Serie TV > Supernatural
Ricorda la storia  |      
Autore: Amarida    24/01/2017    3 recensioni
“Io dovrei essere morto!”
“Lo eri”.
“Cosa è successo?”
“Ti ho riportato indietro.”
“Perché?”
“Perché era giusto, perché mi è stato chiesto e, beh, perché mi mancavi…”
“Chi sei?”
“Indovina…”
(Ditemi che non sono l'unica là fuori ad avere una cotta mostruosa per Robert & Richard e i loro rispettivi personaggi)
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Castiel, Chuck Shurley, Dean Winchester, Gabriel, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La prima cosa che vide quando aprì gli occhi – dunque ne possedeva un paio: interessante… - furono altri due occhi che lo fissavano da una distanza fin troppo ravvicinata per suoi gusti. Erano grandi, di un curioso colore tra il blu e l’azzurro, con una sfumatura grigia che conferiva loro una luce e una profondità decisamente non umane; ma del resto neppure lui era un uomo, se ben ricordava…

Come gli avesse letto nel pensiero – probabilmente poteva farlo – l’altro si scostò e nel suo campo visivo apparve un volto d’uomo tra i 40 e i 50, incorniciato da capelli ricci nero-grigi e barbetta brizzolata, da cui spuntavano un naso diritto e labbra ben disegnate, decisamente sorridenti.

“Bentornato” dissero quelle labbra, mostrando una fila di denti bianchissimi. La voce era un po’ più sottile di quanto si aspettasse, ma calda e rassicurante.

“Ehm, grazie?” gli venne di rispondere, scoprendo così di avere lui pure una bocca e una voce, senza dubbio maschile e più roca di quella dell’altro.

Poiché era ormai evidente che aveva un tramite, provò ad usarlo per sollevarsi, ma ciò che ottenne fu un’atroce fitta di dolore e un’acuta sensazione di nausea. Chiuse di nuovo gli occhi.

“No, no, aspetta! Non così in fretta!” esclamò l’altro. Due mani calde gli circondarono il viso – uh, aveva anche lui la barba? – poi scesero salde sulle spalle. Quindi un braccio gli circondò la schiena e lo trasse a sé in una specie di goffo abbraccio che era, invece, un modo per aiutarlo a mettersi seduto.
Solo quando l’altro lo lasciò andare si decise a riaprire gli occhi.

“Va meglio?”
“Credo di sì…”

Scoprì di trovarsi in una specie di stanza completamente bianca e spoglia, seduto su un letto bianco, di fronte al quale stava una sedia di plastica, ovviamente bianca, su cui l’altro si sedette pesantemente, con un piccolo sospiro di sollievo e, forse, di stanchezza.

Si accorse di essere completamente vestito in modo semplice ma confortevole: scarponi pesanti, pantaloni di tela, una maglia, una camicia e una giacca di pelle. Scostò con due dita la cintura dei pantaloni e ghignò: indossava anche le mutande. Un paio di boxer arancioni, nello specifico.

Poi rivolse le sue attenzioni all’altro, notando che era vestito in modo simile al suo: scarpe da ginnastica, jeans scoloriti, una maglietta e una felpa, Nel complesso sembrava piuttosto minuto e ordinario, anche se nell’insieme piacevole a vedersi; ma c’era qualcosa che ordinario non era. E lui, invece, che aspetto aveva? Ricordava di averne avuti tanti in passato…

“Ah, giusto, che sbadato!” disse l’altro passandosi una mano tra i capelli. Poi disegnò nell’aria con le dita una forma che poteva somigliare a un rettangolo e, dal nulla, apparve uno specchio alto e sottile, che restò sospeso in aria all’altezza e alla distanza giusta perché potesse guardarsi. E si riconobbe.

Balzò in piedi con un misto di stupore, sorpresa e sì, anche paura, man mano che i ricordi gli si affollavano in mente. L’altro gli fu subito accanto, un passo dietro di lui e una mano a pochi millimetri dalla sua spalla: non voleva toccarlo, solo fargli sapere che era lì, e intercettò il suo sguardo riflesso nello specchio.

