Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: Pandroso    16/01/2017    2 recensioni
QUARTA ONE SHOT PUBBLICATA (Guest star di turno: CROCODILE)
Non importa quanto si creda crudele, ogni cuore è capace di ferirsi.
A volte, le ferite non guariscono, continuano a sanguinare, diventano più profonde, e uccidono, se si è fortunati. Ma se si sceglie di non morire, queste si tramutano in una spietata condanna.
Raccolta dedicata alla Famiglia Donquijote. NON è una Yaoi anche se... scopritelo da soli.
Dal I:
Con gli occhi, Rosinante osservava la follia di suo fratello. Col corpo ne avvertiva la perversione farsi largo attraverso le mani… e la lingua, che gli stava impastando il collo leccandolo quasi fosse stato commestibile.
«Tu sei buono, fratellino, sei buono come la mamma »
La voce di Doflamingo sembrò vibrare sulle note del tritono del Diavolo.
Dal IV:
«[...] Cosa pensi, che basti allungare uno di quei tuoi odiosi sorrisetti e Kaido ti obbedirà come una sgualdrina?»
«Fu fu fu, allora sai perché sono qui... Comunque, caro secchio di sabbia asciutta, Kaido farà di meglio: me lo succhierà tutti i giorni e gli piacerà farlo!»
Consigliata come lettura serale. Ma attenzione che i contenuti sono forti, l’ho messo pure nelle note.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Crocodile, Donquijote Doflamingo, Donquijote Family, Donquijote Rocinante, Trafalgar Law
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
  

Mein Herz Brennt

 

 

4. Tamburi di guerra: la Famiglia si riunisce.

Parte prima di due

 

"I will save
you from yourself
Time will change everything about this Hell.."



Dal passato non si poteva scappare. Rosinante lo sapeva.
Era diventato Capitano di Fregata, un ufficiale superiore; la nuova giacca bianca con le controspalline dalle nappe dorate gli conferiva smodata severità, ingessandolo un po’.
L’anziana sarta che gli aveva confezionato la divisa lo aveva ricoperto di complimenti: alto quasi tre metri, spalle larghe, membruto ma asciutto, una bella branda; così ammantato assomigliava ad una colonna in marmo, col viso di un angelo. Lui era arrossito.  
La promozione non era un problema unicamente sartoriale, significava guai più grandi da affrontare, decisioni pericolose da prendere...
Se qualcuno fosse stato a conoscenza della sua storia, delle sue origini, vedendolo ora marine, lo avrebbe elogiato ricoprendo il giovane capitano di futili panegirici: “bravo ragazzo, sei riuscito a superare il trauma, hai dimostrato d’avere forza d’animo e coraggio, complimenti!”

Ma nessuno conosceva il suo passato e la tragedia che era stato. 
Le congratulazioni arrivarono lo stesso, il grado lo aveva guadagnato: era uno dei migliori uomini di cui Sengoku poteva vantare. Forte, sincero, d’animo buono... smisuratamente buono; aveva sempre combattuto in prima linea senza tirarsi mai indietro. Esemplare.
I suoi genitori sarebbero stati orgogliosi di lui. Anche se, se fossero rimasti in vita, forse Rosinante non sarebbe stato marine. 
Ed erano morti.
La Marina non l’aveva scelta, era stata lei a trovarlo e ad accoglierlo. Un colpo di fortuna che lo aveva messo al sicuro. 
Lui non sapeva a chi rendere grazie, se ai genitori finiti male o all’uomo che lo aveva tolto dalle braccia della morte. 
Quello a cui però Rosinante non credeva affatto, era di aver ricevuto grazia gratuita. Se lui era lì, c’era un motivo. Il suo passato, appunto. Impossibile dimenticarlo, o confonderlo tra passi di marcia e gradi militari; non lo poteva ingannare, né mutarne l’eredità, e credere di potervi riuscire era una scappatoia rassicurante adatta ai vigliacchi. Rosinante non cercava scorciatoie. 
Il “neo” Tenente Colonnello lo aveva lasciato esattamente lì dov’era, il passato, in implicita attesa; mentre lui veniva cullato e addestrato nel bene per difendere e fare del bene. 


Quel mattino, al Quartier Generale della Marina, la giornata si presentò gloriosa, indorata dal sole e resa più bella dal sorriso del giovane marine.
Vedere Sengoku, l’Ammiraglio, suo padre adottivo, arridergli fiero e commosso, scaldava il cuore.
Per un attimo, così breve da non poterlo pensare, sentendosi felice, Rosinante permise alla luce di entrare, di illuminare le ombre antiche che celava dentro di sé. Commise uno sbaglio, il peggiore.
Le ombre, infastidite come chirotteri sorpresi dal sole, si svegliarono, infransero la loro immobilità, si scatenarono contro di lui.
Era stata un’ingenua disattenzione la sua, che non tardò ad essere punita.
La pena arrivò puntuale, da lontano, scortata dal vento della tempesta, nelle sembianze di una nave da guerra di ritorno a Marineford.
La nave portava con sé nembi neri, latori di un atroce messaggio, un memento mori che emanava i miasmi d’una carogna imputridita.

Ciò che Rosinante aveva da sempre temuto e sapeva... stava per accadere.


 

***

 

Strofinò le dita sulla carta ruvida del manifesto umido di pioggia, l’inchiostro venne via sporcandogli la pelle dei polpastrelli. Il manifesto era terribilmente vero, ma Rosinante continuava lo stesso a saggiarne la concretezza, dubbioso. 
Aveva preso il manifesto dalle mani di uno dei marine scampati all’eccidio e ora operato d’urgenza; anche stando fuori dall’infermeria, Rosinante poteva udirne le grida: al sopravvissuto i dottori stavano amputando una gamba, resa irrecuperabile a causa delle numerose ferite riportate. Gli aveva detto bene, in fondo, a lui e ad altri sei compagni rimasti in vita; il resto dell’equipaggio, invece, era stato trovato ovunque sparso sulla nave, da prua a poppa. 
I pezzi dei cadaveri erano stati già raccolti, ma non senza ripetute perdite di coscienza da parte dei poveri malcapitati incaricati di ripulire lo scempio. Nessuno però aveva avuto l’accortezza di suddividerli, i pezzi, né di abbinarli e metterli in sacchetti separati; sarebbe stato un rompicapo per i medici riunire le parti, come in una sorta di macabro puzzle. 

Sul manifesto, Rosinante lesse il suo cognome stampato in grandi caratteri: Donquijote. Si chiamava così e faceva senso leggerlo lì sopra. 
Rosinante Donquijote, nome e cognome. 
Di quest’ultimo, nessuno in Marina ne era a conoscenza. Era parte del passato che non aveva mai rivelato. 
A seguire il cognome, c’era un nome... come dimenticarlo questo! Naturalmente, non era il suo. 
Sull’avviso di taglia, perché questo riportava il manifesto, campeggiava una foto. 
La foto ritraeva il primo piano di un volto sconosciuto, ma a lui decifrabile. 

Dofy...

Pensò, e la patina che fino a quel momento aveva ricoperto e nascosto gli scheletri della sua infanzia venne spazzata via: il passato era vivo, mai stato passato, e stava tornando con la frenesia di volersi rivelare, rivendicando il suo posto, il trono, e non soltanto nella vita del marine, ma nel mondo intero, per sovvertirlo, fagocitarlo nel male. Distruggerlo.
Rosinante guardò ancora la foto, dopo arrotolò il foglio con cura e lo custodì nella nuova giubba. 
Aveva preso una decisione, doveva comunicarla all’Ammiraglio.


 

***


 

Sengoku guardava con attenzione lo scafo della nave, seguiva con gli occhi i profondi solchi che dilaniavano il legno spesso. L’albero di trinchetto non c’era più, il parapetto a babordo divelto. Non era stata opera di uomini normali, neanche di mostri marini. V’era meticolosità chirurgica in ogni squarcio.
I medici avevano contato in tutto quarantun vittime e sei feriti, uno era morto da poco, aveva perso parecchio sangue e la trasfusione non era stata sufficiente a salvarlo. 
Quella stessa nave, circa una settimana prima, era partita per controllare alcuni movimenti sospetti nelle rotte che collegavano tra loro piccole isole poco distanti dal Mare Settentrionale, e che, sicuramente, stavano diventando punto di scambio per i pirati. 
Non avrebbe dovuto essere una missione pericolosa, ed erano stati inviati la maggior parte dei novizi.
A morire. 

