Film > Miss Peregrine - La casa dei Bambini Speciali
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Autore: Soly_D    28/01/2017    0 recensioni
#01. E bruciare per te − «Eri geloso di Abe e lo sei anche di Jake. Perché, Enoch?».
#02. Il più bel 3 settembre 1943 di sempre − A Olive era sempre piaciuto aiutare Enoch nel suo laboratorio.
#03. Promesse di matrimonio − «Vorresti sposare Jake?».
#04. Un futuro da costruire insieme − «Saresti potuto morire!».
#05. Di draghi e principesse − «È vero quello che mi hai detto a casa? Non vuoi più essere mia amica?».
[Raccolta Enoch/Olive♥]
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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He saw the darkness in her beauty,
she saw the beauty in his darkness.




#05. Di draghi e principesse


Tratto dal film (scena precedente all'incontro con Victor):
Enoch: - Oh, dev'essere frustrante per te... tra le regole di Miss Peregrine e il patto dei miei compagni di non impaurirti, è un po' come se nessuno ti volesse dire nulla.
Jake: - Be', perchè non lo fai tu allora? Non mi sembra che tu mi voglia qui.
Olive: - Enoch, non puoi, l'hai promesso!
Enoch: - Olive ha ragione, ma conosco qualcuno che se ne infischia di infrangere le regole. Lo vuoi conoscere?
[...]
Olive: - Enoch, no, non farlo, ti prego!
Enoch: - Se vuoi stare con me e Jake, possiamo giocare tutti insieme... quello che hai detto tu.
[...]
Enoch: - Be, eccoci qua. Spostati, Olive.
Olive: - Se hai intenzione di comportarti così, allora non voglio essere più tua amica.


***


Erano davvero poche le cose in grado di entusiasmare Enoch O’Connor, o meglio, erano più le cose che non lo entusiasmavano.
Il riavvio dell’anello, ad esempio, che tutti consideravano a dir poco fantastico. Ma che diamine c’era di bello in una scena vista e rivista migliaia di volte? Nemmeno i film di Horace erano un granché: sogni sui vestiti, perlopiù, e Enoch di abbigliamento non ci capiva proprio niente (i suoi vecchi maglioni scuri ne erano la dimostrazione).
Ma la cosa che odiava di più era la passeggiata quotidiana. Rotolarsi sui prati fioriti e giocare con la sabbia in riva al mare non era roba per uno come lui, preferiva di gran lunga restarsene a casa a trafficare nel suo laboratorio, in silenzio e all’ombra. Aveva provato più volte a saltare la passeggiata, ma Miss Peregrine l’aveva sempre trascinato a forza, sostenendo che tutti i suoi bambini avessero bisogno di respirare un po’ d’aria fresca ogni giorno. D’altronde, disobbedire alla direttrice era pressoché impossibile.
Quel giorno Enoch odiò la passeggiata più del solito.
Miss Peregrine guidava il gruppo in silenzio, dietro di lei i più piccoli chiacchieravano tra loro. Enoch trascinava un passo dopo l’altro, le mani svogliatamente infilate nei pantaloni e il viso contratto in una smorfia. Al suo fianco camminava, come sempre, Olive, la schiena dritta e il passo lento e aggraziato; teneva per mano la piccola Claire e ogni tanto le due si scambiavano qualche parola, ma – Enoch l’aveva notato fin da quando erano usciti – Olive non mostrava alcun segno di interesse verso di lui. Solitamente quello era il momento in cui lei gli raccontava qualcosa di divertente oppure proponeva attività da fare insieme; a volte, semplicemente, i loro gomiti si sfioravano per sbaglio (per sbaglio?) e Olive si limitava a rivolgergli un sorriso, senza pretendere che lui ricambiasse.
Questa volta, però, la ragazza non sembrava apprezzare particolarmente la sua presenza e a Enoch il motivo appariva piuttosto chiaro: poco prima di uscire di casa, aveva terrorizzato Jake con la storia di Victor, venendo meno al patto che aveva stretto con i bambini − far sentire il loro nuovo amico a casa, convincerlo a restare, magari per qualche tempo, magari per sempre.
La situazione, in realtà, non era poi così tragica: i bambini, tranne Fiona che aveva assistito all’accaduto, non erano a conoscenza del fatto che avesse rotto il loro accordo e a dire il vero nemmeno Jake sembrava poi così traumatizzato dall’accaduto, dato che se l’era svignata con Emma chissà dove.
Perché Olive, che in tutto quello c’entrava veramente ben poco, se l’era presa tanto? E per cosa poi? Per aver rivelato a Jake che il mondo degli Speciali non era tutto rose e fiori come appariva dall’esterno? Se davvero Jake era uno Speciale come loro, aveva tutto il diritto di sapere. E comunque non capiva perché Olive ci tenesse tanto a tenerlo allo scuro, a proteggerlo. Che provasse qualcosa nei suoi confronti...? Quel pensiero gli fece storcere il naso. Non era possibile, Olive conosceva Jake da troppo poco tempo e poi a Jake piaceva Emma, quindi... caso chiuso.
L’indifferenza di Olive nei suoi confronti, comunque, era a dir poco logorante. Abituato ad averla costantemente intorno, le rare volte in cui litigavano e smettevano di parlarsi, la sua lontananza, il suo sguardo offeso, la sua espressione sofferente gli pesavano come un macigno sullo stomaco.
«Olive», tentò, tirando un lembo del suo vestito. «Hai intenzione di ignorarmi ancora per molto?».
Lei si voltò giusto il tempo di rivolgergli una breve occhiata fredda − piuttosto ironico, dato che tutta l’essenza di Olive ruotava intorno al fuoco: i capelli, le mani, il cuore.
Scocciato, Enoch afferrò la ragazza per un polso. «Vieni», le disse, ma in realtà gli venne fuori più come una sorta di ordine [maledetto orgoglio], tanto che Olive si scostò da lui un po’ spazientita. «Per favore», aggiunse allora. Sapeva che la dolce Olive non sarebbe rimasta indifferente di fronte ad una sua supplica e infatti la vide sospirare, lasciare la mano di Claire e sussurrarle «Torno subito».
Soddisfatto, Enoch si voltò e prese a camminare in direzione del mare con Olive al suo seguito.

