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Autore: kissenlove    23/01/2017    0 recensioni
Amu Hinamori ha un gran bisogno di soldi e decide di tentare un colloquio per poter affittare il suo utero per i nove mesi di una gravidanza. Il problema di tutta questa faccenda? La persona a cui deve affittare il suo ventre per poter dare alla luce suo figlio è, nientemeno, che Ikuto Tsukiyomi.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amu Hinamori, Ikuto Tsukiyomi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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— PATTO DI SANGUE (AMUTO)
                                                            capitolo 2








                                                            [Ikuto’s pov]



Erano parecchi minuti che facevo ondeggiare il liquido nel bicchiere, ma non riuscivo a rilassarmi. Avevo, finalmente, ultimato di esaminare le candidate, ma nessuna donna mi era piaciuta più di lei. Quando i miei occhi avevano incontrato i suoi cremisi, mi è parso di tornare indietro nel tempo... a quando avevo diciassette anni e lavoravo per l’Easter. Come potevo non preferirla alle altre? Quella mocciosa, di soli dodici anni, mi faceva fremere il cuore nel petto, rendeva le mie giornate un inferno e non faceva altro che starmi per tutto il tempo fra i piedi per impedirmi di portare a termine il compito che mi era stato affidato. Era testarda, – lo è tuttora –, sapeva far piombare la mia difesa nel vuoto e regalarmi momenti di intensa gioia. 
Non c’era giorno in cui non litigassimo, ringhiandoci a vicenda il nome “nemici.”
Era la mia nemica, infatti. Voleva ostacolare i piani subdoli, ed evitare che venissero sottratte altre uova del cuore. Non potevo che considerarla tale, anche se, a dir la verità, io ero il gatto e lei il gomitolo con cui giocavo per tutto il tempo. Lei era bella, intelligente, una roccia direi, tutte le qualità migliori che avrei voluto per mio figlio. Ma c’era qualcosa a fermarmi. Non era la sua amicizia con quel principino, per cui lei in passato aveva avuto una cotta, forse nemmeno il suo ruolo di Jolly nei guardiani, piuttosto temevo il confronto spinoso. Era inevitabile, mi ricordò Utau, quando le dissi che volevo diventare padre, e lei mi rise bellamente in faccia.
— Tu, un gattastro pervertito... maledetto, vuoi avere un bambino?— mi fissò come se mi fosse spuntata una seconda testa aliena. — esci da questo corpo, chiunque tu abbia fatto impazzire mio fratello — facendo il segno della croce, neanche lei lo credeva possibile, reputò il mio “uno scherzo” ma nel giro di una settimana dovette ricredersi per ciò che aveva detto. Inoltre, per tentare di persuadermi da questa follia, mi disse che un giorno mio figlio, o figlia, mi avrebbe domandato della sua mamma. Ed io cosa avrei risposto? Che visto che non ho le palle per sposarmi con una donna, ero ricorso ad una madre surrogata, oltretutto la mia vecchia fiamma, che non aveva più diritti su di lui o lei? Che sua madre era una guardiana che difendeva il mondo, mentre io ero solamente un gatto che porta sfortuna a chi lo avvicina? Stavo ripetendo quel discorso nella mia mente da quando ero tornato a casa. Non dovevo prenderla sul personale, mio figlio non avrebbe mai potuto odiarmi, soprattutto perché avevo trovato un corpo perfetto, dove impiantare le cellule per crearlo e se avesse preso dalla madre, non mi sarei di certo lamentato. Avrei avuto una parte di lei, molto piccola, quasi insignificante, sempre con me. Una mini lei o un mini me.
Ora non restava che farle quella telefonata ma nel mio cervello risuonava la frase, dove ammetteva col capo chino di aver bisogno di soldi ed io mi chiedevo in maniera ossessiva il perché. Si era infilata in qualche guaio? No... non poteva essere, lei che ci metteva un secolo per decidere cosa indossare quando uscivamo insieme. Era una persona scrupolosa, a differenza mia, che non ci pensavo due volte a intrufolarmi fra le sue lenzuola, per osservarla dormire, col volto seppellito sul cuscino ed i capelli attaccati alle guance. Quante volte imprimevo il suo ricordo, il ricordo di lei, il suo corpo nascosto dalle lenzuole, le gote illuminate dal fioco pallore lunare. Con la morte nel cuore, il sapore del suo ultimo bacio, l’abbandonavo di nuovo

Ma... a cosa poteva servirle tutto questo denaro?
Ero molto avido di sapere, ma lei non me l’avrebbe mai confessato.
Decisi su due piedi, in uno slancio di coraggio, di chiamarla per chiederle di cenare insieme, con il pretesto di comunicarle che presto nel suo grembo sarebbe cresciuto il mio futuro figlio. Afferrai la sua cartella, lasciando scivolare nel secchio le altre, e com’era prevedibile, aveva lasciato il suo recapito telefonico.
Un sorriso mi piegò le labbra, mentre componevo quel numero sul cellulare.
— Fratellino — il forte rumore di una porta che viene chiusa mi distolse dai ripetuti squilli del telefono. Il ticchettio delle sue scarpe risuonò per tutte le stanze, mentre si toglieva il cappotto di dosso. — Stasera si mangia sushi!– mi avvisò, appoggiandosi con una scapola al cornicione del salotto, e mi osservò interrogativa. 
– Fammi indovinare, Ikuto. Quella ridicola storia... — 
Non è ridicola. É una mia scelta, penso.
— Sh. Utau, mi sto mettendo in contatto con la madre surrogata – le vidi alzare gli occhi al cielo, mentre si liberava i piedi dai tacchi e si accasciava sul divano.
—E chi sarebbe la fortunata?—
— Amu– al nominare il suo nome, mia sorella quasi soffocò. 
— Amu? Quella... Amu? Hinamori — farfuglia. 
— Esattamente — confermai, allontanandomi verso la finestra col cellulare premuto all’orecchio, tentando di celare una risata. Ma non era semplice. 