Sengoku non si dava pace.

«Questo non ci lascerà indifferenti, Ammiraglio» una voce attirò l’attenzione dell’uomo, non gli fu necessario voltarsi, l’interlocutore lo raggiunse; era il viceammiraglio Tsuru. 
«Non mi aspettavo nulla di simile» confessò l’Ammiraglio.
«Li fermeremo, i nostri agenti stanno indagando sui possibili responsabili» disse lei con volto cinico e sprezzante.
«E li giustizieremo – aggiunse l’uomo – Salperai oggi, Viceammiraglio?» le domandò.
«Non starò qui a piangermi addosso»
Sengoku abbozzò una smorfia, «Sta’ attenta, Tsuru»
«Riserva le tue preoccupazioni per qualcun altro. Siamo marine, abbiamo un compito da svolgere: stroncare la pirateria, in ogni sua forma, esattamente per evitare questo genere di truculenti accadimenti. Il pericolo è il nostro mestiere, lo sai, non fartene una colpa» finì lei, sciogliendo le braccia che teneva perennemente conserte. 
Tsuru era una donna di ferro e dal temperamento inamovibile, l'Ammiraglio poteva contare ciecamente su di lei.

I due alti ufficiali furono raggiunti da Rosinante; la donna marine si girò e il ragazzo le mostrò il saluto con rispetto. 
«Stagli vicino, mi raccomando» disse lei, strizzando gli occhi; aveva parlato a bassa voce per non farsi sentire da Sengoku. 
Di rimando, il ragazzo abbassò la testa nascondendo lo sguardo. Già sapeva che non avrebbe potuto ottemperare tal richiesta. 
Tsuru li lasciò soli, se ne andò scortata dalle sue fedeli ufficiali per raggiungere il galeone che la attendeva.

«Rosinante... » proferì Sengoku. Il ragazzo guardò il volto dell’Ammiraglio: aveva gli occhi lucidi e sulle sue guance le gocce della lieve pioviggine che stava lambendo il porto di Marineford si confondevano forse a un paio di lacrime. Era affranto per i caduti, perché amava i suoi subordinati come fossero dei figli. Senza dubbio, era un uomo dabbene, anche se mostrava spietatezza nei confronti di chi non rispettava la legge.
E pensare che poco prima gli stessi occhi si erano commossi per Rosinante, ma di gioia.
L’Ammiraglio si tolse gli occhiali, col dorso della mano s’asciugò l’umidità che gli appannava la vista, poi, riprese la compostezza adatta al suo rango, «Volevo dire, tenente colonnello Rosinante... Hai scoperto qualcosa interrogando i sopravvissuti?» gli chiese. 
«Sì – rispose il ragazzo, e frugando nella tasca della sua divisa tirò fuori quell’avviso di taglia – uno di loro aveva questo. Mi ha riferito che sono stati attaccati da un gruppo di pirati guidati dall’individuo qui riportato» 
L’Ammiraglio srotolò il manifesto: «Donquijote Doflamingo, 50.000.000 Berry  – lesse – il nome non mi è nuovo... Donquijote, mi pare di averlo già sentito, anzi, ne sono sicuro, dovrebbe essere il nome di un’antica fami-»
«Quando è stata emessa?!... Questa taglia, quando è stata emessa?!» 
Sbottò il ragazzo, interrompendo bruscamente l’Ammiraglio. 
Sengoku lo guardò stupito, Rosinante era visibilmente alterato, come impaziente, e pallido in volto.
«Perché ti interessa tanto? Se lui è il responsabile aumenteremo la cifra nella misura che merita» 
«Vorrei sapere quando è stata emessa» 
«Due mesi fa circa, pensavamo fosse uno dei tanti cacciatori di pirati, ne ha fatti fuori parecchi di bastardi... invece fa parte della loro stessa immonda spazzatura – Sengoku parlava ma il giovane marine s’era incantato, non smetteva di fissare il manifesto, l’Ammiraglio se ne accorse – Rosinante... tu conosci quest’uomo?» 


Tick-tock- tick-


L’orologio a pendolo, ovvero la vita del ragazzo, si fermò.

 

-tock-tick-tock


E iniziò a oscillare al contrario. Da lì il tempo venne segnato, limitato. Non sarebbe più andato avanti, a Rosinante non rimaneva che percorrere una strada senza uscita. 
Lo sapeva che per lui non c’erano scorciatoie e vie di fuga.

Ros’ rifletté sulla domanda: non lo conosceva, no, in quella forma adulta non lo aveva mai visto. Ma era esattamente come se lo sarebbe immaginato: un demonio senza rimpianti e umanità.

«Mio fratello... »

Sussurrò, stretto fra le sue labbra, incomprensibile, soffocante. 

Poi, prese coraggio: «Ammiraglio, il ricercato è mio fratello» 

Pronunciarlo ad alta voce fu come dargli vita, evocarlo, riprendere il bandolo perduto e ricucire tra loro fili tranciati, rattoppando gli strappi, con punti di sutura, che divennero cicatrici ancora sanguinanti nella memoria del ragazzo.

I due marine rimasero immobili sul bordo della banchina, onde lievi si infrangevano contro lo scafo della nave massacrata, oltre alla voce del mare, e al sibilo della pioggia che scendeva, il resto era silenzio. 
Rosinante guardava intensamente la carcassa di legno che aveva di fronte: la nave era come uno specchio sul quale vedeva riflesso il proprio destino. 
Sengoku, a sua volta, osservava il ragazzo con un sinistro sentore: non avrebbe avuto più modo, in futuro, di averlo così vicino, quel figlio trovato era già lontano.

 

 

***


 

Tuffato nel tè, il limone cangiò il colore della bevanda, rischiarandola e mutandone il sapore.
Nell’Ammiraglio, Rosinante aveva compiuto la medesima reazione, nella considerazione che l’uomo aveva di lui.
«Perché non mi hai mai raccontato di avere un fratello?» chiese Sengoku, girando lentamente il cucchiaino per far sciogliere quattro zollette di zucchero, e nonostante il tè restava amaro.
Dopo la rivelazione, Sengoku aveva costretto il ragazzo a seguirlo nella fortezza di Marineford, nel suo studio personale, dove poter parlare indisturbati.
«Non me lo hai più chiesto, a parte quell’unica volta che risale a molti anni fa» rispose Rosinante, che subito riprese a parlare: «Questa volta però sono intenzionato a dirti tutto... Io e mio fratello, Doflamingo, abbiamo discendenza divina, la mia famiglia faceva parte dei Draghi Celesti»

«Draghi Celesti?! Hai detto Draghi Celesti?! – Sengoku era sconvolto, come ci si poteva aspettare – ... Certo, ora ricordo, i Donquijote, però sapevo che... » 

«Sì, mio padre scelse di rinunciare al suo titolo, per vivere una vita umile fra la gente comune, era un uomo tanto buono e semplice, non sopportava i privilegi e la differenza sociale... Purtroppo, non andò bene, cademmo in disgrazia, venimmo perseguitati, e anche se avevamo perduto il nostro status ci odiavano tutti. Come ben sai, la gente nutre profondo rancore verso quelli della mia stirpe... »

«Continua», lo esortò Sengoku.

«Mia madre s’ammalò presto e morì. Mio fratello – Ros' prese fiato – lui impazzì e due anni dopo, davanti ai miei occhi, uccise nostro padre convinto di poter far ritorno a Marijoa. Evidentemente...  non c’è riuscito»

Finì, sintetico e raggelante. 

Rosinante aveva esposto i fatti come dati matematici, non rendendosi emotivamente partecipe. Sengoku non lo riconosceva più, non capiva come riuscisse ad essere così privo di empatia persino verso se stesso, e dove avesse trovato la forza, fino ad allora, per reggere una simile sofferenza.
Oppure, era solo apparenza e si stava trattenendo per rispetto della divisa che portava. Ad ogni modo, era degno dell’ammirazione dell’Ammiraglio.

