Serie TV > The Vampire Diaries
Segui la storia  |       
Autore: asia_mia    23/01/2017    1 recensioni
Sullo sfondo di una New York ai giorni d'oggi, un amore, lo stesso da sempre, che non muta, non finisce, tiene legati Damon ed Elena in un rapporto viscerale, disperato, malsano a volte, ma mai, mai sbagliato.
Dal prologo:
«Dove sei?»
«No, non farlo…»
«Sono già in moto.»
«Non va bene Damon, non possiamo vivere così, io…»
«L’idea di vivere senza di te non è contemplata in questa vita, quindi, per favore, dimmi dove sei.»
Non le lascia spazio, è una corda che non si allunga, un fiato che si spezza ma non si spegne mai, una strada senza uscita, un legame che scorre dentro, nella pelle, nelle vene, fino alle viscere.
Dannazione, farebbe l’amore con lui in questo momento se potesse, anche in mezzo alla strada, anche incazzata com’è, non riesce a fermarsi, a fermarlo.
Perché lui torna sempre, se la va a riprendere dappertutto, in qualunque posto sbagliato, con qualsiasi stato d’animo, non può fare altro che piegarsi a lei.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Capitolo 2°


La prima volta in cui Elena entrò in una camera oscura aveva a nove anni.
Aveva scattato delle fotografie insieme a suo padre, lui le aveva mostrato il modo esatto per tenere in mano una reflex, come comporre teoricamente una buona foto, dove posizionare fisicamente un soggetto all’interno della griglia del mirino e come variare la prospettiva, poi le aveva lasciato la macchina fotografica e si erano incamminati per il bosco vicino casa.
Elena aveva scattato tutte e ventiquattro le foto contenute nel rullino, lo aveva riavvolto e saltellando si era diretta verso lo studio di suo padre, nel quale aveva osservato attentamente ogni suo movimento mentre, lentamente e con una leggerissima luce soffusa, faceva nascere le sue prime foto.
Così si innamorò della fotografia, osservando suo padre scattare foto, stando dietro e davanti l’obiettivo, scattando a sua volta e vedendole nascere, impresse sulla pellicola, come fosse una magia.
Si sentiva libera mentre teneva in mano la sua macchina fotografica, in grado di fermare il tempo, imprimere ricordi, raccontare il mondo esattamente come lo vedeva lei, cogliere un particolare per altri insignificante, fotografare invece di parlare.
Le piaceva maggiormente fotografare volti, quanto lo amava, catturare espressioni, azioni, emozioni, era come entrare dentro l’anima di una persona senza toccarla, spiarla senza avvicinarsi troppo, avvertendo quello che provava in quel preciso momento. Forse per quello si era dedicata al ritratto, alle foto in studio, percorrendo quella strada era diventata fotografa di moda ma aveva conservato la sua passione per i boschi, la natura, il paesaggio che le aveva trasmesso invece suo padre.
La passione di suo padre era rimasta tra le mura della loro casa, quella di Elena invece aveva preso la via per il mondo.
Certo, avere a che fare con modelle snob e uomini narcisi e pieni di sé, non era il massimo, ma ormai aveva imparato a gestirli e ad un ottenere un perfetto prodotto finale, uno di quegli uomini d’altronde, se l’era perfino accalappiato.
 
«Ok, grazie Nadia abbiamo finito.»
 
Elena controlla un ultima volta le foto scattate dall’anteprima del computer collegato alla sua macchina fotografica, congeda la modella dopo due ore di shooting fotografico e finalmente si siede per i primi cinque minuti della giornata.
 
«Ehi tutto ok?»
 
Riawna si avvicina cauta mentre porge alla sua amica un caffè fumante appena fatto.
 
«Oh, sei la mia salvezza.»
 
Respira l’aroma infilando quasi tutto il naso dentro la tazzina, lo beve gustando fino all’ultimo granello di zucchero e poggia il bicchiere vuoto sul tavolino accanto il pc.
 
«Sempre pronta a correre!»
«Ricordami perché combattiamo, ogni giorno, con queste modelle con la puzza sotto il naso che guadagnano dieci volte più di noi!»
«Perché amiamo il nostro lavoro. E perché saremmo disoccupate altrimenti!»
 
Elena scoppia a ridere per la leggerezza con cui la sua amica riesce sempre a tirarla su di morale, lavorano insieme da cinque anni ormai, Riawna come make-up artist, lei come fotografa, è da lei che corre per ogni evento, cena, festa, compleanno, serata speciale, lei è la sola ad avere il permesso di mettere le mani sul suo viso e sui suoi capelli, nessun’altro.
 
«Scherzi a parte come stai? Il trucco copre le occhiaie ma non lo sguardo amica mia.»
 
Elena prende un respiro, tornando lentamente alla sua realtà.
 
«Sono un po’… provata lo sai, ma sto bene adesso. Mi sento un po’ più… leggera.»
«Una nottata di fuoco in cui vi siete scatenati?»
 