***

Quando arrivarono in spiaggia, si sedettero entrambi sulla sabbia, l’uno al fianco dell’altra, e rimasero per un po’ in silenzio.
Enoch si limitava a vagare con lo sguardo su tutto ciò che lo circondava. La brezza soffiava piano increspando tanto le onde del mare, che emanavano luccichii argentei, quanto i capelli rossi di Olive, che sembravano brillare alla luce del sole. Sarebbe stato un bel momento in buona compagnia, pensò Enoch, se non fosse stato per il fatto che Olive ce l’aveva a morte con lui.
«Sei arrabbiata con me?», fu la prima cosa che gli venne da dire, la più stupida, dato che la risposta era “Ovvio che sì”.
«Si». ...Ecco, appunto. Ed era anche piuttosto evidente: da quando si erano seduti, Olive non l’aveva guardato nemmeno una volta, più interessata alla linea del mare che sfumava all’orizzonte e al volo di qualche uccello in lontananza.
Enoch ne aveva abbastanza: allungò un braccio e afferrò il mento di Olive con il pollice e l’indice, obbligandola a voltare la testa per incrociare i suoi occhi. A quel punto Olive gli restituì uno sguardo spaesato, forse perché tra loro non c’erano mai stati veri e propri contatti... fisici. Nonostante fossero buoni amici, non si erano mai scambiati un abbraccio o una carezza. Non che a Enoch non piacessero quei gesti − spesso e volentieri si lasciava stringere dalle piccole braccia di Claire oppure scompigliava i perfetti capelli di Horace in segno d’affetto − ma non gli era mai passata per la testa l’idea di toccare Olive. In nessun modo, in nessuna situazione. Anzi, il solo pensiero lo metteva in agitazione. Forse era la paura di apparire goffo o di essere respinto o di deturpare una pelle tanto delicata come quella di Olive con le sue mani costantemente sporche di sangue, abituate a giocare con la vita e la morte. O forse non era per nessuno di questi motivi, Enoch non riusciva proprio a capirlo.
Rendendosi conto di essersi spinto oltre quel limite che lui stesso aveva eretto tra loro, allontanò immediatamente la mano dal viso di Olive. Era stato un gesto dettato dall’istinto, nuovo e strano, forse anche piacevole. Non era pentito, comunque, dato che perlomeno era riuscito ad attirare l’attenzione di Olive.
«È vero quello che mi hai detto a casa? Non vuoi più essere mia amica?».
Olive abbassò lo sguardo. «No, se continui a comportarti in quel modo».
«In che modo?».
«Come se non ti importasse niente di nessuno... né di Jake, né di Fiona e Bronwyn1, nè di... me».
Enoch sgranò gli occhi. Era davvero questo che pensava di lui?
«Olive, non è così...».
«E allora perché hai infranto la nostra promessa?».
Enoch aprì la bocca per rispondere ma si rese conto che non poteva dire ad alta voce ciò che gli passava per la testa. La verità era che provava una fottuta gelosia nei confronti di Jake, più di quanta ne avesse provata per Abe. Era come se i riflettori fossero costantemente puntati su Jake Portman, il ragazzo fuori dal comune e sbucato dal nulla che tutti volevano come amico, lasciando nell’ombra Enoch O’Connor, il povero vecchio amico di cui nessuno aveva bisogno.
