Era
passata una settimana da quel giorno nefasto.
Nonostante
i tentativi di Masaru di aiutarla, Aika sentiva sempre di
più la vita sfuggirle tra le mani. Andarsene a bere con lui,
la settimana prima, non aveva aiutato, e il nemmeno i tentativi di
ripetere la cosa per conto proprio nei giorni successivi: a causa del
suo corpo potenziato scolarsi mezzo stipendio le bastava per mantenere
uno stato di ebbrezza della durata di appena pochi minuti. Aveva tenuto
per sé la cosa mentre lui continuava, da amico e collega, a
passare tempo con lei nel tentativo di a cercare di scacciare la
tristezza. I suoi sforzi erano stati ripagati, era riuscito a tirarla
su di morale, ma bastava una parola di troppo, un suono familiare o uno
sguardo fugace ad posto che per lei significava qualcosa per buttarla
di nuovo nella depressione più nera.
Era
passata una settimana da quando era tornata, dopo mesi, in una casa che
era sua solo su carta, quel monolocale già dimenticato nella
speranza di andare a vivere a casa con Shiro, ed era passata una
settimana da quando lo aveva trovato con la corrente staccata e pieno
di polvere.
Era
passata una settimana da quando aveva iniziato a cercare un lavoro
temporaneo, un'occupazione necessaria solo a tenersi occupata per
scacciare i brutti pensieri, ma nessuno voleva assumere una
diciannovenne priva di alcun tipo di diploma, e si era giocata l'unica
posizione in cui le avevano dato una possibilità, lavapiatti
in un ristorante, dopo aver spaccato tre ciotole a causa della sua
forza ed essere crollata in ginocchio a piangere.
E
ora, dopo una settimana, era lì, seduta sul tatami ad
osservare la busta con il logo della Excalibur che giaceva sul tavolo
basso davanti a sé, al termine di una scia di polvere smossa
che era comparsa quando la aveva gettata senza cura sul mobile.
La
sua letterale busta paga: il suo ultimo stipendio da Excaranger.
Non
c'era neanche bisogno di aprirla, le sue dita erano così
sensibili che le bastava passare la mano sulla carta per leggere il
testo impresso sulla lettera come se fosse scrittura braille: 800.000
yen.
800.000
yen al mese per sentirsi un'emarginata, 800.000 yen al mese che non
aveva mai speso e che sedevano a maturare da cinque anni un un conto
che non usava mai, una piccola fortuna con il quale avrebbe potuto
godersi il tempo che le rimaneva.
Tempo...
tempo... fissò l'orologio alla parete, l'unica cosa che
ancora funzionava in quanto a pile: le dieci di mattina.
Afferrò il solito barattolo e mandò
giù le solite due pillole. Un rito che doveva compiere due
volte al giorno per combattere i soliti effetti negativi causati dalla
conversione a soldato potenziato, sintomi assolutamente privi di alcuna
importanza come mal di gola, bruciore di stomaco, giramenti di testa ed
emorragie interne causate dagli organi che le si sbucciavano come
mandarini.
Più
andava avanti, più iniziava a maledirsi di essere stata
salvata dalla Excalibur quando la tecnologia di riconversione non era
ancora perfetta: cinque anni prima era stata costretta a scegliere tra
riempirsi quotidianamente di così tante sostanze chimiche da
stendere un elefante nel tentativo di prolungare la propria vita e
permettere agli scienziati di studiare la sua condizione o sottoporsi
immediatamente ad un trattamento sperimentale che avrebbe rischiato di
ucciderla. Ora, grazie anche a lei, riportare alla normalità
un combattente dei Black Saints era un'operazione di routine: solo il
mese prima avevano salvato una dozzina di soldati potenziati dalle loro
grinfie e il peggior effetto collaterale riscontrato era in un ragazzo
di diciotto anni, un aumento dei riflessi del 25% rispetto alla norma.
Lei, invece, aveva un corpo così danneggiato sia dalla
conversione che dai medicinali che non era più in grado di
affrontare il processo di riconversione senza rischiare morte certa.
Perché
il destino non le aveva permesso tornare ad una vita normale? Forse
sarebbe stato meglio restare a servire sotto Queen Cobra e aspettare di
venire salvata, magari qualcun altro si sarebbe fatto avanti al posto
suo e avrebbero studiato un metodo per...
Il
cellulare squillò, interrompendo i suoi pensieri, e si
ritrovò ad afferrare il dispositivo dallo schermo scheggiato
quasi istintivamente. Aveva rotto due telefoni solo quella settimana:
non aveva più provato il bisogno di averne uno da quando era
stata rapita a 14 anni, e da quando aveva riaperto gli occhi si era
accorta che il flip phone era passato di moda e andavano tutti in giro
con degli apparecchi dal touch screen così grande che
sembrava di portarsi un televisore in tasca, e che a lei bastava
guardare storto per piegarli in due.
Sollevò
il cellulare con cautela e lesse il numero sul display, riconoscendo si
trattasse del suo commilitone con gli occhiali: non lo aveva nella
memoria del telefono, ma lo ricordava alla perfezione. Fece scorrere il
dito sul display con estrema delicatezza, cercando di controllarsi: per
qualche attimo il suo indice ipersensibile riuscì a
delineare esattamente le crepe nel vetro che scorrevano sotto il
polpastrello, ma le bastò un istante di distrazione per
rovinare tutto: un movimento di troppo ed il telefono era accartocciato
tra le sue mani.
-Fanculo!-
Imprecò,
gettando i resti dell'apparecchio al muro di cartongesso,
incastrandoveli dentro e provocandovi una piccola crepa.
Ansimò
dalla rabbia. Perché, perché non era normale?