Le guance di Elena avvampano immediatamente, stupendosi ogni volta per la semplicità e la libertà disarmante con cui quella donna riesce ad essere così limpida e disinibita.
 
«No, non per quello!»
«Peccato, quindi cos’altro è successo?»
 
La prima cosa che le viene in mente è l’immagine di quella donna, non può farne a meno, non perché sia esclusivamente lei la causa dei loro problemi, ma per ciò che rappresenta, per quello che Elena non sarà mai.
Per la superficialità, la capacità di non creare problemi, di essere affascinante e ammaliante, anche solamente respirando.
 
«Quella donna…»
«Gli hai detto che è cambiato da quando lei è in città?»
«Sì, non ce la facevo più.»
«Bene, e lui?»
«Niente. E’ rimasto in silenzio, mi ha abbracciata e ci siamo addormentati. Lo sa anche lui che è così, io lo conosco, so dov’è la sua testa anche se fisicamente lui è con me.»
«E cosa intendi fare?»
«Cosa dovrei fare?»
 
Le gira la domanda perché realmente non lo sa, non sa cosa sia giusto, fin dove poter pretendere o lasciare andare.
 
«Non penso di essere la persona giusta per consigliare, data la mia disastrosa vita sentimentale… ma si vedono da soli che tu sappia?»
«No, assolutamente. Me lo avrebbe detto, credo… io mi fido di lui.»
«E allora lascia solo che le cose facciano il loro corso, se ha bisogno di schiarirsi le idee lascialo fare. Lui è innamorato di te Elena, lo vedrebbe anche un cieco.»
«Io non sarò mai abbastanza per lui.»
«Tesoro, è lui che non è abbastanza per te, se ti lascia pensare questo.»
 
Come è strana a volte la mente.
Un momento prima sei pronto a mollare tutto, pensi di non riuscire a tollerare più niente, neanche il più piccolo errore o la più irrilevante incertezza, senti il limite che preme e strabocca dopo essere stato superato ancora e ancora, senti il dolore, le ferite provocate e vorresti non avvicinarti mai più a quel fuoco che ti ha bruciato e poi, poi più niente.
E’ come quando non ce la fai più a correre e tutti intorno ti gridano di continuare, di andare avanti, ancora un po’, ancora un passo davanti l’altro, ancora un altro pochino, ma tu sai di poter scoppiare da un momento all’altro e allora, all’improvviso, ti fermi.
 
Non ce la faccio più.
 
Lo dici, semplicemente, lo dici e loro sono costretti a sentirlo e farci i conti.
Tu te ne sei liberata e puoi fermarti, puoi camminare, ritirarti, tornare indietro, puoi perfino sederti.
Sei tu a decidere, a sapere dove sta il tuo limite, a guardarlo in faccia, sembri quasi galleggiare tanto non senti più niente, nessuna pressione, nessuno che urla, niente, puoi non sentire più niente.
Ed è proprio questo che prova Elena adesso.
Il suo silenzio ha preso voce, le sue paure hanno trovato luce, non deve più fingere di non star morendo dentro, non ha più bisogno di nasconderlo o di sperare che altri se ne accorgano, le è uscito fuori e basta.
Quel tarlo che la stava divorando non c’è più, non è più soltanto una sua responsabilità, la sua incolumità non dipende più unicamente da lei.
Potrebbe anche tornare ad essere felice, tanto non sente più quella pressione che le strozza il cuore, è come aver ristabilito un equilibrio.
Per questo quando lui la chiama al cellulare, intorno l’ora di pranzo, non capisce perché sia così tranquilla, la sua voce non tradisce emozioni, non è neanche piatta o nervosa, forse solo un po’ stanca ma dolce.
 
«Sicura di stare bene?»
 
Di nuovo insiste, non sapendo bene come reagire.
E’ brava lei a passare la palla a lui, a lasciarlo affrontare i suoi sensi di colpa e le sue responsabilità verso di lei.
 
«Sì Damon te l’ho detto.»
«Passi da me quando stacchi dal lavoro?»
 
Ha bisogno di vederla, è la paura di non sapere cosa le passi per la testa, vuole leggere il suo sguardo, sentirla vicina sempre e nonostante tutto, vuole la sicurezza che sia davvero nulla sia cambiato.
 
«Ci provo, ho un servizio alle tre, poi dovrei aver finito.»
 
