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Autore: Made of Snow and Dreams    22/01/2017    1 recensioni
Strani eventi cominciano a disturbare la vita dei nostri killer: macabre scoperte, gente spaventata per un pericolo sconosciuto, corpi ammassati nella foresta. Cosa sta succedendo? Chi sta minacciando il territorio dei nostri assassini? Chi è il nemico?
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Un paio di avvertimenti è sempre meglio farli:
Il linguaggio, con la venuta di Jeff e l'alternarsi delle vicende, non sarà proprio pulitissimo.
Dato che il mio progetto include la presenza dei miei Oc (quindi ho detto tutto), saranno presenti scene di violenza varia con un po' di sangue (un po'? Credeteci pure...).
Spero vi piaccia.
P.S. Fate felice una scrittrice solitaria con una recensione, si sentirà apprezzata!
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Notti di noi





Intermezzo: Entrata in scena

Prologo


 


 
Nessuno se l’aspettava. Era accaduto tutto in fretta, troppo in fretta. Due ore, forse anche meno.
Un lunghissimo nastro di contenimento separava l’agente Uris da quella tempesta di urla, lacrime e capelli strappati per la disperazione. Una donna sulla cinquantina, con il viso segnato da qualche ruga d’espressione, mostrava gli occhi inondati di lacrime e il naso paonazzo per il troppo piangere e il troppo soffiare. Padri, fratelli o semplici ciuffi di parenti sparpagliati qua e là nella mischia osservavano ammutoliti, con gli occhi sporgenti per l’orrore – troppo orrore per poter essere lontanamente concepibile – l’ammasso disordinato di cadaveri su cui lavoravano medici legali e un’intera pattuglia di agenti. A rendere vane le imposizioni dei colleghi, che intimavano i curiosi a non oltrepassare il limite, c’erano quei ‘Annie!! Nooo! ‘, ‘Patty, Lucilla! Cosa… p-perché… ‘, ‘Ulrich!!! ‘, nomi invocati - come se i possessori, scavando per liberarsi dal peso opprimenti degli altri corpi sui loro, potessero risorgere tutt’a un tratto per correre sorridenti verso i familiari, magari affermando candidamente: ‘ Vedi, mamma, era tutto uno scherzo! Tutto! E’ riuscito bene, vero? ‘ - in un concerto di grida strazianti e laceranti. L’operazione stava divenendo critica.

‘State indietro, per favore, state indietro oltre la fascia-confine. ‘ disse Stanley Hagarty nel tentativo di contenere la folla. Lo stesso agente Steven Uris fu costretto a schivare le unghiate di una donna infuriata, decisa a gettarsi sul corpo del figlioletto deceduto.
Alla fine Steven avrebbe raccontato nei minimi particolari l’intera vicenda alla moglie incredula. Avrebbe descritto con minuzia le lacerazioni che avevano reso il corpo di Susanne Moore molto più simile a dei tagli di manzo di scarsa qualità; avrebbe delineato il profilo della signora Lucilla, pietrificato anche nella rigidità della morte in un’espressione di autentico orrore, con il braccio teso ad afferrare la figlia – il cui corpo non era stato ancora reperito; avrebbe delineato con la voce tremolante – perché anche i più duri possono cedere, gli avrebbe poi sussurrato sua moglie tra una carezza e l’altra – il cranio di una ragazza non ancora identificata, collassato in un tripudio di frammenti ossei da un oggetto pesante ma sconosciuto; avrebbe ritratto, come un macabro artista, il paesaggio sanguinolento di tutti quei bambini uccisi senza una ragione, maschi e femmine, che nelle ore precedenti al massacro possibilmente erano nelle loro abitazioni, a parlare al telefono con il papà al lavoro o a giocare con la mamma a Monopoli.
Urla da far accapponare la pelle al più efferato dei serial-killer che aveva avuto occasione di conoscere nella sua carriera nel mondo della criminologia. Tantissime vittime e non un testimone. I responsabili si erano volatilizzati nel nulla.

