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Autore: Huilen4victory    31/01/2017    4 recensioni
La storia di Seokjin e Namjoon, come si sono incontrati, le difficoltà che hanno attraversato, come si sono quasi persi e come infine si sono ritrovati, anche se lontanissimi dal punto di partenza.
“Signora Kim, Signor Kim, vostro figlio Kim Namjoon è l’anima gemella dell’erede dei Kim, Kim Seokjin.”
Improvvisamente tutti gli sguardi dei presenti si concentrarono su di lui. Namjoon si sentì di nuovo come quella volta in cui aveva rotto senza volere la tazza preferita di sua madre. A quel punto, si disse, tanto valeva mangiare qualcosa. Si infilò un cornetto in bocca per evitare di urlare.
La sua vita, lo sapeva, era sul punto di cambiare ma non sapeva se questa volta avrebbe gradito la svolta.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kim Namjoon/ RapMonster, Kim Seokjin/ Jin, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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NDA: mi ero ripromessa di non pubblicare perchè ho decisamente troppa carne al fuoco. Ma non ho resistito e poi presto avrò più tempo a disposizione quindi non credo le mie storie ne soffriranno. Perciò abbiate fiducia in me. Aggiornerò sempre tutte le mie storie ;)
Comunque, dimenticatevi di Un mondo per noi due. Questo è tutto un altro viaggio!
Enjoy!





Let’s meet in this life- Incontriamoci in questa vita

Due (prologo)

 

“Puoi non andare, Namjoon. Potresti.”

Il maggiore era seduto pigramente sulla sedia. Si dondolava su di essa, spingendo ogni volta sempre più forte fino al limite, ma Namjoon sapeva che non sarebbe caduto. Era solo che Yoongi sembrava non poter fare a meno della sensazione di precarietà.

Una boccata di fumo colpì il suo viso e Namjoon cercò di non arricciare il naso. Si conoscevano da due anni, da quando Namjoon aveva avvicinato il quindicenne Yoongi che aveva appena fatto la sua prima apparizione sul palco, ma ancora non riusciva ad abituarsi alle abitudini poco salutari del suo amico. Si ricordava come al tredicenne sé stesso Min Yoongi era sembrato il massimo. Due anni dopo lo considerava ancora il massimo anche se con maggior ragione e più buon senso. Quel lasso di tempo gli erano infatti serviti per sviluppare a sua volta una discreta dose di esperienza e capire cosa poteva considerarsi buono e cosa da buttare, anche se aveva una lunga strada davanti a sé e molto ancora da imparare. O almeno così aveva creduto.

“Sai che non posso,” Namjoon aveva detto con irritazione. Yoongi gli aveva lanciato un’occhiata di traverso, con quel suo sguardo penetrante che sembrava trapassarlo da parte a parte. Si trovavano nel garage che il locale metteva a disposizione degli artisti per fare loro le prove prima delle esibizioni. Yoongi era in ottimi rapporti con il padrone del locale e questi quindi gli lasciava usare quel ripostiglio per registrare i suoi pezzi. Era una stanzetta piccola e male illuminata. Era il loro rifugio e, per quanto angusto e desolato, era l’unico posto in cui entrambi riuscivano a respirare.

“Potresti.”

“No, non potrei. Lo sai benissimo hyung. Non importa cosa pensi o cosa voglia nella vita, non si sfugge alle leggi di questo mondo per quanto sbagliate esse siano.”  Namjoon disse con amarezza.

“Sai, ho sempre pensato che si fossero sbagliati a darmi lo status di numero due.” Namjoon continuò sarcastico. “Però me ne ero fatto una ragione, dopotutto essere numeri due aveva i suoi lati positivi, potevo dedicarmi alla musica senza temere che qualcuno potesse sbarrarmi la strada. Avrei dovuto prevedere che le cose non sarebbero andate lisce. Doveva esserci la fregatura da qualche parte.” 

La sedia di Yoongi sbattè rumorosamente sul suo posto e solo allora questi si diede la pena di dedicare la sua attenzione a Namjoon.

“Se ti fa sentire meglio, ho sempre pensato tu fossi sprecato come musicista,” Yoongi commentò facendo spallucce.

