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Autore: B Rabbit    29/01/2017    3 recensioni
{ Season!AU | Summer!Yuuri, Winter!Victor | Perché, Cloud. Perché? }
Il moro gli cinse il collo con il braccio e, stringendosi a lui, gli scaldò la gelida guancia con un piccolo e soffice bacio. Avvicinò le labbra al suo orecchio e gli disse: «Ti prego, amor mio. Non soffrire, non ora che son felice».
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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L’avvento causerà rovina
in un ciclo eterno di colori

– Per tre mesi, noi diverremo cosa unica –




Di tinte vivaci era fatto il manto della natura, che ridente e lieta osservava un giovane uomo percorrere i suoi boschi e le sue pianure, accompagnandolo con un soffio di brezza in ogni terra.
Egli era l’Estate, e con movenze leggiadre danzava per le lande smeraldine, che parevano brillare maggiormente di vitalità alla semplice ed essenziale sua presenza. Lo spirito ascoltava ogni voce, si lasciava ispirare dal sereno motivo che lo circondava, creato dal mormorio delle foglie e dal canto degli animali, fendendo l’erba e i ruscelli con lame d’aria. L’euforia albergava nel suo costato, rendendo i suoi passi celeri e le piroette più veloci, strette – presto, egli sarebbe apparso un'altra volta in quel mondo rigoglioso, l’essere dalle gentili fattezze lo sapeva, percepiva la sua presenza, e con gli occhi del color della terra brulla lo cercava sui dolci pendii –. Strinse le braccia al petto e l’accelerazione prolungò l’ennesimo volteggio, mutando la sua figura in un turbinio ammaliante di energia, e allo scemar della spinta, il giovane portò la mano sinistra sulla destra, dove, mesi addietro, intrecci di rampicante s’erano avviluppati intorno all’anulare, al palmo, fino ad abbarbicarsi con un esile rametto al torace, arricchendosi poi di luminosi gelsomini gialli, oramai sgualciti. Afferrò la pianta e la strappò con un gesto deciso e liberatorio, rivelando l’anello d’oro baluginante, il simbolo del loro legame – da esso era germogliata magicamente la pianta, quando l’aria era colma dell’effluvio della rinascita e il suo corpo era stretto fra le sue braccia come un tesoro preziosissimo –. Gettò il rampicante ai suoi piedi, che subito divenne polvere, e, come morbide ali di cigno, rametti di gelsomino si aprirono e si attorcigliarono ai lati del capo; corolle nivee sbocciarono fra le ciocche di pece, preparando l’Estate all’arrivo oramai prossimo del compagno.
Lo spirito fermò la sua danza, scivolò placidamente sui ciottoli di una riva con sguardo basso, e aspettò. Vagò, seguendo la linea sinuosa del fiume, fino a che la brezza non mutò, divenendo più fresca. Si fermò, dunque, e un ampio e gioioso e splendido sorriso si impadronì delle sue labbra appena notò condensarsi, sulla superficie del lago, una nebbia fittissima. Scórse lungo la striscia di terra che cingeva l’acqua, lentamente, osservando la foschia spandersi intorno, creando nastri bianchi. E quando essa si consumò, una figura rimase, un essere dalle fattezze eteree di un genio.
L’Inverno aprì finalmente le palpebre, rivelando al consorte gli occhi diletti, ampolle colme del cielo estivo, e stette lì, immobile, al centro del lago – contemplò il ragazzo con animo rapito, trovando in lui ogni suo ricordo. Nulla era cambiato dalla sua dipartita –.
Il corvino abbandonò la riva con piccoli balzi, sovrastò il bacino senza difficoltà alcuna e si avvicinò in una lenta spirale, il cui fulcro era il secondo: allargò le gambe e saltò, ruotò su se stesso per un incantevole istante, per poi atterrare con grazia, dispiegando le braccia come un elegante uccello; chiuse gli occhi e volteggiò lentamente, arcuando la schiena e carezzandosi il volto dai morbidi lineamenti; infine, si lasciò sospingere dalla forza rimasta, e sorrise appena avvertì due mani scivolare sui suoi arti e un corpo sfiorare il proprio.
«Stai cercando di sedurmi?» lo sentì chiedere con voce bassa, maliziosa come la bocca arricciata che la modellò.
«Non devo» rispose semplicemente, sfuggendo alla sua tenera presa e voltandosi per guardarlo in viso. «Ti stregai in un’era lontana, quando lasciasti la tua terra di un bianco purissimo per desiderio di conoscenza fino a giungere nel mio florido regno». Allungò una mano verso la sua guancia e, invece di regalargli una piccola carezza, gli tirò la pelle. «Congelandolo» terminò, fintamente stizzito. L’altro accennò una risata, mormorando qualcosa sul grande dolore arrecatogli ingiustamente.
«Soltanto la zona vicino al confine. E non lo feci di proposito» si difese. «Soltanto dopo imparai a contenere il mio potere. Anche tu».
«E soltanto allora ti permisi di avventurarti entro le mie lande» concluse. E rimase sorpreso appena l’amato abbassò lo sguardo con fare colpevole.
Lo chiamò, gli prese dolcemente il viso fra le mani, ma egli scivolò via, indietreggiò e, dopo qualche istante di tentennamento, gli offrì il palmo, mostrando un sorriso di cristallo. L’Estate accettò l’invito, legando le loro dita in una forte, piacevole stretta, ed insieme cominciarono a scivolare sulle acque limpide, disegnando su di esse morbide linee. Il moro gli cinse il collo con il braccio e, stringendosi a lui, gli scaldò la gelida guancia con un piccolo e soffice bacio. Avvicinò le labbra al suo orecchio e gli disse: «Ti prego, amor mio. Non soffrire, non ora che son felice».
Il consorte non proferì alcunché, ma agì, facendo scivolare il corpo dell’altro in un lento casquè e trasportandolo in un girotondo in cui il mondo intero si unì, riflettendosi nello specchio ingrigito sotto di loro, percorso dalle stesse nuvole che migravano nella volta. E danzarono così, separandosi per poi ricongiungersi ed unirsi in roteazioni infinite, mostrando l’amore che li animava con le proprie azioni e gli sguardi perennemente incatenati, perduti nell’ammirare lo sposo ed incapaci di cogliere i cambiamenti della natura, che lentamente perdeva i suoi colori.
Le foglie caddero come gocce di pioggia, screziando il lago d’arancio e rosso sanguigno.
Il vento si fece tagliente, gelido, come fredde cominciarono a diventare le membra dell’Estate, la quale non smise di sorridere, nonostante la debolezza crescente.
«Perdonami» sussurrò l’uomo, ed egli rispose scuotendo appena la testa, facendo così ondeggiare la chioma d’inchiostro.
«Anche se frenato, il mio potere consumerà il tuo» proseguì, ricevendo una carezza gentile sul viso. «Morirai».
«E rinascerò» ribatté; scivolò dietro le sue spalle, lo abbracciò per un istante e, stringendogli la mano, lo guidò in una delicata giravolta. «È ciò che scegliemmo tempo fa, scostando da noi una vita priva dell’altro».
L’amato sorrise ed annuì; posò le mani sui suoi fianchi, li strinse con fermezza e lo sollevò, piano, senza alcun timore, bensì con amorevole riguardo e struggente melanconia; ruotò più e più volte, beandosi della figura di lui immersa nel cielo plumbeo, ma quando i fiori che adornavano i lati del suo volto cominciarono a precipitare fra i loro corpi, a cascare come le lacrime che scopriva di perdere durante il suo regno di solitudine, si sentì incredibilmente fiacco – le rotazioni scemarono, i movimenti rallentarono fino ad arrestarsi. Rimase semplicemente immobile e si lasciò sospingere, inerme –.
E si fermò, l’Inverno. Piano, adagiò il compagno sulla superficie oramai gelata del lago, accompagnandolo nella discesa con occhi preoccupati. L’Estate sorrise, baciò teneramente l’amato sulla fronte e gli carezzò le gote pallide. «Ricorda: il nostro ballo non saprà mai d’addio, soltanto di arrivederci» gli disse e, sorridendogli amabilmente, svanì in terra e foglie scarlatte, lasciando neanche un fruscio. Lo spirito si inginocchiò, strinse fra le dita le poche spoglie del suo consorte e si portò i pugni al petto.
«Attenderò, amor mio» disse al vuoto creatosi in quel luogo, alzandosi e cominciando a volare mestamente sul ghiaccio, facendo così librare nell’aria ciò che era rimasto di lui.
«Fino a quando riapparirai, facendo di me Primavera».

















