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Autore: AdharaSlyth    17/01/2017    2 recensioni
"Si era elegantemente ritirato dalle loro vite, in silenzio, e mentre per i suoi migliori amici diventava niente di più che una grigia e trascurabile porzione di spazio, per lei assumeva una rilevanza fondamentale, a tal punto da non riuscire più ad evitare di ricercare la sua presenza in ogni momento. [...] E più lo guardava più riscontrava in lui comportamenti degni della nobiltà di cui si era tanto vantato.
E più quei comportamenti venivano fuori, più lei se ne scopriva affascinata e incuriosita.
Finché un giorno non le aveva parlato."
Dramione - Partecipa al concorso "Are You Mine?" di Mary Black
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Nickname sul forum: Adhara_chan

Nickname su EFP: AdharaSlyth

Titolo della storia: “Rendimi me stesso”

Coppia scelta: Draco Malfoy/Hermione Granger.  (Settimo anno, post-guerra. Due persone sole che si scoprono più simili di quanto non credano.) 

Rating: Giallo

Contesto: Dopo la II Guerra Magica/Pace

Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale

Note/avvertimenti: Lime, Missing Moments

Note dell'Autore: Buonsalve a tutti! Prima di qualsiasi altra cosa devo ringraziare Mary Black per aver indetto questo concorso “Are you mine?”, non mi sarei più rimessa a scrivere se non fosse stato per lei!
Come seconda cosa devo confessare che questa storia mi ha richiesto uno sforzo mentale non indifferente, perché l’ho scritta, poi ho deciso che non ero sicura, ne ho scritte altre due, ma non ero sicura nemmeno di quelle, e sono tornata a lavorare su questa. Lo so. Completa follia!

Spero comunque che la storia vi piaccia!

Baci,

AdharaSlyth

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rendimi me stesso

 

 

 

 

 

 

 

 

“Gli dei ci creano tante sorprese: 

l'atteso non si compie, 

e all'inatteso un dio apre la via.”

(Euripide - Le Baccanti)

 

 

 

 

 

 

 

 

“Non capisco perché dobbiamo stare ancora qua.” 

Ron si lasciò cadere scompostamente su una delle poltrone davanti al camino mentre i suoi amici prendevano posto sul divano a fianco a lui.

Anche quel giorno a rispondere a Ronald fu il silenzio di un sospiro.

“Niente ‘E’ per il nostro bene, Ronald. Non avremmo nemmeno un diploma altrimenti!’ Hermione?” chiese alla ragazza che stava accanto a lui, la testa mollemente appoggiata sulle braccia incrociate al di sopra dello schienale del divano.

“Avrebbe senso ripetertelo?” gli rispose guardandolo con i grandi occhi ambrati privi di ogni rimprovero ma sinceramente incuriositi “Ormai lo sai anche da solo.”.

Hermione sentiva la propria voce estranea. 

Aveva smesso da tempo di badare alle cose che diceva, di curare attentamente le parole, le espressioni, il peso da dare ad ogni singolo suono. 

Era qualcosa che aveva capito dopo la fine della guerra, nelle interviste che erano stati obbligati a rilasciare e durante i discorsi alle cerimonie a cui avevano presenziato.

A nessuno importava davvero cosa avessero da dire. 

In un certo senso cominciava a capire i folli discorsi di Silente alle cene di inizio anno.

Paradossalmente riceveva più attenzione con “Pigna, pizzicotto, manicotto, tigre” che facendo qualsiasi altra profonda riflessione.

E non c’era niente che loro tre, che nessuno, potesse fare per cambiare questo fatto.

Una delle tante volte in cui si era lamentata, Kingsley le aveva detto che erano appena usciti da una guerra, che le persone avevano bisogno solo di sentirsi dire che le cose sarebbero andate meglio, che erano al sicuro ora. 

Avevano bisogno di sentirli parlare perché la loro voce era la dimostrazione fisica che Harry, Ron e lei erano davvero ancora lì a proteggerli. 

Ron si allungò ad afferrarle una mano accarezzandole il dorso ma lei la ritirò rivolgendogli solo un sorriso indeciso.

Sapevano entrambi che loro non avevano più un futuro assieme. 

Erano stati destinati, tanto tempo prima, a trovarsi ed amarsi, ma poi avevano deciso che dovevano contrastare il destino, la Storia, avevano sfidato le leggi del Fato e avevano perso quello che il Fato stesso aveva avuto in serbo per loro.