‘C-capisci, Lara? ‘ avrebbe singhiozzato Steven tra le braccia della moglie, e lei non avrebbe detto niente perché in questi casi non c’era proprio niente da dire. ‘Trucidati tutti, tutti! Neanche un minuscolo bambino era v-vivo… ‘ Avrebbe singhiozzato con il volto rigato, ‘li hanno massacrati, manco fossero delle bestie d-da macello! ‘ avrebbe urlato. ‘I bastardi se la sono presa anche con una donna incinta. Una donna incinta, e Dio solo sa come avrei reagito io se quella poveretta fossi stata tu… ‘
Di riflesso avrebbe avvolto le braccia nodose di muscoli sul corpo morbido e sinuoso di Lara. La soffice consistenza setosa della camicia da notte che lei indossava lo avrebbe rinfrancato, il minimo necessario per concedergli un istante di tregua. ‘Il ventre era stato squarciato. Hanno… hanno rimosso il piccoletto dall’interno, e lo hanno smembrato. Così, per divertimento. ‘

In effetti, Steven Uris aveva fissato con sgomento i resti di Patricia Anderson senza poter distogliere lo sguardo da quelle spirali contorte di intestini. Una manina minuscola e ancora rosacea era aggrappata alle interiora della mamma, una mano senza il braccio. Il rimanente arto era stato avvistato cento metri più lontano, vicino alla testa dissociata da dei morsi famelici.
Patricia Anderson. Ma poteva essere sua moglie, quel povero cadavere sventrato. Sua moglie, e quell’insieme di pezzi sparpagliati suo figlio Billy. Assorbendo il confronto, era stato allora che Steven Uris aveva giurato sulla sua famiglia di dare la caccia ‘a questi vermi schifosi, a questi bastardi infami! ‘, e lo aveva urlato con così tanto impeto che Stanley Hagarty in persona aveva dovuto correre da lui per calmarlo con un leggero sedativo.
Nela mattina susseguente al ritrovamento dei cadaveri mutilati, tutte le frontiere della cittadina in lutto erano già state sigillate.
 
 
 


Jarod Moore era stato terribilmente viziato da una madre apprensiva e fin troppo permissiva - nei suoi confronti. Riusciva a trasformare un ‘no’ perentorio in un ‘forse’ con una scenata già congeniata di pianti e urla e minacce e insulti, e quando il ‘forse’ diventava il ‘sì’ che lui tanto agognava, l’isteria generale si trasformava in quelle profusioni di sorrisi e carezze che sua sorella Susanne definiva ‘le più ipocrite dimostrazioni di falsità gratuita che avesse mai visto ’.

Per questo motivo non ci pensò due volte quando sventolò il biglietto dorato e lucente sotto il naso di sua sorella, in un uggioso pomeriggio invernale in cui i compiti erano le ultime cose in lista da completare. Jarod adorava i circhi con i loro funamboli, i mangiatori di fuoco, i maghi, i leoni.
Quando l’aveva riferito con orgoglio alla clown, il suo viso impiastricciato di vernice nera si era contorto in un gigantesco e sinistro sorriso. ‘Ma certo che ti piacciono. E a chi non piace il circo? ‘ gli aveva cantilenato con voce impastata e stridula, simpatica ma sbagliata. Gli aveva pure carezzato la guancia con dolcezza, evidentemente soddisfatta da quella scoperta, e a Jarod era parso che i suoi svelti occhi azzurri sfavillassero di qualcosa, seppelliti da strati e strati di vernice nera. Aveva scoperto i denti – aveva forse sorriso? – ma non poteva esserne sicuro; la croce nera che inglobava i tratti somatici del pagliaccio-donna era così densa da sembrare una gigantesca macchia d’inchiostro.
Ma il biglietto era comunque suo.
‘Butta giù il fondoschiena dal letto, sorella! Andiamo al circo! ‘ gridò all’orecchio della sorella maggiore così forte da farla trasalire. Armata di auricolari e cellulare di ultimissima generazione, Susanne lo squadrò malamente, irritata e stordita.
‘Quale circo? Aspetta Jarod, aspetta un attimo. Per uscire dobbiamo chiedere il permesso alla mamma… ‘ farfugliò mentre tentava di acciuffare il fratellino euforico per il braccio. La carta dorata colpiva immediatamente all’occhio, non c’erano dubbi. Ma Susanne era una sedicenne attenta e responsabile, e non prendeva nessuna decisione senza prima aver consultato il parere di un adulto.
Specie se la responsabilità è mia.
‘Ma quale permesso! ‘ esclamò Jarod. Aveva le guance arrossate per l’eccitazione e la maglietta di Spiderman madida di sudore. Doveva essere rimasto troppo a lungo fuori, nel cortile, quando il sole inizia a tramontare ma picchia sulle schiene nude fino ad arrossarle. ‘E’ solo un circo, e non abbiamo bisogno di un permesso per percorrere il vialetto fino alla radura. Sono solo pochissimi metri a piedi, nessun pericolo. Per favoreeee… ‘
‘Ho detto di no. ‘ sospirò Susanne. Sfilò entrambe le cuffiette dalle orecchie, preparata all’idea di dover spiegare il motivo del broncio del fratellino alla loro madre, quando sarebbe tornata. Un po’ di lacrime, capricci vari e qualche frecciatina qua e là. Il gioco era fatto. Urge un contrattacco immediato per scongiurare la catastrofe. ‘E poi non eri proprio tu quello che piagnucolava quando stavamo guardando “It- Il pagliaccio assassino” in televisione? ‘

