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Autore: VeniceWestenra    19/01/2017    1 recensioni
Raccolta di OS a sfondo dark. Spazio dal fantasy al paranormale, cercando di sfiorare l'horror.
"Probabilmente nemmeno esiste più il tempo, probabilmente non è che un eterno secondo, un'eterna immobilità. Sono viva, dunque? Non lo so più. Tutte queste sensazioni sembrano dirmi di sì, ma vivere nel dolore è vivere?"
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PREMESSA

Questa è una raccolta di racconti a sfondo dark. Spazierò dal fantasy al paranormale, cercando di avvicinarmi all'horror. Sono molto indecisa riguardo la categoria, perché non so se sono abbastanza in gamba da scrivere un horror vero e proprio. Se mi accorgo che è più fantasy che altro, la sposterò in quella categoria. Il fatto è che mi piace anche mescolare.
Molti saranno introspettivi,
forse anche psicologici. Gli aggiornamenti saranno un po' lenti, dato che sto scrivendo due long stories (una di queste presente sul mio profilo, cioè Patto infernale) e anche a causa dello studio. Ma farò del mio meglio per portarla avanti, ci tengo molto. 

Questo racconto è il frutto di un concorso a cui ho partecipato. Ora lo ripresento in una veste del tutto nuova. Spero che vi piaccia, sono aperta a qualsiasi critica purché costruttiva.

P.s. in fondo trovate la traccia che dovevo sviluppare.




 

Una melodia mortale

 

Non mi è difficile dire che Shaw non sa come si tratta una donna.

Mi ha legato i polsi con una corda nera e spessa. Mi ha fatta dormire su un mucchio di paglia, in una stalla, con l'odore di sterco di cavallo che aleggiava nell'aria. Ha ordinato ai suoi uomini di obbligarmi a camminare, in qualsiasi modo. Sono stata afferrata, trascinata, colpita in faccia. Infine, come se tutto ciò non fosse bastato, mi hanno sbattuta dentro quattro mura.

Ora non faccio che ascoltare il limpido suono dell'acqua che gocciola da una tubatura, un ritmico ticchettare sul suolo freddo e in pietra. Unica fonte di luce proviene dal corridoio e attraversa la finestrella della porta di legno, imponente e chiusa a chiave.

Sono stanca, stordita. Se provassi ad alzarmi, le mie gambe non reggerebbero, il mio corpo crollerebbe a terra. I crampi allo stomaco mi danno il tormento. Non c'è niente da mangiare qui, ma qualcosa da bere sì, posso solo aprire la bocca sotto la tubatura. Non faccio che mordermi i pollici, tirare via sottili lembi di epidermide vicino all'unghia. Ho talmente fame che non riesco a vederci più, così tanta che, a un certo punto, un timido squittio in lontananza mi ha spinta fino alla porta, un debole battere delle mie nocche contro la robustezza della mia prigione. Mi va bene, mi va bene anche un ratto, ma datemi qualcosa, datemi qualcosa: pensieri insistenti che nascono e crescono e crescono sempre di più. È un tormento infinito. Più volte, mi sono ritrovata a chiudere gli occhi, peregrinando negli oscuri recessi della mia mente, viaggiando tra la greve realtà e l'infima bugia delle mie splendide illusioni. Sogno una delle piazze del mio paese natale, la candida, innocente neve imbrattata di macchie rosse scarlatte; spesso sento delle risate, quando sogno, di una delicatezza disturbante. Ora mi trovo in un bosco cupo e infinito, ora in compagnia di una ragazza dal volto offuscato, il petto sporco di sangue. Poi, rivengo e mi sento scuotere dai tremiti e da conati di vomito. Le uniche cose che riesco a rimettere sono i succhi gastrici.

Ho vomitato poco tempo fa oppure un lunghissimo tempo fa: non so più come funziona il tempo. È come essere caduti nel Vuoto, ove gli istinti primordiali prendono il sopravvento. Probabilmente nemmeno esiste più il tempo, probabilmente non è che un eterno secondo, un'eterna immobilità. Sono viva, dunque? Non lo so più. Tutte queste sensazioni sembrano dirmi di sì, ma vivere nel dolore è vivere? Cos'è la vita in fondo, se tutto è cupo e fermo? Non è forse morte?

