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Autore: Fatelfay    29/01/2017    2 recensioni
La vita è un costante cambiamento a cui bisogna adattarsi.
Le cose non sono più come prima e Sherlock lo sa. Deve solo adattarsi come sempre e trovare il modo di andare avanti con la sua vita.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer d'obbligo che ormai sappiamo tutti a memoria: no, non è una storia a scopo di lucro. No, i personaggi e l'opera da cui sono tratti non sono miei e tutti i diritti sono della BBC e dei Mofftiss




Stillness
 


Adoravi ballare. Non lo facevi spesso e di solito accendevi la musica in soggiorno quando non c’era nessuno che potesse sentirti. Quando John si era sposato, eri stato contento che non sapesse ballare. Avevi avuto la possibilità di ballare per giorni e giorni, interi pomeriggi per insegnare ad un soldato come trasferire la grazia e delicatezza delle dita di un medico nei suoi passi, e ad un medico come trasferire la disciplina di un soldato nel rispettare e seguire il ritmo della musica. John non era molto aggraziato all’inizio. Ti aveva pestato i piedi più volte, era in ritardo o in anticipo sulla musica, sbagliava i passi, stringeva la presa su di te troppo forte. Ma era testardo. Oh, quanto era testardo John Watson. Sbuffava ogni tanto e si fermava per riflettere, per ricapitolare lo schema della danza. Altre volte faceva partire la musica da capo e rimaneva ad ascoltarla fino alla fine per impararla a memoria. Era migliorato lentamente, John, ma costantemente. Al matrimonio era ancora un po’ rigido ma ballava decentemente e, potevi scommetterci, si stava divertendo.
Adoravi ballare. Lo adori ancora, ma le cose sono cambiate.
Non eri mai stato un tipo paziente. Non eri nemmeno mai stato calmo e tranquillo, il tipo di persona che riusciva a stare ferma anche per qualche ora. No, a meno che tu non stessi pensando, non riuscivi proprio a stare fermo. Nemmeno di notte, quando dormivi, le rare volte in cui lo facevi. Dovevi muoverti, dovevi fare qualcosa, dovevi tenerti impegnato. Le poche occasioni in cui dormivi, disfacevi il letto, tanto ti muovevi. Non è che avessi gli incubi, era che tu, fermo, non potevi stare. Inoltre così, se non avevi proprio niente da fare, potevi risistemare il letto sfatto. Ma non lo facevi mai. Non riuscivi a stare fermo. Camminavi spesso per Londra, correvi, giravi per alcuni vicoli che conoscevi solo tu, saltavi sopra i tetti e giù da essi, scavalcavi le auto, ti arrampicavi agile e veloce sulle inferiate, entravi di nascosto in luoghi privati senza permesso e rimanevi coinvolto in più aggressioni di chiunque altro. Il tuo corpo, un’appendice fastidiosa, per una volta era quasi al passo con la velocità del tuo cervello.
Amavi muoverti. Lo ami ancora, ma le cose sono cambiate.
Eri intelligente. Lo sei ancora. Avevi messo in conto che potevi morire giovane anche se ti ritenevi troppo furbo e attento per rischiare così tanto. Ma avevi bisogno di distrarti dalla noia. Il periodo in cui la droga era la soluzione al problema ti aveva insegnato che, forse, non eri così attento e furbo. Ma non l’avresti mai ammesso davanti a Mycroft. Lestrade ti aveva dato una soluzione ideale al tuo problema, anche se non era così reperibile come una dose. Ogni tanto ti sembrava di impazzire, visto che non c’erano casi decenti e nessuno che ti chiedeva aiuto per qualcosa di stuzzicante. Almeno c’erano gli esperimenti; Molly riusciva sempre a procurarti qualche parte di cadavere su cui sperimentare. Prima, nel periodo precedente, non ne eri più in grado. Ci eri sprofondato troppo dentro per poterti concentrare su qualcos’altro. Non che all’epoca avessi altre alternative. Tagliarti i polsi non era un’opzione. Non lo è nemmeno adesso. Almeno ne eri uscito ed avevi voltato pagina. Il Consulente Investigativo era nato e cresciuto velocemente. Gli agenti di Scotland Yard avevano subìto fin da subito il tuo caratteraccio, il tuo umore variabile, i tuoi modi rudi e i tuoi insulti. Ma Lestrade era riuscito ad evitare che i tuoi rapporti con loro degenerassero in un bagno di sangue. Di morti e aggressioni ne aveva già abbastanza senza aggiungere quelli che potevi creare tu. Anche adesso il tuo comportamento non è cambiato e i tuoi rapporti con i poliziotti (Anderson e Donovan soprattutto) sono, forse, più tesi di prima. Se solo le cose non fossero cambiate così.
