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Autore: EvelynJaneWolfman    14/01/2017    1 recensioni
Nulla sconvolge il grigio e monotono mondo di Scott, tranne Dawn, la ragazza che gli ha rubato il cuore ai tempi del liceo e che non vede da anni. E quando finalmente la rincontra, i due si lasciano andare ad un momento di passione, sempre sognato da entrambi, prima di dirsi addio nuovamente. O almeno questo è quello che pensa lui, perché due mesi dopo a bussare alla sua porta è proprio la bionda con una sconvolgente notizia: aspetta un bambino! Scott non accetta quell'improvvisa bomba nella sua vita, non è in grado di prendersi cura di un bambino. Come se non bastasse in paese lo odiano tutti, complice il comportamento orribile dei suoi genitori nei confronti della comunità, e sa che per suo figlio crescere accanto a lui significherebbe vivere le stesse situazioni orribili che ha vissuto egli stesso nella sua infanzia, trasformandolo nel mostro che è ora. Dawn però è caparbia, tenace e non si arrende: vuole un padre per suo figlio e l'uomo che ama per sé. Ed è disposta a tutto pur di farsi accettare da lui, anche sconvolgere la vita degli abitanti di quel piccolo paese, portando alla luce segreti e crudeltà ancora da scontare.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 1

 

 

 

Ci siamo, si disse. Era a Yellowknife, finalmente. Dopo aver passato due giorni terribili sull'autobus, combattendo tra la nausea mattutina e l'odore che cinquanta persone insieme in un posto così ristretto creavano. Per non parlare delle due vecchiette sedute di fronte a lei, avevano parlato per quasi tutto il viaggio e lei non era riuscita a dormire bene, non che fosse arrabbiata con quelle due signore, aveva letto la loro aura e sapeva che erano due brave persone e di solito lei non si innervosiva mai. Di solito.
La causa del suo crescente nervosismo era un'altra e tra poco sarebbe stata anche ben visibile...

Si posò una mano sul ventre e sospirò, stringendo nell'altra il piccolo bagaglio che aveva con sé: uno zaino che conteneva qualche vestito ed il poco che le sarebbe servito per qualche giorno. Sapeva di non aver garanzie, ed era partita abbandonando tutto per il bene del suo bambino, perché nonostante sapesse di avere solo una misera percentuale di vittoria, lei doveva provare a dare un padre alla creatura che cresceva dentro di lei.

Non aveva mai pensato di trovarsi in una situazione del genere, incinta così giovane di un ragazzo che aveva così tanti problemi, e che sicuramente le avrebbe sbattuto la porta in faccia, ma non importava. Lui doveva sapere dell'esistenza di quel bambino e lei avrebbe fatto di tutto per far sì che lo accettasse e amasse, non importava se non avesse mai accettato o amato lei.

Ritornò con la mente alla sera di due mesi prima, quando era stata invitata ad una rimpatriata dei compagni di liceo, che non vedeva da anni. Si era appartata fuori in disparte, come al solito, tra gli alberi a guardare la luna piena che illuminava il cielo notturno. Non aveva notato la presenza del rosso, né aveva percepito la sua aura, stranamente. E quando lui era venuto fuori dal nulla, lei aveva nascosto lo spavento in un saluto apparentemente calmo, tornando a concentrarsi sul satellite luminoso, ignorando il ragazzo ed il cuore che batteva furioso, come succedeva ogni volta che pensava a lui o lo aveva accanto.