È colpa sua. Qualcuno deve punirlo. Qualcuno lo punisca!

Ho smesso di rivolgermi al mio dio, quasi non ci credo più. Non c'è per chi è dalla parte del bene, come può esserci per chi diffonde il male? Posso solo sperare che ci sia qualcun altro, là fuori, qualcun altro che lo detesti quanto lo detesto io; che sia libero e che stia architettando una vendetta con i fiocchi nei confronti di Shaw. L'odio è uno dei sentimenti che mi sta più consumando, ho voglia di squarciare il silenzio con le mie urla, ma non ne ho le forze. Mai come in questo momento invidio il mio popolo, allergico a qualsiasi forma di cattivo umore. O perlomeno, ne era allergico.

L'Incanto è stato spezzato. La fata Ireey, protettrice della nostra città, è stata uccisa. Ho ben chiara nella mia mente l'immagine della pozza di sangue nero e ghiacciato al centro della piazza principale. La testa mozzata, gli occhi chiari e vitrei, fiocchi di neve intrappolati fra le ciglia bionde. Il resto del corpo che giaceva poco più in là, nudo e martoriato, innumerevoli lacerazioni sull'epidermide baciata dalla luna. Non riesco a dimenticare le improvvise grida degli abitanti sconvolti, disorientati; le lacrime che sono scese sul volto di mia madre. Tristezza, rabbia, paura. Io le conosco, le ho sempre percepite. Sono sempre stata immune all'Incanto, la Voce del Cielo. Non l'ho mai udita. Non fischiettavo quando dovevo alzarmi presto per andare a scuola. Non ridevo quando qualcuno si feriva, tanto meno sorridevo quando la mamma cucinava per pranzo o cena la lingua, le dita, di qualche forestiero ignaro di essere finito nella culla della sua condanna, e non in una simpatica cittadina dalla musica ipnotica. Nessuno si è mai posto domande, eccettuata me. Io che non ho mai smesso di pensare di essere diversa. I miei occhi lo sono: sono neri. E i miei capelli lo stesso: sono bianchi. Nessun altro del mio popolo è come me.

Una volta, Shaw mi disse che somigliavo vagamente a un'attrice norvegese.

«Norvegese?» mormoro. «Che vuol dire?»

Shaw mi guarda sorpreso. Con una mano tiene stretto il mio fazzoletto nel punto in cui si è ferito alla mano sinistra. Gli avevo detto che non importava recuperare la mia collana, ma lui ha voluto farlo. Ha infilato le mani in una buca nel terreno e si è ferito con qualcosa di appuntito: niente di che, comunque.

«Che proviene dalla Norvegia» mi risponde perplesso.

«Non conosco il paese.»

Shaw accenna un debole sorriso. È seduto per terra contro la parete, ci siamo rifugiati in una vecchia catapecchia di legno, la neve imperversa fuori. «Oh, giusto» gli occhi a mandorla si accendano di una consapevolezza. «Voi vivete solo nel vostro mondo.»

«Ci hanno insegnato una cosa,» replico, «che ciò che esiste là fuori, non ha importanza. Là non c'è che oscurità e pericolo. La fata Ireey dice che se vogliamo sopravvivere dobbiamo pensare solo a noi, al nostro popolo. Lei ci protegge dal male.»

Shaw non dice niente e guarda altrove, aggrotta le sopracciglia e il suo sguardo torna su di me. «Tu ti fidi di lei?»

Mi sento presa alla sprovvista. Apro la bocca, la richiudo e deglutisco. «Io...»

«Non sei come loro, non sei come il tuo popolo» mi dice. «Si nota. E non solo per l'aspetto.»

Mi pietrifico e abbasso lo sguardo, ho le mani che stringono un lembo del cappotto.

«Lei non vi protegge, Anouk (1), vi strumentalizza.»