Anche lei vuole lui, vuole tutto di lui.
Quel timore di lasciarlo solo, di allontanarsi, o che lui possa andarsene veramente da lei, l’ha tormentata per anni, ci ha combattuto con le unghie e con i denti, si è morsa la lingua a sangue pur di non stare al suo gioco, alle sue provocazioni, pur di essere la parte matura e disinnescare invece di prendere fuoco insieme a lui, a volte ci riusciva, altre meno.
Negli ultimi anni si era decisamente affievolito, proprio in quelle ultime settimane invece era tornato a bussare, ad infiltrarsi tra le pieghe della pelle.
E’ tardi quando esce dal lavoro, la preparazione degli outfit per il servizio di moda e del set fotografico hanno richiesto più tempo del dovuto, ha scattato con concentrazione e minuziosità come sempre, eppure le mani le fremevano, il suo cuore era da un’altra parte, il bisogno di non poter essere con lui era più forte di qualunque cosa.
Damon guarda l’orologio per l’ennesima volta, la aspetta sempre con meno illusioni, non ha idea di cosa le passi per la testa, seppur conoscendola da anni sa di essere un estraneo quando si tratta di giudicare se stesso, è spietato lui, rigido e lapidario.
Per questo quando esce dall’ufficio, ormai costernato, è pronto ad un’ennesima discussione e si avvia all’ascensore di servizio, aspettando arrivi al suo piano.
La prima cosa che sente è la sua voce fresca, poi la sua risata, infine, quando le porte si aprono, se la ritrova davanti gli occhi.
Lì, in piedi, in tutta la sua bellezza.
Una camicia leggera appena slacciata sul decolté, dei jeans a fasciarle le gambe e quei tacchi vertiginosi su cui è perfettamente a proprio agio.
Lo sguardo di sempre, scuro, tagliente e profondo, i lineamenti marcati, quel piccolo neo sullo zigomo destro e le labbra piene e perfette, contornate dal mosso dei capelli scuri che le arrivano alle spalle.
E’ talmente donna da rendere insignificante chiunque al suo confronto.
Damon la scruta da capo a piedi, incredulo e disorientato, non è la prima volta che la vede, ma mai l’aveva incontrata insieme a suo fratello.
Il sorriso di Stefan muore tra le sue labbra e d’istinto sfugge allo sguardo di Damon, abbassando gli occhi sul pavimento.
 
«Katherine.»
 
La chiama.
La saluta, la interroga sulla sua presenza lì, le mette distanza.
Tutto in un nome, nell’intonazione con cui lo pronuncia.
Quanto l’ha amata lui, prima di Elena, quella donna.
Così tanto da impazzire, da umiliarsi, distruggersi la vita prima di poter risalire.
Un’amica di famiglia, questo era, la passione travolgente dei vent’anni, un prendere e lasciarsi per anni, fino all’arrivo di Elena e a tratti anche dopo.
Se non fosse stato per lei, per Stefan, che lo trascinava letteralmente via dai locali di tutta New York ogni sera, per Caroline, per i suoi lavaggi del cervello su quanto lei fosse una stronza, egoista, capace unicamente di pensare ai propri interessi invece che a loro due, non si sarebbe più rialzato, sarebbe ancora in fondo al baratro.
Un baratro che la prima volta in cui l’ha rivista in città, gli si è riaperto letteralmente da sotto i piedi.
Avanza lentamente, lei, seguita da Stefan ancora con lo sguardo basso, escono dall’ascensore che vede richiudersi le porte in alluminio e tornare al piano terra.
 
«Ce ne hai messo di tempo per presentarti a lavoro, presidente
«Ero a pranzo. Che ci fai qui?»
 
Ma lo dice fissando Stefan, intento a deglutire e prendere in mano la situazione.
 
«E’ passata per avere la planimetria e le misure delle stanze del Casinò, per progettarne gli interni per conto di Klaus. L’ho accompagnata per verificare i vari spazi.»
 
Katherine ravviva i capelli che le riscendono appena a sfiorare le spalle e gli sorride indecifrabile.
Damon li supera entrambi dandogli le spalle, arrivando all’interruttore dell’ascensore che preme nervosamente, imbarazzato e combattuto per la presenza costante di lei ultimamente, per questo progetto con Klaus, incazzato, anche, per la complicità con suo fratello.
 
«Sei passata al nemico.»
«Klaus mi ha offerto un lavoro, e un compenso, che non potevo rifiutare.»
 
Stefan capisce di doversi allontanare, mormora di dover tornare in ufficio e qualcos’altro che in ogni caso non arriva alle orecchie di Damon, intento a fissare le porte metalliche dell’ascensore.
 
«Forse ti ho messo un po’ nei guai l’altra sera.»
 
Lo chiede, certa di quale sia la risposta, sicura altrettanto di non poter averla.
 
«Vorresti averlo fatto?»
 
Non può cedere con lei, non può darle nessuna certezza.
Lo sa lui, ma anche lei, quanto potere abbiano l’uno sulla vita dell’altro, ammetterlo sarebbe una confessione inaccettabile, insostenibile.
Non cambierebbe nulla, è certo Damon di amare Elena con tutta la pelle, lo stomaco, la pancia, il cuore e la testa, per questo non vuole dargliela la soddisfazione di essere ancora un po’ protagonista nella sua vita.
Katherine infatti scuote la testa ironica, prima di poter rispondere qualsiasi cosa lui la incalza, prendendola alla sprovvista.
 
«Che ci fai qui Kat?»
«Sono venuta per la pla…»
«No, intendo, qui…»
 
Ci mette un attimo in più per cercare la risposta giusta, quella adatta, non la trova, non sa mentire, non come lui vorrebbe.
 