Non lo aveva mai dimenticato durante quei tre anni e l'aveva perdonato per il modo poco carino con cui l'aveva sempre trattata, gli avrebbe perdonato ogni cosa, come lui avrebbe dovuto perdonare tutte le persone che lo avevano ferito e ricominciare a vivere.
Erano restati così per un po', lei a fissare la luna e lui immobile dietro di lei. Poi, era tutto cambiato; lei si era ritrovata stretta a lui, a ricambiare il bacio che mai si era aspettata di ricevere, a ricambiare i battiti frenetici del cuore, i respiri ansanti e le carezze.
All'improvviso, aveva sentito l'erba fredda contro la pelle nuda della schiena e si era resa conto che il suo maglione e la camicia erano spariti. Ma non lo aveva fermato, perché per la prima volta negli occhi di Scott, aveva visto brillare un'emozione che non era l'odio e che le aveva causato un brivido lungo la spina dorsale. Così, si era semplicemente stretta a lui ed aveva vissuto il momento più bello della sua vita, donandogli qualcosa che non aveva mai donato a nessuno. Ed infine, lui l'aveva tenuta stretta contro il petto, come se fosse la cosa più importante al mondo, e per poco lei era stata davvero felice. 
Ma quel momento era durato un attimo, lo stesso misero attimo del battito d'ali di una farfalla, perché lo aveva sentito sussultare all'improvviso, come se qualcuno o qualcosa lo avesse spaventato, allontanarsi da lei e vestirsi in fretta, lasciandola sola e ferita.

Il vento gelido penetrò attraverso i vestiti, facendola rabbrividire e riportandola alla realtà. A distanza di quasi due mesi, quel rifiuto silenzioso le faceva ancora male. Certo, non si era illusa, ma dopo ciò che avevano condiviso non si sarebbe mai aspettata di vederlo fuggire a quel modo; come se lei fosse stata una lebbrosa.
Sospirò ed infilò la mano nella tasca laterale degli jeans che indossava e ne tirò fuori un fogliettino stropicciato, lesse attentamente l'indirizzo che vi aveva scritto sopra, quello di Scott, e se lo portò al petto in una muta preghiera alla madre terra. Non era di certo stato facile abbandonare la sua città, le sue certezze, i suoi genitori e tutto ciò in cui avrebbe potuto trovare sostengo, per quel viaggio, per Scott e per il loro bambino.
Lui l'avrebbe cacciata, oh sì che l'avrebbe fatto. Lo sapeva. Ma il cuore traditore sperava, pregava davvero che la mente si sbagliasse.

Si sistemò lo zaino su una spalla ed iniziò a camminare per i negozi colorati di quella cittadina, piena di profumi e facce che non aveva mai visto. Anche gli alberi e la vegetazione che la circondava le sembrava così estranea, nonostante fosse identica a quella di Toronto. In lontananza, poteva scorgere gli alti edifici che si trovavano a nord di Yellowknife. Quella città sembrava divisa in due: da una parte c'erano edifici moderni ed ogni genere di negozio; dall'altra casette colorate, fattorie, negozi artigianali ed il bellissimo lago che l'aveva subito incantata dal grande finestrino dell'autobus.

Dopo qualche minuto di cammino, si rese conto di non sapere dove fosse. Si era allontanata molto dalla fermata dei bus, da cui era partita, e non sapeva nemmeno come tornare indietro. In poche parole, si era persa. 
Mordicchiandosi il labbro inferiore con agitazione, iniziò a guardarsi intorno, cercando di non farsi prendere dall'ansia e dalla paura, e solo in quel momento notò che alcune persone la stavano fissando con curiosità.
Immaginò che per loro non fosse abituale ricevere turisti, soprattutto non giovani e soli, così ora lei si trovava al centro delle loro attenzioni e chiacchiere.

Nascose il disagio e cercò con lo sguardo una via di fuga e un aiuto per riuscire a trovare la casa di Scott. In quel momento, sentì il coraggio venirle meno e quasi si maledisse per essere partita da sola per una cittadina così lontana, poi si ripeté che faceva tutto quello per il suo bambino e che doveva essere forte.

Sì, devi essere forte Dawn...

Fece vagare lo sguardo verso il negozio di ferramenta poco distante da lei, e notò un uomo piuttosto anziano che stava caricando del fieno su un camioncino dalla vernice blu consumata dal sole. Avrebbe chiesto a lui indicazioni per arrivare da Scott. Si avvicinò lentamente, soppesando mentalmente cosa dire senza che si lasciasse scappare qualcosa di troppo. Immaginava che ancor prima del calar del sole, tutti avrebbero parlato di lei e di certo non voleva dare loro altra carne da mettere a fuoco lasciandosi scappare dettagli intimi e succosi come la sua gravidanza.