«No» bisbiglio. «Tu non capisci.»

Lui non è nato in tutto ciò. Non conosce la Protettrice, le nostre tradizioni. Eppure, nel profondo, nemmeno io riesco a capire. Ha un senso la nostra vita? È giusto quello che facciamo? Uccidere e sfamarci di altri umani? Giustizia. È la parola-chiave che mette in dubbio ogni cosa. Ma cosa posso fare? Esporre le mie idee? No, penso, non posso farlo. Significa andare contro una comunità intera, gettare perplessità in un'esistenza di certezza, gettare confusione, caos, in un luogo in cui regna la pace. Non voglio che gli altri sentano quello che provo io, mi dico.

In ogni caso, con o senza il mio volere, il caos alla fine è giunto. Il silenzio è arrivato. E la neve, quell'anno, ha portato gelo non solo nelle membra, nelle ossa, ma dentro il cuore di ognuno. Tutto era stato fatto in onore della Protettrice, tutto dipendeva da lei, dalla sua Musica. Non faccio che pensare a come debbano sentirsi smarriti tutti quanti, come se avessero perso la loro madre; non faccio che pensare a mio fratello che ha solo sette anni. Senza la Melodia, ora sarà capace di sentire ogni emozione negativa. Mi sento il cuore stringere di una morsa ancor più dolorosa della corda che tiene fermi i miei polsi. Se non avessi esaurito le lacrime, ora piangerei ancora.

Un rumore di passi mi fa tendere le orecchie, fa battere forte il mio cuore. Passo dopo passo echeggia nel corridoio fino a che soggiunge il silenzio. Una testa è spuntata alla finestrella. Shaw. Digrigno i denti. Che cosa vuole da me? Perché ha fatto quel che ha fatto? Questi interrogativi non mi danno pace.

Shaw fa girare una chiave nella toppa. La luce si riversa dentro in un ampio fascio. La sua figura longilinea è un'ombra ancora più alta e sottile per terra.

Entra dentro. Indossa degli abiti scuri: un maglietta a maniche corte e dei jeans. Ai piedi calza degli scarponcini. Eppure, l'aria è molto fredda per un vestiario del genere. Per fortuna, almeno di questo non posso lamentarmi: ho sempre avuto una bizzarra resistenza ai climi rigidi.

«Come stai...» esita «... Anouk

C'è un non so che di ironico nella sua domanda. Io non rispondo.

«Non voglio farti del male, te lo assicuro.»

«Me lo hai già fatto» dico rabbiosa.

Shaw sospira e si avvicina. Piega le gambe raggiungendo la mia altezza.

Gli sputo addosso. Il giovane mantiene la calma, tira fuori dalle tasche dei jeans il mio fazzoletto e si pulisce la guancia. Lo rimette dentro. «Potresti darmi le mani?»

«Spero che tu muoia» sbotto. «Mi hai preso solo in giro... Dicevi che ti eri perso, che un lupo ti aveva attaccato. Io ti ho creduto, stavi sanguinando. Ti ho fasciato le ferite, ti ho ospitato nella soffitta, mentendo ai miei, perché non volevo che ti succedesse qualcosa. Sai, lo sanno, lo sanno sempre quando uno non fa parte del nostro popolo.

«Abbiamo parlato, ci siamo conosciuti, mi sono... innamorata. Poi ti ho supplicato di andartene, ti ho aiutato a fuggire. E tu sei ritornato per pagare il debito. Oh, avrei dovuto sbatterti la porta in faccia, farti divorare dai lupi! Credevo...» singhiozzò, «credevo di aver trovato qualcuno come me. Quando arrivano al nostro villaggio, gli stranieri sentono sempre la Melodia. Ma tu no, tu non la sentivi.»

«Avrei dovuto portarti via con me subito» mormora lui con aria dispiaciuta. «Ma ho dovuto eseguire gli ordini.»

«Di che diavolo parli? Ordini di chi?»