«Avrei dovuto dirtelo prima... – riprese parola il ragazzo – Credimi, ci sono state volte nelle quali avrei voluto rivelarti ogni cosa, ma avevo paura che, venendo a conoscenza delle mie vere origini, tu mi odiassi. Temevo di essere cacciato dalla Marina....Volevo che continuassi a trattarmi come un essere umano normale, sono stato un egoista... Perdonami»

L’Ammiraglio si tolse gli occhiali e li pulì col mantello della propria divisa, era un gesto che ripeteva spesso quando aveva da pensare, come se rimuoverli e pulirli lo aiutasse a ritrovare lucidità, come se questa passasse attraverso le lenti. 
Non parlò subito, il ragazzo gli aveva fatto franare addosso una vita di insospettate realtà. 

«Rosinante... non chiedermi scusa. Non mi fa piacere sapere la verità ora, però apprezzo come sempre la tua sincerità. Se tu me lo avessi detto prima, puoi stare certo che non ti avrei mai odiato o cacciato, come non lo farò adesso. Quando ti trovai quel giorno, smarrito e sporco di sangue... ah, piangevi così forte che ti mancava il respiro... e adesso, con rammarico, ne comprendo il perché; be’, decisi che avrei fatto di te un uomo forte. E so che ci sono riuscito! Non mi interessa chi sei, perché so quello che vali. Stai tranquillo, le tue origini rimarranno segrete. Ma sei stato uno sciocco – gli disse puntandolo ripetutamente col dito indice – ti sei portato dentro un grosso fardello... Mi dispiace per la tua famiglia – delucidate, Sengoku rimise a posto le lenti, posizionandole sopra la gobba del suo naso – Ora però, veniamo al caso, che si prospetta più pericoloso e urgente di quanto immaginassi: tuo fratello, Donquijote Doflamingo, un Drago Celeste decaduto diventato pirata, probabilmente sta cercando di inserirsi nei traffici clandestini ed è forse il responsabile della morte dei nostri soldati»

«È stato lui ne sono certo!» aggiunse Rosinante, fissando con intensità gli occhi l’Ammiraglio. 

«... Cosa pensi che voglia ottenere?» 

«Qualunque cosa sia in molti soffriranno se non lo fermiamo!» rispose con fermezza il ragazzo.

«Il viceammiraglio Tsuru sta partendo, se tu sei in grado di fornirci informazioni su come rintracciarlo ti propongo di collaborare con lei»

«No, questo sarà compito mio! Ammiraglio, io non qui per caso, e Doflamingo è mio fratello, spetta a me fermarlo! La avverto: la mia non è una richiesta, è un dovere che ho, devo impedirgli di compiere altri crimini!» 

Nuova fulgore aveva riacceso gli occhi del giovane marine, la sua fervida determinazione colpì la coscienza di Sengoku; l’Ammiraglio non ammetteva coinvolgimenti personali, questi portavano sempre alla distrazione, al soddisfacimento di un bene che non poteva essere universale; ma aveva di fronte un uomo ormai, che esigeva giustizia, che avrebbe agito per essa e non per vendetta, senza fermarsi davanti a nulla.

«Come pensi di poterlo incastrare?» gli domandò, facendogli intendere di stare appoggiando il piano.

«Mi infiltrerò nel suo covo e sarò per te occhi e orecchie. Ti comunicherò ogni suo singolo spostamento o sua intenzione e lo abbatteremo dall’interno»

Sengoku rifletté accigliato, «Vuoi diventare una spia?»

«Esattamente! I miei poteri mi aiuteranno» confermò Rosinante, che, in un piglio di smania, stava per prendere una sigaretta dal pacchetto che teneva nella giacca, ma si fermò: fumare davanti a Sengoku gli sembrava un gesto poco rispettoso.   

«Ros’, se dovessero scoprirti... » 

«Mi tortureranno. O forse mi uccideranno. Lo so. Ma questo non accadrà, fidati di me! È l’unico modo, io sono il solo che può fermarlo. Non fallirò, per il bene dell’umanità intera!»

Sengoku era rapito di meraviglia per quel giovane pienamente consapevole del pericolo a cui stava andando incontro. I toni che usava, l’atteggiamento, lo sguardo, sembrava non viver altro che per questo. Gli ricordava se stesso agli inizi della sua carriera. Mai, aveva incontrato una persona d’animo tanto nobile, pronta a sacrificarsi pur di lavare i peccati della propria famiglia. Stentava ad immaginarsi che quel ragazzo dalla coscienza adamantina potesse avere un fratello malvagio in egual misura.

«Va bene...» accordò l’Ammiraglio. Poi, s’alzò in piedi e, a passi solenni, raggiunse Rosinante.
Si guardarono seri. 
Sengoku annuì debolmente con la testa e parlò:
«Capitano di Fregata Donquijote Rosinante del Quartier Generale della Marina, io, Ammiraglio Sengoku, le conferisco l’incarico della missione per fermare il pirata Donquijote Doflamingo e i membri della sua ciurma. Agirà come agente segreto e avrà l’obbligo di riferirmi, quale funzionario di rango Superiore della Marina, ogni dettaglio appreso durante la missione. Qualsiasi iniziativa non discussa con i suoi superiori verrà considerata tradimento e in tal caso sarà radiato dall’incarico e sottoposto alla corte marziale. Ricordi sempre il fine della sua missione, la protezione dei civili anzitutto. Mi aspetto da lei un ottimo lavoro»

«Signorsì Ammiraglio! Adempirò con responsabilità e onore i miei doveri per servire la Marina!»

Recitarono entrambi la formula canonica del giuramento e si scambiarono il saluto militare. Dopo, Sengoku sciolse la tensione, ruppe le righe e strinse le spalle del ragazzo. Lo guardò da capo a piedi.

«Rosinante, sei un marine e te lo devi ricordare... Ma sei anche un figlio per me, questo non dimenticarlo mai»

«Non lo dimenticherò, te lo prometto»

 

 

***

 

 

«Dofy, siamo arrivati» comunicò Señor Pink al suo capitano. 
Il veliero della Famiglia aveva attraccato insinuandosi nel golfo affollato da altre imbarcazioni pirata, vicino all’alto promontorio dell’isola su cui era giunto. 
Doflamingo era in cabina a farsi il nodo alla cravatta rossa, intrecciò la stoffa con movenze eleganti, tirò su il piccolo cappio, prese il fermacravatta d’argento e lo fissò come si doveva, immobilizzando la cravatta contro il tessuto morbido della camicia in seta nera. 
Nemmeno gli abiti da lui indossati potevano sfuggire al suo controllo.
Infilata anche la giacca di piume di fenicottero, il Demone Celeste uscì sul ponte di coperta. Venne investito da un caldo bagno di luce. Non gli piacque. Il cielo era terso e azzurro da confondersi col mare, non una nuvola a sporcarlo. Questo lo mise di cattivo umore.
«Lui è arrivato?» domandò, guardandosi intorno circospetto.
«Non abbiamo ancora avvistato la sua nave», gli rispose un uomo alto con dei rimasugli di toast al formaggio appiccicati all’angolo sinistro della bocca. Anche lui portava occhiali scuri.
‘Mingo s’appoggiò al parapetto per sporgersi e dare un’occhiata giù al porto: pullulava di gente armata e pericolosa. Erano in buona compagnia.
«Così affollato sembra di andare ad una festa... C’è troppa feccia idiota, non voglio respirare la stessa aria di questa gentaglia. Scenderemo solo quando lo vedremo arrivare, dobbiamo assolutamente parlare con lui e non perdere l’occasione per diventare suoi unici fornitori. Se lo avvistate, avvisatemi subito, intesi?» ordinò, parlando ai suoi uomini che gli risposero in coro affermativi, eccetto uno: «Ehm, Dofy... io non ho capito» era Diamante, l’Ufficiale di Quadri, il quale, intanto, sgranocchiava arachidi sbriciolandole fra i denti e sputava le bucce in mare. 
«Se ancora non abbiamo “quella formula”, come pensi di riuscire a convincerlo a fidarsi di noi?»
‘Mingo rise scuotendo la testa.
«Tranquillizzati e ragiona, anzi, fatelo tutti: siamo in possesso di un frutto che lo attirerà per forza dalla nostra parte. Dandogli la certezza che abbiamo sempre quello che vuole, come è accaduto la scorsa volta e come accadrà adesso, verrà a cercarci lui stesso. Noi continueremo a cacciare la frutta, la migliore, e nel frattempo svilupperemo una strategia e un modo per produrre da soli la pappa buona. Vedrete, riusciremo a mettere il guinzaglio alla bestia! Fu fu fu... »
I membri del clan risero con lui, ammaliati dalle sue promesse di dominio, «Tu sì che sei il migliore Dofy, sono contento di avere un capitano scaltro come te!» disse ancora Diamante, spalancando la boccaccia con gli incisivi sporchi di noccioline masticate.
Doflamingo gli sorrise ancora, ma si voltò presto da un’altra parte schifato da quella visione tanto antiestetica e, nel farlo, venne attirato da altro: s’accorse di un dettaglio non trascurabile mirando meglio un punto preciso fra le navi affiancate e inserite in una fitta rete di pontili. Abbassò di pochi millimetri gli occhiali rossi, per avere una visione multicolore e più veritiera, «Interessante, questa non me la aspettavo, e così anche il bidone di sabbia è qui... » disse, senza specificare un nome. Ma aveva dardeggiato la lingua, e s’era leccato il labbro superiore, in pregustazione.

