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Autore: Pseudomonas    21/01/2017    13 recensioni
Lo scopo delle AU - Alternative Universe - è mostrare come non importa in quale realtà, luogo, tempo e circostanze due personaggi si incontrino e interagiscano: se si sono innamorati una volta, si innamoreranno sempre.
Questa è la storia di come Lexa si innamorò di Clarke e di come Clarke si innamorò di Lexa.
In uno degli infiniti universi possibili.
O almeno, per quel che ne sanno loro.
\\
[Clexa-AU. Adult!Lexa, Adult!Clarke. Tre atti, multi-timeline.]
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Lo scopo degli AU - Alternative Universe - è mostrare come non importa in quale realtà, luogo, tempo e circostanze due personaggi si incontrino e interagiscano: se si sono innamorati una volta, si innamoreranno sempre.
Questa è la storia di come Lexa si innamorò di Clarke e di come Clarke si innamorò di Lexa.
In tre atti.
In uno degli infiniti universi possibili.

Buona lettura!





THE SECRET IS IN THE TELLING


ATTO PRIMO: LEXA


 

La conobbe che era bagnata fradicia.

Vagabondava su e giù per il corridoio come una leonessa in gabbia, seminando una furiosa e contorta scia d’acqua lungo il percorso.
La moquette sotto di lei era altrettanto zuppa.

Lexa la osservò ipnotizzata, ammirando l’immagine che la ragazza dipingeva inconsapevolmente con i piedi.

Se camminassi ancora un po’ da quella parte, chiudendo quella linea, disegneresti l’ala di quello che sembra proprio un cigno, o forse un’aquila, oppure…

La sconosciuta si arrestò bruscamente.

Peccato, ci eri quasi.

“Non ti avevo vista.”

Lexa sollevò lo sguardo, focalizzandolo di colpo su un paio di sorpresi occhi azzurri.

“Sono uscita prima di te.”

La ragazza annuì lentamente, lasciando che i biondi capelli umidi le cascassero sul viso come una criniera nel vento.

“Sono letteralmente fuggita, in realtà” - Lexa aggiunse - “appena l’ho sentito suonare. Credevo di aver dimenticato il forno acceso e non volevo essere incolpata.” Stava farfugliando e lo sapeva, ma sperò che mostrare il suo lato goffo avrebbe consolato quello imbarazzato della ragazza di fronte a lei.

Non fosse che non era per niente imbarazzata.

Lexa lo intuì dal modo incurante in cui passò le dita tra i capelli chiari, facendo scivolare la scollatura dell’accappatoio un pelo più aperta.

Lexa non guardava affatto la scollatura. Guardava le goccioline d’acqua che ci cadevano dentro.

“Cuoci alle 5.00 del mattino?”

Era piuttosto canzonatoria, al contrario, se il tono sarcastico della scettica domanda poteva esserne un indicatore.

Lexa si strinse nelle spalle. “Tu fai il bagno, alle 5.00 del mattino”.

“Facevo la doccia.”

“Preparavo la colazione.”

“Inizi la giornata piuttosto presto.”

“La finisci piuttosto tardi.”

“Copro i turni di notte.”

“Copro i turni di mattina.”

La bionda piegò il collo su un lato, come un cucciolo perplesso davanti ad un suono curioso.
Non fosse stato che l’incessante ululare dell’allarme antincendio sopra le loro teste non era curioso per niente. Era dannatamente fastidioso.

E la bionda era incazzata nera.

“Lavori sempre in tailleur?”

O forse era solo un po’ spaccona.

“Spero che tu non lavori sempre in accappatoio.”

Sorrise, finalmente. Era debole, riluttante e quasi un’ombra, ma c’era.

“Mi giudicheresti male, se lo facessi?”

Provocatorio. Ecco la definizione corretta per quel sorriso.

“Invierei il mio curriculum immediatamente.”