                                                              [Amu’s pov]

Bussai piano, perché forse lei starà riposando come tutti i pomeriggi.
– posso entrare?– chiesi, facendo capolino dalla porta, rivolta all’evanescente figura che occupava il centro del letto matrimoniale.
– certo tesoro, entra pure– mi rispose, le sue sottili labbra opache si piegarono in un sorriso a malapena visibile. E vederla così non faceva altro che stringermi il cuore.
Non appena avanzai verso di lei, notai il suo drastico cambiamento.
– ciao, mamma–, mormorai in un filo di voce, e lei si limitò ad allungare il braccio ossuto nella mia direzione. Aveva perso la sua gioia di vivere, la pelle,— rimasta poca —, era diventata opaca, la massa muscolare di prima era un vano ricordo, così pure quasi tutti i capelli che le erano caduti per via delle chemio.
– come ti senti oggi?– la stessa domanda, mentre mi posizionavo accanto a lei. Sapevo che la sua risposta non sarebbe stata di certo incoraggiante, i miglioramenti erano minimi e a volte assenti. Il tumore la consumava. Ogni giorno peggiorava e, purtroppo, non rispondeva più alla terapia prescritta. 
– sono stata meglio... altre volte.. Amu– ansimò, tentando di appoggiarsi alla tastiera del letto, anche se avvertiva sempre di più la stanchezza come un macigno. 
– so che le cose non si mettono bene per me – mi disse, a un certo punto.
– mamma, non è vero– le mentii, come tutte le volte che parlavo con un medico, e ricevevo una doccia fredda che m’investiva puntualmente. Il cervello perdeva sempre più facoltà, ogni semplice azione per lei risultava difficile da compiere. Non poteva camminare per lunghi tragitti, sforzava gli arti inferiori e si affaticava. Anche afferrare saldamente gli oggetti era ormai un’impresa. Se ne stava andando... 
Sospirai rassegnata, avevo poche possibilità di salvare mia madre e speravo con tutto il cuore che qualcuno — possibilmente un gattaccio pervertito pieno di soldi, mi desse la possibilità di far guarire mia madre. Lei necessitava di un’operazione specifica che mirava a spiantare il tumore maligno dal cervello, ma trovare una cifra così elevata per sottoporla all’intervento non era una passeggiata. Non per tutti almeno, visto che Tsukiyomi ne offriva addirittura il doppio per l’affitto dell’utero.
Come spesso accade, parli del diavolo e spuntano le corna.
Il mio cellulare cominciò a squillare. 
–scusami mamma, ma è una chiamata importante– inventai una scusa, e lei ci credette senza problemi, poiché non le avevo riferito dei miei piani per ottenere la cifra, e preferivo che non sapesse nulla. 
– vai tesoro. Ne approfitto per dormire un po’– 
– ti lascio sola, allora – mi rimisi in piedi, e piegandomi le lasciai un bacio al centro della fronte, per poi dirigermi verso la porta. Poi me la chiusi alle spalle. Il display rivelò la chiamata di un numero che non conoscevo, e seppur poco convinta risposi.
– pronto?–
– finalmente ti degni di rispondere, confettino.– riconoscerei quella voce tra mille, è la sua. Quella di Ikuto. Un brivido mi corse lungo la schiena.
– cosa vuoi?–
– domani sera, alle sette in punto, fatti trovare sotto casa tua. Indossa qualcosa di elegante perché ceneremo insieme..– 
Presi a scendere le scale, diretta in cucina.
– chi ti dice che io non abbia preso altri impegni con così poco preavviso, gattastro?–
–Il sottoscritto– mi rispose con fare arrogante, come da copione. –e, comunque... pensavo volessi conoscere i risultati della selezione– strabuzzai gli occhi, fermandomi sul penultimo scalino. Mi aveva scelta? Non l’aveva detto in maniera molto esplicita perché è sempre stato un tipo pragmatico e misterioso, ma infondo ci speravo, era per una buona causa. 
– ci vediamo domani– gli mormorai, scendendo l’ultimo scalino, giunta quasi nella cucina. 
– a domani, confettino– sentii la sua voce calda, quasi carezzevole dalla cornetta e non mi resi conto che mentre chiudevo la chiamata, sulla mia bocca si andava allargando un sorriso. E se fossi stata scelta come madre surrogato?








|angolino #Love|
Ehi, ci tenevo a ringraziare le persone che hanno commentato il precedente capitolo di questa storia e quelli delle precedenti storie... @Lory_Iv e anche @EmmaHinamori, grazie per il vostro incredibile sostegno!
Spero che vi piaccia anche questo capitolo, e che vi abbia chiarito un po’ le idee... nel frattempo fatemelo sapere con dei commentini. <3





 
   
 
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