Perché, da quando era morto Shiro, aveva perso completamente
il controllo della propria forza? La risposta era chiarissima: mesi
prima, dopo aver scoperto che l'effetto dei farmaci si stava facendo
sempre più flebile, si era rassegnata al destino di morire
tra atroci sofferenze, e Shiro era arrivato da lei proponendole il
matrimonio dopo due anni di fidanzamento. Sapevano entrambi che se ne
sarebbe andata da lì a poco e non le importava che quel
gesto fosse soltanto per vivere un breve periodo di
felicità, ma la scomparsa del suo fidanzato le aveva dato la
forza di tirare avanti, un vita mirata solo al farla pagare a quella
vipera che le aveva tolto l'unica persona che le voleva bene davvero.
Ormai l'unica cosa che teneva insieme il suo corpo in rovina era la
pura forza di volontà, aiutata da una dose di farmaci che
era quadruplicata rispetto ad un anno prima.
Indossò
il cappotto, afferrò la busta paga e uscì nella
fredda mattinata invernale, sbattendosi la porta dietro non
scardinandola per pura fortuna. Doveva togliersi quei pensieri dalla
testa, non aiutavano affatto; forse buttare soldi in cose che non le
servivano avrebbe aiutato. Era indecisa se comprare anche un telefono
nuovo: in fondo, non le era mai servito.
Era
passata una settimana da quel giorno nefasto.
Satsuki
Norimizu, già Queen Cobra già Michiru Kato, si
avvicinò alla soglia di casa con aria esausta: per quanto
fosse potenziato il suo corpo non riusciva a tenere il ritmo del ramen
shop, specialmente da quando aveva accidentalmente creato una ricetta
così misteriosamente buona da decuplicare da un giorno
all'altro il numero dei clienti abituali. Ironia della sorte, lei ne
trovava l'odore intenso e paradisiaco, ma il sapore disgustoso. Agni
aveva ragione su entrambi i fronti: il suo senso del gusto era troppo
alterato per farla lavorare in cucina, ed il suo olfatto era
così accentuato da farle indossare la mascherina in cucina
per evitare che un aroma troppo forte la facesse starnutire nella
zuppa. Tutto ciò non le impediva comunque di sapere quando
aveva seguito la ricetta alla lettera: quando l'odore del brodo le
faceva girare la testa e nel contempo sapeva di piedi e morte aveva
raggiunto un bilanciamento di sapori che per il palato umano era
apparentemente irresistibile, un sapore ricercato che nel giro di pochi
giorni aveva rigirato completamente le sorti di quel minuscolo e sporco
locale che aveva scelto come copertura proprio perché
nessuno lo frequentava. Il tutto senza ipnosi o controllo mentale: per
una volta era stata la buona sorte a metterle i bastoni tra le ruote.
Infilò
la chiave nella toppa con qualche difficoltà: il freddo
della sera la intorpidiva, probabilmente le modifiche al suo corpo
l'avevano veramente resa a sangue freddo o qualcosa del genere, quindi
quando non indossava la nanotuta o non era adeguatamente coperta il
minimo raffreddamento la rendeva più lenta e imprecisa.
Aprì la porta, appese il cappotto all'attaccapanni, si
beò nel riscaldamento centralizzato, si tolse le scarpe e
afferrò al volo la ciotola che le sfiorò il volto.
-Non
ti avevo detto di smetterla di tirare piatti in giro per casa?-
domandò all'aria.
-Sto
facendo pratica.- rispose Ryuuko, alias di Marina, intenta al lavello a
ripulire i resti di una cena abbondante. -Riesco a farla atterrare
dritta senza rompersi nove volte su dieci. Voglio arrivare a dieci su
dieci.-
-E
perché stai indossando i miei vestiti?- domandò,
accorgendosi effettivamente che sua sorella indossava la magliettina
rosa che aveva comprato appena il giorno prima.
-I
miei sono sporchi.- replicò subito, lanciando una ciotola
che non fu intercettata e atterrò sul tavolo in posizione
dritta.
La
donna serpente si guardò attorno: il bilocale sembrava
accogliente, ma c'era una chiara impressione che qualcosa non andasse,
a cominciare dall'enorme pila di ciotole sul tavolo.
-Marina,
lo so che odi il fast food, ma devi smetterla di cucinare riso per
quattro, io non posso aiutarti a finirlo. - commentò - Vatti
a fare un hamburger di tanto in tanto.-
-Non
posso mangiare hamburger tutti i giorni, non fa bene, anche se brucio
3000kcal al giorno.- rispose subito la sorella -Quando ero alla base
non me ne accorgevo, ma ora che sono fuori è chiaro che il
mio metabolismo è accelerato.-
Aveva
perfettamente ragione, non stava ferma un attimo: la ragazzina
quattordicenne pigra ma intelligente era diventata un tornado di
energia che riusciva a controllarsi a fatica. L'aveva vista sedersi a
giocare con la vecchia console che avevano in un angolo un paio di
volte, ma il resto del tempo lo passava a spendere le forze in eccesso
svolgendo lavori domestici. Ecco da dove veniva il senso di
inquietudine: l'unico dettaglio fuori posto in quel piccolo bilocale
erano i cocci sul pavimento dovuti ad un lancio sfortunato; niente
polvere, né sporco, né alcun tipo di oggetto
fuori ordine. Persino i piatti puliti sul tavolo avrebbero presto e
sicuramente trovato posto nella credenza, togliendosi dalla vista.
Insomma, la casa era abitata da due donne single che erano quasi sempre
fuori, e risplendeva come un albergo.
Un'altra
ciotola le volò sopra la testa e atterrò sul
tavolo, questa volta rovesciata.
-Devi
usarne per forza una diversa ogni volta? Usa un'insalatiera.-
commentò.
Per
tutta risposta, un grosso recipiente di plastica la sfiorò e
si fermò sul ripiano con un tonfo secco.
-Già
fatto, ma anche quella è piccola.-
La
situazione stava diventando ridicola. Si sedette al tavolo,
trovò un po' di spazio per poggiare i gomiti, e chiese:
-Hai
fatto la tua iniezione? Dovrebbe combattere questi impulsi.-
-L'iniezione
è per non farmi avere effetti collaterali, Micchan, non per
trattenermi.- fu la replica.