Eri intelligente. Lo sei ancora. Eri capace di capire cosa comportavano determinate azioni, parole, avvenimenti fin da piccolo. Adesso la tua capacità di comprensione è migliorata notevolmente. Sai più cose, sei più esperto, ragioni più velocemente, sei migliore. Sai adattarti alle situazioni più rapidamente, meglio, più correttamente. Questo ti aveva sempre permesso di vivere, o almeno sopravvivere. Eri stato costretto, ti eri costretto, a controllarti, a rimetterti in sesto ed ad accettare l’offerta di Lestrade. Eri sopravvissuto e avevi quasi rincominciato a vivere. Nonostante l’ombra ingombrante di Mycroft. Poi, era arrivato John. Una piccola fiammella che aveva ricacciato Mycroft nel suo stupido angolino, da cui non si sarebbe mai schiodato. Ma eri grato a tuo fratello di essere sempre stato lì, nell’oscurità, alle tue spalle, a tessere la rete di sicurezza che ti avrebbe salvato se fossi caduto dal filo sottile su cui correva la tua vita. Rete che ti aveva sempre fatto piacere avere anche se ti ricordava quanto potessi essere debole. Come all’epoca della droga. Ma era arrivato John. Il comunissimo uomo che non avrebbe dovuto influenzare la tua vita e che invece era diventato utile, si era mostrato simpatico, un conduttore di luce, (il tuo conduttore di luce), e un buon amico (l’unico, il migliore). La rete di sicurezza di Mycroft non ti dava più così fastidio anche se rimaneva lì, pronta a prenderti. Ma c’era John con te e lui era molto meglio. Era la fune di sicurezza legata alla tua vita mentre correvi sul filo teso a chilometri di altezza, era il giubbotto antiproiettile, era l’arma segreta dalla tua parte, era l’asso nella manica che tutti conoscevano ma trascuravano. Era il coronamento perfetto della tua situazione. Avevi i casi, avevi gli esperimenti, avevi qualcuno. Non credevi che avresti mai potuto desiderare di avere qualcuno accanto. Eppure, da quando era arrivato zoppicante e rassegnato, non potevi più farne a meno.
Eri intelligente, ti adattavi al meglio, avevi John accanto a te. Sei ancora intelligente, ti adatti ancora, John è ancora accanto a te. Ma, forse, è lui che adesso rende tutto più difficile. Adesso che le cose sono cambiate.