E lì accadde. L’allarme anti-incendio smise finalmente di urlare, lasciandosi dietro un silenzio assordante.
E la risata della ragazza riecheggiò nel corridoio.

Era una risata rubata e durò solo per una manciata di secondi, ma abbastanza da entrare in risonanza con le vibrazioni del corpo di Lexa, sostituendosi per un momento ai tremori violenti lasciati scoperti dalla mancanza improvvisa degli strilli dell’allarme.

Cessò bruscamente come era iniziata.

La bionda si spostò, trascinando le gambe nude via dall’ala interrotta dell’avvoltoio d’acqua sul pavimento.

Lexa non le fissava affatto le gambe. Fissava il disegno per terra.

La ragazza era ormai sullo zerbino del suo appartamento, di fronte quello di Lexa, quando ne seguì lo sguardo sulla moquette, notando l’enorme macchia umida.

Potrebbe anche essere un falco.

“Oh, beh. Il responsabile del palazzo può pulire quella roba. Non è colpa mia se il suo stupido allarme antincendio continua a saltare senza motivo mentre sono bagnata.”

Lexa sbuffò. “Non è colpa sua se sei bagnata nel bel mezzo della notte.”

“Sono sempre bagnata nel bel mezzo della notte.”

Lo ha detto. Lo ha detto sul serio.
Lo ha detto apposta?


“…perché faccio sempre la doccia quando torno dal lavoro.”

Giusto, è ovvio.
Non lo avrà detto apposta.


“Potrebbe essere una buona idea in caso di incendio.” Lexa maledì la sua battuta scadente non appena si udì pronunciarla ad alta voce. Non avevi niente di meglio?

Per sua pietà, la bionda non la rimarcò. “Bene, vado ad asciugarmi. Ci vediamo al prossimo falso pericolo d’incendio.”

L’unico pericolo d’incendio che Lexa sentiva al momento era quello delle sue guance.
Abbassò lo sguardo per l’ennesima volta.

Quello non è un falco, idiota. E’ solo un casino d’acqua senza forma.

“Ci vediamo.”

 


\\
 

Non si videro.
Lexa si sarebbe sorpresa del contrario, dato che da quando si era trasferita nell’edificio, tre mesi addietro, non si erano mai incrociate. Si era persino convinta che l’appartamento davanti al suo fosse disabitato, tanto non aveva mai sentito i cenni di vita della bionda. O era molto silenziosa, o passava davvero poco tempo in casa.
Non conosceva neanche il suo nome.

La seconda volta che la vide, era Lexa quella bagnata.

Di sudore, per la precisione.

Era nella sua auto, in attesa. Nel mezzo della notte. Un sabato notte.
Con il fottuto allarme anti-incendio ad ululare incessantemente nel suo palazzo, di nuovo.

L’aveva svegliata, questa volta, ma il problema non era stato il brutale risveglio: era stato il dannato tonfo che le aveva spaccato la finestra terrorizzandola.
Era volata fuori dal letto mentre l’allarme si attivava avendo in mente un unico pensiero.
Terremoto.

Lexa odiava i terremoti.

Cioè, chi li ama? Ti fanno venire la nausea, spaccano le cose, ti costringono a correre via anche in biancheria perché non sai se o quando o dove colpiranno di nuovo e quindi faresti meglio a passare la notte in macchina. Con i pantaloni addosso.

Attendeva là dentro da due ore buone.
Ed era l’unica in tutto l’isolato.

Come è possibile? Non lo ha sentito nessun altro…?

Ci vollero ore di perplessa attesa e il disattivarsi dell’allarme per convincerla a ritornare furiosamente dentro, e fu allora che la rivide: la bionda della porta accanto. O meglio, della porta di fronte.

Era di nuovo nel corridoio, e non era da sola: un tizio alto, muscoloso, era in piedi sul suo ingresso con una espressione irritata addosso.

Lexa si accigliò.

“E’ tutto okay?”

