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Autore: Fed    30/05/2009    2 recensioni
"Lei se ne stava seduta per terra, proprio nella stessa posizione dell’orso panciuto, ma essendo un’umana nessuno ci faceva troppo caso; non che non fosse strano, comunque, vedere un’ottantenne col culo sull’erba ed uno strano sorriso sulle labbra buttata lì, sola, a guardare i camosci con gli occhi di una bambina."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il est amer et doux, pendant les nuit d’hiver,
D’écouter, près du feu qui palpate ed qui fume,
les souvenirs lointains lentamente s’élever
au bruit des carillons qui chantant dans la brume.
 
La cloche fêlée, Charles Baudelaire
 
 
 
 
 
 
Lei si guardava intorno, incuriosita.
I camosci si avvicinavano di rado alla rete di divisione, ma erano comunque visibili senza sforzo. Un’insegna gialla attaccata vicino alla porta di un piccolo museo raffigurava un orso panciuto seduto sulle zampe posteriori in maniera innaturale, ma lo sciame di bambini che gironzolava nell’atrio e nel giardino rendeva normale anche quella strana immagine.
Lei se ne stava seduta per terra, proprio nella stessa posizione dell’orso panciuto, ma essendo un’umana nessuno ci faceva troppo caso; non che non fosse strano, comunque, vedere un’ottantenne col culo sull’erba ed uno strano sorriso sulle labbra buttata lì, a guardare i camosci con gli occhi di una bambina.
 
Quella riserva, tutto quel parco in realtà, le provocava una fitta al cuore.
Sarebbe voluta rimanere lì per giorni. Per anni.
 
 
I cavalli che quel vecchietto di periferia le permetteva di cavalcare da ragazzina erano ormai tutti morti; anche la stalla non c’era più. La vecchia casa nella quale lei aveva abitato con i genitori esisteva ancora, ma era stata restaurata e, chissà da quanto tempo, ormai, ci abitavano degli sconosciuti. Tutto il suo paesino era cambiato.

Era stata colpa sua, in fondo. Era lei che era scappata, e quel posto doveva esserci rimasto così male da non lasciare nulla ad aspettarla.
 
 
Tranne i camosci.
I camosci erano ancora lì, come settant’anni prima.
Buffi ed eleganti come sempre e, nonostante tutto, come sempre al di là della rete. Timidi.
 
 
 

Lei si guardava intorno, triste.

Sebbene la sua memoria facesse ormai cilecca, consentendole a malapena di ricordare la propria data di nascita nel momento del bisogno, aveva in testa ancora parecchie scene di quando era una bambina.
Scene di vento, di paglia e d’erbaccia. Biciclette. Lumachine.
Non le aveva più trovate, le lumachine. Le erano capitate davanti farfalle bellissime, durante il suo primo viaggio in oriente, ma di lumachine neanche l’ombra. Non aveva più potuto prenderle in una mano e portarle in balcone, non aveva più potuto posarle su una foglia d’insalata o accanto ad un contenitore con dell’acqua.
Non le mancavano le lumachine, a vent’anni.
 

Un camoscio si era avvicinato alla rete.
La fissava.
Le sembrò vecchio, quell’animale, con quei suoi occhi stanchi e quel pelo troppo rado e spettinato.
Fu solo per un momento, ma le parve di vedergli un sorriso sul muso.
 
 
«Hai ragione tu,» sospirò, annuendo «dovrei ringraziare il cielo di avermi concesso di vedere sia le lumachine che le farfalle, non perdere tempo a lamentarmi con te.»
 
 
 

Era buio, ormai, e lei era rimasta sola.
Ci mise qualche minuto per alzarsi ed andarsene prima che qualche guardiano la rimproverasse di essere ancora lì, a così pochi minuti dalla chiusura.

Tra il camoscio e la donna ci fu un ultimo sguardo d’intesa. Lei attraversò l’uscita col passo lento delle giovani spose.
 
 
 

 
  
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