«Ci andiamo a prendere un caffè?»
 
Deve lavorare Damon e poi sta ancora aspettando Elena, eppure è più forte di tutto, la rivalsa, il riconoscimento che lei non gli ha mai dato, forse è questo a muoverlo, sa quanto sia sbagliato, tuttavia lo fa, accetta.
 
«Ho solo qualche minuto.»
 
Quando le porte dell’ascensore finalmente si aprono, entrano entrambi, in silenzio e con lo sguardo altrove.
Arrivano in uno dei bar delle terrazze del grattacielo, quello più appartato, meno turistico, dove poter parlare ed essere osservati il meno possibile.
Ordina un caffè al vetro macchiato freddo, lei, come al solito, mentre lui la osserva e non capisce.
Attende che arrivi la sua ordinazione al tavolo, appena a ridosso del muro da cui parte una vista spettacolare, e anche il bourbon liscio per lui, prima di parlare.
 
«Cosa vuoi sapere Damon? Perché non sopporti l’idea che io sia qui?»
«Perché non dovresti esserci, non è questo il tuo posto.»
 
Soffia appena nella sua tazzina e ne beve una goccia, giusto per bagnarsi le labbra.
Alza gli occhi neri su di lui, fregandosene di mostrargli come riesca a farle ancora male.
 
«Sono qui per lavoro. Sono passati sette anni Damon, forse dovresti andare avanti, non credi?»
«Sei la solita stronza.»
«Non essere sgarbato con me.»
«Perché sei qui Katherine?»
 
E’ quel tono duro e diretto con cui si rivolge a lei, il motivo per cui abbassa lo sguardo e concentra tutta la sua attenzione su quel caffè ancora integro.
Fa tintinnare la tazzina mentre la solleva e ne beve ancora un po’, resta a mezz’aria con gli occhi che vagano sull’Empire State Building colorato dalle prime luci del tramonto.
Parla, senza neanche guardarlo.
 
«Non ricordavo quanto potesse essere mozzafiato la vista di questa città, da quassù. Forse perché non mi ci hai mai portato, ci siamo lasciati troppo presto io e te, non sono stata così lungimirante ed egoista come credevate tutti.»
 
Poggia di nuovo la tazza ormai vuota sul piattino e, finalmente, riesce a guardarlo negli occhi, porgendogli una domanda che la assilla da anni e cogliendolo decisamente alla sprovvista.
 
«Che ci facevi sotto il mio appartamento, a Providence, due anni fa?»
 
 
«Io spero tu stia scherzando Damon.»
 
Elena è incredula, fuori di sé, pronta a scaraventarglielo addosso quell’anello appena trovato nel cassetto.
La ricerca di un asciugamano pulito si è trasformata nella visione di quel pacchettino, voleva solo sbirciarci dentro, con il cuore in gola per il peso e la responsabilità attribuita a quel piccolo brillante.
Non fa in tempo però a rimetterlo a posto, Damon entra proprio in quel momento e le blocca il respiro con un solo sguardo.
Inutile dirle che quell’anello fosse lì da mesi, che aspettava il momento giusto, che, nonostante le troppe discussioni, con lei voleva passarci il resto della vita.
E’ intelligente Elena, scaltra, fiuta la paura e i sotterfugi a miglia di distanza, scopre le intenzioni prima ancora si palesino nella mente di lui.
Per questo non crede ad una sola parola, a nessun progetto di vita insieme, le appare tutto come una menzogna, un riparare che non porta a niente.
 
«Ho visto la tua espressione al matrimonio di Caroline, so quanto sia importante per te e…»
«E tu pensi di risolvere i nostri problemi chiedendomi di sposarti?»
«No, penso di risolvere le tue insicurezze su di me.»
«Con qualcosa che non vuoi? Bel modo complimenti!»
 
Sono giorni che vanno avanti sempre e solo sullo stesso punto.
Non lo sopporta Elena il bisogno che ha lui di dover ammaliare e scherzare con ogni donna che respiri, parli o gli si muova intorno.
Continua a metterla alla prova Damon, invece, testandone la resistenza, il limite, verificando fino a quanto possa amarlo realmente.
La spinge fino all’orlo, poi, quando lei impazzisce, se la riprende, raffredda la sua ansia e torna docile come un cagnolino.
Non ce la fa, ci sono momenti in cui si sente stretto, in cui tutto l’amore che lei può dargli, lo fa sentire troppo, troppo responsabile, troppo forte, troppo in alto. Ha bisogno di spezzare le aspettative, di smontarle e poi ricostruirle pezzo per pezzo.
Lei lo sa, dannazione se lo sa, ha imparato a disinnescare i suoi atteggiamenti, a non alimentarli, a spegnere quel fuoco che lui lascia in giro per vedere chi ci si può bruciare, ad amarlo oltre il suo egoismo, ad andare oltre quel limite che lui spinge sempre un po’ più in là.
Solo che è un carico troppo grande da portare da sola.
 