A Hermione capitava spesso di chiederselo, di domandarsi quante creature si fossero ritrovate abbandonate dal loro futuro quando la guerra era finita.

Avevano una strada già tracciata davanti ai loro piedi, un futuro già in vista e una vita che li stava aspettando, lei, Ronald, Harry, Ginny, Neville… Malfoy.
Ora che non si sentiva più obbligata a riempire ogni attimo con il suono saccente della propria voce si scopriva sempre più persa in un labirinto di intricati pensieri che la trascinavano come vento da un ricordo all’altro, animati da qualcosa di completamente illogico.

E sempre più spesso il termine di quella corsa inarrestabile era lui.

Draco Malfoy.

Era tornato a scuola con loro. Forse per avere un diploma, o forse per lo stesso motivo che intrinsecamente aveva riportato lì tutti loro: il fatto che anche lui si fosse ritrovato sprovvisto di ogni certezza.

Si era elegantemente ritirato dalle loro vite, in silenzio, e mentre per i suoi migliori amici diventava niente di più che una grigia e trascurabile porzione di spazio, per lei assumeva una rilevanza fondamentale, a tal punto da non riuscire più ad evitare di ricercare la sua presenza in ogni momento.

L’aveva rivisto avvolto da una calma quasi surreale, che si guardava attorno sulla banchina del binario 9 e 3/4, come se i suoi occhi vedessero il mondo a colori per la prima volta, come se la sua presenza, la sua aura, fossero in grado di rallentare ogni moto nel vicinanze.

Lo aveva sorpreso gentile ed educato con tutte le ragazze, osservandolo aprire loro la porta o raccogliere i loro libri con un sorriso estremamente semplice quanto stupefacente, privo di ogni ombra di secondo fine.

E più lo guardava più riscontrava in lui comportamenti degni della nobiltà di cui si era tanto vantato. 

E più quei comportamenti venivano fuori, più lei se ne scopriva affascinata e incuriosita.

Finché un giorno non le aveva parlato.

 

 

“Perdonami Granger, non ti avevo vista.” 

Hermione aveva osservato impietrita Malfoy chinarsi a terra a raccogliere i libri che le era sfuggiti di mano.

“Spero di non averti fatto male.” 

Si era limitata ad annuire indagando negli occhi di lui alla ricerca di qualcosa che non riusciva a scorgere.

Quello sguardo plumbeo non mostrava nessun segno di scherno, nessuna rabbia o dolore. A dire il vero, si accorse Hermione, gli occhi di Malfoy non mostravano niente se non il mero riflesso dei suoi, altrettanto vuoti.

Malfoy era diventato uno specchio.

E ora non riusciva a fare altro che osservare il riflesso del volto di lui nei propri occhi a loro volta riflessi in quelli grigi del ragazzo.

“Grazie.” aveva sussurrato allungando la mano per riprendere le sue cose, incapace di distogliere lo guardo.

Si erano sfiorati, e Hermione si era sentita come toccata da una scarica elettrica, e in loro si era incrinato qualcosa.

 

 

Non sapeva cosa era stato a spingerla a ripercorrere quel corridoio, il giorno dopo, e quello dopo ancora, e quello ancora a seguire, per cinque lunghe settimane, ma quella stessa forza aveva spinto lì anche Malfoy.

Per trentasei giorni avevano ripetuto la stessa scena, immutabile. 

Si fermavano, lei sulla strada per la lezione di Rune Antiche, lui di ritorno verso i sotterranei dalla biblioteca, a pochi passi di distanza l’uno dall’altra, quanto bastasse da non sfiorarsi più, ma abbastanza da poter passare dieci infiniti minuti a scrutarsi negli occhi.

C’erano solo loro due. In silenzio. Finché quel loro istante non veniva frantumato dal suono della campanella e lei era costretta a superare la figura immobile del ragazzo e riprendere la sua corsa verso la lezione.

Ma non poteva andare avanti così per sempre. 

La stabilità non era per lei, per loro. 

Erano reduci di guerra, dipendenti dall’adrenalina che poteva dare una corsa folle per la propria vita, o lanciarsi contro al pericolo imminente per il gusto di sapere se ne sarebbero usciti per raccontarlo.