Ti muovi lentamente. La situazione ti dà sui nervi ma ti sei costretto ad adattarti al nuovo stato delle cose. Anche se una lametta che ti trancia i polsi potrebbe essere molto meno penoso e molto più pacifico. Oppure potresti prendere la pistola dal cassetto del comodino di John. Cassetto che si trova ad una rampa di scale da dove sei tu. La porta del vostro appartamento è aperta alle tue spalle. Ti muovi piano, con attenzione, e chiudi la porta con un colpo. Prendi un respiro profondo, pronto ad affrontare la giornata. Ti sei sempre adattato. Hai sempre affrontato i problemi, non sei il tipo che si arrende. E non sei cambiato. Ti appoggi al corrimano e con cautela scendi le scale. Fortunatamente sei alto e in forma e non hai troppe difficoltà. Arrivi in fondo alla rampa di scale lentamente e ti fermi per riprendere fiato. Se John lo venisse a sapere ti farebbe una lavata di capo. Hai le braccia affaticate, metti in nota di dover fare più esercizi per rinforzarle. Ma non puoi fermarti. Calmi il respiro accelerato e il battito cardiaco e riprendi la discesa dell’ultima rampa. All’ultimo gradino perdi il controllo e scivoli. Non cadi per terra ma sbatti contro la porta. È dura. Ti allontani da essa e ti sbrighi ad aprirla. Non vuoi che la signora Hudson abbia il tempo di accorrere e preoccuparsi per te. Non puoi sopportarlo. Apri la porta e lentamente scendi il gradino e mezzo che ti separa dal marciapiede. La porta rimane aperta dietro di te. Aspetti qualche secondo ma non senti i passi di Mrs. Hudson avvicinarsi e credi di essere al sicuro. Risali il gradino e mezzo e serri una mano intorno al pomello della porta. Ritorni in strada con attenzione, chiudendoti la porta alle spalle. Alcuni passanti si fermano a guardarti ma una tua occhiataccia li obbliga a tornare alle loro faccende. Non hai mai amato la compassione. In verità la odi. L’hai odiata sul viso di tuo fratello nella tua epoca più buia; l’hai odiata sui volti degli insegnanti che non ti vedevano socializzare, anche se era stata ben presto rimpiazzata da distacco e disdegno alle tue risposte sincere ma caustiche e la odi adesso mentre scivola negli sguardi di tutti quelli che ti circondano, nonostante provino a dissimularla. Sei lo stesso di sempre, quello di prima, ma alcune cose sono cambiate.
Scivoli tra la folla, più impacciato di quanto tu stesso vorresti ammettere e più lento di quanto tu desideri. Ma non puoi andare più veloce, né vuoi prendere un taxi. Ce la puoi fare da solo, lo devi a te stesso e lo vuoi sbattere in faccia a tutti quelli che credono che tu sia a terra. Perché tu sei ancora molto più avanti degli altri, sei migliore di loro, sei più intelligente, osservi non guardi, sei superiore a tutti loro. Scivoli tra la folla, fino alla fermata della metropolitana. Scendi le scale con calma, mentre la folla ti lascia spazio e ti sorpassa. Qualcuno ti offre aiuto e tu lo allontani sgarbatamente. Sei indipendente come sempre, non ti serve nessuno. Controlli quanto hai sulla Oyster Card e aggiungi qualcosa. È da molto che non prendi la metropolitana, a contrario di John. Ma d’ora in avanti, forse, dovrai farci l’abitudine. Deglutisci e impedisci a te stesso di perdere la tua solita aria superiore. Non puoi, non vuoi essere debole. Non di nuovo. Ti muovi lentamente verso i tornelli e subito ti accorgi che sono molte di più le cose che sono cambiate. Stringi i denti e procedi, incurante degli sguardi altrui, verso lo sbarramento. Passi la Oyster Card sul lettore e oltrepassi la barriera. Respira, ricordati che ti serve per vivere. Attraversi il tunnel, scendi altre scale e no, non provi a semplificarti la vita. Sebbene alcune cose siano cambiate, tu vuoi dimostrarti, vuoi dimostrare a tutti che per te è tutto uguale a prima, nonostante tutto. O quasi. Aspetti sulla banchina l’arrivo del metrò e aspetti che una folla scenda. Sali lentamente, allontanando tutti quelli che provano ad aiutarti. Non ne hai bisogno. Molti ti fissano. Tiri su il colletto del cappotto e analizzi il vagone e tutti i suoi passeggeri con sguardo critico e penetrante. Vuoi farli sentire dei vermi, nudi e schifosi, ignobili davanti alla tua superiorità. Ci riesci con facilità disarmante mentre tutti chinano o spostano lo sguardo, a disagio. Alla tua fermata scendi per primo e cambi linea. Perdi la coincidenza per una manciata di secondi. Prima non sarebbe successo. Prima avresti preso il taxi. Non conta. Ti ci devi abituare. Aspetti la corsa successiva per tre minuti e sali per scenderne poco dopo. Riemergi dal sottosuolo per respirare l’aria grigia di Londra. Quindici minuti in metropolitana ti hanno quasi soffocato. Ti prendi qualche attimo per riconoscere l’odore familiare della tua città. Ti dovrai abituare alla ressa della metropolitana. Scivoli di nuovo tra la gente e i loro stupidi sguardi, mentre si scansano per lasciarti passare. Raggiungi Scotland Yard e ringrazi il cielo che esista l’ascensore. Ci sarebbe anche in metropolitana, ma non hai voluto usarlo e adesso sei stanco. Chiami l’ascensore ed entri appena le porte si aprono. Schiacci il pulsante e aspetti impaziente di arrivare al piano di Lestrade per entrare nel suo ufficio ed avere finalmente un caso. Le porte si aprono e fai la tua entrata trionfale nel piano. Tutti ti guardano, ma la tua entrata non è stata trionfale come al solito. L’effetto è un po’ diverso, ora che le cose sono un po’ cambiate.
