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Autore: EsterElle    20/01/2017    1 recensioni
"Oltre il vetro si dipana uno scenario fantasma. Racconta sussurrando la più terribile storia di amore e odio di tutti i tempi; quella tra il Mondo e noi".
***
In questa storia il mondo è avvelenato; dal progresso, dalla superficialità, dalla superbia.
Non abbiate paura, entrate lo stesso.
Troverete Lorenzo ad aspettarvi, un diciassettenne dal brutto carattere, ferito fin nell'animo. Poco oltre, ecco venirvi incontro Maryna, una piccola luce tutta speranza, tutta fiducia, tutta amore. Entrate e camminate al loro fianco in mezzo alla natura selvaggia, tre le rovine di un mondo che non esiste più. Abbiate fiducia: inizierete a conoscere da capo quel mondo che, nonostante tutto, resta nostro.
Prima classificata al contest "E' una storia sai..." indetto da Najara87 sul forum di Efp
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3
Mia Maryna
 




 
 
 
La bambina fischietta.
Non è normale. Non può essere così felice mentre camminiamo da ore per terre infette, respiriamo il Gas e soffochiamo per colpa della puzza nauseabonda. Persino il suo gatto sembra allegro e fa le fusa tra le sue braccia. Se poi ci imbattiamo in qualche ostacolo e mi tocca afferrarla da sotto le ascelle per sollevarla, lei ridacchia e agita le gambe scheletriche, neanche fossimo al parco divertimenti.
Io non potrei essere più preoccupato, invece. Non resta più molto tempo e il B24 sembra lontanissimo ora che devo adattare il passo a quello della bambina. Le ombre si affollano sulla strada e anche solo camminare è piuttosto pericoloso. Ogni rumore sospetto mi spaventa e temo al pensiero di un nuovo assalto; per fortuna la scimmietta sembra abbastanza silenziosa.
“Mi aiuti?”
Come non detto.
Il suo inglese ha un forte accento slavo ma non saprei dire di dove. Continua a stringersi le braccia intorno al corpo e inizio a pensare che potrebbe avere freddo. Con la mente fissa su di lei, le libero il piede dai rami e dalle foglie che ha raccolto nell’ultimo miglio e le lascio indossare i miei guanti.
Sono giganti in confronto alle sue manine da bambola.
“A posto?” chiedo.
Più le parlo, più mi sento un idiota.
“Sì, signore”
Santa pazienza … “Non chiamarmi signore, ok?”
“Come, allora?”
“Il mio nome è Lorenzo”
“Lawrence?” prova in inglese.
“No. Lo-ren-zo”
“Lor, va bene. Io mi chiamo Maryna” dice e tende la sua manona guantata.
A vedere la scena, così irrimediabilmente comica, si mette a ridere da sola.
“Da dove vieni?” le chiedo io invece, troppo curioso.
“Sono polacca”.
Riprendiamo a camminare; o meglio, io avanzo e lei arranca sulla mia scia.
“Quanto manca?”
“Sei stanca?”
“Solo un po’. Ma dove stiamo andando?”
“Alla Base”
“Va bene. Quanto manca?”
Sembra una mociosetta decisa ad avere le sue risposte.
“Non lo so. Abbastanza”
“Abbastanza tanto o abbastanza poco?”
Chissà che fine ha fatto quell’imbecille di Harry! Mi farebbe piacere rivederlo … giusto per assestargli un bel pugno sulla faccia per avermi abbandonato in questa situazione di merda.
“Lor”
“Mmm?”
“Sto pensando ad una cosa”
Sembra che camminare le sciolga la lingua.
“Me la devi anche dire?”
“Ma certo!” mi risponde lei, quasi scandalizzata.
Perché mai non l’abbiamo studiato a scuola come far conversazione con una bambina sconosciuta, in mezzo ad una maledetta foresta, col rischio di restarci secchi entrambi? Stare al suo fianco mi mette a disagio, mi fa sentire un vero incompetente, quasi un ragazzino. Era da un pezzo che non mi sentivo un diciassettenne in fondo al cuore; sarà per questo che, tra la matassa delle mie emozioni, sento riaffiorare l’invidia. Sì, invidio Maryna spaventosamente: vorrei prendere il suo posto ed essere tanto sereno e fiducioso da chiacchierare amabilmente.
“Ma tu sei sempre così felice?” mi scappa di dire.
“Io non sono felice. Io sono io” risponde Maryna, con assoluta facilità.
“La vuoi sapere la mia cosa?” insiste.
“Dimmela …”
“Mi dispiace un po’ di andare via da qui …” ammette, senza rendersi conto di aver sganciato una vera e propria bomba.
Che diamine si agita in quella testolina bacata?