Le sopracciglia di Jarod schizzarono verso l’alto per la vergogna. Bam. Colpito e affondato, pensò Susanne con un sottile sorriso. Al mio caro fratellino l’orgoglio è una questione spinosa, ma io so come ribaltare il coltello dalla parte del manico. Si godette la scena: era certa che l’altro si stesse spremendo le meningi per escogitare una scusa plausibile in tempi record.
‘Ehm… Beh, ‘ soffiò dopo qualche secondo il bambino con voce roca, ‘se vado al circo poi la paura mi passerà. E potremo vedere i tuoi adorati film dell’orrore tutte le volte che vuoi. Non una lacrima da parte mia. ‘ promise, soddisfatto della sua difesa.
‘Allettante, ma con me non attacca, Jarod. Riprova un’altra volta. ‘
‘Ma non è giusto! ‘ protestò lui. Puntò i suoi occhi capricciosi e testardi in quelli fermi di Susanne, tentando la carta dell’approccio fisico, afferrando la manica del suo pigiama. ‘Hai sedici anni, sei grande! La mamma torna tra due ore, lo sai! ‘
‘Certo che lo so. ‘ Cominciava ad essere stanca, ma mollare la presa era fuori discussione. Sapeva già di non voler uscire da sola con il peso del dovere sulle spalle. E poi c’erano i compiti, la cena da preparare, una nuova playlist di canzoni pop da ascoltare, le amiche con cui spettegolare sul nuovissimo e fighissimo professore di educazione fisica…  ‘Ed è proprio perché sono grande che decido io. Non si esce, punto e basta. Chiuso. Se vuoi, puoi giocare con il Nintendo o guardare un film. ‘
Afferrò saldamente Jarod per il retro della maglietta, soffocando l’istinto di correre in bagno per lavarla dal sudore che aveva inzuppato la canotta. Ignorò il pianto disperato del fratello e chiuse con un tonfo la porta della sua camera a chiave. Da dietro la sua protezione poteva udire la consueta sfilza di insulti e proteste a cui era abituata e dei pugnetti sbattere ripetutamente contro il muro.
‘Sei una stupida, una cretina, una sorella idiota! Almeno manda un messaggio alla mamma e chiedile se posso andare, voglio sapere cosa ti risponde. Va beneee? ‘
 
 



Prima delle sei e trenta imbruniva. Le nubi si accesero di quel caldo aranciato tipico delle città inquinate e illuminarono l’intero cielo fino a schiarirlo di un tenue violetto.
 Ai confini della radura Chaos si dirigeva con sua grande gioia verso il circo che i suoi compagni avevano già montato. Quando alzò lo sguardo per controllare la sua posizione, fissò per alcuni secondi, estasiata, l’intero tendone che si stagliava fiero e glorioso verso il cielo.
Bellissimo. E lo era davvero, ornato di decine e decine di fasce dorate e scarlatte e nere, come dettava il gusto personale del loro capo.
La scritta ‘Carnival Circus’ troneggiava imperiosa sull’entrata, fissata con dei sottili e consunti nastri rossi. Dietro la struttura, ben nascosti dalle fronte, c’erano i carretti con cui l’intera carovana itinerante viaggiava da una regione all’altra, provvista di cibo, bevande e tutto un intero assortimento di giochi di prestigio con cui far divertire i membri più piccoli della loro organizzazione durante i viaggi più turbolenti e lunghi.