 

 

“Cosa vedi Granger?” le aveva chiesto avvicinandosi più di quanto il loro tacito accordo avesse mai consentito, tanto da far sfiorare la punta del naso con la fronte di lei.

“Ancora non lo so.” aveva risposto leggera lei, per niente scossa da quella vicinanza “Tu cosa vedi?” 

“Non sono sicuro.” aveva risposto assottigliando lo sguardo per vederla meglio.

Di scatto le aveva afferrato una mano e invece di vederla aveva cominciato a guardarla, e dopo averla guardata l’aveva osservata, e l’aveva scoperta.

“Vedo che ti senti estranea a questo mondo, che ti senti finalmente in diritto a camminare dieci centimetri sopra gli altri, osservando con pietà le loro tristi, ordinarie vite da ragazzini. 

Che i corridoi di Hogwarts non sono più come li ricordi. Non ti trasmettono più quel caldo senso di incantata sicurezza, quello stupore costante, quella sensazione di orgoglio che ti ha sempre colmato il petto mentre li percorrevi al mattino, con i libri sotto braccio e la bacchetta nella tasca della gonna.

Nonostante la luce entri di nuovo, limpida e calda, dalle grandi finestre ad arco, tu non ti senti più te stessa.

Vedo che ritieni di aver visto troppo.

Di aver vissuto troppo.

Vedo che non sai dove stai andando ma che a differenza degli altri non hai paura. Vedo me stesso, nello specchio che hai reso i tuoi occhi per lasciare che ognuno ci vedesse un po’ quel che voleva e tu potessi smettere di rendere conto di quel che sentivi. 

Ved—”.

Non poteva più sentirlo parlare, perché era troppo sentire la voce soave di quel ragazzo, di quel giovane uomo, leggere direttamente dalle pagine della sua anima.

Aveva chiuso le labbra sottili con le proprie e le sue dita affusolate, sporche di inchiostro, avevano trovato una strada nascosta tra i capelli biondi, premendo la sua nuca per costringerlo a starle più vicino.

Infine gli occhi di lui si erano chiusi nel cedere all’assalto delle loro bocche che si incontravano, e si era sentita di nuovo carica di quell’adrenalina che non si era accorta di desiderare ma che era la sua forza motrice.

Quando si erano separati, negli occhi brillava di nuovo la scintilla di una fiamma assopita sotto le ceneri, ma finalmente pronta a tornare a bruciare.

“Sai quello che vedo io Draco? Vedo che anche tu sei senza meta, ma non vaghi allo sbaraglio come tutti gli altri, che anche tu non riesci più a riconoscerti nei discorsi farciti di pettegolezzi e insensatezze sui compiti o sulla scuola. Mi sembrava di vederti libero ora che non ti importa. Perché ti importa talmente poco, che avevi coperto i tuoi occhi con il mio stesso specchio, per lasciare che la gente vedesse in te quello che voleva vedere, un simbolo disperato di redenzione. Ma quello che vedo ora, è una lotta angosciante, un demone che ti squarcia dentro, tentandoti e torturandoti nella speranza di tornare in superficie. Questa rabbia che ti dilania come una belva notte e giorno.

Vedo te, un sottile calcolatore, un cultore della filosofia secondo cui “La vendetta va servita fredda”, che fatichi a trattenerti dal rispondere agli attacchi dei suoi numerosi accusatori con la cieca ferocia di una fiera selvatica.

Scontrarsi.

Sfogarsi.

Sopravvivere.

Il nobile figlio di Salazar Serpeverde che si lascerebbe volentieri trasportare dal proprio stomaco nelle peggiori situazioni.

 

 

A quel punto era stato lui a baciare lei, spingendola contro il muro, dietro una delle corte colonne che facevano da bracieri. 

Le aveva preso il volto con una mano e aveva stretto l’altro braccio attorno alla sua vita sottile, imprigionandola tra la parente e il suo petto, come avvolta nelle sue spire.

Ancora una volta la campanella li aveva strappati al loro delirio, riportandoli indietro da quell’universo onirico di cui entravano a far parte quando erano assieme.

Mentre riprendevano fiato sapevano che era appena cambiato tutto.