“Hyung!” esclamò Namjoon sgonfiandosi come un palloncino. Yoongi si lasciò sfuggire una risata lugubre. “Come Kim potresti arrivare laddove noi comuni mortali non potremmo arrivare mai, ti si aprirebbero un sacco di porte e con le doti e il tuo cervello potresti davvero arrivare lontano. Chi lo sa, magari un giorno avrai l’autorità di cambiare l’algoritmo.” Il maggiore commentò e Namjoon non sapeva se faceva sul serio oppure no. Yoongi aveva sempre avuto un pessimo senso dell’umorismo.

“Come se fosse possibile. Tutti i sistemi mondiali in tutte le società della storia si sono retti sull’iniquità. Il problema non è l’algoritmo Yoongi.” Namjoon disse serio.

Yoongi sospirò. “Sto cercando di vedere il lato positivo qui, potresti darmi una mano, sai.”

“Non c’è alcun lato positivo.” Namjoon sbuffò. Yoongi scoppiò in una grossa risata e quasi rotolò per terra.

Namjoon alzò il sopracciglio e lo guardò perplesso.

“Come hai ragione.” Yoongi disse con la sua voce bassa.  Fu la volta di Namjoon di squadrarlo. C’era un motivo per cui all’ingenuo giovanissimo Namjoon, che era entrato di nascosto dalla porta sul retro del locale, Yoongi era sembrato il massimo. I suoi testi erano sconnessi, le sue rime non sempre brillanti e il suo difetto di pronuncia evidente ma c’era qualcosa nei testi del maggiore e nella sua presenza sul palco che ti colpivano come un pugno sullo stomaco. Era la crudità dei suoi sentimenti, messi per iscritto affinché tutti potessero vederli che ti lasciavano senza fiato. In quei due anni Namjoon aveva cercato di comporre il puzzle, non era poi così difficile bastava seguire gli indizi che il suo hyung lasciava tra le rime delle sue canzoni, tuttavia non aveva mai avuto il coraggio di affrontare l’argomento con lui.

Parlavano d’amore le canzoni di Yoongi, di un amore da disperati, da ubriachi, i suoi sentimenti erano come alcool che ti brucia la gola quando lo ingerisci, eppure non puoi farne a meno. Un amore che urlava solitudine fin nelle viscere anche nelle sue note più leggere.

Namjoon ne aveva dedotto che quali fossero le motivazioni del suo amico, e lui aveva svariate teorie al riguardo, entrambi trovavano il proprio cosiddetto fortunato status, un fardello. Ed era stato questo, questo che glielo rendevano così caro. Yoongi lo capiva.

“Cosa faccio ora hyung?” Namjoon si prese la testa tra le mani.

Allora Yoongi si alzò, si avvicinò alla figura di Namjoon, accovacciata sul tappetto di quella stanza angusta che chiamavano studio, e gli posò con gentilezza una mano sulla testa. Namjoon pensò buffamente che quello sarebbe stato l’unico modo in cui Yoongi avrebbe potuto torreggiare su di lui, lui il gigante genio che dimostrava più anni di quelli che in realtà aveva. Pensò anche che il suo hyung sarebbe stata l’unica persona con cui d’ora in avanti avrebbe potuto essere sé stesso.

Yoongi non gli disse né “andrà tutto bene”, né “mi dispiace”, ma si limitò a stare lì con lui. 

“Beh mi dicono che il giovane Kim è molto attraente,” commentò sedendosi di fianco a lui.  Fu la volta di Namjoon di scoppiare a ridere.

“Da quando in qua l’aspetto importa per un numero due?” Namjoon chiese ironico. Yoongi gli lanciò un’ultima occhiata e poi gli offrì una sigaretta e Namjoon disse al diavolo e per quella volta la prese, anche se lui odiava il fumo.

Già, tu non sei un numero due qualunque, lo sguardo di Yoongi sembrava suggerirgli.  Non era auto celebrazione, era la verità, Namjoon sapeva di essere diverso. E i fatti di quegli ultimi giorni lo avevano dimostrato.

 

 

Una mattina di maggio una berlina scura si fermò davanti a casa sua. Namjoon non ci aveva fatto caso, stava ancora litigando con il cuscino e sua sorella maggiore stava cercando, senza successo, di svegliarlo quando sua madre era entrata in tutta fretta in camera e aveva tolto senza pietà le coperte dal suo corpo.