La
ragazza serpente sospirò, sconfitta.
-Contatterò
la base e vedrò se riescono a sviluppare qualcosa per
privarti temporaneamente delle tue abilità. Metti
inquietudine, Mari.-
-Ryu-u-ko.-
ribatté lei, scandendo le sillabe -Hai scelto questi nomi,
tanto vale usarli. Ma se la devo dire tutta... mi piace sentirmi
così.-
Si voltò dal lavandino con un ghigno sul
volto, facendo roteare un piatto sul dito come una palla da basket,
dimostrando un controllo che lasciò la sorella sorpresa.
-Già, alla base era tutto proporzionato
alle mie abilità e alla mia forza, quindi non mi ero resa
conto di quanto sono diventata forte. Adesso che sono tornata in una
dimensione umana... mi sento alla grande. Come un supereroe!-
Lanciò il piatto sul tavolo, che
scivolò sulla superficie girando su sé stesso
fino a fermarsi. Era ragguardevole: Marina aveva un
controllo sui propri poteri che andava ben oltre le sue aspettative,
dall'ultimo test effettuato all'avamposto era ben sopra gli altri
soldati sia in forza che in precisione. Anzi, era più forte
addirittura di lei, arrivando quasi a sfiorare i
cyborg bestia di livello A; il potenziale dei soldati dei Black Saints
era decisamente sopra le previsioni dei suoi
superiori.
-Forse
potrei farlo davvero, il supereroe, nel tempo libero.-
azzardò la giovane col caschetto-Mi faccio un costume e vado
in giro a picchiare i delinquenti. Di tanto in tanto poi organizziamo
una battaglia tra me e gli altri Corallo tanto per tenere su la
facciata, così divento famosa, mi danno le chiavi della
città e vi faccio da infiltrato. Sempre meglio che starmene
qui tutto il giorno.-
Michiru
non la buttò sullo scherzo, rispondendo invece con la
massima serietà:
-Sarebbe
una buona scusa per liberare altri Corallo, ma è meglio se
non attiri l'attenzione. Nell'ultima settimana abbiamo avuto
avvistamenti di quel robot in tutto l'est asiatico, ha addirittura
interferito con un'operazione di Shark in uno di quei paesi sperduti
nel nord Europa. Vorrei evitare che se la prenda con te vedendoti una
minaccia.-
-Aaah,
Shark.- incalzò Marina, slacciandosi il grembiule e
appoggiando il sedere contro il bancone dell'angolo cottura-Come sta il
tuo fidanzato?-
Era
un colpo basso. Si, era andata di nuovo a letto con lui due volte
quella settimana, a giorni alterni. Lui le permetteva di scappare dai
propri pensieri e dalle proprie colpe, lei gli aveva fatto trovare
qualcuno in grado di stare al suo passo non solo fisicamente, ma anche
per arguzia e spirito. Nonostante nessuno dei due lo considerasse
effettivamente un rapporto era nata un'intesa, ed era facile
fraintendere.
-Non
siamo fidanzati.- commentò, imbarazzata – Ci...
piacciamo fisicamente e basta, tutto qui.-
-E'
difficile trovare qualcuno che non sia attratto da te, Sacchin.-
ribatté la giovane dai capelli corti- Sei alta, hai i
capelli chiari, le tette grosse e un visino da idol, e come se non
bastasse sei anche una donna serpente che non ipnotizza solo con lo
sguardo ma anche con i modi di fare. E io sono...- sbuffò -
tua sorella.-
-Oh,
piantala di leccarmi il culo, non sei divertente.- replicò
con fare più rilassato - E poi anche tu sei una bella
ragazza, dovresti avere più fiducia in te stessa.-
-Dovresti
insegnarmi, sai. Potrei approfittarne e provare a sedurre Black Viper,
forse ci aiuterebbe. O anche Gull, dà l'impressione della
bisessuale repressa.- rispose in tono canzonatorio.
Le
rivolse uno sguardo dubbioso. Il tono sarcastico dell'ultima
affermazione le aveva confermato una certa ostilità
repressa, e vide immediatamente sotto nuova luce le parole che si erano
scambiate da quando era rientrata in casa.
-...
Mari, c'è qualcosa che devi dirmi?- le chiese, sperando che
non fosse niente di grave.
Sua
sorella assunse una smorfia di sorpresa, poi di diffidenza.
Passò qualche secondo e proferì parola:
-Sai...
trovo rassicurante che almeno tu non prenda questa cosa sul serio come
me. Io mi faccio un sacco di dubbi su quello che è rimasto
di noi, e tu ti vai a scoparti il capo per puro divertimento. Non
è bello. Pure questa storia delle identità
segrete... e'... stupida. Essere Ryuuko é come essere
Corallo 26. Io voglio essere Marina, Micchan, se volevo fingermi
qualcun altro tanto valeva fare davvero il supereroe. -
Michiru
cercò di rispondere, ma le parole le morirono in gola, dando
ancora spazio a Marina.
-Ma...
beh, te l'ho detto. Avrò tempo per esserlo a cose fatte.-
Il
silenzio proseguì per qualche altro istante, mentre
considerava tutte le opzioni. Quel discorso non le era piaciuto nemmeno
la prima volta, e sebbene pensasse di aver raggiunto un punto comune
era chiaro che Marina le portasse rancore. Ma era il momento di darci
un taglio: se non poteva rassicurarla in quanto sorella maggiore, si
sarebbe fatta sentire come suo superiore.
Si
alzò, portando con sé il tono della discussione.
-....
per l'amor di Dio, Mari. Ti ho tolto da quella base per toglierti dalla
testa queste idee, non per fartici pensare tutto il giorno!-
-Che
devo fare!?- esclamò la sorella minore, con la voce che si
faceva sempre più forte- Anche se non ci penso, mi basta
sedermi a pranzare per ricordarmi che non sono una persona normale!