Con ampie e scoordinate falcate Chaos si avviò verso la pesante impalcatura in legno che fungeva da scala provvisoria, scostando bruscamente fronde e rami spinosi. Abbozzò un lieve sorriso quando le sue orecchie iniziarono a captare il brusio proveniente dall’interno del tendone e lo sferragliare degli strumenti in acciaio con cui fissare i tralicci metallici e le carrucole nella parte alta della struttura. La voce morbida ma autoritaria del loro capo rimbombava all’interno della cavea mentre quest’ultimo impartiva ordini ed esternava consigli per le esibizioni ai meno esperti del gruppo. La risatina acuta di Amy annunciò l’arrivo di Chaos quando la ragazza superò i gradini, affacciandosi raggiante per urlacchiare le buone notizie.
‘E’ arrivata Chaos! E’ arrivata Chaos! ‘
Un turbine di stoffa rossa l’accolse, travolgendola come un uragano. Il corpo molle di Amy si inerpicò, supplicandola di prenderla in braccio.
‘Sì, Amy, sono qui. ‘ rise la clown ad Amy, una bambina dal viso spruzzato di lentiggini e incorniciato da due trecce scure, che la fissava adorante. ‘E porto una notiziona! Abbiamo fatto centro, bingo, il punteggio massimo con il minimo! ‘ aggiunse, rivolgendosi verso il giovane uomo che avanzava serafico verso di lei, fissandola con intensità da dietro le lenti a contatto dorate.

Solo una cerchia ristretta lo conosceva bene, e Chaos spesso si vantava di appartenere alla schiera dei favoriti. Il resto aveva potuto farsi solo un’idea piuttosto limitata del loro capo; ispezionavano dubbiosi le iridi perfettamente celate, cercando di decifrare ciò che si nascondeva dietro, e fissavano con timore lo spesso strato di cerone con cui lui si copriva il viso nella maggior parte del giorno. Solo i suoi pazienti e rassicuranti sorrisi di circostanza sembravano comprendere quella diffidenza.
Ma a lei, che aveva avuto la fortuna di penetrare quella barriera di cortese freddezza, Master mostrava volentieri l’eccitazione che a stento teneva a bada durante i preparativi. Le iridi finte si accendevano fino a sembrare due piccoli soli e i lineamenti si deformavano per mostrare i denti perlacei e perfetti.
‘Allora. ‘ mormorò con esaltazione, con voce grave. ‘Com’è andata la vendita? ‘
‘Totale. ‘ confermò Chaos. Inchiodò i suoi occhi in quelli di Master, ricambiando il suo entusiasmo. ‘Venduto tutto. Al massimo saranno rimasti quattro biglietti, ma… niente di più, niente di meno. ‘ ghignò. Percepì Amy sorriderle raggiante, le sopracciglia aggrottate e le braccine ancorate al suo collo, che giocherellavano con il suo papillon.
‘Eccellente. Eccellente, come sempre. ‘ annuì Master con soddisfazione. Socchiuse gli occhi mentre rifletteva e la mascella s’induriva. Quando li riaprì, il suo sguardo era divenuto quello metodico e controllato a cui tutti erano abituati. ‘Dunque ci resta mezz’ora. Considerando Mirror che deve ripassare le mosse e Felix che sta terminando le prove con Gabriel, dovremmo farcela. ‘
‘Puoi dirlo forte! ‘ esclamò Amy. Attirò l’attenzione di Master facendo roteare il suo fratellino Frederich nell’aria con frenesia, lasciando che urtasse gli infissi in legno. Gli occhi lucidi e fissi del bambino continuarono a fissare tutto senza vedere niente, e non un uggiolio di dolore scappò dalle piccole labbra sigillate. Master le sorrise dolcemente, facendola arrossire. ‘Anche quest’altro spettacolo andrà alla grande, grazie a te. Aspettiamo tutti la… ‘ Gli occhi irradiarono malizia e fremettero d’aspettativa. ‘… la tua entrata in scena. ‘
Le labbra di Master s’incresparono di un estatico ghigno. Lanciò una fugace occhiatina alla contorsionista Tina, poi la sua attenzione si concentrò, pieno d’intesa e complicità, sulle due artiste davanti a lui. ‘Anche io attendo il trionfo finale. Io e le mie sorelle. Il giusto tributo per dei meravigliosi numeri gratis. Ma tutto al suo tempo, Amy. Tutto al suo tempo. ‘
 
 
 

Messaggio inviato da: ‘Madre ’. Ricevuto alle ore: 18. 51.