«Ci ho ripensato: mentre aspetteremo l’arrivo della bestiola, andremo a parlare con una persona non meno coinvolgente, scendiamo a terra».

 

 

***

 

 

Il mare aperto non era motivo di spavento per Rosinante, le conoscenze acquisite in Marina gli permettevano di muoversi senza complicazioni, sapeva orientarsi, era un esperto navigatore. Ad essere difficile era scovare suo fratello Doflamingo. 
Rosinante tracciò un cerchio sulla carta nautica che aveva in mano, circoscrivendo l’area in cui una vasta scia di ruberie, incendi e battaglie stava flagellando il Mare Settentrionale. Poteva trattarsi di suo fratello, ma non ne aveva la piena certezza. 
Purtroppo, ogni episodio sembrava essere causato da pirati differenti, come se venisse abilmente camuffato al fine di non ricondurre mai gli eventi ad un unico responsabile.
Il marine aveva anche provato a cercare testimoni, da interrogare nell’assoluta discrezione. E non c’erano mai testimoni. C’erano morti, parecchi; all’ex Drago Celeste probabilmente piaceva eliminare i possibili ficcanaso, quando non poteva corromperli. Mentre i corrotti non si lasciavano scappare neanche uno sputo, per paura di ritorsioni. 
Rosinante l’aveva testato facendo poche e mirate domande a persone che al solo sentire mormorare il nome Donquijote impallidivano e rispondevano convulsamente di non averlo mai visto o sentito nulla su di lui. 
Intanto, la taglia del demone era stata rettificata alla vertiginosa somma di 200.000.000 di Berry; una volta, per sbaglio, Ros’ s’era fatto scivolare il manifesto e la gente che lo aveva visto si era smaterializzata dal terrore. 
Ma tra il fumo e la terra bruciata lasciata da suo fratello, Ros' aveva individuato una costante immancabile, che giustificava la presenza dei pirati Donquijote: c’era sempre un fine proficuo. Che si trattasse di soldi, tesori o merce di vario genere da contrabbandare. Non erano mai azioni isolate, facevano tutte parte di un artificioso disegno. 
Inoltre, durante la sua ricerca, Rosinante era venuto a conoscenza di un luogo segreto persino alla Marina: l’isola Mītingu, dove la miglior feccia di cui il mare era abietto si incontrava per effettuare grandi scambi e vendite. Capitava che spesso vi partecipassero addirittura pezzi grossi come i Quattro Imperatori. La merce trattata andava dalle armi alle informazioni, in particolare quelle su come raggiungere Raftel; e si contrattavano anche schiavi e Frutti del Diavolo. 
L’isola si trovava ai confini del Mare Settentrionale, ma nella fascia di bonaccia, dove mai si sarebbe pensato a un traffico così intenso per via dei pericolosissimi mostri marini che pullulavano quelle acque. 
Rosinante stava puntando proprio verso l’isola Mītingu, a bordo del suo piccolo gozzo provvisto di vela. 

 

 

***

 

 

Nei pressi dell’isola.

Per evitare di essere avvistato, il marine virò verso una grotta sotto il promontorio. 
Abbandonata la microscopica imbarcazione sulla riva, Rosinante se la fece a piedi percorrendo una stretta e polverosa mulattiera che portava al porto. 
La sua divisa da alto ufficiale della Marina l’aveva ormai abbandonata, dispiacendosene. Non l’aveva sfruttata abbastanza, neanche una giornata intera e subito era partito all’inseguimento di suo fratello. Dal giorno della partenza erano trascorse tre settimane. 
Adesso, il marine indossava, sopra abiti di seconda scelta, una mantella grigia con cappuccio. La portava appuntata con una fibula sul petto. Completamente celato, doveva passare inosservato, come uno straccione invisibile ai pirati. 
L’isola non era uno sputo di terra, ma poco ci mancava, e non v’era una popolazione locale che la abitasse, le strutture che sbucavano numerose in cima al promontorio, e proseguivano disseminandosi disordinate dal porto all’entroterra, non erano case, ma luoghi di scambio per i pirati, locali di intrattenimento che esistevano con lo scopo di imbottire di rum i delinquenti che vi facevano visita e per far sfociare i loro incontri in risse e sparatorie.  

Camminando, Rosinante incontrò solo pirati, ovviamente, e questi ridevano tutti, gagliardi dei loro malaffari. 
Gli prudevano le mani, chiamare il Quartier Generale era stato un pensiero che lo aveva accarezzato svariate volte. Avrebbe potuto avviare l’ordine per una retata con navi da guerra sufficienti a far igiene di quel posto. Tuttavia, l’obbiettivo della sua missione era un altro. Scatenando il panico, avrebbe perso l’occasione di incontrare suo fratello, sempre che fosse presente sull’isola. 
Sperava di trovarlo. E se ‘Mingo era lì, la sua nave non poteva mancare. 

Ros’ iniziò la ricognizione dal porto: era un brulicare di persone che caricavano e scaricavano casse, legavano cime, gridavano e si maledicevano tra loro. 
«Ehi, tu! Levati da lì!», gli urlò contro un uomo con la faccia rossa spremuta dalla fatica. Il tizio stava sollevando un pesante forziere da agganciare su una gru.
Rosinante si allontanò senza replicare i modi scortesi, proseguì sulla banchina affollata e arrivò davanti ad un altro carico ingombrante. Ci girò intorno per poter passare oltre. Avrebbe proseguito avanti se un particolare rumore non l’avesse incuriosito. 
Giungeva dal carico a terra, che era coperto da un telo nero. 
Udì nuovi... colpi?
Si guardò intorno, nessuno aveva fatto caso a lui e a quello che stava per fare. Decise di sollevare il telo e... Mani veloci, aggressive, con unghie lunghissime, puntarono verso il suo volto per scavargli gli occhi! D’istinto, il ragazzo si fece scudo col braccio. Non venne colpito, nemmeno sfiorato; le unghie s’erano andate a conficcare contro una spessa parete in vetro, che scricchiolò in diversi punti ricoprendosi di crepe. 
Quella che il marine aveva davanti era una vasca, le mani intenzionate ad accecarlo appartenevano alla rara creatura che vi era rinchiusa. 
Rosinante rimosse il telo completamente e scoprì una sirena. Non ne aveva mai vista una, era bella, naturalmente, con la pelle chiara e la coda dalle pregiate squame crisoelefantine che brillavano al sole. 
La sirena, incurante delle ferite riportare alle dita dopo l’urto contro la parete della vasca, tentò di infrangere il vetro a forza di pugni, e di spaccarlo anche con la testa, battendola violentemente e senza tregua. Rosinante vide del sangue mescolarsi con l’acqua.
«Basta! Non continuare a ferirti!»
Non sapeva se liberarla fosse una buona idea, ma con gli occhi stava cercando un modo per infrangere la vasca e farla uscire.
La sirena si fermò, forse aveva ascoltato il suggerimento del ragazzo. Ros’ si sentì leggermente sollevato. 
Battendo un colpo di coda, lei si avvicinò al lato del ragazzo. 
Intercettò gli occhi del marine e li penetrò con i propri, profondi e blu come gli abissi dell’oceano.
Lei non batté più le palpebre.