Sono mesi che mi nascondo, Michiru, e ora che sono uscita allo scoperto
e che posso andare in giro con il mio nome tu prendi e mi porti in un
bilocale sfigato dicendo di far finta, di nuovo, di essere qualcun
altro! Ma lo sai come mi sento?!-
-Che...
siamo nella stessa barca, non lo capisci?-
ribatté, anche lei quasi abbandonandosi alle urla -Ed io non
solo devo nascondermi come te, ma non ho neanche il lusso di far sapere
a tutti che faccia ho, anzi, devo far credere di essere una ragazza
che è morta per colpa mia!-
-Tu
sei in una posizione di comando! Puoi fare quello che vuoi!- fu la
replica di Marina.
Michiru
rimase interdetta, muovendo la bocca senza alcun suono,
finché le parole non le scesero dal cervello alle corde
vocali:
-Fare
quello che... E' una responsabilità,
Marina! Se io dovessi fare un errore, non ricadrebbe solo su di me, ma
su di te e su tutti quei Corallo in attesa di essere liberati per
tornare dai propri cari!! E non si parla di essere rimproverati dal
capo o licenziati, oh no: io vi sto tenendo in vita,
non lo capisci?-
Fu
in quella che si accorse che anche i pantaloni che indossava erano i
suoi. La sua lingua divagò da sola:
-E
poi, perché indossi anche i miei
pantaloni?!-
-I
miei vestiti sono sporchi! La lavatrice è rotta,
era già rotta quando ci siamo
trasferite!-
-E
tu vai in lavanderia, o usa quella tua dannata energia per lavare quelli,
invece di consumare i piatti!-
Avevano
ormai entrambe ceduto al nervoso e si rivolgevano sguardi poco
amichevoli, ansimando come animali. Gli occhi di Michiru lampeggiavano
di rosso, segno che da lì ad un attimo avrebbe perso il
controllo e travolto il vicinato con onde di influenza empatica che
avrebbero provocato in tutti i presenti un'incontenibile voglia di
azzuffarsi. Il fiato di Marina, invece, aveva iniziato a fare le
nuvolette per quanto era accaldata, cosa accentuata dal riscaldamento
che faceva le bizze.
Si
fissarono per dei lunghi istanti, durante i quali cercarono qualcosa da
dirsi per rassicurarsi o abbassare il tono della discussione, ma
fallirono entrambi.
-Va
bene!- esclamò per prima Michiru,
gettando le mani in aria con un movimento secco e dando le spalle a
Marina -Torna alla base, resta qui, vai in strada a picchiare i
borseggiatori, fai quello che ti pare!!! E pensare
che io volevo solo proteggerti!-
-Proteggermi!?-
avanzò la sorella minore raggiungendola, ormai in preda ad
un raptus combattivo - Rovescio le auto a calci, e tu vuoi proteggere me?-
-Da
te stessa, Marina!- chiarì Michiru,
voltandosi - Hai idea di cosa potrebbe succedere se perdessi il
controllo della tua forza!?-
Il
fiato di Marina si raffreddò pian piano, mentre la sua
immaginazione creava la risposta alla domanda retorica di Michiru. Lo
spirito combattivo si spense lentamente, mentre si accorgeva che per
quanto banali le parole della sorella fossero, avevano un senso.
-Grazie
per la cena, pane e sensi di colpa.- affermò con sarcasmo -E
dire che stanotte volevo dormire.-
Si
avviò verso l'uscita, fissata dalla sorella.
-Vado
a sbollire. Non ti preoccupare, ritorno.- annunciò,
indossando cappotto e scarpe - Non ho altro posto dove andare,
dopotutto. Cercherò di non fare danni esistendo.-
-Lo
faccio per te, Marina....- iniziò la ragazza serpente con
fare mortificato, venendo interrotta:
-Non...
non ho dubbi, Micchan. Ma è difficile. So di essere
infantile, ma ho il cervello fermo a cinque anni fa. Forse... col tempo
crescerò. Ci vediamo più tardi.-
La
ragazza dai capelli corti aprì la porta e si
avviò. Michiru sospirò, cercando di calmarsi.
Forse era lei ad aver sbagliato, forse era stato davvero un errore
uscire dalla base, o forse il suo errore risaliva a molto
più in alto, quando aveva dato vita a quel folle piano
invece di prendere sua sorella e scappare. Il suo cervello
divagò, e arrivò ad accorgersi di un altro
dettaglio.
-Ehi!
Quelli erano il mio cappotto e le mie scarpe!-
Stupida Michiru. Stupida Queen Cobra. Stupidi Black
Saints.
O
forse era stupida lei, una quattordicenne intrappolata in un corpo
più adulto in grado di trasformare il carbone in diamante
semplicemente stringendolo tra le mani (o almeno credeva, avrebbe tanto
voluto provarci per vedere se era un modo di rimediarsi da vivere). Il
piano della sorella era davvero l'unico modo che aveva per renderla
libera, e lei era lì, un attimo a caricarsi di
responsabilità , l'altro a volerle fuggire. Certo, non era
un buon piano, ma lei non aveva altro da proporre.
Ripensandoci, il proprio comportamento non aveva senso, si sentiva
davvero una ragazzina confusa. Senza saperlo, aveva detto una delle
cose più vere che avesse mai pensato: forse un giorno
sarebbe cresciuta.
Avanzò
in mezzo al freddo sul ponte che passava sopra il bacino artificiale
che tagliava a metà la città, una
città che conosceva come la sua mano dopo averci vissuto 19
anni. All'inizio trovava curioso come gran parte degli scontri tra i
Black Saints e gli Excaranger si svolgessero sempre in quel posto, ma
alla fine ci era arrivata: avere forze a piede libero vicino alla sede
principale della Excalibur era sia una sfida che una dimostrazione di
forza militare, un'affermazione che per quanto fossero forti e
superiori le forze dell'organizzazione governativa loro non avevano
paura di affrontarli nel loro stesso territorio. E, come tutta la hubris,
alla fine era stata punita, in questo caso con un androide nero tra
capo e collo.