«Elena ma che vuoi da me? Io ci sto provando, io ho rinunciato a tutto per te, ti sto offrendo la possibilità di avere la famiglia che vuoi, la vita che sogni.»
«Io non la voglio Damon. Possibile non capisci che a me basteresti solo tu?»
 
Somiglia ad una pazzia, lei che non chiede niente, lui che vorrebbe darle in mondo e non ci crede di poter bastare in questo modo.
 
«Non sai quello che dici Elena e io non voglio un giorno sentirmi rinfacciare tutto ciò che non ho potuto darti.»
 
Sbatte la porta e se ne va.
Sa di ferirla, lo capisce benissimo e lei è troppo stanca per evitarlo, per fermarlo prima. Ci sono in mezzo i suoi sentimenti, la sua anima ed è troppo il lavoro che lui le chiede di fare, ogni volta, per tutti e due.
Non sa perché si ritrova lì.
E’ salito sulla sua macchina ed ha iniziato a guidare senza meta, senza pensare a niente, voleva solo correre, con i finestrini aperti e la musica alta, tanto da non sentire i suoi pensieri.
Sfreccia sull’autostrada che lo porta fuori New York, con il bisogno di andarsene, cambiare aria, tornare l’uomo che era.
Ci si ritrova per caso, o forse no, forse perché quella strada l’ha percorsa per anni, avanti e indietro.
Se la ricorda chiaramente quell’uscita, quella via che lo porta in un quartiere al centro di Providence.
Quel portone, sotto il quale ha aspettato ore.
Ferma la macchina e spegne il motore, chiude gli occhi e non gli importa del tempo che passa.
Si domanda se sia giusto, dove abbia sbagliato, perché lei non voglia trascorrere il resto della sua vita con lui, si dà dello stronzo egoista, dopotutto è lei che ha rinunciato a tutto per lui, ha cambiato città, lasciato la sua famiglia, i suoi amici, non ha altro che lui e il suo lavoro da fotografa.
Lui ha ancora tutto, ha perfino un passato che ogni tanto torna a bussargli il cuore e dal quale non dovrebbe tornare.
Sa anche questo Damon, eppure il suo corpo e il suo istinto lo portano sempre lì quando le cose non vanno, nell’illusione di qualcosa di incompiuto, di un definitivo che non si era mai risolto del tutto.
Ad un rapporto nel quale non aveva fatto altro che farsi male.
E’ sbagliato, tutto completamente sbagliato, se lo ripete per ore mentre è lì sotto la sua finestra, non lo sa ancora cosa muova le sue mani che sfilano la chiave dal quadro della macchina e afferrano la giacca per andare a scoprirlo.
Ma eccola lì, Elena, che lo reclama.
E’ tardi, è l’una passata, lei è ancora sveglia e non riesce a prendere sonno se lui non è lì, se non sa dove sia.
E’ un bisogno fisico, una dipendenza emotiva, anche dopo tutte le parole urlate l’uno contro l’altro, lei, ma neppure lui, riesce a lasciarlo andare, ha bisogno di sapere dove sia, se quel filo si è spezzato o se lo sente tirare anche lui.
E Damon non può non rispondere a quel telefono che sta squillando, anche incazzato com’è, non la lascerebbe mai arrovellarsi nei dubbi e nelle ferite.
Lui è la cura e la lama allo stesso tempo, lei lo stesso.
 
«Ehi.»
«Torna da me, per favore, dove sei?»
 
E gli bastano quelle semplici parole, gli basta sentire il cuore a pezzi tra le sfumature della sua voce e le lacrime incastrate nei singhiozzi, per tornare razionale, per correre da lei.
 
«Sto arrivando.»
 
 
«Lo so che eri lì, sei rimasto in macchina per un’ora intera, poi hai fatto inversione e te ne sei andato. Perché eri lì Damon?»
 
Lo chiede di nuovo Katherine, per essere sicura gli sia arrivata chiara e precisa la domanda. Se lo è chiesto per due anni, lei, sarebbe voluta scendere in strada per correre a salutarlo, eppure non ne aveva avuto il coraggio, era rimasta a guardarlo dalla finestra, al buio, finché la sua Camaro non era ripartita e lui non era più tornato.
Non lo aveva programmato di trasferirsi momentaneamente a New York, non aveva intenzione di risentirlo, né rivederlo, tuttavia, quando Klaus l’aveva richiesta per quel lavoro di design, il suo primo pensiero era stato Damon.
 
«Avevo discusso con Elena e avevo bisogno di prendere aria.»
«Ero io la tua aria?»
«Non lo so cos’eri Katherine, so cosa sei ora.»
«Io non credo, non saresti qui altrimenti.»
 