“Questo è il tante grazie …” borbotto.
Nel profondo, mi sento persino offeso: non sono parole da dire, almeno non a me che sto rischiando tutto pur di portarla in salvo.
“Ma no, che hai capito? È che la Base mi fa un po’ paura …” spiega lei, con lo sguardo di chi, ormai, ne ha passate davvero tante.
“Non è che così suona meglio”
“Guarda che anche la foresta è bella” ribatte, con l’aria da saputella. “Senza la foresta non avrei mai conosciuto Mr. Prosciutto, il mio migliore amico” continua, mettendomi il gatto sotto il naso.
“Mr. Prosciutto? Davvero?”
Solo una pazza come Maryna poteva dare un nome tanto idiota al gatto.
Lei quasi arrossisce di vergogna: “Avevo fame quando l’ho trovato … che c’è di male?”
“Potevi mangiartelo, quel coso spelacchiato” la stuzzico.
“Ma dai, che dici?” si inalbera subito, stringendosi al petto il micio scheletrico.
Così l’ho messa anche alla prova: offeso il gatto, dubito che possa esistere affronto peggiore per lei. Inizio a pensare che trotterellerebbe al mio fianco qualunque cosa dicessi, qualunque cosa facessi. La guardo a lungo, dall’alto della mia altezza; poi, proprio mentre la sto fissando, lei solleva lo sguardo e mi sorride.
Mi fido davvero di te sembra che sussurri.
Per la prima volta mi chiedo perché una bambina di sette anni vivesse sola in quello squallore.
“Dove sono i tuoi genitori?” le domando, impegnandomi nella ricerca di un tono pieno di tatto.
Ho sempre pensato che tutti soffrano allo stesso modo di fronte ai drammi della vita, che tutti vivano disperatamente i propri dolori personali: invece Maryna quasi sorride mentre risponde.
“Sono andati”
Non credo di voler capire: “Andati dove?”
“In un posto più bello della Base, più bello della foresta. Sono felici” risponde, lo sguardo rivolto al cielo.
Mi mordo la lingua pur di non dar voce al riso amaro, pur di non spezzare, una dopo l’altra, le sue illusioni. Solo io potevo accollarmi una ragazzina che ancora ha fiducia nelle favole.
“Tu ci credi?” mi scappa comunque, nonostante i mie sforzi.
“Certo! Tu no?”
Alzo le spalle.
“Ma dai, allora come te lo spieghi il mondo?”
Ci voleva proprio Maryna per portare a galla i miei pensieri più oscuri, quelli che mi mandano a male e che mi fanno tremare dalla testa ai piedi. Pur di far qualcosa, accendo la pila incorporata al braccio della tuta, illuminando un piccolo tratto di strada davanti ai nostri piedi. Non appena viene colpito dalla luce, un animale strisciante corre via verso il folto degli alberi.
“Lo hai visto?” esclama immediatamente Maryna, tutta entusiasta.
“Come no” rispondo, con il cuore che ancora scandisce i battiti della paura.
“Non era un serpente comune, sai? È uno degli animali nuovi … aveva delle piccole corna sulla testa” mi spiega, battendo le mani una contro l’altra per la felicità.
“Vedi? La foresta è la casa degli animali che sono stati abbandonati; è il posto in cui c’è sempre il sole, anche se è nascosto dalle nubi. È il luogo più magico che conosco perché tutto cambia e tutto è nuovo, c’è sempre una sorpresa. La foresta è casa mia” mi dice, in un eccesso di parlantina.
La notte di ferro sta calando sulle fronde degli alberi, nascondendo la rovina che la foresta ha sempre rappresentato ai miei occhi. Due luci continuano a brillare in questa oscurità crescente: la pila elettrica e la voce allegra Maryna che canticchia filastrocche a Mr Prosciutto.
Mi sembra quasi assurdo rendermi conto, passo dopo passo, che lei ha ragione.
La ammiro. Come me, ha perso ogni cosa; peggio di me, viveva con nulla, abbandonata da un sistema che avrebbe dovuto proteggerla da ogni male. Eppure ha conservato la fede: in Dio, negli uomini, nella natura.
Aprire la mente fa quasi male, fisicamente male. Nuove idee mi travolgono con la forza di treni in corsa.
Alla Base viviamo come ombre di quello che siamo stati in passato, pieni di rimpianti e rimorsi, assaliti dalla nostalgia di una vita che non riavremo più indietro. Qua fuori, invece, il tempo non ha mai smesso di scorrere e il desiderio di vivere è rimasto integro. La speranza, così forte in Maryna, così minuscola in me, è la vera preziosità di questo posto dimenticato da Dio. Sempre che Lui esista, ovviamente.