“Abbiamo visite. Namjoon, presto.”

Non era la prima volta che sua madre, scocciata, era venuta a svegliarlo personalmente, ma era stata la prima volta che aveva usato quel tono. C’era nervosismo nella sua voce, della tensione nella linea delle sue labbra e Namjoon sentì sparire il suo sonno di colpo. Aveva quindi scambiato uno sguardo perplesso con sua sorella ma lei era sembrata presa in contropiede quanto lui. Namjoon scivolò fuori dalle coperte e si diresse senza esitazioni a prepararsi in bagno. Aveva preso con sé la sua camicia migliore perché, dal modo in cui sua madre aveva pronunciato la parola “visite”, Namjoon ne aveva dedotto che doveva trattarsi di qualcuno di importante.

Nulla, ad ogni modo, aveva potuto prepararlo alla scena che lo accolse in salotto. Sua madre e sua sorella avevano apparecchiato la colazione con il migliore servizio di tè che possedevano e Namjoon sarebbe stato vagamente ammirato della prontezza delle donne di casa se non fosse stato che erano tutti seduti rigidamente su divano e poltrone e sembravano aspettare tutti, lui. Namjoon deglutì.

L’ultima volta che si era sentito così era stato quando sua madre a sei anni lo aveva portato da un dottore per quello che tutti credevano un problema di attenzione. Namjoon da piccolo era stato un bambino irrequieto a cui non piaceva seguire le regole. Si addormentava spesso in classe, si distraeva e aveva la snervante abitudine di fare troppe domande e mettere in discussione tutto e tutti, incurante delle conseguenze.

“Non ha senso mamma! Perché non possiamo essere tutti felici? Perché io dovrei essere più bravo di un numero zero?”

“Namjoon! Non parlare così!” Sua madre disse spaventata. Erano nel bel mezzo del parcheggio della scuola e il bambino a quanto pareva aveva avuto la sua prima lezione sulle anime gemelle.

“Ma mamma! Non capisco!”

“Non dire più queste cose Namjoonie. Mai! Promettimi che non lo farai!” Namjoon naturalmente a sei anni non aveva capito la gravità del suo punto di vista e sebbene avesse annuito per educazione, era intimamente convinto che gli altri si sbagliassero di grosso e che lui invece avesse ragione. Il sistema di anime gemelle faceva acqua da tutte le parti, come potevano le maestre insegnarlo come se fosse più esatto della matematica? Namjoon non capiva. Era come dire che due più due faceva cinque.

Gli avevano detto che la loro società era la migliore possibile. Che un sistema perfetto aveva permesso di assegnare un’anima gemella alle persone e questo le aveva rese meno sole e migliori. Queste persone erano i numeri due e Namjoon sapeva di essere anche lui uno di loro. Sua madre gli aveva sempre detto che c’era un amico speciale per lui e che prima o poi Namjoon lo avrebbe conosciuto e che doveva essere paziente e aspettare, perché ne sarebbe valsa la pena. Sua madre non aveva nominato i numeri zero però. Secondo la sua maestra i numeri zero erano un errore, delle persone che erano nate con un difetto e che per questo avrebbero solo vissuto una vita imperfetta. Erano uno scarto e come tali andavano trattati. Ed era stato allora che Namjoon aveva pensato che quello che la maestra diceva non aveva senso. Un sistema perfetto che faceva uno scarto? Un sistema perfetto non faceva scarti! E perché mai lui come numero due doveva essere migliore di qualcuno detto numero zero? In base a cosa? Il vicino della casa accanto aveva due macchine invece di una ma questo non lo rendeva migliore del papà di Namjoon! Più ricco forse, ma non migliore.

Naturalmente una volta che era tornato a scuola, Namjoon si era assunto il compito di correggere la maestra. Non andò molto bene e finì con una nota e una visita dalla preside. Sua madre era furiosa perché lui aveva disobbedito e la preside, che lo considerava un bambino problematico e poco brillante, lo aveva guardato come se ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato in lui. Namjoon si era sentito malissimo.