Se guardava bene in fondo al suo cuore, si rendeva conto che aveva mostrato a Jake il lato negativo del mondo degli Speciali non perché credeva che avesse il diritto di essere informato a riguardo, ma per il semplice gusto di fargli male, sperando che in questo modo si sarebbe allontanato per sempre dal loro anello. Ferire Olive, tuttavia, non era nelle sue intenzioni. Era stato solo un incidente di percorso e gli stava costando parecchio caro.
Enoch non sapeva come rimediare. Gli sembrava che le parole “scusa” e “mi dispiace” non fossero sufficienti per farsi perdonare. Guardò Olive che a sua volta fissava il mare assorta nei suoi pensieri, con le gambe unite al petto e il mento poggiato sulle ginocchia. Enoch non capiva perché lei continuasse a stargli vicino, nonostante la facesse soffrire. Allungò una mano per toccarla di nuovo, ma la voce di Bronwyn accorsa verso di loro lo bloccò all’istante.
«Olive, vieni a giocare con noi!».
La ragazza sembrava sul punto di ribattere che non le andava molto di giocare, ma Bronwyn la prese di peso e la portò in spalla dagli altri bambini.
Enoch non potè far altro che restarsene lì seduto in disparte con un’assurda sensazione di vuoto.

***

Hugh, il viso nascosto per metà dalle api, impartiva ordini ai bambini come un giovane comandante al suo piccolo esercito.
«Ricapitolando... Olive è la principessa, Bronwyn e Claire sono le sue serve fedeli. Millard è il Guerriero Invisibile, Horace il Cavaliere dall’armatura scintillante, i Gemelli sono i Principi... be’, i Principi Gemelli. E io sono il Conte di Apiston. Tutti noi cercheremo di liberare la principessa Olive rinchiusa nella torre». Sorrise soddisfatto, per poi ricordarsi di un dettaglio fondamentale che gli fece spalancare gli occhi. «Aspettate, chi fa il drago?».
Un silenzio tombale, rotto solo dall’infrangersi delle onde contro gli scogli, calò sui partecipanti al gioco.
Evidentemente nessuno aveva voglia di interpretare il ruolo del cattivo.
«Oh, avanti, nessuno vuole fare il drago?», chiese Hugh deluso. «Non possiamo andare avanti senza un drago!».
«Lo faccio io».
Enoch, che fino ad allora aveva osservato la scena in disparte, si era appena offerto di giocare. Ci aveva riflettuto a lungo: non che gli andasse davvero di scorazzare per la spiaggia come un bambino, ma aveva come la sensazione che Olive avrebbe apprezzato quel gesto. Voleva dimostrarle che anche lui era in grado di essere gentile, che era pentito, che ci teneva ai bambini... che ci teneva a lei.
«Enoch, ne sei sicuro? Tu non giochi mai con noi!», gli fece notare Millard.
Enoch guardò i volti esterrefatti di tutti e si sentì a disagio.
No, non si stava davvero offrendo come drago in uno stupido gioco per bambini.
Non lo stava facendo sul serio. No... insomma... no!
E invece sì.
«Be’, oggi mi va! Qualcosa in contrario?!», esclamò agitato.
«Assolutamente no! Anzi, sei a dir poco perfetto per il ruolo del drago!», rispose Millard agitando un braccio senza mano... o meglio, con una mano invisibile.
Enoch non seppe se sentirsi lusingato o offeso da quelle parole. Detto con quel tono, sembrava un complimento, ma in realtà, riflettendoci bene, era come se Millard gli avesse appena fatto notare che il suo carattere cupo e minaccioso lo rendesse adatto a impersonare il ruolo del nemico.
Davvero i bambini avevano quell’opinione di lui? In cuor suo fu costretto ad ammettere che non era proprio una bugia...