Susanne scorse con un sonoro grugnito di disapprovazione il dito sulla notifica che le aveva fatto trillare il cellulare. Aprì controvoglia il messaggio lasciando ricadere pesantemente la mano che reggeva le auricolari sul materasso, e lesse con noncuranza:

Potete andare. A tuo fratello serve un minimo di svago. Tornerò tra un’oretta, credo, se il traffico si mantiene costante come adesso. Bacio <3

Merda! E ora chi lo contiene, quell’idiota là sotto?
Rumori nel corridoio. Passi che rimbombavano in tutto il secondo piano. Susanne roteò gli occhi per il timore che potesse trattarsi dell’idiota in questione, venuto a spiare i suoi movimenti e le sue conversazioni leggermente spinte con il fidanzato, e soffocò un’imprecazione schiacciando il viso sul cuscino.
No, ti prego, fai che non sia lui… tipregotipregotiprego…
‘Susaaaaanne! ‘ 
Ma vaffanculo.
Eccoli di nuovo, i maledettissimi colpi a picchiare la porta dall’esterno. La tentazione di bloccarla con il suo zaino sovraccarico di libri di latino e biologia era forte, ma il solo pensiero di abbandonare il letto caldo la prosciugava di energie già dal principio.
‘Susaaaaanne! Ho sentito, sai? Ho sentito lo stesso! Ti è arrivato un messaggio dalla mamma? Che dice? ‘
Per un attimo il tempo si bloccò. Cosa rispondergli?
Se mento e rispondo che non era la mamma, probabilmente le telefonerà con il telefono fisso e verrò persino accusata di essere una bugiarda. Tanto va la gatta al lardo…

‘Sì, era lei. ‘ Si decise a confermare, dopo aver ponderato entrambe le opzioni con velocità febbrile. ‘Ha detto che va bene. ‘
‘Evvaiiii!! ‘ sentì gridare da dietro la porta. Si trattava di pura sfortuna, che il suo malaugurato e fastidioso fratellino possedesse una stramaledetta voce da soprano.  ‘Andiamo, andiamo, andiamo! Sbrigati, lo spettacolo inizia tra pochissimo! ‘
Lo ammazzo. Se non la smette lo ammazzo.
‘Sì, ho capito! Intanto tu cambiati la maglietta, che puzza come la morte… e piantala di starnazzare come una gallina, che disturbi l’intero vicinato! ‘
 
Messaggio inviato a: ‘Madre ’. Ricevuto correttamente alle ore: 18. 55
‘Ricevuto, stiamo andando. Tra max 2 ore dovremmo tornare. ‘

 
 



Se a New York, Los Angeles o, addirittura, in qualche sperduta cittadina del New England, si apriva un negozio nuovo, la gente accoglieva la notizia con curiosità morbosa persino nei giorni che precedevano l’apertura. Una fila interminabile di clienti o semplici curiosi che si dimenava come un lungo serpente di fronte all’entrata costituiva la normalità, e il brusio incessante era spesso interrotto da qualche commento acido di una signora disillusa sulle novità che promettevano i cartelli d’ingresso di benvenuto. Se l’evento riguardava una mostra d’arte dell’ultimo pittore sconosciuto, la semplice fila poteva mutare in una folla sorvegliata a vista da qualche pattuglia, con tanto di paparazzi armati di teleobbiettivi.

Ma nelle periferie delle cittadine locali, tagliate fuori dagli eventi mondani più eclatanti, l’arrivo di un circo itinerante poteva destare i picchi di attenzione. Se ne accorse la signora Lucilla in persona, quando, nel mentre di un’intensa seduta di bucato, riuscì a scorgere la vicina Polly Smith cercare freneticamente la chiave che apriva e chiudeva il cancelletto di acciaio che circondava la sua casa.