I suoi genitori quindi, preoccupati, si decisero a consultare uno specialista. Tuttavia quello che sembrava essere una brusca svolta, finì invece col rivelarsi una scoperta felice. Si scoprì infatti che il motivo per cui lui non prestava mai attenzione in classe, e per cui non voleva fare i compiti, era perché in realtà si annoiava a morte. E il motivo per cui faceva tante domande era perché aveva un’insaziabile sete di sapere. Aveva un quoziente intellettivo al di sopra della media e questo lo rendeva un bambino più incline all’introspezione e alla riflessione. Era naturale che le lezioni di prima elementare risultassero fin troppo facili per un bambino che sapeva leggere al livello di un alunno di quarta. Fu deciso allora che, attestato il suo livello, Namjoon sarebbe stato spostato nella classe più adatta. Era stato con stupore, orgoglio e una buona dose di preoccupazione che i suoi genitori appresero che avrebbero dovuto iscrivere il loro brillante figlio almeno quattro classi più avanti.

Fu allora che i suoi genitori presero la decisione più importante per il futuro del loro figlio.

Namjoon era intelligente, spiccava prepotentemente tra i suoi coetanei ma questo significava che, allo stesso tempo, non aveva un posto tra loro. Non volendo sconvolgere la vita sociale di un bambino che sebbene intelligente a quell’età aveva bisogno di giocare e di farsi delgi amici, i suoi genitori lo cambiarono di scuola e decisero di limitarsi alla terza elementare. Namjoon era un bambino alto per la sua età, poteva facilmente passare per un bambino di terza un po’ piccolo. Fecero promettere a Namjoon che avrebbe comunque fatto del suo meglio per seguire le lezioni e gli insegnarono l’importanza di seguire le regole,  anche quelle che Namjoon considerava “troppo stupide per essere vere.”

La scelta dei suoi genitori risultò vincente, Namjoon ebbe un’infanzia felice e riuscì a farsi degli amici, a giocare e a divertirsi, anche se si sbucciava spesso le ginocchia e le sue gambe erano sempre piene di cerotti. Nel complesso, comunque, era cresciuto come qualsiasi bambino della sua età.

Tuttavia Namjoon aveva un segreto. Uno che custodiva gelosamente e che i suoi coetanei troppo presi dai loro giochi non potevano capire. Namjoon aveva delle parole in testa. Aveva un sacco di pensieri che si accumulavano nello spazio senza fine della sua mente, domande, soluzioni, quesiti, espressioni di sentimenti troppo grandi e profondi, che lui non sapeva bene dove sistemare. Namjoon iniziò a soffrire di mal di testa sin da piccolo, all'inizio lievi e non frequenti ma man mano che gli anni passavano questi si fecero più intensi e, Namjoon notò, essi sembravano proporzionali alla quantità di incongruenze di quella loro realtà imperfetta che lui non riusciva a fare a meno di notare. Continuava ancora a pensare che il sistema mondiale fosse stupido e che ci fossero molte cose che non andavano. Questo e molti altri sentimenti lo stavano soffocando e seppur crescendo fosse diventato più consapevole e capisse perché sua madre fosse stata così terrorizzata da un bambino troppo perspicace per il suo bene, questo non curava i suoi mal di testa. Finchè un giorno, forse per caso, forse per curiosità, durante una noiosissima lezione di storia, Namjoon scrisse delle parole ai lati dei margini dei suoi libri di testo. A quelle parole fecero seguito delle frasi intere e la sensazione di soddisfazione fu tale che Namjoon non aveva più smesso e aveva finito col ricoprire per intero tutti i margini dei suoi libri di testo. Era stato liberatorio, la carta catturava le sue parole e lo aiutava ad organizzare la sua mente. I mal di testa si fecero più sopportabili e radi.

Tutte queste parole dopo che ebbe conosciuto Yoongi si trasformarono in testi e più tardi quei testi divennero musica. Fu allora che Namjoon si sentì finalmente libero e la testa smise di fargli male. Il peso della sua mente aveva finalmente trovato una via d’uscita.