Ehm… salve. Sono Cloud e, per vostra sfortuna, sono giunta anche qui a causa dei feels che proseguono a tormentarmi.
Che dire in mia discolpa… nulla, ho scritto una cosa strana che mi ha tenuta sveglia fino alle 2 del mattino. E io ho un esame, domani, che diamine sto combinando qui?
Comunque! Questa è una strana AU in cui Yuuri è la personificazione dell’estate, mentre Viktor quella dell’inverno; inoltre, la storia spiega in maniera alquanto favolosa la nascita delle stagioni, visto che, prima del loro incontro, nelle due terre la natura non mutava. Rimanendo insieme a Yuuri, Viktor portò il freddo nel suo regno, indebolendo il ragazzo fino ad ucciderlo la prima volta. La stessa sorte toccò successivamente al secondo, quando l’Estate rinacque e tornò da lui. In parole povere, è il secondo potere, quello “estraneo”, ad intaccare l’altro, e non il contrario.
Curiosità: i fiori che ornano Yuuri hanno un significato preciso – il gelsomino della Carolina, quello giallo, fiorisce in primavera-estate, ovvero quando Yuuri rinasce ed uccide Vik, e vuol dire “Separazione”; il gelsomino del Madagascar, quello bianco, è simbolo dell’unione matrimoniale –.
E niente, penso di aver detto tutto… spero di aver scritto qualcosa di decente, davvero.


Addio,
Cloud~

  
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