“Io dovrei essere morto!”
“Lo eri”.
“Cosa è successo?”
“Ti ho riportato indietro.”
“Perché?”
“Perché era giusto, perché mi è stato chiesto e, beh, perché mi mancavi…”
“Chi sei?”
“Indovina…”

Gabriel – sì, era quello il suo nome! – smise di guardare l’altro nello specchio e si girò verso di lui. I suoi occhi visti da vicino erano davvero notevoli e ci si perse, peggio di una ragazzina alla prima cotta. Oh, andiamo! Va bene che per secoli si era divertito sulla terra e altrove con creature di vario aspetto e varia natura, guadagnandosi fama di seduttore impenitente. Gli piaceva desiderare ed essere desiderato: era un gioco che conosceva; eppure erano secoli che non si sentiva così attratto da un’altra persona, ed era altrettanto certo che quella fosse una forma d’attrazione diversa da tutte le altre, estremamente forte e pura e mai provata prima, se non forse una sola volta, milioni di anni fa, quando tutto era cominciato…

“Oddio!” esclamò stordito.
“Precisamente…” si limitò a dire l’altro con un enorme sorriso, “ma puoi chiamarmi Chuck”, aggiunse.

Poi schioccò le dita e si ritrovarono entrambi seduti al banco di quello che aveva tutta l’aria di essere un vecchio bar deserto. La tensione era spezzata e Gabriel si sentì di nuovo padrone di sé stesso.

“Come, prego?” chiese allora.

“È il nome di questo tramite. Carino vero?” Gabriel non si pronunciò, e l’altro continuò senza badarci: “è curioso come ci si affezioni a questi piccoli involucri di carne. Per questo ho pensato che anche a te sarebbe piaciuto ritornare nel tuo. Ho sbagliato? Mi piace il tuo tramite, credo che abbia qualcosa in comune col mio e che questo dica molto di noi: le nostre maschere ci rappresentano e noi siamo più simili di quanto si direbbe”.

Gabriel era assolutamente basito. E poiché si accorse di avere di fronte un enorme boccale colmo di birra, pensò che berne un lungo sorso non sarebbe stata una cattiva idea e lo fece. Era buona e fresca e gli era mancata da morire, come tanti altri piccoli piaceri che si era concesso nei suoi anni di esilio volontario sulla terra.

L’altro lo guardò, gli sorrise e bevette lui pure un sorso dal suo bicchiere e si leccò persino le labbra con umanissimo compiacimento, prima di riprendere a parlare. Era una situazione talmente folle che quasi cominciava a piacergli, pensò Gabriel, posando entrambi i gomiti sul tavolo e protendendosi verso di lui ad ascoltare.

“Insomma, guardaci: abbiamo entrambi l’aspetto di due anonimi signori di mezza età né belli né brutti, anche piuttosto bassini…"
Gabriel s’irrigidì leggermente e l’altro fece un gesto vago prima di proseguire: “Potevamo scegliere uomini, o donne, perché no?, decisamente più attraenti e ben fatti, di quelli che fanno girare la testa a chiunque al loro passaggio; ma non era quello che volevamo. Siamo entrambi fuggiti, siamo stati entrambi nascosti, credendo di fare la cosa giusta, e per questo abbiamo cercato un aspetto che fosse gentile, simpatico, rassicurante: non volevamo essere riconosciuti o ammirati; ma piuttosto conosciuti e amati, solo dalle poche persone disposte ad avvicinarsi a noi al di là delle apparenze. Non ti pare meraviglioso?”

Gabriel sgranò gli occhi e, finalmente, osò replicare: “Ehm, abbi pazienza… Chuck, non mi fulminare, ma non sto capendo assolutamente nulla di quello che mi stai dicendo: cosa mi sono perso?”

“Oh, scusami, io, beh, hai ragione, forse è il caso che cominci dall’inizio” disse l’altro, dondolandosi a disagio sull’alto sgabello. Gabriel ebbe assurdamente pietà di lui e si limitò ad annuire.