I due si voltarono contemporaneamente e la ragazza finalmente la notò. Era vestita, questa volta, e i suoi capelli erano persino più biondi e più mossi ora che li vedeva da asciutti. E più incasinati.
Abbassò lo sguardo nel momento in cui incrociò quello di Lexa e - oh.

E’ imbarazzata o cosa…?

Era una novità.

“Ho spento l’allarme” - il tizio rispose. Incombeva sulla figura della ragazza in un modo che Lexa non sapeva se definire confidenziale o aggressivo. In ogni caso, non le piacque.

“E’ solo un poliziotto” - la ragazza si affrettò a chiarire - “nonché un mio amico.”

Il che ha ancora meno senso.

“Hai chiamato un poliziotto per disattivare l’allarme antincendio?”

“No” - il ragazzo sbuffò - “ci son venuto io perché è lei che ha attivato l’allarme antincendio.”

“Non l’ho fatto di proposito, Bellamy! Te l’ho detto, volevo solo distruggere quel diabolico aggeggio.”

E’ semplicemente…ridicolo.

“Frena un attimo, correggimi se sbaglio. Tu hai spaccato il sensore d’incendio del tuo appartamento che a sua volta ha fatto scattare l’allarme nell’intero edificio?”

“Io non…avevo idea funzionasse così. Volevo solo staccare il mio” - sussurrò. Ed ebbe la decenza di arrossire, per lo meno.

Oh, fanculo. Splendido. Alla faccia del terremoto.

“Ma…perché? Non stava neanche suonando. Non suona da quella volta che ci siamo incontrate…quando è stato, un paio di mesi fa, più o meno?”

Due mesi, una settimana e due giorni. Lexa lo ricordava perfettamente.


“Mi prendi in giro? E’ scattato due volte solo nell’ultima settimana! Alle sette del mattino! Tu puoi anche essere già uscita, ma io ho bisogno di dormire, alle sette del mattino.”

“Non è legale” - la interruppe il tizio scocciato - “non puoi rompere il tuo sensore d’incendio. Dovrei multarti, Clarke.”

Clarke. Il suo nome è “Clarke”.
E’…insolito.
C l a r k e.


“Procedi pure, allora. Quanto ti devo?”

Lui sospirò e sembrò impietosito dal tono sommesso, e Lexa non seppe dire se era sentito o semplicemente una buona recita.

“Niente. Solo un richiamo, per questa volta. Ma faresti meglio a riparare quell’affare immediatamente, prima che qualcuno lo scopra.”

Clarke annuì di vergogna. “Grazie, Bellamy. Non ti disturberò ancora.”

Lui si avviò verso l’uscita lentamente, sorridendo in un implicito saluto. “A tua disposizione, Clarke.”

Mio Dio, è così zerbino.

Era talmente impegnata nel suo disinteressato disgusto che non notò neppure che era ormai sparito dalla loro vista.

“Stai bene? Sembri…scossa.”

E che la bionda - Clarke - la stava fissando con evidente perplessità.

“Si, ho solo…aspettato il cessato allarme per rientrare.”

“Stai sudando.”

“Fa caldo.”

“Ci sono sei gradi.”

“Avevo paura.”

“Dell’incendio?”

“Del terremoto.”

“C’è un terremoto in corso?”

“L’ho creduto quando è scattato l'allarme.”

“E’ un allarme per gli incendi.”

“Non puoi discutere con una fobia.”

Il senso di colpa finalmente si insinuò nei lineamenti di Clarke.

“Hai ragione. Per me è lo stesso con…le altezze.”

“Viviamo al sesto piano.”

“Non mi avvicino mai alle finestre.”

“Non è…molto furbo.”

“Come trasferirsi in California quando hai la fobia dei terremoti.”

Oh diamine, decisamente sa come non arretrare in un duello verbale.
Lexa lo adorò.

“Touché.”