Scivoli a testa alta nel corridoio, ma ti devi fermare quando incontri Donovan che ti blocca il passaggio. Ti guarda dall’alto in basso, un sorriso leggero le increspa le labbra. Non dice niente e si sposta. La soppesi con lo sguardo e passi oltre. La porta del Detective Ispettore è socchiusa e la voce dell’uomo suona leggermente adirata. Parla al telefono. Deve essere successo qualche casino. Forse qualcosa di interessante e divertente. Stai pregando, vero? Affinché sia qualcosa per te. Non bussi, entri senza presentarti e Greg (no, non è Gavin, Grant, Graham, Gideon, è Greg) si volta pronto a incenerire chiunque sia entrato. Poi ti riconosce e la sua rabbia si dissipa in un millesimo di secondo. Il suo volto si piega in maniera quasi ridicola, ma tu non riesci a trovarne il lato comico, mentre sollievo allegro e tristezza se lo contendono. Saluta la persona dall’altra parte della cornetta, prendendosi l’incarico di risolvere qualche guaio e ti dedica tutta la sua attenzione. Si siede e inizia ad esporre il caso. Tre omicidi raccapriccianti, i corpi deturpati ritrovati in luoghi molto trafficati di Londra tra lo shock e il terrore di tutti. I mass media gridano già al serial killer e all’incapacità della polizia di gestire la situazione; Scotland Yard si trova in mezzo al fuoco incrociato dei giornalisti, del governo, delle vittime e della popolazione. Insomma, Lestrade deve davvero trovare una soluzione o si ritroverà a dirigere il traffico, se è fortunato. Morto è la prospettiva più probabile. Se per lo stress, per l’assassino, per l’ira dei parenti delle vittime, per i suoi superiori, per il governo o per cause terze, non lo sa. Ma entrambi sapete che tu sei l’unica persona che lo può aiutare.
- Accetti il caso?- Sorridi, finalmente felice.
- Ovvio, no?- La tua risposta oscura però il suo volto.
- Non chiedi a John?- Aggrotti le sopracciglia, perplesso.
- Per la tua sicurezza.-
- So gestirmi da solo. Non ho bisogno di una balia.- Greg sospira e sicuramente sta cercando il modo per farti capire che è solo preoccupato, come sempre. Ma tu ti senti troppo punto nell’orgoglio per poter considerare una cosa del genere.
- Non voglio dire questo. È solo che non voglio trovati su una scena del crimine per qualcosa di diverso da una consulenza.-
- Non succederà.- E allunghi una mano per prendere il fascicolo. Greg ti passa la copia che aveva già intenzione di portarti a casa.
- Appena capisci qualcosa, avvisami.- Esci dalla stanza trionfante e torni a casa con calma, resistendo alla calca della metropolitana, facendo le scale, allontanando chiunque provi ad aiutarti. Provi ad aprire la porta di casa ma hai ancora qualche problema. Stai quasi per riuscirci, ma quella si apre da sola.
- Che cosa credevi di fare?- Ti urla addosso John, fermo sulla soglia di casa. È furioso, ma sotto a quella leggera maschera, sai che è preoccupato. Scende il gradino e mezzo e, prima che tu possa protestare, è alle tue spalle e ti accompagna dentro. Protesti, provi a liberarti di lui, ma i tempi in cui avresti potuto batterlo sono passati. Giungete in soggiorno e John ti incastra tra la sua poltrona e il tavolo.