Qualcuno stava cantando, Rosinante lo sentì ma solo nella sua testa. Provò a guardarsi intorno e si accorse di non potersi muovere: era bloccato, come pietrificato, non poteva distogliere lo sguardo da quello della sirena. Se ci provava sentiva una pressione tale che pareva ci fosse qualcuno a comprimergli le orbite, e gli occhi gli bruciavano. 
Inaspettatamente, le sue mani si mossero. Non era lui a controllarle. 
A terra, vicino ai suoi piedi, un palanchino era stato dimenticato; Ros’ lo afferrò deciso. Anche questa sicurezza non gli apparteneva.


Che... Che mi sta succedendo?

Alzò il braccio armato, guidato da una volontà estranea. Intanto, il canto incomprensibile insisteva imperterrito spremendogli i timpani, ed era mutato in un coro di urla sofferenti.
Lui storse la faccia per il fastidio e per la pressione interna che lo stava costringendo.
La sirena era un simulacro di ghiaccio, solo i capelli rossi le ondeggiavano attorno, come un’aura che la mandava in fiamme e che si confondeva al sangue che perdeva dalla fronte. 
Rosinante stava per colpire la vasca con la punta del palanchino. L’arnese brillò esposto alla luce. 

«Attento ragazzo, se la guardi troppo quella femmina viscida ti ipnotizza, non incrociare mai il suo sguardo se non vuoi finire mangiato vivo, questo me lo prendo io, grazie!»

Un uomo sbucato dal nulla gli tolse di mano l’attrezzo di ferro e, istantaneamente, il canto si arrestò. 
Ipnosi? Rosinante non l’aveva mai sperimentata, e non ci teneva a ripetere l’esperienza.
L’uomo appuntò il telo ricoprendo la vasca, e chiamò altra gente a sollevarla per trasferirla a bordo di una nave.

«Cosa... ne sarà di lei?» chiese Rosinante, ancora confuso sotto gli influssi dell’ipnosi. 
Non riusciva a cancellare dalla memoria il ritratto mesto della sirena e la disperazione che l’aveva condotta a far del male a se stessa pur di liberarsi.
«È stata appena venduta ad un nobile, probabilmente un Drago Celeste... Ma devi sapere che i Draghi qui non ci mettono mai piede, perché il posto non si confà alla loro regalità – disse quello, alzando il tono sulla parola accentata – questi mandano sempre qualcuno, non vogliono sporcarsi le mani, capito?! Così, se qualcosa va storto, sono gli altri a rischiare... Se potessi li farei scannare dagli squali a quei porci altezzosi, ahahahah!», l’uomo rise sguaiato, aprendo la bocca tanto da potergli sbirciare la trachea.
Rosinante rimase zitto, strinse i pugni: gli anni erano trascorsi e il mondo non era cambiato. Conosceva quegli insulti, da bambino non lo lasciavano dormire neanche durante la notte. 
Si allontanò in fretta dalla vasca e da quell’uomo, quasi correndo; abbandonò così la sirena ad un atroce destino, non avrebbe potuto fare altrimenti. Si stava sentendo male, credeva di essersi abituato, di aver superato le sue crisi. Contrariamente, aveva paura di essere colpito a morte, perché dopo gli insulti arrivava l’attacco, come sempre era accaduto quando lui e Doflamingo scappavano per non farsi catturare e uccidere, e allora Rosinante stringeva forte la mano del fratello e non la mollava più. 

Doveva trovarlo, al più presto.

 

 

***

 

 

Una nave con lo scafo intagliato ad assumere la forma di un fenicottero era un’evidenza che se ne andava in giro insufflando aria in una tromba: faceva casino. 
Impossibile non accorgersene.
Ros’ non immaginava di trovare tanta esagerata appariscenza. 
Camminò filo alla banchina, al punto da avere un’inquadratura frontale dell’imbarcazione: sulla vela quadra, e che veniva ammainata da un tizio in equilibrio sulla cima al pennone, era dipinto in rosso uno smile sbarrato. Sotto, il nome della sua famiglia, Donquijote. Spaventoso. 
Rosinante si sentì strano, elettrizzato, intimorito, tra l’eccitazione e il terrore, e altro di troppo intimo che solo suo fratello sicuramente avrebbe potuto comprendere. 
Indietreggiò, con l’intenzione di raggiungere una postazione riparata e non così direttamente esposta, per capire come poter entrare in azione. E capire, in specie, se Dofy fosse a bordo.
La polena della nave era una enorme testa di fenicottero, e pendeva minacciosa sopra il suo capo al pari di una ghigliottina. Rosinante la guardò col timore che potesse animarsi e divorarlo quasi fosse stato becchime.  
Mise un piede dietro l’altro, senza guardare, perché l’attenzione era impegnata a tener d’occhio il becco adunco e nero del fenicottero; distratto, inciampò su una bitta e non solo: andò a sbattere contro qualcuno alle sue spalle, a cui pestò anche un piede.
«Attento a dove vai, qui te la rischi grossa con la G!» lo intimidì un tipo tarchiato che indossava stupide orecchie di coniglio.

«Fu fu fu, non è nulla! Dai, alzati pezzente, e sparisci prima che ci ripensi»


Questa voce... perché mi sconvolge?


Rosinante si girò, occhi verso l’alto... la pressione sanguigna gli calò a picco, seguita da un gelido madore all’altezza delle spalle e da un buco nello stomaco: la vita intorno a lui cessò impercettibilmente, non sentiva alcun suono, e non stava usando i suoi poteri.

 

Tu-tum tu-tum tu-tum

 

Il passato stava indossando gli abiti del presente, là, davanti a lui, in pelliccia di piume, con gli occhiali porporini dal taglio malvagio. E gli esibiva anche un sorriso contratto. Ma non c’era nulla di divertente e Ros’ avrebbe voluto piangere.
Si portò una mano sulla testa assicurandosi di avere ancora il cappuccio a coprirlo. E fortunatamente era lì a proteggerlo, a nascondere la sua identità agli occhi del fratello Doflamingo.

«Non hai sentito che ti ha detto?! Vattene!» l’ufficiale Diamante gli allungò una pedata sul sedere, Ros’ cadde avanti sbucciandosi un ginocchio come un bimbo maldestro. 
Venne deriso, qualcuno gli sputò anche addosso.
Doveva andare via immediatamente, non si stava muovendo come avrebbe voluto, e stava compiendo troppi errori. 

Rialzandosi, sentì le gambe spezzarsi all’altezza delle ginocchia e il suo corpo crollare, un’impressione che coinvolse anche le braccia, diventate giunchi esanimi mossi dal vento, o dalla miscela di emozioni che lo avevano reso friabile. 

Dofy aveva già vinto il primo round.


Il gruppo di pirati si allontanò da lui, Doflamingo avanzò con loro, compì pochi passi.
«Qualcosa non va, Dofy?», gli domandò Vergo, l’Ufficiale di Cuori, quello con gli angoli della bocca perennemente sporchi di cibo; colui che, nella Famiglia, era l’elemento più vicino al fenicottero, il suo braccio destro. 

Vergo se n’era accorto subito, il volto del suo Capitano era mutato.
Doflamingo si era bloccato. Insolito: il suo cuore aveva iniziato a battere più forte nell’attimo esatto in cui quel ragazzetto imbranato gli era cascato addosso.

 

Tu-tum tu-tum tu-tum

 

E continuava a pompare in modo scellerato. 
Non andava. Gli capitava di sentirsi così solo quando qualcosa finiva per sfuggirgli... ma cosa, stavolta? La nave con la merce di scambio era al sicuro, non v’era ombra di marine, e l'acquirente stava per arrivare. 
Forse, non era lì che doveva cercare.
Si voltò indietro, il pidocchio era scomparso.  Non poté fare alcun confronto.