“Scimmia …”
Lei interrompe la nenia sconosciuta e mi guarda: “Lor?”
“Perché vuoi venire alla Base?” le chiedo, quindi.
“Perché mi sono stancata di essere sola”
“E Mr. Prosciutto?”
“Oh, lui è un bravo gattino, ma a me piace tanto parlare con le persone, cantare, giocare con gli altri bambini …”
Più mi parla, più mi rendo conto di cambiare. Così in fretta, così all’improvviso, sento che rinascere e ricominciare è possibile. Maryna lo sta facendo, l’ha sempre fatto, e diamine, ha solo sette anni! Mi sento persino pronto a confessare.
“Maryna?
“Si?”
“Posso dirti una cosa?”
Lei annuisce, il visino affilato e pallido alla luce della pila.
“Anche mia mamma è morta”
È la prima volta che lo ammetto ad alta voce. Lei mi sorride e, maledizione, mi sembra di tornare a respirare.
“Sarà diventata amica dei miei genitori, magari” dice, con un’ingenuità devastante.
“Sono venuto qui fuori per seppellire lei e mia sorella, poi le cose sono cambiate e ora sto tornando alla Base con te. Credi che questo possa fare di me una brutta persona?”
È un pensiero che non ha mai smesso di infuriare nella mia testa. Sono un mostro ad andare ancora una volta verso la salvezza lasciando coloro che amo dietro me? Di certo mi sto rimbecillendo se credo che una settenne possa dare la risposta ai miei tormenti.
“Lor tu sei il più buono che conosco!” esclama invece lei. “Tua mamma ti ha messo sulla mia strada, vedi? Ora che siamo insieme posso essere io la tua sorellina”.
Non posso rispondere, la voce è incastrata in un posto indistinto tra la gola e la pancia. Senza smettere di camminare, Maryna mi prende la mano e la stringe. No, non ha le risposte che cerco, ma ha di meglio: ha la fiducia, di cui io sono così disperatamente a secco.
Attimi di silenzio dopo, trova lei qualcos’altro da dire: “Posso farti una domanda?”
Annuisco.
“Secondo te sono una bambina cicciona?”
Resto di stucco: perché diavolo deve cambiare argomento così di botto? Ancora non ho mandato giù il magone per le sue ultime dolcissime parole che già devo rispondere alla più idiota delle domande. Chi ha detto mai che i bambini sono meravigliosi? Sono degli squilibrati, ecco la verità.
“No, Maryna” dico, tirando fuori le parole dal centro esatto della mia esasperazione.
“E allora perché non mi porti sulle spalle? Mi fanno male i piedi, adesso…” si lagna.
Ci fermiamo e la guardo bene in faccia per capire quanto fa sul serio. Non appena scorgo due lacrimoni ai lati dei suoi occhi, però, mi chino sulle ginocchia e le faccio segno di arrampicarsi sulla mia schiena. Non ce la posso fare a gestire un capriccio, proprio no.
“Che bello!”
Lei è felicissima, ovviamente, già lontana mille miglia dal pianto annunciato. Senza sforzo mi alzo in piedi con lei addosso, circondato dai suoi gridolini di gioia.
“Aspetta!” esclama poi, calmati gli entusiasmi.
“Non puoi lasciare giù Mr. Prosciutto” continua.
Colmo dei colmi, cammino in una foresta ostile con una bambina in groppa e un gatto in collo. Spero di non rivedere mai più Harry, adesso, perché sarebbe troppo difficile evitare di fargli davvero male.
Solo il verso spettrale di qualche uccellaccio è capace di distogliere i miei pensieri da una situazione così ridicola: mi ricorda quanto sia pericoloso stare qui fuori e quanto sia urgente non perdere la concentrazione. Da un po’ me ne dimentico con troppa facilità. L’orologio della bussola segna le ventitré e quindici. Quarantacinque minuti di cammino disponibili prima di perdere ogni speranza di rivedere la Base. Mentre cammino a passi svelti sento il respiro di Maryna farsi sempre più regolare e la sua testa afflosciarsi sulla mia spalla.
“Mi sa che dorme, Mr. Prosciutto” bisbiglio al gatto.
Doveva essere davvero sfinita, penso. Rido. Sto davvero parlando con un gatto?
