subito della figura che lo aspettava davanti all'uscita e fu Hanje ad avvicinarsi per prima, con ancora il cappotto fradicio addosso. Lo aveva seguito fino a lì, ma non disse nulla perché in fondo non c'era nulla da dire. Levi la guardò, poi si tolse lentamente la divisa e gliela gettò addosso. Hanje la prese al volo e lo osservò mentre si accomodava il sistema senza segni di riconoscimento addosso. «Tornerai?» chiese soltanto. Levi alzò le spalle. Non lo sapeva e non voleva pensarci. L'unica cosa di cui era certo era che, se voleva obbedire, doveva allontanarsi il più possibile da quelle mura che avevano preteso la vita di Erwin. Non salutò Hanje, anche se rimase ad aprire il cancello per lui, e galoppò fino a quando ebbe forze. Solo allora, quando si ritrovò solo in terra scoperta, riuscì di nuovo a respirare. Non aveva paura dei giganti, ma non riusciva più a trovare in sé altro che disperazione: cosa resisteva ora che era rimasto solo per sempre? Gli sembrava di affogare in un mare nero e senza coste. E proprio quando gli sembrò che le tenebre lo avessero inghiottito, le nubi si squarciarono lasciando intravvedere uno spicchio di cielo. Alzò gli occhi per guardarlo e lei era là, con la sua luce fioca e traballante, che lo chiamava indietro. Levi riuscì a rivolgere un sorriso stanco alla prima stella e mormorò tra sé e sé «Ho vinto di nuovo, Erwin» chinò il capo in un dialogo silenzioso «Vivere, che razza di ordine... Vedrò quel che posso fare, ma non ti garantisco nulla». Si fermò e, con un movimento delle dita, indirizzò un bacio alla stella solitaria. «Tu però non lasciarmi più solo».
   
 
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