Incassa il colpo e ruota lo sguardo Damon, se lo ricorda bene quell’episodio, ricorda anche la sera in cui è tornato, la colpa esplodergli dentro e le scuse a fior di labbra, sussurrate tutta la notte mentre faceva l’amore con Elena.
Non ha più pensato a Katherine, non ha più tirato fuori quell’anello, ha provato a ricostruire un rapporto con l’unica donna della sua vita, ha imparato a restare, a lasciargli certezze su ogni singolo lembo di pelle e di cuore.
Non avevano mai più discusso in quel modo, lui non se ne era mai più andato via per così tanto tempo, fino…
Fino alla telefonata di Katherine, due mesi prima, in cui gli annunciava di aver accettato il lavoro e del suo trasferimento a New York per qualche tempo.
Di nuovo discussioni, distanza, provocazioni.
Non aveva ancora capito Elena cosa stesse accadendo, finché una sera a cena, a casa di Stefan e Caroline, il maggiore dei fratelli si era lasciato sfuggire di quella collaborazione con Klaus e del ritorno di Katherine.
Quella notte la prima di tante altre liti e quel filo sottile, tra di loro, che torna a tirare e tirare fino allo stremo.
Pazzesca la paura di Elena del confronto con lei, il modo in cui la teme, il cuore come si assottiglia e si ferma, quasi, per non farsi sentire appena avverte il suo nome o vede Damon leggere un messaggio sul cellulare. Non è mai stata così tanto gelosa o possessiva Eleva, non è nella sua natura, nella sua morale, questo, però, è qualcosa di istintivo, primitivo, incontrollabile.
E il fatto che lui non ne parli, non affronti mai l’argomento della loro rottura, non ammetta mai di aver pensato a lei durante le loro litigate, o di averla sentita durante i primi anni della loro relazione. Ed Elena le sa queste cose, è la poca chiarezza a mandarla in confusione, a renderla insicura e vivere nell’imprevedibilità.
Per questo, poi, quando lo sente un po’ più lontano del solito, lo tira a sé, lo chiama, lo pretende, non lo lascia andare.
Anche quel pomeriggio, nonostante tutto, lo fa.
E’ ancora sul divano Damon quando lei torna.
In mano ancora la copia del giornale che stava sfogliando, negli occhi di nuovo lei, l’altra.
Elena non dice una parola, lo capisce dal modo incerto in cui respira, in cui corruga appena lo sguardo quando lei gli appare in salotto, dall’esitazione che ha nel salutarla, che c’è stata lei, anche oggi, ancora oggi.
Sono cose minuscole, impercettibili, ma lei Damon ce lo ha dentro, lo conosce meglio di se stessa, sa cosa prova e pensa senza neanche guardarlo.
Non dice niente, non vuole discutere, sa di non averne bisogno, è consapevole di essere lei e basta la sua scelta, l’unica donna della sua vita, eppure…
Se avesse finito di lavorare prima, se fosse passata da lui, se non avesse così paura del confronto.
Si avvicina al divano, slaccia i sandali, li lascia cadere sul tappeto e si rannicchia accanto a lui, Damon d’istinto solleva un braccio e lei si infila tra questo e l’altro, si sdraia quasi sul suo petto, accavallando le proprie gambe sulle sue e poggiando l’orecchio destro sul petto di lui.
Damon ha ancora le mani sul giornale e, quando prova a staccarne una per abbracciala, lei lo ferma.
 
«Leggi qualcosa per me, qualsiasi cosa. Per favore…»
 
Così torna con lo sguardo sull’articolo di economia che stava esaminando e inizia a leggere a voce alta.
Parla di spread, borsa, oscillazioni, cose di cui lei non capisce nulla ma non è quello ad interessarle.
Passa a leggere dell’ultima partita di basket dei Knicks e poi arriva al meteo e agli ultimi spettacoli a teatro.
Elena lascia che la voce, dal petto di lui, rimbombi nelle sue orecchie e gli arrivi allo stomaco, si lascia cullare, con gli occhi chiusi, fino a non distinguerle nemmeno più le sue parole, regolarizzando i suoi battiti con quelli di lui e finendo per addormentarsi così.
Tra le sue braccia, con il suo respiro addosso e le vibrazione della sua voce fin giù nella pancia.
Lì, nell’unico posto in cui si sente a casa.
Damon le accarezza i capelli e la pelle di porcellana, è così assuefatto al suo odore da provarne la mancanza quando lei non c’è.
E’ ancora la ragione di ogni sua scelta, la morale con la quale cammina per il mondo, gli appartiene talmente tanto da rendersi fallibile e giudicabile, da non riuscire più a mentirle, né a farle male.
 
«Ho preso un caffè con Katherine questo pomeriggio.»
 
Ed eccola la bolla che esplode in mille pezzi.
Non riusciva più a tenersela dentro, non con l’unico amore della sua vita tra le braccia. E poteva evitarselo, eccome se poteva, le aveva già omesso alcuni particolari in passato, non sarebbe stato difficile, il silenzio era sempre stata una buona carta da giocare, eppure non adesso.
Non dopo essere stato smascherato, non dopo essersi preso la responsabilità della crisi del loro rapporto, non dopo l’onestà e la sincerità con cui lei aveva ammesso di essere distrutta e disarmata.
Glielo deve, le deve la sua intera esistenza.
Ed Elena lo fissa e basta, lo sapeva, se lo sentiva, non poteva pensare di aver sganciato una bomba ed uscirne indenne. 
Eccola la verità che voleva, quella che tutti chiedono ma non vorrebbero mai ascoltare realmente. Eccoli quei graffi sul cuore che sanguinano di nuovo.
Quei motivi validi per andarsene.
 