‘Ehy, Polly! ‘ si affrettò a chiamare, e per un attimo lasciò perdere il lenzuolo bianco che necessitava di una stesura. Si sporse dal balconcino e agitò la mano per farsi individuare con più facilità. Quando il volto abbronzato e sereno della donna ruotò e la mise a fuoco, sorrise. ‘Dove vai di bello oggi? ‘
Lucilla, un’italiana trasferitasi in America anni addietro, era il tipo di persona che, se fortemente convinta della sua teoria, stringeva i denti pur di mantenere fede ai suoi princìpi. Uno di questi consisteva nel non stringere rapporti troppo stretti con i vicini – ‘perché potrebbero approfittarne ’, ripeteva spesso alla figlia – ma di limitarsi ad una cortesia che poteva sfociare nel distacco vero e proprio; di conseguenza non si sarebbe mai permessa di chiedere un’informazione potenzialmente pericolosa per la sua barriera di autocontrollo, ma nel caso di Polly Smith era diverso.

Quando suo marito Charles era morto, la donna era stata, tra tutto il vicinato, l’unica che fosse venuta più volte a casa sua per sincerarsi delle sue condizioni, l’unica che si fosse presa la briga di consolarla nei periodi di ricaduta, l’unica che le comprava degli antidepressivi quando per Lucilla la sola idea di uscire di casa era fuori discussione.  In breve tempo, non appena il periodo buio si era dissipato del tutto, le due erano diventate amiche. Sì, con Polly poteva permettersi di osare di più.
‘ Sto andando allo spettacolo di questo nuovo circo… ‘ rispose Polly, ricambiando il sorriso. Teneva per mano suo figlio Stefan, un bambino pestifero che sua figlia Ludmilla già conosceva. ‘Il modo migliore per staccare un po’. Stefan mi ha tormentata tutto il giorno per poterci andare… ‘
‘Immagino, immagino. ‘ ridacchiò Lucilla. ‘A questo punto sono tentata di portare anche Ludmilla. Le mie due nipoti sono dai loro zii, quindi… ‘
‘Fallo, allora! ‘ esclamò Polly. Il rumore metallico delle chiavi sferragliate anticipò lo scricchiolio del cancello, che sbatté violentemente sui pilastri che lo accantonavano. Lucilla intravide un piccolo pacchetto di caramelle colorate nella borsa della donna e il bagliore del biglietto dorato, stretto nella mano di Stefan. Fissò la consistenza della carta traslucida per qualche secondo, intrappolata in una sorta di trans ipnotico. ‘Andiamoci insieme. Io non ho impegni e tu neanche, giusto? ‘
‘Perspicace, tu! ‘ confermò Lucilla, e istintivamente strinse le dita sulla ringhiera. Lanciò un’occhiatina fugace alla finestra scorrevole da cui s’intravedeva un piccolo studiolo. Pensò alla gioia che avrebbe illuminato il faccino di Ludmilla, una volta che avrebbe saputo la destinazione della loro consueta passeggiata serale. ‘Va bene, mi hai convinta. Mi aspetteresti? Ci metto cinque minuti a preparare Ludmilla. Ti spiace? ‘
‘No, assolutamente. ‘ rispose Polly, scuotendo la testa. ‘Vuol dire che m’intratterrò con la signora Anderson. Viene anche lei, hai saputo? Un evento di massa! ‘ Rise, godendosi l’espressione esterrefatta di Lucilla. La signora Anderson aveva la nomea, in tutto il quartiere, di non uscire mai di casa, se non per annaffiare le sue begonie. Aveva preso la gravidanza un po’ troppo sul serio, a quanto si era mormorato. Se aveva deciso di godersi lo spettacolo, si trattava di un evento davvero memorabile, più unico che raro.

‘Aspetta, aspetta! ‘ farfugliò Lucilla, e le sue iridi schizzarono dalla porta scorrevole a Polly come se la vicina dovesse dileguarsi da un momento all’altro, lasciandola a secco di pettegolezzi. ‘Non ti muovere! Io… io cerco Ludmilla, tu riservami la notizia per dopo, okay? Ludmilla, vieni subito qui! ‘
 
 



Si scoprì che la stradina che sboccava nella radura era completamente invasata già dal principio.
Almeno una cinquantina di bambini schiamazzavano per essere poi rimproverati dai genitori, e qualche furbetto spingeva la calca per cercare l’anfratto che gli avrebbe permesso di saltare un bel po’ di turni. L’aria era satura di gridolini ed esclamazioni di gioia, e l’aroma delle noccioline arrostite e fumanti permeava l’intero spiazzo. In un minuscolo chioschetto, posto a fianco dell’entrata al tendone, l’aceto veniva spruzzato sulle patatine fritte e lo zucchero filato alla fragola e alla ciliegia veniva spinto verso le mani adoranti di qualche Andy e di qualche Julie. La presenza di nastrini colorati era stata triplicata, ma era l’inusuale accostamento dell’oro con il rosso e il nero a catalizzare l’attenzione.