Si avvicinò all'uomo, che le dava le spalle, ripetendosi per l'ennesima volta che doveva essere forte. 
«Mi scusi...» Iniziò un po' in imbarazzo, non le era mai capitato di chiedere informazioni a qualcuno, ma c'era una prima volta a tutto ed ormai lo sapeva bene. 
L'uomo si voltò di scatto e, dopo un primo momento di perplessità, iniziò a squadrarla da capo a piedi. Lei tossicchiò, allontanando l'imbarazzo che rischiava di farla desistere dal suo intento. «Potrebbe indicarmi come arrivare a questo indirizzo?» Finì, porgendo il foglietto all'uomo, che lo prese con curiosità dalla sua mano e lo portò a qualche centimetro lontano dagli occhi, socchiudendoli per poter leggere.

Appena gli occhi stanchi, e non più giovani, dell'uomo si posarono sulle parole da lei impresse sulla carta ed il cervello ne assimilò il significato, sgranò le iridi azzurre sorpreso e rilesse l'indirizzo, poi alzò lo sguardo su di lei e la fissò scettico. 
«Vuole andare alla fattoria dei Douglas? Ne è sicura?» Le chiese incredulo, sorprendendola.

«Sì, potrebbe indicarmi dov'è, per favore?» Dawn poté capire chiaramente il motivo della sua reazione leggendogli l'aura, la famiglia di Scott non era benvoluta e le persone di quella cittadina preferivano non aver rapporti con loro. E lei conosceva bene la sensazione che si provava quando gli altri ti tengono alla larga, anche se in questo caso la reazione era scatenata dai genitori del ragazzo e non da lui in particolare.

Sentì l'uomo sospirare e grattarsi la barba, indeciso se accompagnarla o meno. «So dove abitano e l'accompagnerò io, signorina.» Accettò infine, aggiungendo anche un altruistico passaggio che lei non si sarebbe mai aspettata.

Stava per rifiutare, ma l'uomo non le diede il tempo di farlo.

«Non accetto una risposta negativa, è molta la strada da percorrere a piedi ed oggi è anche una giornata fredda.» Una folata di vento gelido la fece tremare e battere i denti, come se madre natura volesse dare ragione all'uomo e convincerla ad accettare. Camminare per molto tempo non avrebbe fatto bene né a lei né al bambino, ed ora lui veniva prima di tutto, ragionò infine.

«Va bene, accetto volentieri il passaggio, se non vi reca disturbo.» Si arrese, aveva troppo freddo per mettersi a discutere. Se la strada da percorrere era davvero troppa, con quel gelo si sarebbe congelata prima di arrivare a destinazione e lei non doveva pensare solo a se stessa ora. E poi, l'uomo era una persona per bene quindi poteva stare tranquilla.

Il vecchietto le sorrise amichevolmente, nel tentativo di rassicurarla. 
«Nessun disturbo, signorina.» Con un gesto del capo, le ordinò di salire sul veicolo.

Dawn si affrettò a salire sul furgone, notando con piacere che il riscaldamento era accesso. Sospirando contenta, si abbandonò contro il sedile mentre l'uomo la raggiungeva nell'abitacolo e metteva in moto.

***

Erano partiti già da qualche minuto, ma nessuno dei due aveva aperto bocca. Dawn era troppo occupata a godersi il caldo per parlare, mentre l'altro aveva paura di essere troppo invadente, ma dopo qualche momento di indecisione, l'uomo decise di rompere il silenzio.

«Come mai è qui, signorina? E soprattutto, come mai si sta recando dai Douglas? Scusate la mia curiosità, ma sono anni che nessuno va più a trovare quella famiglia.» Rise nervosamente lui, tenendo lo sguardo fisso sulla strada dinanzi a sé.

«Sono un'amica di Scott.» Rispose semplicemente, guadagnandosi un'occhiata incredula dall'uomo.

«Non sapevo Scott avesse degli amici. Certo, quando era piccolo ne aveva molti, ma poi...» Lui tossì teso prima di continuare, cambiando però discorso. «Comunque, sono felice che abbia un'amica, lei sembra una brava persona.»