 

 

Continuarono su quello che sembrava loro il primo sentiero già tracciato dopo molto tempo, convinti che sfogarsi con l’altro li aiutasse a mantenere più salda la loro maschera, e senza accorgersi invece che questo non faceva altro che accellerarne lo sgretolamento costringendoli a cercarsi sempre con maggiore frequenza e necessità.

Fuori dalle aule nei sotterranei, negli scaffali più remoti della biblioteca, appena oltre il limitare della foresta, in un’intreccio di labbra, mani, e progressivamente sempre più pelle, finché il freddo non si fece troppo rigido e si trovarono a rifugiarsi in un’aula studio in disuso scoperta per caso.

E avevano portato tutto su un nuovo livello. 

Pian piano il mondo al di fuori di quella stanzetta che avevano reso calda e accogliente si era fatto fumoso e inconsistente. 

Si beavano di quegli attimi che si rubavano a vicenda, che rubavano alla loro finzione, alla loro vita “dopo”.

Dopo la guerra, dopo le lezioni, dopo brevi frammentate notti di sonno in solitaria.

Si ritrovavano come un naufrago ritrova la superficie, con respiri profondi e affannati, riempiendosi polmoni dei rispettivi sussurri spezzati.

Senza rendersene conto sparivano dalle loro esistenze, rifugiandosi in quegli istanti, senza accorgersi che stavano diventando la realtà, e non più una fuga da essa.

Che il tempo che passavano insieme, liberi, stava soppiantando di gran lunga quello che trascorrevano fingendo, allenando la loro resistenza a sguardi indiscreti.

Litigavano anche, spesso. 

Quel saltarsi furiosamente addosso, con le parole e poi fisicamente, era un modo unico per sentirsi di nuovo in controllo, e la loro rabbia mutava in euforia appena si rendevano conto di starsi lentamente riappropriando di se stessi.

Era una spirale che li portava sempre più vicini al suo centro, che li spingeva con la sua forza a tornare ad essere inevitabilmente quello che sarebbero dovuti essere fin dall’inizio, quello che sarebbero dovuti rimanere secondo il disegno del Destino.

 

 

“Ronald! Voglio proprio sperare che tu abbia finito il compito di Trasfigurazione per la Preside McGrannit!”

Hermione era rimasta stupefatta della propria uscita, convinta com’era che non le sarebbe mai più importato abbastanza della scuola da spendere energie a riprendere i suoi amici.

Ron e Harry l’avevano guardata come i babbani guardano i fantasmi nei film dell’orrore e lei non aveva fatto altro che fuggire via, spaventata dal breve momento in cui la maschera non aveva retto lasciandola nuda ed esposta.

Malfoy era già nella stanza.

E la lasciò profondamente delusa e ferita il fatto che non lo sorprese vederla arrivare trafelata e con la chioma di ricci scompigliata più del solito.

Non ottenne nessuna reazione, nemmeno quando cominciò ad urlare, aggirandosi per la stanza come una Menade posseduta dal dio, per poi accasciarsi stremata sul tappeto di morbida pelliccia che avevano portato lì con la magia.

“Sta diventando più difficile anche per me.” aveva ammesso lui scivolando giù dal divano e lasciando che lei infilasse la testa sotto il suo braccio per strofinare la guancia contro il suo petto “Sai che non può andare avanti così per sempre.”

 

 

“Potremmo uscire allo scoperto!” 

Hermione lo guarda negli occhi, ma non vede più lui riflesso nei propri. 

Vede se stessa, fragile e tremante. Spaventata.

“Se… questo, fosse di dominio pubblico potremmo stare più tempo assieme e riusciremmo a reggere.”

“Granger.”

“Quando siamo tornati al cognome?”

“Non possiamo.”

“Non ti azzardare Draco! Credi forse che mi beva una delle tue balle?” si stacca da lui con violenza, guardandolo con la cieca rabbia di una leonessa ferita.

“Non è forse quello che hai fatto fino ad ora?” un’altra freccia dall’arco del ragazzo la trapassa da parte a parte “Cosa credevi, di conoscermi? Tu non sia nulla! Tutto quello che vedevi in me, tu non avresti dovuto vederlo! Nessuno avrebbe dovuto! Esserselo lasciato sfuggire quel giorno è stato un’errore!”

“Io ti conosco!”