Non aveva mai pensato alla sua intelligenza come ad un problema né come a qualcosa di cui andare fieri, era qualcosa che era con lui e basta. Sapeva fare operazioni matematiche complicatissime a mente senza avere bisogno di una calcolatrice da quanto aveva dieci anni e sapeva più parole di un’enciclopedia ma Namjoon non sarebbe riuscito a cuocere qualcosa neanche se ne andava della sua vita, aveva un senso dell’orientamento pessimo ed era l’unico destro che si macchiava il dorso della mano come un mancino. Perciò si Namjoon si era sempre più sentito un disastro ambulante che aveva un cervello un po’ più veloce degli altri, che un genio. Una persona qualunque insomma con i pregi e difetti di qualsiasi altro essere umano.

Fu lì davanti a due persone estranee vestite di tutto punto che a Namjoon fu infine fatto pesare gravemente il bagaglio delle sue qualità.

“Sono l’avvocato Jun e questo mio collega è l’avvocato Yoo. Ci scusiamo per aver interrotto in modo così sconveniente il vostro sabato mattina, ma non potevamo permetterci di discutere di tali argomenti per telefono. La discrezione, capirete ben presto, è giustificata. Ad ogni modo ci troviamo qui in rappresentanza della famiglia Kim.”

Un silenzio di tomba segui quelle parole. Nessuno aveva osato prendere il tè che sua madre aveva preparato e neppure assaggiare uno dei deliziosi caldi crossaint. Namjoon pensava fosse uno spreco. Aveva fame, non aveva fatto colazione ma sapeva che non poteva ignorare la scena che si stava svolgendo e quindi si costrinse ad ignorare il suo stomaco.

Suo padre, schiarendosi la gola, visto che quelle due persone sembravano aspettarsi una riverenza o qualcosa di simile, chiese, garbato.

“Kim?” dopotutto anche loro facevano Kim di cognome ma non andavano dicerto a sguinzagliare i legali nelle case di altri Kim il sabato mattina, anche se li avessero avuti.

“La famiglia Kim. Intendo la famiglia presidenziale Kim.”

Era un bene che nessuno di loro, e soprattutto lui, avesse preso la tazza fumante di te che sua madre aveva apparecchiato, perché sicuramente si sarebbe schiantata a terra.

“Se posso chiedere, perché mai la famiglia presidenziale Kim ha sentito il bisogno di mandare voi due da noi?” Namjoon sapeva che sua madre stava cercando nella mente qualcosa che loro potessero aver fatto di male, anche se sapeva che eccetto una multa di suo padre per eccesso di velocità di cinque chilometri oltre il limite e occasionalmente i vasi di piante dei suoi vicini che Namjoon aveva rotto inciampando, non vi era nulla che giustificasse un intervento consolare.

“Non c’è nulla di cui preoccuparsi signora,” cercò di rassicurarla l’avvocato Yoo. “Siamo qui per comunicarvi una lieta notizia, la nostra presenza qui è solo per assicurare che certe misure vengano rispettate.”

“Signora Kim, Signor Kim, vostro figlio Kim Namjoon è l’anima gemella dell’erede dei Kim, Kim Seokjin.”

A quel punto tutti gli sguardi dei presenti si concentrarono su di lui. Namjoon si sentì di nuovo come quella volta in cui aveva rotto senza volere la tazza preferita di sua madre. A quel punto, si disse, tanto valeva mangiare qualcosa. Si infilò un cornetto in bocca per evitare di urlare.

La sua vita, lo sapeva, era sul punto di cambiare ma non sapeva se questa volta avrebbe gradito la svolta.

 

 

La famiglia Kim aveva inviato a Namjoon un abito firmato per l’occasione. Gli calzava a pennello e la stoffa gli dava una bella sensazione al tocco ma Namjoon avrebbe scambiato quegli abiti costosi per la sua maglietta, jeans e converse in qualunque momento. Aveva solo quindici anni, dannazione, super cervello o meno non si sentiva affatto pronto.

“D’ora in avanti sarai un Kim a tutti gli effetti. Quindi ci sono una serie di regole che dovrai sempre ricordarti,” disse l’avvocato Yoo serio.

Namjoon aveva deglutito pesantemente e sua madre lo aveva guardato preoccupata. Come lui, doveva star pensando alla stessa cosa. A come a Namjoon le regole non fossero mai andate a genio e come lui ancora pensasse che il sistema mondiale fosse spazzatura.