“Ascolta, mi dispiace…è colpa mia, ho fatto un casino, domani lascerò un messaggio di scuse per tutto il condominio. Ti va di entrare? Il minimo che posso fare è offrirti una tazza di caffè o qualcosa del genere.”

Dentro. Ti sta invitando dentro.
Fa’ finta di niente, Lexa, fa’ finta di niente.


“Sei sicura che la caffeina alle 5.00 di notte sia una buona idea?”

Troppo finta di niente, idiota.

“Non è l’orario in cui fai colazione di solito?”

Lexa non obiettò.



\\  
 

Casa di Clarke era un casino.
Non era sorprendente, in realtà: Lexa poteva solo immaginare che una tipa bionda, per nulla imbarazzata nel camminare zuppa in accappatoio, che copre i turni di notte a lavoro, che spacca sensori dall’arme nel pieno della notte, avesse una casa disordinata.

Sedettero fronteggiandosi al tavolo della cucina, con il divano sulla sinistra seppellito dai vestiti sporchi di Clarke, l’acquario sulla destra che sembrava non essere stato ripulito da mesi, e con una montagna di piatti da lavare nel lavandino alle loro spalle.

Clarke non ci fece minimamente caso.

Allungò una tazza fumante a Lexa, iniziando a sorseggiare dalla sua, completamente a suo agio con le gambe incrociate sulla sedia.

“Potrei…avere lo zucchero?”

La bionda abbassò il caffè con uno sguardo sorpreso.

“Metti lo zucchero nel caffè?”

“Così come la maggior parte della gente.”

“Sembri una tipa da caffè amaro.”

“Stai scherzando? Fuggo via da terremoti immaginari, sudo quando mi impanico, è ovvio che metto lo zucchero nel caffè. Una valanga di zucchero. Come posso sembrare una tipa da caffè amaro?”

Clarke si strinse nelle spalle, per nulla impressionata.

“Non ne ho idea, sarà per il look professionale.”

“Ho addosso i pantaloni del pigiama.”

“L’atteggiamento, allora. Non saprei, sembri una tipa tosta.”

Clarke fece a malapena in tempo a terminare il traballante ragionamento prima di alzarsi e dileguarsi dietro l’isola della cucina. Armeggiò con un po’ di barattoli sopra il lavandino, ne buttò a terra un paio - imprecò senza vergogna - e tornò al tavolo con lo zucchero.

“Ti ringrazio.”

Clarke si accomodò di nuovo sulla sua sedia prima che il silenzio calasse nuovamente tra loro.

“Dunque…puoi ripararlo?”

Lexa ne seguì lo sguardo fino all’angolo destro del tavolo, dove giaceva abbandonato un sensore di incendio. Spaccato in due.

“Va messo lì sul soffitto, proprio sopra la tua testa.”

“Non ho idea di come si faccia, Clarke.”

E la bionda sembrò stupefatta. Ancora.

“Sul serio?”

“Neanche mezza.”

“Avrei giurato che lo avresti saputo fare.”

“Perché?”

“Sembri brava con i lavori manuali.”

Lexa ruotò gli occhi verso l’alto - “come cavolo ho potuto darti questa impressione?”

“Lavori in tailleur scuri con il cravattino.”

Lexa sollevò un sopracciglio scettico - “e…?”

“Hai un enorme cane bianco.”

“Come diavolo fai a…e cosa significherebbe, comunque?”

“Lo sento abbaiare, ogni tanto, quando non ci sei. Dovrai pur avere delle minime abilità manuali per trattenere quel coso in strada! Io a malapena riesco a non far cascare i miei tre pesci rossi quando cambio l'acqua.”

“E’ un cane addestrato. Ti occorre abilità mentale, non manuale, per addestrare un cane. Che altro?”

“Sei gay.”

Lexa sputò il caffè dritto nella tazza.

“Cosa?”

“Non è un insulto” - Clarke si affrettò a spiegare - “è semplicemente una constatazione. Sei mora, alta, hai gli occhi verdi e sei gay. E’ come dire che il cielo è azzurro…o che gli alberi sono spogli.”