Quando sono partito, non credevo che un solo giorno nella natura selvaggia potesse essere così sconvolgente. Il ragazzo che ero questa mattina trovava di impiccio la sua stessa tuta; ora cammino agilmente con Maryna sulla schiena e la cosa non mi irrita. È quasi bello essere stato eletto a guardiano del suo sonno; il suo fiato caldo sul collo sembra riscaldarmi fin nell’anima, la mano penzoloni sul mio petto, i mormorii inconsapevoli, persino il leggero filo di bava che le macchia il mento è rassicurante. Mi ricorda che non sono solo, mi ricorda che quel tremore che mi scuoteva dalla testa ai piedi, quella paura, quella disperazione folle, erano solo nella mia mente.
I miei occhi sono malati; nel bel mezzo del disastro, al centro esatto dell’inferno, non sanno fare altro che vedere fiamme e dannazione, dolore e condanna. I suoi sono molto meglio, i suoi occhi sono magici: dal suo punto di vista qualsiasi mondo è sorprendente.
Il chiarore al di là della mia torcia giunge inaspettato dopo aver percorso la curva dolce di un sentiero scavato da decine di stivaloni come i miei. Non credo di illudermi pensando che sì, ce l’ho fatta: quella di fronte a me è la luce del B24, sono i fari delle camionette, la luce gelida delle pile degli uomini della Base e del Programma. Non accelero il passo solo perché credo che un’occasione come questa non capiterà più. Non sarò mai più a contatto con l’aria puzzolente ma vera, né con le stelle della notte - nascoste dalle nubi ma presenti - non proverò ancora la consistenza della terra sotto i piedi. Improvvisamente ogni parte di me rigetta la Base, così artificiale, così isolata, così triste. Che razza di salvezza potrà mai offrirci un posto tanto arido?  Procedo solo per portare lei in salvo, solo per avere la possibilità di crescere ancora alla sua luce.
Su una cosa avevo ragione questa mattina: come un bambino, devo imparare a conoscere da capo questo mondo che, nella sua brutalità, resta pur sempre mio. Un mondo crudele ma equo: quello che mi ha tolto ora mi restituisce.
Un Istruttore, bardato dalla testa ai piedi, mi scruta con aria sospetta dalla sua postazione vicino al filo perimetrale del campo, poco distante dalla luce delle camionette.
“Indentificati” grida, mentre sono ancora distante.
“Lorenzo Archi, matricola 23935”
“Dov’è il tuo casco, ragazzo?”
“Me l’hanno rubato”
Mi sono avvicinato quel tanto che basta da guardare da vicino la sua visiera schermata e l’arma che imbraccia con una sicurezza spaventosa.
“Dovrai sottoporti di nuovo al regime di quarantena, temo” grugnisce, di malumore come se toccasse a lui restarsene isolato per il prossimo mese.
Non ha idea di quanto veleno mi sia già lasciato dietro le spalle, oggi.
Accanto a noi, altre figure bianche e sporche di terra si aggirano. Sono gli altri volontari, certo; qualcuno di loro è circondato da uomini e donne magri e brutti quanto Maryna, altri se ne restano in disparte, preda degli stessi demoni che tormentavano me e di cui solo ora inizio a liberarmi. Lascio viaggiare il mio sguardo tra di loro, alla ricerca …
 “Ehi, ragazzo!”
L’Istruttore con cui ho a che fare sembra un tipo nervosetto.
“Si, signore” rispondo, meccanicamente.
La domanda che mi rivolge, però, non la sento. Qualcuno fa un lungo fischio ed io volto automaticamente la testa per seguirlo. Il suono viaggia nell’aria scura intorno a noi per poi fermarsi all’altezza di un’altra torcia, un getto di luce potente che illumina il viso tondo e i capelli a spazzola di un ragazzo sulla ventina.
“Harry!” mi ritrovo a gridare, felice come non avrei mai pensato.
Lui sorride e mi saluta agitando un braccio. Come me porta un carico prezioso sulle spalle; di Cathy riesco a intravedere solo i lunghi capelli scuri ma il sorriso del mio nuovo amico non lascia dubbi sul fatto che lei sia davvero stupenda.
Sono davvero felice che ce l’abbia fatta: devo la vita a quell’idiota di Harry Boodman.
La pazienza dell’Istruttore, invece, deve essere arrivata al limite dato che, pur di attirare la mia attenzione, mi pungola con la canna della sua arma di morte.
“Ehi, ehi, piano” gli faccio notare.
“Chi porti con te, ti ho chiesto” sbraita, accennando a Maryna ancora addormentata sulla mia schiena.
Questa risposta non potrebbe essere più semplice. Subito pronuncio le tre parole che, lo sento, metteranno a posto i pezzi della mia vita.
“Maryna, mia sorella”.
Benvenuta, piccola, nella mia famiglia.
Benvenuto, mondo nuovo.
 