Non seppe esattamente quanto tempo era passato quando Chuck mise fine al suo incredibile racconto, che, sulle prime, gli era sembrato partorito dalla mente perversa di un pessimo autore di serie tv.
Ad un certo punto, per qualche oscura ragione, si erano spostati in un altro angolo del bar, nel quale c’era una specie di piccolo palco e il suo interlocutore s’era messo a strimpellare vecchie canzoni con una chitarra, canzoni che, con sorpresa, si era reso conto di ricordare; così, quando si era ritrovato tra le mani un basso elettrico, non ci aveva pensato due volte ad accompagnarlo. Come e perché anche lui fosse in grado di suonare non era dato saperlo, ma di certo gli piaceva farlo. E quindi lo fece.

Come poi si fossero ritrovati entrambi a cantare “Carry on my wayward son” dei Kansas era un altro piccolo mistero. Quel che era certo era che le loro voci si accordavano con estrema naturalezza e che alla fine avevano entrambi gli occhi decisamente lucidi e non gliene poteva importare di meno.

“Uno scrittore? Davvero?” chiese Gabriel ricomponendosi.
L’altro allargò le braccia: “Mi sembrava una buona idea”.
“In effetti, ormai scrivono cani e porci…”
“Ehi, questa è cattiva: suona quasi come una bestemmia”.
“Oh, scusa, io non…”

Si fissarono negli occhi per l’ennesima volta, rigidi, un po’ imbarazzati, poi scoppiarono a ridere insieme e si abbracciarono stretti come mai avrebbero pensato di poter fare nella loro infinita esistenza.

“Davvero mi sei mancato” disse Chuck.
“Anche tu” rispose l’altro. “Tanto che sarei persino disposto a rimettermi a fare il tuo messaggero come ai vecchi tempi.
“Mmmmh, ci penserò: potrebbe essere divertente…”
“Davvero qualcuno ti ha chiesto di riportarmi indietro?”
“Sei un grandissimo coglione, Gabriel, ma qualcuno laggiù ancora si ricorda di quello che hai combinato con Lucifero”.
“I Winchester?”
Chuck annuì.
“Ancora loro!”
“Te ne dispiace?”
“Assolutamente no”.
“Ti piacerebbe rivederli?”
“Indovina…”

***

Sei mesi dopo, lanciati all’inseguimento della jeep nera degli Uomini di Lettere britannici che avevano rapito il loro angelo, i due cacciatori si accorsero troppo tardi del passaggio a livello chiuso e del treno in arrivo.

Bastò un attimo ad entrambi per rendersi conto che molto probabilmente non ne sarebbero usciti vivi. Era una morte stupida, d’accordo, ma l’accettarono di buon grado: rapida, violenta, durante una caccia e, soprattutto, insieme. Per questo furono alquanto stupiti quando si ritrovarono sdraiati sull’erba accanto all’Impala, intatta, parcheggiata sul ciglio della strada a due passi dai binari.

Ma quello che più li turbò fu rendersi conto di avere entrambi l’identico ricordo di un bacio umido e dolciastro sulle labbra e di un paio d’occhi dorati troppo vicini e troppo luminosi per essere umani che li fissavano un istante dopo il risveglio.

“Gabriel? Sei vivo?” Sam, sempre gentile, anche nelle situazioni più assurde.
“Gabriel! Che schifo!” E questo era Dean, ovviamente.
“Bentrovati anche a voi, ragazzi, ma un grazie mi sarebbe bastato…”
“Fratello?” E infine Cas: stupore e perplessità allo stato puro travestiti da angelo in trenchcoat.

Ecco, ora Gabriel era perfettamente felice. E Chuck, ne era certo, lo era altrettanto.



-----------------
Devo avere un ultimo capitolo della mia prima e unica long da finire, da qualche parte, invece m'è uscito questo. Scusate, ma mi ci sono molto divertita e spero vi ci divertiate almeno un pochino anche voi.
E adesso torno ad ascoltarmi l'ultimo album dei Louden Swain...
Un abbraccio, l'attempata autrice.
;-)
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: Amarida