Lo sa. Come lo ha capito?
Potrebbe essere che…?
Oh.


“Dunque: sono gay, sembro ‘una tipa tosta’, lavoro in tailleur col cravattino, ho addestrato un cane da sola e per tutto questo devo essere brava con i lavori fisici. E’ corretto?”

“Probabilmente ami il calcio, anche. Forse ci giochi anche.”

Lexa ghignò. “Odio il calcio, adoro ballare. Faccio schifo alla guida, quando mi sono trasferita qui la corrente elettrica era staccata, e ho vissuto a lume di candele per due giorni perché non riuscivo a trovare l’interruttore di accensione. E non ho idea di come riparare il tuo allarme antincendio.”

Clarke affondò nello schienale, senza neanche tentare di mascherare il suo divertito sbalordimento. “Sei una donna piena di sorprese, uhm…”

“Lexa” - la aiutò - “il nome è Lexa. E avresti dovuto chiedere al tuo ragazzo di riparartelo.”

Clarke scoppiò a ridere - “Chi, Bellamy? Non è il mio ragazzo.”

“Vorrebbe esserlo.”

“Forse” - Clarke ammise, lasciando naufragare lo sguardo in un punto casuale sulla parete alle spalle di Lexa - “ma non lo sarà mai.”

Un momento di silenzio le abbracciò, ma Lexa seppe che non era un abbraccio scomodo. “Dunque…” - lo spezzò - “quali altre impressioni sbagliate ti sei fatta su di me?”

“Sei un avvocato?”

“Neanche lontanamente. Ma: turni di mattina, giacca e cravatta, ‘atteggiamento tosto’, qualunque cosa significhi…tutto quadra con la tua deduzione errata”.

“Che cosa sei, allora?”

“Non un avvocato. Tu sei un medico?”

“Perché dovrei essere un medico?”

Questa volta fu Lexa a stringersi nelle spalle - “è la prima cosa che mi è venuta in mente quando hai parlato di turni di notte.”

Clarke posò la sua tazza vuota sul tavolo, accanto a quella di Lexa. Aveva due baffi di caffè sul labbro superiore.
Lexa non glielo disse.

“Potrei essere una squillo.”

E risero, ad alta voce, spontaneamente, senza pudore. Sincronizzate.

“Non hai mai negato di lavorare in accappatoio.”

Clarke spinse il barattolo dello zucchero verso Lexa. “Ti va un’altra tazza?”



 
ATTO FINALE : EXPLICIT
(parte 1)



“Eri già cotta.”
L’eco delle risate derisorie a riempire la stanza non fu sgradito alle orecchie di Lexa.
Le accolse con un silenzioso, malizioso ghigno.

“Beh, mi piace pensare a me stessa come una goffa, romantica gentildonna. Ma grazie per l’osservazione, Aden.”

Dalla sua postazione nel backstage, Clarke ruotò gli occhi.

Oddio, è sempre così melodrammatica.

“Cos’è una squillo?” - una ragazzina urlò dall’angolo della platea.

La domanda dipinse un cipiglio terrorizzato sul viso di Lexa e, oh, toccò a Clarke ghignare divertita.

Già, vediamo se sono ingenui quanto tu pensi che siano, Lexa.

“Che cosa intendi di - oh, uhm” - inciampò nelle sue parole e sì, per un momento il silenzio sadico di Clarke vacillò - “puoi cercarlo in un vocabolario, ragazzina.”

“Ma co-“

“Ok, Tris” - Clarke apparve sul palco come un cavaliere in scintillante armatura - “credo che ci focalizzeremo su domande più pertinenti a questo corso.”

Raggiunse Lexa al centro, notando le sue guance accese sotto la luce soffusa dei riflettori.
Quando incontrò i suoi occhi le regalò un sorriso di conforto.

Stai andando alla grande.