In
quei pochi mesi le era capitato, sotto il comando della sorella
ovviamente, di partecipare a dei veri ingaggi in situazioni di
guerriglia in giro per il mondo contro altre organizzazioni a loro
nemiche, ed i duelli con gli Excaranger, a confronto, erano battaglie
di addestramento. Ne aveva viste parecchie: quella che aveva lasciato
di più il segno era quando avevano dovuto recuperare un
ostaggio in un ufficio in Italia in mano a Phantasm senza far accorgere
alla polizia locale che pochi metri sopra le loro teste stava avendo
luogo uno scontro a fuoco, il tutto meno di una settimana dopo aver
superato la paura di premere il grilletto: ancora sentiva le urla del
ragazzo che aveva colpito alll'occhio e che si rotolava in agonia sul
pavimento.
Tutto
quello che accadeva nella prefettura di Mie, al confronto, sembrava
davvero un super sentai: appena si usciva da lì iniziava una
guerra vera, con strategie, feriti e vittime collaterali. Il fatto che
anche la Excalibur avesse deciso di darci un taglio e di scatenare quel
robot contro di loro era segno che si erano tolti i guanti bianchi, e
che avevano iniziato a prenderli sul serio.
Avanzando
sul ponte trovò due paia di scarpe, un paio di mocassini da
uomo e dei décolleté dal tacco basso, con due
nomi segnati sopra con un marker bianco. Fissò i flutti alla
ricerca dei proprietari, ma niente: nemmeno la sua vista al buio le
permise di scorrere qualcosa. Probabilmente, la signora Yamada e il
signor Akinori si erano buttati per motivi amorosi, ma non lo avrebbe
mai scoperto.
Considerò
brevemente l'idea di farla finita anche lei, ma molto probabilmente
sarebbe semplicemente riemersa cinquecento metri più a
valle, con i vestiti bagnati come unico danno: una perdita di tempo,
insomma, e Michiru avrebbe avuto un'ulteriore scusa per arrabbiarsi
visto che il cappotto che aveva addosso era il suo.
Distolse
lo sguardo dai flutti e continuò la passeggiata. Il sapere
che probabilmente poche ore prima lì si fosse consumata una
tragedia non la scosse più di tanto: la violenza che
affrontava giornalmente l'aveva desensibilizzata a quel tipo di eventi.
Dedicò comunque un attimo di raccoglimento ai due
sconosciuti prima di rimettersi in cammino.
Poco
più avanti qualcuno sembrava stesse avendo la stessa idea
dei due misteriosi innamorati: una giovane donna aveva appoggiato gli
stivali sul marciapiede e scavalcato la ringhiera, ringhiera sulla
quale era seduta sopra a fissare il fiume nel buio, scalciando con fare
apparentemente giocoso ma che mettevano in mostra un certo nervosismo
indeciso.
Poco
prima aveva scherzato con Michiru, annunciando di voler diventare una
supereroina. Beh, era il momento di dimostrare a sé stessa
di non essere buona soltanto a combattere, e che valeva di
più di quello che sembrava. Un atto egoista, certo, ma da
qualche parte doveva cominciare.
La
sua corsa fu silenziosa, e nel giro di pochi attimi fu vicino alla
ragazza che stava seduta sul parapetto. Fece per parlare, ma si accorse
di non sapere cosa dire: non era mai stata in una situazione simile,
né le era stato insegnato come comportarsi.
-Non....
non farlo. Pensa ai tuoi cari.- accennò.
La
donna non si voltò neanche a guardarla e parlò:
-Fare
cosa? Ho solo un piccolo dubbio, niente di che.-
Marina
la osservò da dietro. Era alta quanto lei e portava i
capelli in un taglio un po' più corto del suo, con un colore
rosso volpe decisamente poco comune. Il cappotto che indossava sembrava
costoso, così come gli stivali appoggiati a terra e le buste
dai loghi prestigiosi che vi giacevano vicino. Aveva l'aria di qualcuno
che aveva appena buttato l'intero stipendio in un pomeriggio di
shopping e si era appena resa conto della vacuità della cosa.
Si
avvicinò alla ringhiera, affiancandola. Doveva almeno
avvicinarsi: se avesse cercato di gettarsi, sarebbe bastato afferrarla
per un braccio e l'avrebbe tirata sulla strada senza problemi. Alla
peggio se la sarebbe cavata con una slogatura: non era così
forte da strappare gli arti di una persona, non senza slancio almeno.
-E...
quale sarebbe, questo dubbio?- le chiese, cercando di guadagnare tempo.
-Mi
stavo chiedendo- rispose la donna, senza batter ciglio- se mi buttassi
da questa altezza, che mi succederebbe? Morirei, o riemergerei
più a valle senza alcun danno e con l'intero stipendio che
ho buttato in vestiti rovinato?-
Non
riuscì a trattenersi: ridacchiò. Forse era fuori
luogo, ma trovava la coincidenza curiosa.
-Ti
fa ridere?-
-Eh?
No, no...mi stavo facendo la stessa domanda anche io, ma non vale la
pena darci una risposta solo per un brutto periodo.-
-Non
è un brutto periodo. La mia vita è un inferno da
anni. Pensa ai tuoi cari? Non mi è rimasto più
nessuno. Tanto vale farla finita e affrettare la nostra riunione.-
replicò la ragazza al suo fianco, un'intonazione monotona e
priva di spirito.
Marina
si ritrovò di nuovo senza sapere cosa dire, ma non poteva
permetterle di chiudere il discorso: ogni secondo che passava in bilico
sopra il fiume era un secondo verso l'inevitabile. Si
ritrovò a ripetere le sue stesse parole nel tentativo di
rallentarla:
-Non
ti è rimasto più nessuno?-
-Vorrei
parlartene, ma non ho tutta la notte per provare questa teoria.-
evitò di rispondere la giovane sulla ringhiera con tono
rassegnato -Dammi cinque minuti. Se sopravvivo, mi sentirò
molto stupida per averci provato, tornerò qui e ti
racconterò tutto. Se non torno, beh, prenditi le mie buste.