***

Qualche minuto dopo, il drago Enoch teneva la principessa Olive davanti a sé a mo’ di ostaggio, con il braccio stretto intorno al suo collo sottile.
«Enoch... non devi farlo per forza se non ti va». Il tono di Olive non era arrabbiato come quando avevano discusso in disparte, anzi sembrava abbastanza tranquilla, forse solo un po’ a disagio (come lui) per l’assurda situazione in cui si erano cacciati: a stare così vicini, letteralmente incollati l’uno all’altro, per far piacere ai loro piccoli amici, non erano abituati.
Tuttavia Enoch dovette ammettere che non era poi così male. La schiena sottile di Olive combaciava perfettamente con il suo petto, i capelli di lei emanavano un buon profumo e gli solleticavano piacevolmente il collo. Tra le sue braccia sembrava così piccola e indifesa che a Enoch venne spontaneo stringerla un po’ di più, quasi si sentisse in dovere di proteggerla. Da cosa poi? Era lui il drago cattivo!
«Cominciamo! Olive, tocca a te!», urlò Hugh a qualche metro di distanza.
Olive cominciò a dimenarsi tra le braccia di Enoch, fingendosi impaurita. «Qualcuno mi venga a salvare!», disse in maniera decisamente poco credibile. Di sicuro non aveva un futuro da attrice, ma ai bambini non sembrava importare.
«Ti salverò io!», esclamò Millard avventandosi con una spada di cartone sul drago Enoch, il quale prontamente si difese e contrattaccò.
Il Guerriero Invisibile cadde a terra K.O., poi anche Horace e Hugh fecero la stessa fine.
Il drago stava decisamente avendo la meglio sui valorosi combattenti intenzionati a salvare la principessa e questo non faceva parte della storia.
«Enoch, non ti sembra di stare esagerando...?», bisbigliò Olive in modo che Enoch fosse l’unico a sentirla.
«No». Il giovane O’Connor ci stava decisamente prendendo gusto. Soddisfatto e divertito, stese anche i Principi Gemelli e pose fine alla battaglia. Solo quando si vide circondato da facce turbate, si rese conto che forse quello non era un finale adatto ai bambini, che forse aveva sbagliato di nuovo... e che Olive non lo avrebbe perdonato mai.
«Colpo di scena!», esclamò Horace, «tutti i combattenti sono stati sconfitti! Alla principessa non rimane altro che... scappare!».
«Cosa?!».
Dopo un breve minuto di silenzio, si sollevò un intero coro di esultazioni e incoraggiamenti nei confronti di Olive. Enoch era spiazzato: a nessuno dei bambini importava il finale della storia, ciò che contava davvero era giocare e divertirsi, lontano dai pericoli, al di là delle preoccupazioni.
A quel punto capì perché Olive ci era rimasta così male per la storia del patto: terrorizzare Jake per farlo scappare via avrebbe significato privare i bambini di un nuovo amico. In fondo l’amicizia era tutto ciò che li manteneva in vita, felici, giovani, spensierati. Era tutto ciò che rendeva sempre nuovo e diverso lo stesso 3 settembre 1943 che si ripeteva ormai da settanta anni. Come poteva lui infrangere i loro sogni, le loro speranze? Semplicemente, non se lo meritavano: né i bambini, né Olive, né tantomeno Jake la cui unica colpa era quella di aver amato il suo defunto nonno così tanto da volersi addentrare nel loro mondo, anche a costo di scoprirne aspetti spiacevoli e pericolosi.
Quando Enoch tornò alla realtà, Olive era ormai sgusciata via dalla sua presa e aveva cominciato a correre.
«Scappa, principessa, non farti prendere!», urlarono Claire e Bronwyn sbracciandosi.
Enoch si sentì improvvisamente tornare bambino mentre scattava in avanti e cominciava a rincorrere Olive, incespicando con le scarpe nella sabbia.
Quello fu uno dei momenti più belli della sua vita, era certo che non lo avrebbe mai dimenticato.