“Adesso vorrei farvi riflettere su una possibilità molto semplice” - venti paia di piccoli occhi curiosi si concentrarono sulle sue parole immediatamente.

Pausa tattica.

“Forse Lexa sta mentendo.“

Silenzio.

“Sto facendo cosa?”

Fu proprio la ragazza a romperlo con la sua incredula, squittente, oltraggiata domanda.

La giovane platea era altrettanto perplessa.

“Ebbene, Aden ha centrato un punto molto, molto focale di questa storia. Lexa era già cotta.”

“Lo ero!”

“Certo certo, eri la ‘goffa, romantica gentildonna’ che sei, lo abbiamo capito, bella descrizione, tesoro. Potrei avere il microfono, per cortesia?”

Lexa glielo passò con un annoiato sguardo di sfida.

Classico.

“Quello che voglio dire è che so perché ti sei fatto questa idea, Aden. La avrei anche io. Abbiamo una romantica giovane donna, che ne incontra un’altra in circostanze piuttosto divertenti, rimane colpita da lei e dimostra anche la sua gelosia nei confronti del primo ragazzo che le vede accanto. Ma apparentemente l’altra ragazza non è altrettanto impressionata quanto sembra Lexa fino a qui. Dico bene?”

Venti teste annuirono vigorosamente.

“Non sto dicendo che sia sbagliato. Ma non è neanche la verità. Questo è semplicemente il racconto di Lexa.”

Silenzio confuso.

“Certo che è il mio racconto, sono una dei due protagonisti principali!”

“Appunto, Lexa, ed è esattamente questo il bello. Questo è un punto di vista, quello del tuo personaggio, per la precisione. E io posso dimostrare che potete leggere la verità persino nella tua versione dei fatti.”

Lexa sbuffò.

“Come vi ripeto sempre” - Clarke la ignorò - “una trama è costruita da più personaggi. Potete seguirla attraverso gli occhi di un singolo narratore o attraverso multipli sguardi. Più punti di vista avete, più vi avvicinate alla verità.”

Clarke si interruppe per prendere un profondo, teatrale sospiro.

“E la verità è che in questa storia non era Lexa ad essere cotta.”

Reazione oltraggiata in tre, due, uno…

“Perché stai falsando le cose? Ogni volta che raccontiamo la nostra storia sono io quella a risultare cotta.”

“Certo, perché a te piace e perché sei sempre tu quella che la racconta. Non riesco ancora a credere che…dopo tutto questo tempo…non hai ancora colto gli indizi. Sono lì, persino nella versione che tu hai.”

Non c’era altro che pura tenerezza nel tono di Clarke. Non poteva farne a meno. Adorava come Lexa ancora non riuscisse a prendersi il merito di essere quella eccezionale e straordinaria. Quella ad averla fatta innamorare in così poco tempo.

Forse era tempo di rivelarglielo.

“Voglio che ci pensiate tutti. I dettagli, le piccole incongruenze, i paradossi. Dove sono i buchi di trama?”

Ok, forse una classe di 13enni ipnotizzati non era il migliore pubblico per assistere a questa rivelazione.
O…forse si?


Aden sollevò improvvisamente il braccio.

Dio, è sempre stato il preferito di Clarke.

“Si, Aden?”

“Come facevi a sapere che era bianco?”

Ed eccolo lì, proprio lì, il perché.

“Sii più specifico, per favore.”

“Le hai detto che sentivi il suo cane abbaiare. Ma come sapevi che era un cane bianco? Devi per forza averlo anche visto.”

“Molto bene, Aden. E dal momento che io e Lexa ci eravamo incontrate solo un’unica volta, prima di quel dialogo, e il cane non c’era…quando l’ho visto?”

“L’hai…spiata?”

Riusciva a vedere Lexa nell’angolo del suo campo visivo. Immobile, abbastanza sotto shock.
A casa mi ammazza.

Fanculo, ne sarà valsa la pena.