Shaw mi afferra le mani con forza e io non riesco a oppormi. Incomincia a snodare la corda, poi la lascia cadere sul pavimento. Le sue dita mi sfiorano con dolcezza i capelli, poi si spostano sulla mia fronte, premono contro la mia pelle e lo sento mormorare in una lingua che non conosco.

Cerco di ribellarmi, perché c'è qualcosa che non mi piace nel modo in cui mi ha toccato, nel modo in cui egli mi ha parlato. Lascio andare piccoli gemiti dalla mia bocca, fino a che sento che qualcosa si sta sgretolando dentro di me.

E non sono più io. Sono una donna in piedi sul ramo di un albero, le mie mani sottili sorreggono un flauto d'argento intarsiato. Un vestito verde giada ondeggia attorno alle mie gambe corte, asciutte e pallide. Mentre suono, guardo la cittadina che si estende di fronte a me. Case colorate sparse qua e là, il tempio che è stato costruito in mio onore, le strade e i tetti a spiovente innevati. Nessuno si accorge di me, ma tutti sentono la mia Melodia.

Un'altra immagine. Sono io nel mio scintillante abito che stringo la gola ad Anouk, i capelli bianchi, il viso dolce e delicato, gli occhi neri spalancati. Mi approprio delle sue sembianze.

«So come agite.» La voce di Shaw mi riporta alla realtà, la sua mano si è spostata vicino alla mia gola. «Prendete i ricordi, le emozioni, le sensazioni di qualcun altro. Vi trasformate completamente in lui, appena uno di noi entra nel vostro territorio, cercando di raggirarlo.»

Posa l'altra mano sul mio petto. «L'ho lasciata un giorno... credevo di non essere stato scoperto, ma ho commesso un errore stupido. E a pagarne le conseguenze è stata Anouk.»

Sento la magia che scorre attraverso le dita del ragazzo. Un intenso calore prende a bruciarmi la pelle. Cerco di ritrarmi buttando fuori un ringhio dalla mia bocca, ma è tutto inutile.

«Sai chi sono, no? Un Immune e indovina qual è il mio vero nome.»

Fiamma fuoco. Il suo calore suggerisce una specifica magia. È così con loro. A un nome corrisponde una qualità, un potere. Sono nemici da secoli della mia specie.

Mi ricordo tutto ciò che ho fatto. Ho smesso di suonare appena mi sono accorta della sua presenza. Ho finto la mia morte con un potente incantesimo. Ho cercato di proteggermi il più possibile e quale modo migliore di diventare un Immune all'Incanto? Ho rinchiuso la mia vera me nel profondo del mio io.

Spalanco la bocca. Lui stringe il mio collo, sento l'odore di carne bruciata, è il mio petto che si scioglie al suo tocco. Cerco di artigliargli il volto.

Non provo nemmeno a usare il mio potere. Ora so a cosa serviva la corda: un incantesimo che porta via temporaneamente ogni mia magia.

Mi si annebbia la vista. L'ultimo ricordo proviene dal mio paese. Il sangue che viene versato per me, mentre giorno e sera io suono il mio flauto, nutrendomi delle grida degli innocenti. Buffo morire nel ricordo della mia stessa Melodia.
 

(1) Anouk significa orso polare. 

Traccia 

In una buffa cittadina della Groenlandia, i pochi abitanti della zona vivono una vita tranquilla e felice. Non esiste il silenzio, la tristezza e l'apatia. Tutti hanno un compito ben preciso dalla nascita e nessuno osa porsi alcuna domanda. Dal cielo, un'instancabile melodia discende giorno e notte sul paesaggio, allietando lo svolgimento della routine giornaliera. Al mattino, la melodia è calda e allegra. Dopo il tramonto, invece, l'armonia diventa più simile ad una ninna nanna. Come se non bastasse, i cittadini sono dotati di un dono speciale: un'indole naturale, concessa dagli Dei, permette loro di percepire le note musicali danzare sul paesaggio. Un triste giorno d'inverno, però, la cittadina si risveglierà nel silenzio. I poveri abitanti affolleranno le piazze storditi e si ritroveranno perduti.

 
   
 
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