***

Il sole di mezzogiorno spiccava alto nel cielo riscaldando la spiaggia.
Enoch correva ancora, i piedi gli facevano male e forse qualche granello di sabbia gli era entrato negli occhi. Olive correva un metro avanti a lui, con i capelli e il vestito che svolazzavano ad ogni passo; correva e rideva, e la sua risata cristallina risuonava nella calma circostante. A Enoch sembrava di averla rincorsa per tutta la spiaggia, era stanco morto e accaldato ma inspiegabilmente felice. Lanciandosi con le braccia tese in avanti, riuscì finalmente ad acchiapparla e caddero insieme rotolando l’uno sull’altro.
Enoch poggiò i gomiti sulla sabbia e si sollevò di poco, quanto bastava per non schiacciare Olive stesa sotto di lui e allo stesso tempo rimanerle abbastanza vicino da poterla guardare attentamente in volto. Si accorse che gli occhi di lei brillavano di un verde lucente, che le labbra erano piegate in un sorriso dolcissimo e un tenue rossore si era impossessato delle sue guance. O forse era solo una sua impressione?
Enoch sorrise a sua volta. «Ti ho preso, ora sei mia».
Olive sbatté le palpebre, imbarazzata. «Eh?».
«I-Il gioco, mi riferivo al gioco!», si affrettò a precisare, rendendosi conto che le sue parole dovevano essere suonate parecchio equivoche.
La ragazza si lasciò sfuggire un “Oh” accompagnato da un’altra risatina sommessa. «Grazie, Enoch. È stato... divertente».
«Sei ancora arrabbiata con me?».
Olive lo fissò in silenzio per qualche secondo,  poi sospirò. «Non riesco a rimanere arrabbiata con te, lo sai».
«Quindi siamo ancora amici?».
«Sì».
Era la risposta che voleva, eppure Enoch non si sentiva totalmente soddisfatto. Era come se mancasse ancora qualcosa, come se la parola “amici” non esprimesse a pieno quello che sentiva per lei. Scrutò il viso di Olive, così vicino al suo, alla ricerca di qualche indizio utile, ma sfortunatamente non vi scorse nulla che fosse abbastanza chiaro da poter essere espresso a parole.
«Sei tutta piena di sabbia», fu l’unica cosa che trovò da dire, mentre le toglieva qualche granello impigliato tra i capelli.
«Anche tu», rispose Olive, come se avesse capito che dietro quelle parole banali, dietro quel semplice gesto di pulirle i capelli, si nascondesse altro. Come se lei condividesse i suoi stessi pensieri, i suoi stessi dubbi, le sue stesse emozioni.
All’improvviso arrivarono da lontano due voci divertite.
«Incredibile! La principessa non vuole più essere salvata!»
«Sì! Altro che principe azzurro... a lei piace il drago!».
«HUGH! MILLARD!».
Rossa come un peperone, Olive scivolò via esclamando che a lei non piaceva proprio nessuno, che il gioco era finito e Miss Peregrine li stava certamente aspettando per il pranzo.
Quel giorno Enoch imparò tre cose.
Primo: le passeggiate potevano rivelarsi piuttosto piacevoli, se trascorse in buona compagnia.
Secondo: toccare Olive non era un male, lo avrebbe fatto molto più spesso – una carezza, un abbraccio o... chissà.
Terzo: sia Olive che i bambini lo apprezzavano così com’era, un orgoglioso, impulsivo, burbero drago cattivo. A patto che ogni tanto si desse una regolata, si intende.











1 Nel film Fiona assiste alla scena in cui Enoch propone a Jake di conoscere Victor, il fratello morto di Bronwyn. A quest'ultima dà fastidio quando Enoch usa il suo potere per svegliare Victor.

Ci tengo a ringraziare infinitamente CatherineEarnshaw per la bellissima recensione e believeher per aver inserito questa storia nelle preferite! ♥
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e scusate se mi sono dilungata, mi stavo divertendo parecchio a scriverlo... :D
Commenti e consigli sono più che graditi, ovviamente.
Al prossimo capitolo!
  
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