Pure gli stivali, se ti stanno bene: sono Louis Vuitton nuovi di zecca,
li ho pagati 200,000 yen. Mi stavano comunque scomodi, il tacco
è troppo alto.-
Poi
si sporse dalla ringhiera, appoggiando i piedi sul bordo e piegando le
ginocchia, una chiara posizione per saltare giù.
-Aspetta!-
Marina
fu rapida al massimo delle sue potenzialità, afferrandola
per la spalla nemmeno una frazione di secondo dopo. Sapeva esattamente
quanta forza mettere nel braccio per tirarla sulla strada, ma fu colta
alla sprovvista dall'impeto del salto, e la sua presa ferrea si
rivelò un'arma a doppio taglio in quanto venne trascinata
contro la propria volontà. Nemmeno il parapetto
riuscì a trattenerla, facendola ribaltare e finire
giù dal ponte.
Si
voltarono a guardarsi, ed i loro sguardi si incontrarono nel buio,
trovando l'una le pupille dell'altra in una notte che per entrambe era
chiara come il giorno. Fu un momento lunghissimo in cui i loro cervelli
fecero a gara a chi ci arrivava per prima, e la sconosciuta vinse il
confronto:
-M-Marina?-
-...Aika-chan?!-
replicò lei di rimando, a pochi metri dall'acqua.
Gli
occhi della ragazza dai capelli rossi assunsero immediatamente
un'espressione affranta, mentre attirava a sé Marina e la
stringeva nel tentativo di farle da scudo all'impatto. Marina
cercò di fare lo stesso, poi il loro mondo si fece bagnato e
gelido.
Cinquecento
metri più a valle riemersero entrambe, toccando le sponde
del fiume artificiale in un punto dove era possibile l'accesso a piedi.
Marina fu la prima a rialzarsi, tossendo fuori l'acqua che le era
entrata nei polmoni.
-Oh,
mia sorella mi ucciderà!- fu il suo primo commento, prima di
ricordarsi che non aveva fatto il tuffo da sola. -A-Aika?-
-Beh,
mi sento molto stupida ora.- la sentì commentare.- Me lo
dovevo...-
I
loro sguardi si incrociarono e si trovarono senza parole, entrambe in
preda alla sorpresa e alla preoccupazione. Marina fu la prima a
scuotersi da quella situazione, tirando su col naso e lanciando un
ulteriore colpo di tosse prima di parlare.
-Sei
fuori di testa!? Potevi ammazzarti!- le urlò, in preda
all'adrenalina, mentre le metteva le mani sulle spalle come per
riportarla alla realtà mettendo tutta la cura possibile per
non stritolarla-Ma si può sapere che ti è preso!?-
-E'
una storia lunga, io...-
Fu
in quella che Aika, alla vista dell'espressione incollerita della sua
amica, si rese conto di quello che era appena successo. Il suo volto si
aprì in una smorfia di sollievo, e parlò con un
tono che non avrebbe mai più pensato di usare:
-....santo
cielo, Mari. E' bello vederti, è da quando abbiamo finito le
elementari che...-
-Non
cambiare discors--
Aika
le si gettò addosso, stringendola. La sentì
singhiozzare. L'adrenalina calò, e si accorse anche lei
della situazione: la sua amica d'infanzia aveva appena cercato di
suicidarsi per un motivo che ancora non riusciva a capire. Le sue mani
si mossero da sole oltre le spalle di lei, cingendola in un abbraccio
consolatorio.
Marina
aveva ragione, non era stata la sua idea migliore. Doveva essere un
periodo di pausa per ripensare al piano senza sentire l'alito del drago
sul collo, ma tutto quello che erano riuscite a fare era stato
accumulare altro stress. Quello, e spendere in una settimana i soldi
che aveva accumulato per il mese, sia per chi mangiava solo pesce e
uova che per chi mangiava riso in quantità . Se continuava
così avrebbe dovuto ipnotizzare di nuovo l'impiegato della
banca, e c'era un limite a quante volte poteva farlo prima di iniziare
a destare sospetti.
Una
vibrazione sospetta dalla sua borsa le fece tirar fuori un cellulare,
ma non l'allegro dello smartphone di una ventenne giapponese: era
invece uno di quei vecchi telefono ripiegabili in stile Star-TAC.
Ovviamente era tutta un'apparenza: la tecnologia contenuta nel
comunicatore portatile dei Black Saints era anni luce avanti rispetto
ai telefoni commerciali, e aspetto datato era dovuto solo al fatto che
il modello, seppure molto più potente di un computer
attuale, le fosse stato dato in donazione da qualche anno. Aveva preso
l'abitudine di portarselo dietro in ogni momento dopo l'incidente del
supermercato mesi prima, e poi il tempo che sia lei che Queen Cobra
avevano passato giocandoci a Tetris durante le attese equivaleva ad una
piccola eternità, quindi era uno degli apparecchi
più importanti a sua disposizione.
Considerò
se tirar fuori il casco dall'armadio e rispondere in
modalità videochiamata, ma alla fine decise di lasciare la
conversazione in Sound Only e si ritirò nella camera
adiacente, chiudendosi la porta alle spalle. Si sedette sul letto,
indossò gli auricolari e rispose alla chiamata, appoggiando
poi il telefono sul materasso vicino a sé.
-Parla
Green Cobra.- annunciò all'altro capo della linea,
abbassando improvvisamente la voce di mezza ottava per dare
un'impressione autoritaria. Non che dovesse, sapendo chi si trovava
all'altro capo: per quanto potesse darsi un tono, il suo interlocutore
era decenni avanti.