«Per favore non guardarmi così, dì qualcosa…»
 
Lei non riesce neanche a respirare, non perché lui non possa prendere un caffè con qualcuno, ma per ciò che rappresenta, per ciò che c’è dietro, per tutte le bugie e le verità nascoste, perché è lei.
Per quelle sensazioni che prendono improvvisamente corpo.
 
«Elena…»
 
E’ il suo della sua voce, il modo in cui suona fuori dalle sue labbra, non ci prova neanche a dirle ‘tu non sei venuta, sarei stato con te altrimenti…’, lo avrebbe fatto in passato, avrebbe dato la colpa delle sue azioni, alle mancanze di lei, non adesso però, non al punto in cui era la loro relazione.
Elena fa per allontanarsi, si divincola dalle sue braccia, gli toglie il contatto con le sue gambe ma lui le blocca il polso con la mano obbligandola a fermarsi, a non scappare da lui, da loro.
 
«Non è niente Elena, dovevamo chiarire delle cose, non è successo niente.»
«Quante volte? Quante volte l’hai vista da solo da quando è arrivata?»
 
Lo sa, adesso riesce a leggere anche questo nei suoi occhi, non voleva crederci, non lo pensava possibile, invece vuole sapere per metterlo alle strette, per capire, per sapere, adesso che tutto è uscito allo scoperto, non vuole più menzogne.
 
«Non… non è importante questo, è che…»
«Damon, quante volte?»
 
Dannazione quanto ama la determinazione di quella donna e quanta paura ha di perderla e non avere più niente.
 
«Tre.»
«Dove e cosa vi siete detti?»
 
Non lo sopporta, non tollera doverlo dividere con altre, non adesso, non dopo tutti quegli anni. All’inizio forse sì, conosceva bene l’entità delle relazioni che intratteneva, sapeva quanto bisogno avesse di essere adulato e apprezzato, era consapevole dell’effetto che produceva nelle donne e di quello che loro provocavano in lui. Ha dovuto farci i conti, ha convissuto per anni con lo spettro di altre donne, di una in particolare, l’aveva superato, perché il bisogno di lui di essere amato da lei, spazzava via tutto il resto, lui l’aveva scelta, tra mille aveva scelto lei ed Elena si era lasciata andare del tutto solo in quel momento.
Con il cuore straripante e senza difese si era concessa a lui, lui era la misura con cui giudicava gli altri e se stessa, era il bisogno di essere vista e riconosciuta, era l’amore che non aveva mai provato, quello oltre se stessa, oltre la propria morale, l’amore che perdona, che si merita, che dà senza volere niente.
Tutti glielo avevano detto, chiunque lo conoscesse le aveva intimato di stare attenta, di andarsene finché avesse potuto, di quanto lui fosse egoista e non sapesse amare, lei invece era rimasta.
Lo vedeva com’era realmente, non come voleva mostrarsi, vedeva la sua anima, non la pelle, aveva intravisto la persona che poteva essere se lo avesse scelto e lui l’aveva fatto. Aveva scelto di essere com’era, di essere se stesso perché lei lo amava proprio per ciò che nascondeva al mondo, lei gli tirava fuori la sua vera natura e lui amava lei anche per quello.
Aveva bisogno di essere visto da lei, per essere l’uomo che entrambi desideravano.
 
«Elena sei solo tu, sei tu e nessun’altra.»
 
Per questo sbotta lei, per il modo sincero con cui dice quelle cose e per il bisogno, nonostante quella verità, di volere ancora altro, di non renderla mai abbastanza.
 
«Smettila! Non mi rifilare questa stronzata adesso. Rispondi alla mia domanda e basta.»
«Perché? Perché vuoi farti del male così…»
«La sera in cui hai fatto tardi per venire alla mia premiazione, eri con lei?»
 
Eccola la domanda che la assillava da giorni, per cui non riusciva a darsi pace, quella che non avrebbe mai voluto fare, quella per cui non avrebbe mai voluto ascoltare la risposta.
 
«Sì.»
 
Una pugnalata al cuore le avrebbe fatto meno male.
E’ un castello che si sgretola sotto i piedi.
Uno schiaffo che lascia finalmente il segno visibile ed indelebile.
 
«Perché non me lo hai detto?»
«Non mi sembrava il caso, avevamo già discusso, stiamo sul filo di un rasoio e…»
«Ci stiamo quando c’è lei di mezzo Damon! Ci stiamo per colpa tua! Per i tuoi bisogni narcisistici! Io sono sempre la stessa, non ho dubbi, non voglio trascorrere il mio tempo con altri uomini, non ho bisogno di un bel niente!»
 