“No! Tu non sai nulla!” si avvicina a lei incombendo sulla sua figura esile come un predatore “Cosa ne sai di quello che vuol dire essere me, Granger? Tu sai solo cosa vuol dire essere stanchi di fare l’eroe, non avere modo di dare alla gente ulteriori motivi per fidarsi di te, per adorarti. Cosa ne sai di che cosa vuol dire essere stati dalla parte sbagliata, dalla parte che ha perso? Tu sai cosa vuol dire scappare, e nascondersi e stare lontani da casa, ma non hai idea di cosa voglia dire essere prigionieri tra quelle stesse mura a causa di qualcosa di ben più forte e pericoloso di sbarre o lucchetti. Tu hai provato il gelo del vento nelle foreste, io quello del sibilare di una voce terrificante che scivolava nel mio orecchio.”

Le afferra un polso stringendolo con forza e si avvicina lei con gli occhi furiosi piantanti saldi nei suoi.

“Hai mai fatto del male a qualcuno? Hai mai commesso peccati indicibili per salvare qualcuno? Hai mai infranto la legge? Quella di Dio, quella degli uomini?” la presa sul polso di lei si fà tanto forte da farla gemere di dolore “Hai mai ucciso un uomo, Granger?”.

Indaga negli occhi di lei alla ricerca della stessa rabbia, dello stesso fuoco che hanno preso il sopravvento in lui, ma vi trova solo dolore e rassegnazione.

Sono soli, e infelici. 

Simili.

Ma non uguali.

Non se lo sono mai detti perché avevano troppo bisogno di sentirsi parte di qualcosa di più grande di un singolo, ma per quanto si sentano attratti l’uno dall’altra, non saranno mai lo stesso.

Le lascia il polso con stizza avviandosi a grandi passi verso il buio del corridoio deserto.

“No.” 

La voce di lei lo blocca con la stessa forza di un pietrificus, rischiando di fargli perdere l’equilibrio nel gesto repentino di voltarsi involontariamente a guardarla l’ultima volta.

“Ma nemmeno tu.”

La voce di Hermione ora è di nuovo vicina e i suoi occhi color ambra lo stanno fissando, ricordandogli il gusto dolce delle sue labbra, il suono della sua voce che gli racconta i suoi segreti, il tintinnare della propria risata appena riscoperta, il calore delle ultime notti.

“Non è abbastanza.”

 

 

Cominciamo inevitabilmente ad avvizzire, scivolando in un vortice incontrollabile di autodistruzione da cui non possono essere tirati fuori.

Da cui non vogliono essere tirati fuori.

Quando si incontrano per sbaglio in cima all’altura che sporge sul lago nero Hermione urla.

Con il vento che le fischia nelle orecchie, e la pioggia che le trafigge la pelle, e i capelli che le schiaffeggiano il visto e i lampi incredibilmente vicini che la illuminano a sprazzi mentre avanza inesorabile verso di lui.

Grida d’isteria, d’esasperazione.

Le sembra che lui si limiti a guardarla senza dire nulla, la verità è che è impietrito davanti a un dispiegamento di forze della natura così terrificante e imponente.

La pioggia.

Il vento.

I lampi.

Lei.

E’ una forza della natura Hermione Granger. 

Un’uragano in quel corpo così sottile che lui si è permesso di accarezzare, di stringere, di marchiare.

Non sa se sia lei o la gravità a tenerlo incollato a terra mentre la giovane donna continua la sua inarrestabile avanzata nella tempesta, verso di lui, che se ne sta immobile, costretto di spalle verso il ciglio del dirupo.

“Non ce la faccio più.” gli rivela ad alta voce con una calma improvvisa ferma a un passo da lui.

“Nemmeno io.” ammette. Più a se stesso in realtà.

In un battito di ciglia le braccia di lei sono attorno al suo collo, e il peso del suo corpo, anche se più magro di come lo ricorda, sposta il suo equilibro oltre la sporgenza.

“Non ce la faccio più.” sussurra nella frazione di secondo in cui sono sospesi, nell’infinito effimero attimo prima della caduta.

L’impatto violento con l’acqua cerca di strappare via il calore di lei dalle sue braccia.

Il buio lo sorprende mentre quella mano piccola e candida scivola dalla sua presa.

Non ha fiato in corpo, lo schianto glielo ha spezzato, ma vorrebbe poterglielo dire:

“Non preoccuparti. E’ finita.”

 
 
 
   
 
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