-Dire
Wolf.- rispose lentamente una voce così maschile che faceva
impallidire quella di Russell, mentre l'immagine di un umanoide con i
tratti canini e la faccia piena di escrescenze ossee compariva sul
display, ritrovandosi a guardare il vuoto. -I miei sottoposti non sono
riusciti a raggiungerti, Cobra. Dove ti trovi?-
-Ricognizione.
Scusa il Sound Only, ma non posso farmi vedere al momento, sono sotto
copertura.- replicò con tono fermo.
-Sei
sempre in ricognizione. Hai preso il tuo impegno seriamente, vedo.-
Sogghignò.
Non sapeva neanche quanto.
-La
potenza non è tutto in combattimento, bisogna anche
conoscere il contesto.- rispose con tono compiaciuto. Il suo
interlocutore fu più diretto e meno simpatico:
-Ne
deduco che tu abbia raccolto dati utili?-
Si,
lo aveva fatto. Aveva solo graffiato un po' la superficie del filone
che aveva individuato, ma non poteva andare troppo oltre tutto insieme.
Era il momento di farsi bella di fronte al suo collega.
-Ho
raccolto informazioni sul fondatore originario del progetto ExChaser.-
-Ottimo.
Cosa sai di lui?-
-Morto
di cause naturali.-
-Cause
naturali?-
-Si,
non sarebbe naturale essere ancora in vita dopo che i tuoi organi sono
stati sparsi per tutte le campagne fuori Kimura.-
Battuta.
Se l'era preparata da giorni. Il ringhio sommesso di Wolf le fece
capire che non aveva altrettanto senso dell'umorismo, quindi fu rapida
a delucidare:
-E'
rimasto ucciso dall'ExChaser durante l'ultimo test del progetto
originale. Hanno cercato di insabbiare tutto, ma sai benissimo che per
me rimediare informazioni non è un problema. Al momento
stiamo individuando chi nel team di sviluppo sa più cose
possibile e può sparire senza destare troppi sospetti per
farlo parlare, ma si tratta di membri di alto profilo della Excalibur,
quindi dobbiamo andarci molto piano.-
-Sono
davvero così importanti, tutte queste informazioni?-
si lamentò Wolf -Sono il terzo guerriero più
forte dei Black Saints, e non credo che quel patetico robottino sia in
grado di starmi al passo. Non vedo l'ora di farlo a pezzi, finalmente
Wasp e Dragon capiranno che gli sono superiore.-
-Da
quello che sappiamo è tutt'altro che patetico.-
spiegò -Le mie squadre di raccolta dati hanno ricavato dai
video delle sue sortite abbastanza dati da stimare il suo potenziale.
La sua unità di supporto aereo raggiunge i Mach 2, le armi
da fuoco gli fanno un baffo ed è carico di così
tanti sistemi di armamento che non abbiamo idea se siamo riusciti a
vederli tutti. Armatura spessa come quella di un carro armato leggero,
troppo veloce per essere colpito dagli RPG e dai cannoni anticarro,
resiste ai campi EMP. Le mie spie stanno cercando di ottenerne i
progetti, ma le informazioni sono state decentrate in diversi centri di
dati sparsi per tutto il Giappone, ognuno dei quali con il proprio
livello di sicurezza, e non abbiamo nemmeno una lista completa delle
loro locazioni. E' una bella sfida, ma sono sicura che in tempo utile
riusciremo a trovare tutti i dati che ci servono.-
Wolf
rimase in silenzio con un'espressione indecifrabile sul volto, poi
parlò a metà tra il sibilo e il ruggito.
-Sfida.
Lascia perdere la tua raccolta dati. Voglio sfidarlo.-
Michiru
inarcò un sopracciglio e strinse le labbra, sorpresa.
Afferrò il comunicatore, sicura di vedere un sorriso giocoso
sul volto di Wolf, ma quando trovò uno sguardo serissimo
capì che non stava scherzando.
-Contro
di lui abbiamo perso tre operativi di classe A, diversi sottoposti e
gran parte della squadriglia di mercenari stanziata nelle Filippine.
Affrontarlo non è una passeggiata.- affermò,
cercando di scoraggiarlo.
-Tu
sei sopravvissuta ad un suo attacco, e la tua classe di combattimento
non raggiunge nemmeno la A.- la riprese lui -Non deve essere poi
così difficile.-
Si,
ancora non spiegava perché l'ExChaser l'avesse semplicemente
lasciata a dissanguarsi sul terreno quando aveva dimostrato una
brutalità inaudita contro gli altri avversari, al punto da
non lasciare alcuna traccia della loro esistenza. Aveva ancora i
brividi al ricordo che ciò che restava di Red Raven, secondo
in classe A, poteva essere conservato dentro una ciotola.
D'altro
canto, Dire Wolf era di livello S, e sebbene non fosse primo
né per forza, destrezza o resistenza aveva dato
dimostrazione di poter affrontare fino a tre cyborg bestia di classe A,
quindi forse era uno scontro alla pari.
Si
stese, mani dietro la nuca e passò qualche istante immersa
nei propri pensieri, lasciando andare un sospiro di insicurezza. Era
quello il motivo per cui lei e Russell erano sulla stessa lunghezza
d'onda per quanto riguardava il libero arbitrio dei propri sottoposti:
sovrascrivere le loro personalità con una serie di direttive
che dovevano seguire ad ogni costo era la cosa migliore da fare se
volevi che eseguissero ogni tuo ordine, ma non per farli arrivare vivi
a fine giornata. Dare un carattere prevedibile agli cyborg bestia li
rendeva più facili da controllare, ma questi finivano
inevitabilmente costretti in uno stereotipo: Dire Wolf il berserker
assetato di sangue, Blood Dragon il guerriero onorevole, Tiger Wasp
l'omicida sadica, Tarantula l'assassina infida...