Eppure l’aveva sentita, era stata come una scossa interna, gli fischiavano anche le orecchie e il carismatico Joker che era dentro di lui aveva smesso di ridere e di agitarsi, s’era raggomitolato in un angolo recondito delle tenebre che abitava e si lamentava insopportabilmente. Era diventato un patetico pierrot. 
Dofy pensò fosse tutta colpa della troppa esposizione al sole, non ci era abituato. 

 «Nulla... Muoviamoci, ho voglia di bere e di farlo con chi dico io»

Vergo annuì, ma non se la bevve, lui. Il Capitano gli stava nascondendo qualcosa.

 

 

***

 

 

Nel centro dell’isola c’era un locale non uguale agli altri chiamato Viper Room. Un posto da signori, con un casinò all’interno, che funzionava come una palestra per ridursi al lastrico; là, palco di lap dance e zone privé non mancavano per chi aveva voglia di una sveltina, a caro prezzo. 
Bisognava indossare il tight per entrare, ma non era obbligatorio per uscirvi. I piratucoli che puzzavano d’alcol non erano ammessi. Ma bastava anche solo avere cattivo odore e non si varcava la soglia di quel finto eden.

«Mr. One, trovami un posto decente, non affollato, e poco illuminato. Devo rilassarmi»

L’uomo che aveva appena parlato faceva parte dei benaccetti, i vip. Quelli che passavano senza fare la fila. La sua alta classe la suggeriva la costosa pelliccia di zibellino nero da lui indossata, la gridavano i diamanti vivaci incastonati agli anelli che ingioiellavano la sua mano destra, e sì, anche la presenza  di un grande uncino d’oro del peso di 25 kg aumentava la sua cifra.
«Subito», rispose il citato Mr. One, uno skinhead alto e corpulento, dallo sguardo bieco, respingente. Con lui era saggio non avere nulla a che fare.

La sala di lap sarebbe stata la migliore, dentro non c’era ancora nessuno, ed era quasi completamente ottenebrata, a parte alcuni candelabri con moccoli rossi squagliati. Erano posizionati in ogni angolo del locale ad illuminare quadri ad olio raffiguranti donne in pose oscene.
Crocodile – si chiamava così l’uomo adornato come un santo patrono – si accomodò su uno dei divani rossi in pelle di bufalo, comodi, di quelli che facevano rumorii assurdi appena vi si scivolava sopra o ci si alzava; ed erano disposti sotto e attorno alla pista da ballo.
Alle spalle di Crocodile, sostava Mr. One. Quest’ultimo non sedeva e non beveva l’acquavite dall’aroma vigoroso che il suo capo stava assaporando bagnandosene la bocca. La bottiglia era stata ordinata  e presa nel bar all’ingresso del Viper Room.
Mr. One era solo un cane da guardia, in attesa di un gustoso ossicino. 

Non passarono molti minuti che le luci del palco si accesero, tingendo lo spazio di toni rossi e blu. Qualcuno doveva averli visti entrare. 
Nell’ambiente si diffuse una melodia burlesque, s’udì un frettoloso scalpiccio di tacchi a spillo e Crocodile si trovò ad assistere, contro la sua volontà, all’entrata di tre ballerine spogliarelliste, di cui: ballerine al trenta per cento e spogliarelliste al settanta. 
Indossavano mascherine con piume e paillette colorate, calze, bikini, cappelli sui capezzoli, guanti in pizzo, e tanta altra roba inutile che avrebbero tolto.
Le ragazze iniziarono a prendere potere sui pali, arrampicandosi su di essi sinuosamente, con movimenti acrobatici, scuotendo i fianchi e inarcando la schiena. Somigliavano a vipere gravide e affamate.
Il pirata si accese un sigaro, aspirò e sbuffò fumo bianco dalla bocca. Crocodile era un pirata, un signor pirata, ed era scocciato: non gli interessava la carne seminuda di petti voluminosi strizzati in lembi di stoffa microscopici, ridicoli per contrarre l’abbondanza incontenibile.

Una delle ballerine, avvicinandosi, s’azzardò a spalancare le cosce davanti alla faccia seccata del pirata. 
«Vattene... » le disse lui, gentile. Crocodile aveva il pregio di essere chiaro sin dalla prima battuta.
Quella invece fece finta di non sentire, si protese dalla pista di lap dance, scese, e s’accovacciò tra le gambe dell’uomo. Gliele massaggiò energica e voluttuosa. 
L’atto coraggioso attirò anche le altre due ragazze: la loro amica s’era accalappiata il cliente migliore, il più ricco, l’unico presente in sala, a parte Mr. One (ma lui non le attirava, e l’avevamo detto che era solo un cane da guardia). Non potevano lasciarla giocare da sola, anche loro, come api ghiotte su miele, si precipitarono a vezzeggiare il maschio antipatico e refrattario, accarezzandolo tra i lucenti capelli corvini tirati indietro con un filo di gel. 

Una, la prima coraggiosa, si sedette in arcione sulla coscia del pirata, e lo cavalcò imitando la giostra veloce che avrebbe desiderato ardentemente compiere con lui. 
A guardarlo, Crocodile non era un uomo bello, ma possedeva eleganza e un fascino acuito dal taglio lungo dei suoi occhi incavati sotto l’arco sopraccigliare, una conformazione fisiognomica che proiettava sul suo sguardo un’ombra perenne e accattivante.

Le altre ballerine giocarono col grosso e duro uncino d’oro che sostituiva la mano sinistra perduta. Lo leccavano come fosse stato saporito; se lo passavano di bocca in bocca, striandolo di lucente saliva. Gliel’avrebbero sfilato volentieri. Non sapevano che l’oro era un rivestimento vuoto, e che sotto di esso si nascondesse un uncino avvelenato.

Per mandarle via, Crocodile doveva sganciare la grana. 
Lui era un pirata straricco, se le poteva permettere tutte e tre insieme... ma la sua essenza era quella di un coccodrillo, un rettile dal sangue freddo. Non si mosse: l’attacco andava sferrato solo quando la preda era ormai a portata di fauci.
La temeraria che gli stava in braccio non la smetteva di fare mosse rischiose, con le dita profumate lo solleticava sul mento marcato. Era passata a lisciargli le labbra rigorosamente serrate.  
A causa di quei giochetti stuzzicanti, Crocodile fu costretto a togliersi il sigaro dalla bocca, lo teneva fra le dita a consumarsi da solo. 
Lei stava per baciarlo, strinse le labbra truccate dando alla bocca una forma bizzarra, di grovigli di carne rosa stretti attorno a un buchino tutto nero.
Così non poteva proprio fumare! E che fastidio essere toccato!
A lui le donne piacevano, certo, ma zitte, immobili, mummificate sarebbe stata la loro forma migliore. 

Era completamente stufo.


«Whaaaaaa!»

Le inconsapevoli ragazze audaci gridarono all’unisono vedendo il pirata sgretolarsi e diventare sabbia chiara sotto i loro culetti abbronzati; quella che lo aveva montato scivolò finalmente a terra. 
Dalle loro bocche impastate di lucidalabbra e spalancate dal terrore, la sabbia entrò rapida, tanta, appiccicosa e impossibile. Le urla si diradarono sostituite da conati, respiri intasati, rochi, come di gole piene di sassi. 
I loro balli sinuosi mutarono in paonazzi spasmi da soffocamento. Dimenandosi, consumavano velocemente più aria. Erano brave, tutto sommato, morivano in fretta.
Lo spettacolo durò per oltre quattro minuti. E poi: finalmente zitte e immobili come lui le avrebbe volute sin dall’inizio.

Il sigaro fumante tornò al suo posto: baciato dalle labbra dell’arido uomo di sabbia che aveva in sé la potenza distruttrice del deserto. 

Mr. One, neanche a chiederglielo: raccolse le spogliarelliste decedute, infilandone una sotto il tavolo, e gettando le altre sul divano di fronte al suo capo, perché i loro corpi adesso intralciavano i piedi.

Il pirata ricompose completamente la sua forma umana  e si riempì d’alcol il cicchetto.

«Ma che morte ingiusta, sei proprio un coccodrillo senza pietà!»

In fondo alla sala. Da lì provenne la voce, che tossì... per finta.

«Non sai che questa è zona fumatori e le bambine come te non possono entrare!» parlò Crocodile, avendo già riconosciuto di chi si trattasse.