Dawn lo ringraziò con un sorriso e ripensò a quello che l'uomo le aveva rivelato. Scott aveva avuto degli amici da bambino, chissà se ne aveva ancora qualcuno, ne dubitava fortemente. Comunque, quello significava che forse c'era ancora speranza per lui.

«Io sono Anderson, piacere di fare la sua conoscenza.» Riprese dopo un po' lui, ricordandole di aver accettato un passaggio senza nemmeno presentarsi.

«Io sono Dawn, mi scuso per non essermi presentata prima ed è un piacere anche per me conoscerla.» Sorrise gentilmente e si richiuse di nuovo nel silenzio. Era passato tanto tempo dall'ultima volta che una persona le aveva parlato spontaneamente e senza timore, esclusi alcuni compagni del liceo, ovviamente. 
Le poche persone che la conoscevano a Toronto, non le rivolgevano mai la parola e la evitavano, avevano troppa paura che lei potesse scoprire i loro segreti e questo li metteva a disagio.

«Eccoci qui, signorina.» Anderson parcheggiò l'auto davanti ad una fattoria in rovina ed apparentemente disabitata. Il legno del recinto che bloccava l'entrata agli sconosciuti, era marcio e la casa che un volta doveva essere stata rossa, ora rovinata e bisognosa di una riverniciata. Il portico era decadente ed aveva bisogno di una ristrutturazione, come tutte le strutture che riusciva a scorgere, fienile compreso.

«La ringrazio mille per il passaggio, Anderson.» Scese dal furgone e rabbrividì per l'ennesima volta al vento gelido che la investì, diede un ultimo saluto all'uomo che le aveva risparmiato una gran bella "passeggiata" e si avviò verso la struttura in rovina.

«Stai attenta ragazza, anche se sei un'amica di quel ragazzo, ti consiglio di non abbassare la guardia.» L'avvertì lui, prima di ripartire, lasciando dietro di sé una nuvola di polvere.

La bionda scavalcò il recinto marcio ed attraversò il piccolo vialetto che la separava dalla casa di Scott. Lentamente, salì gli scalini in legno del portico, sentendone scricchiolare qualcuno. Sembrava la scena di un film horror, anche il posto era perfetto.

Arrivò davanti alla zanzariera che precedeva la porta, anch'essa rovinata e consumata dagli anni, e busso velocemente prima che il coraggio le mancasse.

Le luci in casa erano spente e per un momento credette che non ci fosse nessuno, poi, dopo qualche minuto, la luce di quello che doveva essere il salotto si accese e le si bloccò il respiro in gola, mentre il corpo si irrigidiva per la tensione.

Sentì un tonfo, seguito subito dopo da una colorata imprecazione ed un borbottio. Sì, quello era proprio Scott.

***

Chi cavolo rompeva a quell'ora? Si chiese Scott, entrando in salotto.

Erano solo le dieci di mattina e a lui piaceva stare a letto almeno fino a mezzogiorno, soprattutto ora che non c'erano i suoi genitori a rompergli le scatole. 
Si strofinò gli occhi, ancora intontito dal sonno, ed andò a sbattere con il piede contro una delle sedie che circondavano il tavolo.

«Porca puttana!» Sbottò, zoppicando verso l'entrata e maledicendo chiunque si trovasse dall'altro lato.

Aprì la porta e la zanzariera, e si ritrovò davanti la figura di una biondina minuta che si stava torturando le mani. All'inizio non la riconobbe, forse per l'abbigliamento tanto diverso da quello che aveva di solito o per i capelli leggermente più corti, poi i suoi occhi la misero a fuoco e lui rimase paralizzato sul posto.

«Cosa ci fai qui?» Chiese il rosso, sorpreso dalla visita di quella ragazza che non vedeva da due mesi e che, invano, cercava di togliersi dalla mente. Ricordava ancora il profumo della sua pelle, il sapore delle sue labbra ed il leggero dolore causato dalle sue unghie che penetravano la carne delle spalle...