Ad accogliere gli spettatori, un mimo vestito solamente di nero e dal volto soffocato dal cerone fungeva da aiutante per una clown – Ludmilla e Jarod e tutti i bambini riconobbero il cinturino con il fiore decisamente esagerato e l’accostamento assurdo ma tipico di tutti i pagliacci del giallo con il verde, e del rosso con i leggins a strisce bianche e nere verticali.
Il tendone era pronto per l’entrata in scena. Segnò l’inizio della fine.
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice
A jumby: da qui in poi tutte le tue curiosità saranno soddisfatte (non vedo l’ora di sapere che ne pensi dei miei piccoli!! *-*), anche perché un bel po’ di capitoli saranno dedicati ai miei folli per dare spazio alla loro psicologia (per me il tratto fondamentale di un serial-killer; inoltre ogni singolo componente della Carovana ha una storia e una psiche differente, quindi mi attende un bel lavorone!). Per quanto riguarda Jane ed Argot (sono riuscita davvero a fartela piacere? Sono onorata, davvero!), per il momento la tipetta è al sicuro… per ora.
In ogni caso. ALLORA.
Sono ipersuperextramega-emozionata di darvi il benvenuto nell’interludio. Madonna, ancora non ci credo!!!
Sono loro. Il circo. Il Freaky Circus, il Carnival Circus o come lo vogliate chiamare (in quanto cambiano il nome ogni santa volta) è la mia creazione principale, il mio vanto, il mio orgoglio. Un’intera carovana comandata dal mio Cucciolo, dal mio Piccolo, dal mio Amore (perché diamine non esisti nella realtà, maledetto?!), da… Master. E’ un abbreviazione di ‘Master of Playing Cards’, e giustamente qualcuno si starà chiedendo: ‘Snow, ma cosa diamine c’entrano le carte da gioco? ‘
C’entrano. Fidatevi, c’entrano. Lo scoprirete nel prossimo capitolo.
Vi ho introdotto Chaos, una delle componenti principali della Carovana. 25 anni, dislessica. Una Clown senza senso, svitata, folle tanto quanto Laughing Jack. Esteticamente parlando, nemmeno il suo stile ha un senso d’esistere. Se scopro il modo con cui posso caricare delle foto (se tu, caro lettore, lo conosci, ti supplico di scrivermelo!), vi mostrerò direttamente, in prima persona, i disegni che ho fatto dei miei amori.
Vi ho presentato Amy, la ventriloqua. Una bambina che adora Chaos e Master, con un rapporto un po’ contorto con il fratellino Frederich, di cui per il momento non vi dirò niente (c’è la sorpresa).
Vi ho presentato Master. Un giovane uomo di circa 26 anni, con i capelli nerissimi sparati in faccia, il viso pieno di cerone e vernice rossa che gli copre gli occhi, ossessionato dalle carte da gioco come per le 4 sorelle (indovinate perché?). Gestisce lui il circo e l’amministrazione, decide lui gli itinerari da seguire, i numeri da proporre. Con lui si conclude lo spettacolo.
Ci sono molti altri (Felix, Gabriel, il mimo Mirror, i maghi, la contorsionista Tina, i due gemelli, e chi più ne ha più ne metta), ma i principali sono questi tre.
Comunicazione di servizio: non ho aggiornato subito perché, oltre agli impegni scolastici, ho riscritto per intero il capitolo 3 e il 4, ‘Alleanza’, quello che non mi era riuscito molto bene. Vi invito a rileggerli se avete voglia, altrimenti potete tranquillamente saltare, in quanto non ho alterato il succo della vicenda.
P.S. Nei biglietti non c’è segnata l’ora in cui lo spettacolo finisce perché, ovviamente, non c’è una fine. Tutti destinati a morire, tutti!
Spero che l’intermezzo vi abbia intrippato a dovere, alla prossima!
 
Made of Snow and Dreams.

 
  
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