«Che fai da queste parti, mucchio di sabbia? Ho saputo che gli affari non ti sono andati molto bene ultimamente» disse ancora la voce, e chi la possedeva si era anche avvicinato al divano, dove si sedette, precisamente appollaiandosi sopra alla spalliera, mentre i mocassini lucidi che portava ai piedi si puntellavano sulle membra morte delle belle ballerine, schiacciandole. 
Con la sua presenza, Doflamingo stava oltraggiando la vista all’altro pirata.

«Pensa per te fenicottero, il motivo per il quale sono qui non deve interessarti, e attento a  come ti rivolgi, potresti rimetterci le tue piume rosa» rispose Crocodile, che mandò giù un sorso dal bicchiere, vuotandolo. Lo riempì ancora. 
Dietro di lui, Mr. One aspettava l’ordine per ammazzare l’ospite e ricavarne lo sperato ossicino da rosicchiare.
Il Demone Celeste aveva raggiunto il locale con i suoi uomini, ma li aveva costretti ad aspettarlo fuori, le quattro chiacchiere col sabbioso se le voleva fare in privato.

«Oh, come sei ostile!... Sai, ora che la guardo meglio, quella cicatrice che hai sul viso ti impreziosisce, davvero! Perché non mi racconti come è successo? Se ti va, eh, posso capire la vergogna che provi, la sconfitta è una pessima situazione in cui trovarsi... Fu fu, scherzavo, io la vergogna proprio non riesco a capirla!»

Il fenicottero aveva parlato troppo apposta, era un abile provocatore. La reazione di Crocodile deliziò le sue aspettative: in un secondo, la mano uncinata del pirata si smaterializzò in un vortice di vento sabbioso. 
Doflamingo sbuffò uno smile, mirò il piccolo bicchiere ricolmo d’alcol. Poteva essere un’idea.
Lo acchiappò rapidamente gettando il contenuto sulla faccia di Croc’. La trasformazione fu impedita: una volta bagnato, l’uomo di sabbia perdeva l’abilità di tramutarsi in essa. 

Dofy conosceva il segreto... e anche altri segreti.

«Scusami, ho pensato che stare sempre nel deserto debba mettere molta sete... Non ti senti più fresco, ora?» lo schernì nuovamente.
Crocodile era fradicio, la sua pelle assorbiva i liquidi in modo anomalo e si induriva. I ciuffi liberi che solitamente portava davanti agli occhi si erano appiccicati contro la fronte, assomigliavano ad alghe morte arenatesi sul suo viso ridotto a un’umida battigia violentata dal mare. 
Il pirata sabbioso p
ercepì alcune gocce fastidiose colargli dagli zigomi alla catenina d’oro che portava al collo. La sciarpa si era sporcata, l’avrebbe buttata. 
Doflamingo, l’unico che se la stava spassando, fiutò meglio l’aria: l’odore di alcol mescolato al dopobarba forte emanato dalla pelle rasata del coccodrillo gli faceva girare la testa. Lo stimolava pericolosamente, nonostante si sentisse ancora stranito  dall’incontro avvenuto al porto col tizio sconosciuto. 

Il demone cacciò fuori la lingua, assaggiò l’aria tiepida e fumosa immaginando di gustare il sapore della pelle del rettile ora condita all’acquavite. Doveva essere sicuramente un piatto prelibato.

Crocodile si strofinò gli occhi. Gettò uno sguardo indiavolato al fenicottero sornione che gli mostrava i denti e... la lingua.
L’avrebbe scuoiato volentieri, spennandolo piuma dopo piuma.

«Come hai osato?!» 

Doflamingo non trovò amichevole il tono, iniziava a perdere la pazienza, non era mica chiedere tanto parlare e bere qualcosa assieme?! 
Articolò le sue dita di burattinaio.
Croc’ avvertì una puntura fredda al collo e successivamente una stretta sottile. Quel bastardo di un fenicottero stava per tagliargli la gola con fili invisibili. Lo aveva fregato.

Durante la loro diatriba, Mr. One non rimase in panciolle: aveva fatto la sua mossa e pure lui, sfruttando i poteri del Frutto del Diavolo che aveva mangiato, aveva modificato parte delle sue braccia in lame taglienti, una stava puntata al collo di Doflamingo. Era pronto a recidere la testa al fenicottero, ma attendeva un cenno del padrone.

«Puoi dire al tuo amichetto di abbassare le lame? Sarebbe conveniente per entrambi, non credi?», consigliò il Demone Celeste a un Crocodile zuppo e in difficoltà: i fili stavano premendo di più contro la sua pelle. Non potendo ribellarsi, con un cenno degli occhi, il pirata di sabbia ordinò a Mr. One di fermarsi.

La situazione tornò “normale”.

‘Mingo sciolse i fili.

«Tieni, asciugati»

 Dofy porse a Crocodile della carta assorbente, l’aveva presa dal porta fazzoletti poggiato sul tavolo accanto; il pirata la afferrò strappandogliela dalle mani e si ripulì.

«Fattelo dire: con zio Eddie hai sbagliato strategia. Il nemico non va attaccato direttamente, devi corteggiarlo un po’ e dopo te lo metti sotto i tacchi!»

«Come speri di fare tu, vero? Cosa pensi, che basti allungare uno di quei tuoi odiosi sorrisetti e Kaido ti obbedirà come una sgualdrina?» 

«Fu fu fu, allora sai perché sono qui... Comunque, caro secchio di sabbia asciutta, Kaido farà di meglio: me lo succhierà tutti i giorni e gli piacerà farlo!»

Crocodile fece una smorfia disgustato.

«Sei volgare e completamente pazzo»

«Non sono pazzo, so essere persuasivo. E non negarlo, io e te siamo uguali, vogliamo le stesse cose! Se fossimo uniti la nostra sarebbe una collaborazione coi fiocchi! Che ne pensi?!», Doflamingo si sporse più avanti con la sua mole ingombrante, affondando meglio i tacchetti bassi delle sue scarpe nelle pance piatte delle ballerine morte.

«Khuahahah! Ne sei convinto, fenicottero? Allora speraci e chissà, io intanto me ne vado, se c’è una cosa che voglio è evitare di perdere altro tempo in tua compagnia. Ora ho altri progetti, il vecchio non mi interessa più»

«Peccato... ma quali sarebbero gli altri progetti?» domandò Dofy, versandosi un po’ di alcol e bevendolo dallo stesso bicchiere che Crocodile aveva precedentemente usato.

«Ovviamente, non sono affari che ti riguardano»

«Ah, capisco, è questo quello che succede quando si sta per entrare a far parte dei Shichibukai, si hanno segreti – Crocodile strabuzzò gli occhi, ‘Mingo continuò il discorso – Credevi che non sapessi della tua candidatura?! Non darti troppe arie, tra non molto saremo colleghi. Dovremmo impegnarci a diventare amici del cuore e condividere gli oneri della carica»

Crocodile restò un attimo a riflettere: e così, pure il fenicottero puntava a una posizione autorizzata dal Governo Mondiale.

«Che tu ne sia a conoscenza o meno, non ha importanza. Sappi che io non spartisco nulla con nessuno – Croc’ gettò sul tavolo i fazzoletti usati, ‘Mingo ne afferrò uno e se lo portò sotto il naso, annusandolo – Ah, sei stucchevole!... E togli quegli occhiali quando parli con qualcuno!»

«Non posso, se lo facessi, rischierei di farti innamorare di me!»

Il pirata di sabbia si alzò piccato, era troppo, ne aveva abbastanza. Mr. One lo seguì a sua volta.

«Spero di rivederti presto, Crocodile, futuro membro della Flotta dei Sette, e capo della Baroque Works... e anche tu Das Bornes, vale anche per te»

 

Das Bornes era il vero nome di Mr. One, la Baroque Works un piano perfetto che Crocodile stava usando per mettere in ginocchio il lontano regno di Alabasta.

...

«Figlio di una gran...» 