Scott scosse il capo, scacciando quel ricordo piacevole e doloroso al tempo stesso. Doveva riprendersi, cacciarla, mandarla via prima che si lasciasse andare al bisogno quasi istintivo di assaporare di nuovo le sue labbra.

«Ciao anche a te, Scott.» Lo salutò ironicamente lei, poi la sentì sospirare e cambiare atteggiamento prima di riaprire bocca. «Io devo dirti una cosa importante.» Lo freddò, notando che stava per aprir di nuovo bocca.
Dawn aveva uno sguardo deciso, la schiena dritta ed il mento alzato, come un soldato che si preparava alla guerra. Non se ne sarebbe andata, dedusse lui. Non l'aveva nemmeno invitata ad entrare, la ragazza però non sembrava curarsene e se ne stava sotto il portico con quell'espressione decisa che poche volte, se non mai, aveva visto comparire sul suo volto sempre dolce e gentile.

«Va bene, dì quello che devi dire e sparisci.» Sbottò spazientito. Una parte di lui gli gridava di far entrare la ragazza, abbracciarla ed amarla come aveva fatto due mesi addietro, ma quella orgogliosa e crudele che usava come scudo, e che ormai aveva il sopravvento su di lui, gli ordinava di sbarazzarsi presto di quella distrazione e tornarsene dentro ad ammazzare topi e godersi la pace lasciata dalla partenza dei suoi genitori.

«Sono incinta, Scott.» Gli rivelò con apparente calma. Quella notizia lo colpì con la stessa intensità di un pugno nello stomaco, ma non diede a vederlo; anzi, indossò la solita maschera da stronzo e si affrettò a risponderle.

«Quindi che vuoi ora?» La ragazza non batté ciglio alla sua risposta fredda e dura, come se si fosse aspettata esattamente quella frase da lui e questo lo fece imbestialire. Ogni cosa che faceva o diceva, sembrava non avere effetto su di lei, come se sapesse sempre prima di lui cosa avrebbe detto o fatto.

«Nulla, non voglio nulla. Ho solo pensato che dovevi saperlo.» Gli rispose lei, mantenendo ancora sul viso quell'espressione decisa e fiera.

«Bene, ora puoi andartene.» Fece un passo indietro per chiudere la zanzariera e lei fuori dalla propria vita, quando la ragazza parlò di nuovo:

«Rimarrò a Yellowknife, Scott. Resterò fin quando non ci accetterai ed accetterai te stesso, quello vero, quello che ti ostini a tenere dentro. Quello che già ama questo bambino.» Affermò decisa, portandosi una mano sul ventre.

Si trattenne dal riderle in faccia, davvero credeva che avrebbe accettato lei ed il bambino? Sciocca, pensò, e qualcosa all'altezza del cuore lo fece sudare freddo: senso di colpa. Scacciò quella sensazione e tornò a fissarla freddamente.

«Davvero vuoi rimanere in questo posto di merda?» Rise. «Bene, fai pure, ma non credere che alla fine il tuo sforzo avrà l'effetto sperato.» Sputò velenoso.

«Puoi mentire a te stesso, Scott, ma non a me.» Replicò dolcemente lei, una dolcezza che aveva il potere di ucciderlo.

«Davvero? Te lo dice la mia aura?» La prese in giro lui.

«I tuoi occhi mi parlano prima della tua aura.» Gli rispose candidamente, poi si voltò e si allontanò lentamente.

Scott rimase pietrificato sulla soglia di casa. I suoi occhi gli parlavano prima della sua aura? Si portò una mano all'occhio sinistro, come se toccandolo potesse capire effettivamente se fosse vero o no. 
Scosse la testa, dandosi dell'idiota, chiuse la mano a pugno ed entrò dentro, sbattendo la zanzariera e la porta.

Maledetta Dawn!

Perché? Perché si era infilata nel suo cuore? Stava così bene prima, in compagnia soltanto del suo dolore e del suo odio. Poi era arrivata lei, e bastava solo il suono di quella voce dolce e calma per spegnere un risentimento che durava da talmente tanto tempo, da non sapere più nemmeno lui quando esattamente avesse iniziato a provarlo.