“Semplicemente…le ho detto la verità dal mio lato della storia. E la verità è che poco tempo dopo averla conosciuta, ho sentito per davvero un cane abbaiare in strada e una voce chiamarlo. Una voce che avevo già, involontariamente, ben memorizzato. E’ per questo che mi son affacciata dalla finestra…e l’ho vista, lanciare una palla ad un enorme, bellissimo, pastore maremmano.”

Girò la testa verso Lexa perché intravederla non le bastava più. Aveva bisogno di guardarla negli occhi.
Li trovò…spaventati, incerti, attoniti.
Clarke non vedeva l’ora di baciare la confusione via da quel viso.

“Ma tu hai paura delle altezze e non ti avvicini mai alla finestra.”

Buondio, quanto è sveglio quel ragazzino. Chiederà a Lexa se è d'accordo ad adottarlo, prima o poi.

“Lo faccio solo se è necessario…o se ne vale la pena. E Lexa a spasso con il suo cane, estatica e con il tramonto nei capelli, fu il panorama più bello che potevo sperare di trovare.”

Un silenzio ipnotizzato si accomodò in platea per un istante, ma Clarke sapeva che sarebbe durato solo pochi momenti. Fu abbastanza rapida da rubare una occhiata a Lexa e assicurarsi di trovarci almeno un piccolo sorriso.
Era il loro modo silenzioso di comunicare, di rassicurarsi, di allearsi nel perfetto gioco di squadra che avevano imparato a costruire.

Va tutto bene. Ti spiegherò. Non hai niente di cui avere paura.
Ti amo.


“E' vero, eri decisamente tu quella cotta, Miss Griffin.”

Lexa le lasciò il centro del piccolo palcoscenico per accomodarsi con i ragazzi in prima fila, pronta a godersi lo spettacolo.

“Allora, ascoltatemi molto attentamente, ragazzi. Questa è la prima vera lezione che dovrete imparare come narratori.”
Li scrutò uno ad uno, assicurandosi di avere la loro completa attenzione.

“E la prima lezione di questo corso è che il segreto è nel racconto. Non è la trama, ma come la vendete. Chi è il personaggio che la racconta, che cosa sa, c’è un’altra voce narrante? Ci sarà sempre un ribaltamento di prospettiva nascosto da qualche parte.”

Lasciò il discorso studiatamente in sospeso per trascinare una sedia sul soppalco.

Sarà una storia lunga.

“In questo momento state ascoltando una storia molto semplice, molto comune, molto basilare ma molto cruciale in ogni trama: come due persone si sono conosciute e innamorate. L’amore, in ogni sua variazione, è l’emozione principale che sentirete il bisogno di raccontare, e che il vostro pubblico vorrà ascoltare nelle vostre opere, qualunque esse saranno. Non sarete mai capaci di creare una buona trama se non sapete raccontare una storia d’amore.”

Prese un profondo respiro e non ebbe bisogno di guardare Lexa per sapere che lo aveva preso anche lei.

Ma nemmeno lei conosceva ancora il plot-twist più importante su di loro.

“E da adesso in poi, ascolterete la storia della ragazza che spaccò di proposito il suo allarme antincendio solo per vedere Lexa una seconda volta.”





To be continued...









NOTE DELL'AUTRICE

Dubbi? Perplessità? Probabilmente e giustamente si. Ma non preoccupatevi, ho intenzione di chiarirli tutti, dal prossimo capitolo. O meglio, dal prossimo atto. Sottolineo ancora che la storia è multi-timeline ed è in tre atti, e qui ne abbiamo visto il primo e...parte dell'ultimo. Mancano il secondo ed il terzo.
Grazie mille per aver letto fin quaggiù.

Amo, adoro, venero, vado in estasi nel leggere i feedback, tutti i tipi di feedback, di chi legge, se chi legge ha voglia di lasciarne uno.

Alla prossima, spero!
   
 
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