La rabbia che la investe è il risultato degli ultimi mesi in cui tutto è viaggiato sotto pelle, in cui nulla si poteva dire ma dove le urla e le discussioni avevano un solo nucleo centrale, quella donna, quella dannatissima donna.
 
«Io non ho bisogno di lei, tantomeno di passarci il mio tempo.»
«Dannazione Damon, sai cosa mi fa incazzare più di tutto? Il fatto che tu non ammetta di avere dei dubbi, di avere ancora dei conti in sospeso con lei! Pensi sia una cretina completa da non accorgermi di ciò che fai o di dove sia la tua testa? Pensi ti voglia in questo modo?»
 
Damon resta in silenzio, per la prima volta non sa cosa dire, non sa a cosa appigliarsi, non trova un margine in cui insidiarsi. Non è in grado di ammetterlo neanche a se stesso, per questo non può darle la verità che invece vuole lei, ha troppa paura di perderla, di essere messo di nuovo in discussione.
Non riesce ad amare in modo non egoistico stavolta.
 
«Tu non riesci mai a fidarti completamente di me.»
«E faccio bene, mi sembra.»
«Il problema non è Katherine, il problema siamo io e te Elena, sei tu che mi metti sempre in discussione…»
«Quindi sarebbe colpa mia? Sono io che non mi fido di te, il problema?»
 
Non ce la fa a fagli male, sa che gioco stanno facendo, sa di dover smettere, di doversi fermare, la ama a tal punto da non riuscire a ferirla in questo modo.
Non riesce più ad immaginare cosa ne sarebbe di lui, del suo mondo, se fosse possibile non amarla così, non aver così bisogno di lei.
Tira un pugno sullo stipite della porta per scaricare la tensione, per fare male a se stesso piuttosto che a lei e resta fermo, mentre il petto si alza su e giù nell’atto spasmodico di respirare aria che non ha più.
Come sia possibile rovinare sempre tutto, non lo capisce Damon, come si faccia a vivere nel felice e contenti è un mistero per lui e forse anche per lei.
 
«Dammi un motivo Damon, solo un motivo per rimanere.»
 
E’ la sua voce a muoverlo, farlo voltare verso di lei, rossa in volto, con gli occhi gonfi e il cuore tra le mani.
Ne avrebbe mille da darle, altrettanti per farla andare via.
La questione è, che il dolore accade. Non c’è modo di evitarlo, non esistono mai certezze, ci sono le speranze, le aspettative, ma il dolore accade. Ed è imprevedibile e nessuno è mai preparato a questo, alla sua forza, alla sua durezza, bisogna essere pronti e saperlo fronteggiare.
Inutile nascondersi, cercare sotterfugi, raccontarsi balle, bisogna affrontarlo.
 
«Per le mattine…»
 
Non capisce Elena, corruga la fronte mentre tira su con il naso e si asciuga una stupida ed infantile lacrima.
 
«Per le mattine in cui apro gli occhi e ti trovo abbracciata a me. Per quanto mi dici vieni a dormire, e io vengo, o per quando lo dico io a te, tu ti infili sotto le lenzuola e io ti allungo il braccio sinistro e tu ci poggi la testa. Perché lo so che dormi solo su quel lato, e non è per il sesso, è perché mi basta dormire con te accanto. E’ perché mi sveglio la mattina e il mio primo pensiero è sapere che sei lì.»
 
Damon fa un passo verso di lei, poi un altro fino ad arrivarle di fronte, inginocchiarsi e nascondere la testa sopra le sue ginocchia.
Ed Elena non riesce a controllarlo il suo corpo quando lui le è così vicino, quando il dolore è troppo da affrontare da soli, quando l’amore è troppo grande per entrambi.
Gli carezza i capelli, la schiena e poggia a sua volta la testa su quella di lui, stanca, respirando profondamente, consapevole e disarmata.
 
«Lasciami andare Damon… se devi farmi ancora questo, ti prego lasciami andare.»
 
L’unica cosa che fa Damon, è stringere di più le mani intorno le sue gambe, stringere tanto e forte e ancora di più.









**************

A volte ritornano...
E sperano di trovarvi ancora!

Lo so che forse ancora non è ben chiaro tutto, man mano capirete alcune cose e alcune 'paura' di Elena soprattutto, e del perché Damon si comporti così.
Ma prevalentemente, questa è una storia che ha a che fare con sentimenti incasinati, con l'amore che non riesce a lasciare distanze, con le paure e le sicurezze. E' difficile da scrivere perché con la testa andrebbe in un modo, con il cuore in un altro ed è il filo sottile su cui viaggerà questa storia.
Non sarà sempre così lo prometto!
Per il resto, un capitolo esclusivamente incentrato su di loro, con l'apparizione di questa 'lei' che porterà non pochi problemi!

Vi abbraccio intanto, vi aspetto, mi scuso e... portate pazienza!
Ale_

 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: asia_mia