Ed ora... un bambino! La maschera voleva davvero non saperne nulla, ma l'altra parte di se stesso cercava di riemergere dal buio della sua anima, urlandogli di rincorrerla ed accettare quella possibilità di essere felice, ma lui aveva paura e da codardo preferiva restare nascosto nella sua oscurità.
Lei aveva detto che sarebbe rimasta lì finché lui non avesse accettato loro e se stesso, ci sarebbe davvero riuscita? Quella parte nascosta di Scott pregò di sì.

Tornò a letto, scombussolato ed infuriato. Solo che non sapeva se lo fosse con Dawn o con se stesso.

***

Dawn si allontanò dalla fattoria di Scott, trattenendo le lacrime. Le parole del ragazzo l'avevano ferita, anche se già se l'era aspettate. 
Il problema era che lei, indipendentemente da quello che riusciva a vedere e percepire, era una ragazza qualunque e sognava esattamente come tutte le altre. Ed in fondo, aveva sperato che lui l'avrebbe almeno ospitata per quella notte. Sfregò le mani sulle braccia per darsi un po' di calore, per fortuna era quasi mezzogiorno altrimenti avrebbe dovuto sopportare un freddo ancora più pungente. Stanca ed affamata, Dawn si fermò per un po' a recuperare fiato, la testa le girava e la nausea era tornata, nonostante avesse svuotato il suo stomaco poco prima di arrivare in città.

Si sedette per terra e chiuse gli occhi, respirando lentamente, doveva calmarsi e pensare a cose positive. Rimase così per un po', fino a quando sentì un furgone fermarsi di fronte a lei, solo allora riaprì gli occhi; ritrovandosi di fronte una donna anziana dai lunghi capelli grigi e lo sguardo curioso, che si sporse dal finestrino per fissarla intensamente.

«Cosa ci fai lì per terra?» La domanda era stata formulata con un tono irritato e curioso, ma Dawn poté leggere l'autentica preoccupazione nell'aura della donna.

«Sto solo riprendendo fiato.» Si rialzò, togliendosi la polvere dai pantaloni con delle pacche e spostando lo zaino sull'altra spalla.

«Sei nuova di qui, giusto?» Chiese ancora la donna, socchiudendo gli occhi per guardarla meglio.

Dawn annuì.

«E non hai un posto dove stare, ho indovinato?» Continuò l'enigmatica sconosciuta.

Dawn scosse la testa, in un gesto affermativo.

La donna sospirò pesantemente, poi parlò di nuovo. «Salta su scricciolo, starai nella mia fattoria. Mi servivano proprio due braccia in più.»

La bionda la fissò sorpresa e completamente senza parole, era in quella città da meno di un'ora e questa era già la seconda persona che le dava una mano. Non era abituata a tutto quell'altruismo, anche perché di solito quella altruista era lei.

Notando che la ragazza non accennava a muoversi, la donna batté con forza una mano sulla portiera bianca. 
«Allora, ti muovi? Credi che la vecchia Caroline abbia tempo da perdere? Il mio soggiorno su questa terra è agli sgoccioli ed ho ancora molte cose da fare prima di andarmene.»

Dawn rise involontariamente a quella frase, non voleva darle l'impressione di ridere di lei, ma sentirle dire che le rimaneva poco tempo nonostante apparisse così piena di energie, era davvero il colmo. Ringraziando la madre terra per il suo aiuto, andò verso il sedile del passeggero ed entrò in auto.

«Finalmente.» Sospirò Caroline, appena la bionda si fu chiusa la portiera alle spalle, e ripartì a grande velocità, senza degnarla di uno sguardo.

Sollevata, Dawn si accarezzò il ventre, sentendosi più tranquilla.

Non ti preoccupare piccolino, andrà tutto bene vedrai, pensò, in un tentativo di rassicurare il bambino, anche se era lei quella che ne aveva più bisogno. Doveva tenere duro e combattere, solo così non avrebbe mai avuto rimpianti.

 







  
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