- Sei andato a Scotland Yard?- Non rispondi e lui solleva gli occhi al cielo.
- Ovvio e hai fatto tutto da solo. Hai pure preso la metro, giusto?- Rimani in silenzio. Non aveva nessun diritto di trattarti in quel modo.
- Ovvio.- C’è un momento di pausa in cui John guarda alternativamente te e la stanza. Poi sospira, si passa una mano sul volto, le sue labbra si distendono in un sorriso e tutta la sua rabbia e preoccupazione passano.
- Sei incredibile. Hai fatto le scale da solo.- Mantieni il broncio anche se l’affermazione ti ha stupito. Non doveva trattarti così. Non doveva aiutarti a salire le scale, senza chiederti il permesso e senza ascoltare le tue proteste. Perché tu non ne hai bisogno, sai badare a te stesso e puoi fare tutto quello che vuoi.
- Sherlock.- La voce di John è dispiaciuta. Come possa esprimere più di cento emozioni diverse usando sempre la stessa parola è ancora un mistero per te. Eppure, esse ti arrivano sempre chiare e nitide, perfettamente riconoscibili in tutte le più lievi sfumature. È dispiaciuto John. La versione profonda, quella che è un lago piatto che lo avvolge ma lo lascia in vita. C’è una punta di dolore, quello a cui si era abituato in Afghanistan, quello che gli ha mozzato il respiro per due anni, quello dal quale volevi proteggerlo. E c’è qualcosa a cui non sai dare un nome. Succede talvolta, più spesso di quanto vorresti ammettere. Sai descriverlo, ma non sai dargli un nome. Forse un giorno ci riuscirai. Questa sfumatura ti stringe il cuore. È in un punto imprecisato tra disperazione, colpa e sconfitta, quella che ti lascia l’amaro in bocca e a volte ti fa rimettere i succhi gastrici. Non ti è mai capito direttamente ma sai che è questa emozione la causa di quelle reazioni. Ed è anche una di quelle che non sopporti che John provi. Non vuoi guardarlo, rimani fermo, ma sposti gli occhi su di lui.
- Io…- Cerca le parole giuste, John. È strano, visto che lui sa sempre cosa dire, sempre come rincuorare, sempre come spiegare. Sei tu, Sherlock, quello che di solito ha problemi a parlare alle persone.
- Mi dispiace.- Sbuffi. Non te ne fai niente delle sue scuse e della sua pietà. Distogli lo sguardo da lui e cerchi un modo per andare in camera tua.
- Cristo, Sherlock! Perché non mi ascolti?- Ti fermi e provi a capire. Arrivi ad alcune conclusioni ma non sei sicuro che siano quelle giuste.
- Avrei…-
- John.- Lo interrompi: non vuoi sentire quelle parole. Non è stata colpa sua.
- Non è stata colpa tua. Non eri nella condizione tale, né nella posizione tale di poter evitare quello che è successo.- Affermi, logicamente, spazzando via i sentimenti:- Mi ci devo solo abituare.-
Sorridi e John ne è quasi sorpreso. Ti sblocca da dove sei e ti lascia andare.
- Dovrai iniziare a smetterla di lasciare tutto in disordine.- Commenta solo e toglie un giornale incastrato sotto la ruota della tua sedia a rotelle.











Angolo Scrivente:

No, non sono un cadevere sepolto, mi dispiace. Ogni tanto torno a invadere il fandom, anche se di recente non molto.
Volevo mettere il titolo in corsivo, ma non ne sono capace. Per la storia, ecco, se mai avrete a che fare con qualcuno in sedia a rotelle, non comportatevi come John. Davvero, è molto maleducato e offensivo. Per il resto: scendere le scale come ha fatto Sherlock è possibile, ma molto pericoloso. Sarebbe meglio farsi aiutare o sedersi a terra e poi scendere/salire le scale trascinandosi la sedia a rotelle con sé (ma solo se non è troppo pesante).
Spero che la storia vi sia piaciuta e sentitevi liberi di commentare.
Ah, buon anno e complimenti per essere soppravissuti alla quarta stagione di Sherlock.


 
  
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