 

 
FINE



 
 
 





Note
Ed eccoci alla conclusione! :) 
Spero che questa storia semplice e breve sia piaciuta a voi lettori che siete giunti fin qui ... ho ancora molte idee e molti personaggi da ambientare in questo mondo e un giorno, magari, scriverò altre storie che andranno ad esplorare le Basi sparse per il mondo. 
Ringrazio tantissimo chi legge e e sarò ancor più felice di farlo di persona qualora passaste a lasciare il vostro parere ;)
A presto,
Ester 





... dalla canzone "Il mondo è mio"
Della canzone ho estrapolato soprattutto i temi che ho sempre percepito come fondamentali; la fiducia e la meraviglia.
Le parti, nel mio racconto, sono invertite. Come Jasmine Lorenzo si sente prigioniero; prigioniero della sua tragedia familiare, rifiutato dal mondo che conosceva e impreparato ad affrontarne uno nuovo. Lorenzo non ha vissuto quello che ha vissuto Maryna, così come Jasmine non conosce il mondo di Aladin. Maryna, sola e abbandonata, costretta a cavarsela da sola, ha mantenuto quello sguardo positivo, fiducioso e pronto a meravigliarsi per le cose del mondo che Lorenzo, nei lunghi mesi trascorsi al campo e nella solitudine della Base, non ha mai provato.
La bambina ha dato fiducia a Lor, ma cioè che è più importante è che Lor ne ha data a lei. Lui le ha permesso, durante il viaggio insieme nel mezzo alla natura selvaggia e sorprendente, di mostrargli un mondo nuovo, ancora bello, ancora pieno di possibilità. Maryna, in poche parole, lo ha accompagnato, gli ha detto “ora vieni con me … verso un mondo d’incanto”.
Lorenzo inizia così la sua rinascita e “non tornerà mai più laggiù”, tra i suoi torbidi pensieri neri.
 
 
 
 
  
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