Lo sussurrò, il primo insulto scurrile che il pirata di sabbia s’era lasciato scappare. Ma non lo concluse, perché lui rimaneva un signore.
Sapeva troppe cose, quel fenicottero andava sistemato, Crocodile non aveva ancora scelto il come, il quando e il dove ma l’avrebbe fatto.
Stava per spingere i battenti della porta e andarsene per liberare la sua vista da quella faccia di jolly occhialuta, ma una montagna di muco gocciolante entrò spargendo moccio ovunque, impedendogli di uscire e sporcandogli anche la costosa pelliccia di zibellino. Questa non avrebbe potuto buttarla come la sciarpa. 

«Dofy, è qui! Lui è qui! Eeehi eeehi eeehi! Kaido è arrivato!»

«Fu fu fu, e adesso sta’ a guardare, coccodrillo, come si tirano i fili che dominano questo mondo»

 

 

 

 

“Are you lost?
Cant’t find yourself
You’re north of Heaven
Maybe somewhere west of Hell”

 

 

Non ve la consiglio, VI OBBLIGO AD ASCOLTARLA, Birth, CLICCATE QUI! Il brano su questo capitolo dà i brividi e ditemi se non è così!

‘Sera, mi scuso per il tempo che vi ho fatto aspettare prima di questa pubblicazione, e per aver diviso la IV One shot in due capitoli. Era necessario. Non solo perché altrimenti sarebbe stata un OS troppo lunga, ma per i temi e gli scenari trattati, andava dato un taglio.
Ho scelto di fare un salto indietro al momento in cui Rosinante è un Marine, questa è l’inizio di quella OS che vi anticipavo in Lasciarti andare... mai. 
Insomma, Oda non ce lo mostra come i fratelli si ritrovano, io me lo sono immaginato così: si incomincia dal giorno in cui Ros’ diventa Capitano di Fregata e viene a sapere di Doflamingo. Adoro le coincidenze fatali.
Poi, che Sengoku non sapesse delle vere origini di Ros’  e che lo venga a sapere da lui in quel momento, l’ho scelto io.
L’isola qui menzionata ha un nome al solo scopo d’essere utile e chiaro, meeting (sono banale a volte, lo riconosco ^^’).
Ok, le sirene di One Piece non sono aggressive e non hanno poteri incantatori, ma qui scrivo io e decido io.
Poi: ho approfittato di questa parte della One Shot per inserire Crocodile, che qui fa una breve comparsa (ma l’ho reso troppo cattivo?), non posso mica stare a trattare sempre Rosinante e Doflamingo, li ho tenuti a “distanza” anche se poi si sono indirettamente incontrati, ma l’incontro vero arriverà nel prossimo chap. ^^
Confesso che mi sono divertita a scrivere i loro battibecchi, ‘Mingo fa le “fusa” e Croc’ lo rifiuta. Se volete vederci attrazione accomodatevi, io per quanto mi riguarda la intendo così: il fenicottero è semplicemente attratto da qualcosa che gli assomiglia perché lui fondamentalmente è un narcisista.
Non potevo non calcare la voglio del fenicottero di stipulare già da adesso un’alleanza col sabbioso... oddio più che alleanza direi una subordinazione dove è chiaro che sarà l’uccellino rosa a comandare.
Curiosità: il Viper Room (The Viper Room) è un nome che ho preso da un locale realmente esistente, proprietà, e non so se lo sia ancora, dell’attore Johnny Depp. 
Ovviamente quando ‘Mingo menziona zio Eddie, si riferisce a Edward Newgate (qualcuno non sopporterà i miei neologismi, pazienza) e come sapete il coccodrillo con lui le ha prese e la cicatrice è proprio il risultato della battaglia che c’è stata. 
Mi divertiva il fatto che Dofy fosse a conoscenza di molti fattacci del sabbioso come il suo ingresso nella Flotta dei Sette e la Baroque Works. 
Il prossimo chap chiuderà questa quarta One Shot.
Ringrazio tanto voi lettori e recensori e del sostegno che mi date nel portare avanti questa FF, che spero sia stata gradita anche questa parte. 
Vi mando un forte e caloroso abbraccio a tutti! Le recensioni di qualunque natura sono benaccette, anche da parte dei nuovi arrivati, non lesinatevi! 
PS: non lo so perché, ma tutte le donne che tratto in questa raccolta o sono prostitute o ci si avvicinano e vengono trattate malissimo... 
PS: approfitto per invitarvi a votare nella sezione la coppia Dofy~Viola e Dofy~Rosy, affinché vengano inserite nella sezione potete farlo aprendo la graduatoria delle votazioni cliccando sul menu in alto a destra “aggiungi personaggio”  che trovate nella pagina generale della sessione One Piece, ma solo dal pc, col tablet e il cellulare il menu in alto a destra non si visualizza. 
Ah, allungate pure un voto su Cosette, la inserii per fare un piacere ad una scrittrice che la sta trattando in una sua storia. Oh, alla fine sono personaggi di One Piece mica ce li stiamo inventando. 
Grazie per la vostra partecipazione! ^_^


Come sempre vi linko le mie altre storie, c’è ne è una appena iniziata che tratta la coppia Dofy~Viola (come ci rivela l’autore Odacchi).

 

DAUGHTER (Dofy~Viola)

La Principessa Viola è maledetta, la Principessa Viola è un’assassina. La Principessa Viola è l'amante del Re di Dressrosa Donquijote Doflamingo.
Dal testo: «Violet, oggi abbiamo qui un uomo che si dichiara innocente. In verità, mi ha rubato cose che mi appartengono. Sai quanto io non sopporti i traditori. Viola... – Doflamingo la chiamò col suo vero nome – svelaci la sua colpevolezza, facci godere tesoro»
Coppia: Dofy ~ Viola (come Oda ci suggerisce, o qualcosa di più).
Buona lettura!
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Donquijote Doflamingo, Donquijote Family, Monet, Violet 
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
LEGGI

 

A Zou si affrontano problemi ontologici (ZoSan) Aveva lasciato un biglietto, doveva sposarsi, prometteva di tornare. Tutti erano preoccupati per lui.
A Zoro non interessava.
One Shot breve, Yaoi della coppia ZoSan, per voi fan e per me felicemente disperata a riguardo delle sorti di Sanji. Contiene Spoiler.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! LEGGI

Curami (Zoro/Perona/Mihawk) NEW: pubblicato IV CAPITOLO!
Una convivenza forzata, un addestramento in corso e forse un’attrazione accidentale che non vuole nessuno. L’isola Kuraigana non è solo un luogo di morte; e Perona e Zoro non sono soltanto una coppia di disgraziati spediti sulla stessa macchia di terra.
Facciamo luce su due anni di buio.
Buona lettura.
III capitolo on-line
Pubblicata: 11/09/13 | Aggiornata: 31/08/16 | Rating: Arancione
Genere: Azione, Romantico | Capitoli: 4 | In corso
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Drakul Mihawk, Perona, Roronoa Zoro
LEGGI

Loverman… (ZoSan)
Sanji non avrebbe mai dovuto provarlo, non avrebbe mai voluto scoprirlo, non avrebbe mai dovuto desiderarlo. Anche la più piccola mancanza di volontà verso se stessi è ripagata con un tormento peggiore; a meno che si accetti la propria natura.
Consiglio: lasciate perde’ sto trip di parole, buona lettura.
Pubblicata: 15/08/16 | Aggiornata: 15/08/16 | Rating: Arancione
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 | In corso
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Nessuna | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Mugiwara, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
LEGGI

L’impensabile inaspettato (ZoSan) 
Sanji ha un urgente problema. Zoro… beh, lui fa quello che può.
One Shot che disturba persino chi l’ha scritta, attenzione alle note. E a voi la lettura.
Pubblicata: 03/11/13 | Aggiornata: 03/11/13 | Rating: Rosso
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Lime | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Nico Robin, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro 
LEGGI 

Ultime previsioni prima di Dressrosa (Rufy/Nami/Trafalgar Law) 
Meno di un giorno all’arrivo sulla prossima isola. A bordo della Sunny chi può si riposa, altri non dormono: si incontrano casualmente, o per mistico volere.
Una One Shot breve e indolore, e con i personaggi IC; però spetta a voi valutarlo.
Buona lettura.
Pubblicata: 20/10/13 | Aggiornata: 20/10/13 | Rating: Giallo
Genere: Sentimentale | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Trafalgar Law | Coppie: Rufy/Nami
LEGGI

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Pandroso