E
poi c'era Queen Cobra. Aveva studiato il condizionamento a cui erano
sottoposti i suoi colleghi e l'aveva comparato con il proprio,
rimanendone sorpresa. Gli altri cyborg bestia erano diversi da lei
sotto più di un fattore: oltre ad un processo di
rimodellamento molecolare completamente diverso, i suoi colleghi non
erano sotto il controllo di un'unità esterna che dava loro
suggerimenti indotti, ma di una riscrittura della
personalità e dei ricordi non diversa da quella a cui
sottoponeva i Corallo. A pensarci bene, era chiaro perché
lei fosse diversa: un guerriero imbattibile con un allineamento fisso
è prevedibile e più facile da controllare, ma
sono le persone che sanno pensare una soluzione e metterla in atto a
risolvere un problema, non quelle la cui prima reazione ad un ostacolo
è di picchiarlo forte finché non si rompe.
Ma
stava divagando, e Wolf era impaziente.
-In
quanto tua consulente in combattimento ti proibisco di affrontare
l'ExChaser senza un'analisi accurata delle sue capacità ,
ma...-
-Proibisci
un corno.- la interruppe.-Voglio affrontarlo domani stesso. Se sei
davvero così preoccupata, torna ad analizzare quei tuoi dati
e dimmi
qualcosa in grado di darmi un vantaggio tattico.-
Era
il suo funerale. Ripassò mentalmente i posti visitati quei
giorni ed i dati raccolti, cercando di trovare una qualche scappatoia
per permettere a Wolf di tornare alla base tutto d'un pezzo. Era
arrivata alla conclusione che l'ExChaser era progettato per inseguire
il proprio bersaglio fino allo sfinimento, quindi aveva bisogno di una
locazione dove l'estrazione potesse essere estremamente rapida, nel
caso in cui le cose andassero male. La copertura era indifferente - se
ti nascondevi dietro ad un muro, dopo qualche istante nel muro c'era un
buco a forma di ExChaser - e aveva dato dimostrazione di potersi
muovere negli spazi urbani senza problemi, di conseguenza che si
trovassero in città, in campagna o al mare non cambiava
niente. Inoltre... non voleva perdite tra i civili. Aveva passato la
sua infanzia in quella città , e non voleva diventasse un
campo di battaglia, come.... come... come la considerava il suo alter
ego.
Sospirò
e scosse la testa. Riusciva a rimanere concentrata per più
di dieci secondi? Il suo interlocutore voleva una risposta, e l'avrebbe
avuta. Interagì con il comunicatore e chiarì a
voce.
-Ti
ho inviato delle coordinate, è un punto fuori
città dove si è svolto uno dei test del progetto
ExChaser originale. E' vicino ad una sede dell'Excalibur abbandonata e,
dal database, priva di sorveglianza. Ci sono diversi punti rialzati da
cui puoi far intervenire il tuo supporto. Terrò
un'unità pronta per estrarti nel caso avessi---
-Non
ce ne sarà alcun bisogno.- la interruppe di nuovo -Quel
posto sarà la sua tomba.-
-Sarà
la tua tomba.
-cercò di nuovo di chiarire quanto fosse pericoloso
ciò che voleva intraprendere. -Te lo ripeto: non
ingaggiare, Wolf. Stai agendo senza autorizzazione del
Consi--.-
-Noi
abbiamo già l'autorizzazione del
Consiglio, Cobra: posso agire non appena ritengo sia il momento.
Rispetta i ranghi: sei una consulente, non un mio superiore, e anche se
tale ti sbagli di grosso sull'esito della battaglia:
affronterò questo ExChaser domani alle sei, lo
farò a pezzi, farò colazione con i suoi resti e
porterò quel che rimane al Consiglio per fargli vedere che
nella vita bisogna agire, non pensare. Chiudo.-
Comunicazione
chiusa. Rabbrividì. Forse era stata troppo pretenziosa nel
credere che il numero di uccisioni sul ruolino fosse direttamente
proporzionale alle capacità in battaglia.
Ma
chi voleva prendere in giro? Aveva scelto Dire Wolf perché
se avesse scelto Blood Dragon, l'operativo da combattimento
più potente a disposizione dei Black Saints, e questo fosse
stato sconfitto, nessuno avrebbe più voluto avvicinarsi
all'ExChaser, e aveva evitato di contattare Tiger Wasp
perché il suo hobby era fare di tutto per non farti sentire
a tuo agio, nonostante avesse così tante uccisioni
confermate da far impallidire il resto della classe S. Wolf,
strategicamente, era una pedina sacrificabile, ma doveva cercare a
tutti i costi di riportarlo indietro – anche se, in
realtà, in cuor suo sperava che l'ExChaser avrebbe fatto
pesare a Wolf tutte le vittime che aveva causato ponendo fine alle
sofferenze dell'essere umano che si nascondeva dietro a quel grugno
canino ricoperto di ossa.
La
cosa le lasciò l'amaro in bocca: non erano bei pensieri. Era
tornata a questionarsi da qualche giorno, dopo aver ripreso una
sembianza di vita normale. Forse il tornare a guardare le cose
dall'esterno le aveva dato un po' di prospettiva? Forse era la mancanza
di Agni che la riportava all'ordine e le ricordava il suo obiettivo? O
forse il serpente la influenzava più di quello che pensasse,
dandole solo una parvenza di libero arbitrio?
Avrebbe
dovuto parlarne con qualcuno, forse con Russell, o con...
-Micchan,
sono tornata! Scusa, ho portato un ospite!-
La
voce proveniente dall'altra stanza la riportò alla
realtà. L'aveva chiamata per il suo vero nome e aveva
portato un'ospite!? Ma la parola incognito aveva
qualche significato per lei?
Scattò
in piedi e attraversò rapidamente la stanza, aprendo la
porta.
-Noi
due dobbiamo oh dio perché sei fradicia-
Il
suo sguardo incrociò quello di Aika, spuntata dietro a sua
sorella, e il suo cervello si arrese. Aveva bisogno di una spiegazione.