“Primo: nessuno mai e per nessun motivo dovrà sapere la tua età, neanche la tua anima gemella o perlomeno non nell’immediato futuro. Secondo: la tua vita non sarà più tua in quanto tale. I Kim sono la famiglia più famosa e importante del paese, come consorte dell’erede le tue azioni saranno sotto gli occhi di tutti. Per questo la tua educazione e la tua immagine dovranno essere misurati così come il tuo grado di libertà, che verrà limitato per la tua stessa sicurezza. Terzo e ultimo: la famiglia e le sue esigenze verranno sempre prima e in ogni circostanza.

Da quel sabato mattina erano trascorse un paio di settimane e Namjoon nel frattempo aveva finito l’ultimo anno di superiori con successo. Nonostante la sua iscrizione fosse già stata approvata all’accademia e le iscrizioni alle altre università fossero da tempo scadute, a Namjoon era stato fatto cambiare carriera scolastica ed era così che era stato accettato alla facoltà di economia di una delle più facoltose università del paese. Nessuno aveva battuto ciglio, neppure sua madre, che aveva sempre avuto a cuore la sua felicità, aveva obbiettato.

Namjoon si guardò allo specchio di camera sua per l’ennesima volta. Si sentiva ridicolo, avrebbe voluto che Yoongi fosse lì anche solo per prenderlo in giro e chiamarlo pinguino. Avrebbe reso le cose meno terrificanti.

“Stai benissimo.” Disse una voce alle sue spalle. Era sua madre che, vestita elegantemente quanto lui, lo guardava ammirata dalla porta. I suoi genitori gli avevano sempre permesso di fare le sue scelte, eppure da quando i legali dei Kim avevano fatto irruzione nella sua vita, si erano attenuti alle loro disposizioni. Namjoon era furioso e si sentiva tradito. Era bastato sentire la parola “famiglia Kim” e tutto era cambiato. Avevano persino accettato che l’introduzione avesse luogo a procedere nonostante Namjoon fosse ancora chiaramente minorenne e le introduzioni a quell’età, illegali. Tutto ciò, tutto questo ridicolo spettacolo era stato fatto in nome della sicurezza della famiglia Kim. Il giovane erede aveva da poco compiuto diciott’anni e ben presto avrebbe iniziato la sua vita pubblica. Aveva bisogno della sua anima gemella designata al suo fianco. Namjoon sbuffò internamente. Si immaginò che i Kim si fossero dati un gran da fare a coprire le tracce che chiarivano la sua età. 

“Mamma, devo proprio?” Namjoon chiese in ultimo disperato tentativo.

“Namjoon. Lo so che tutto questo ti spaventa, so che pensi che queste richieste non siano giuste. Ma al di là della famiglia Kim e di cosa ciò comporti, oggi tu incontrerai la tua anima gemella. Voglio che ti concentri su questo. Oggi è un giorno felice.”

Namjoon chinò la testa e sua madre si avvicinò a lui.

“So che devo essere felice e che tutti pensano che dovrei sentirmi onorato. Ma come faccio a esserlo quando è proprio la mia anima gemella che mi sta portando lontano da quello che ho sempre desiderato?”

“Namjoon quando diventi un adulto, ti renderai conto che devi fare delle scelte e queste scelte a volte ti porteranno lontano dal punto di partenza, tuo malgrado. E quando questo accade so che la frustrazione sarà il sentimento più predominante. Ma non lasciare che questo sentimento ti impedisca di sfruttare una buona opportunità. Ti è stato dato un dono Namjoon ed è tuo dovere farlo fruttare. Ho sempre saputo che eri destinato a grandi cose.”

Namjoon annui ma non disse nulla per non dir qualcosa di cui si sarebbe pentito. Non era giusto. Non era giusto. Lui non aveva fatto scelte erano le scelte di altri che si erano riversate su di lui con la violenza di un grosso macigno. Lui non aveva scelto nulla e gli era stato strappato tutto. Non poteva dare il suo contributo al mondo con la sua musica? Non era un sentiero abbastanza degno? Ma soprattutto perché lui? Perché?

Namjoon non aveva mai visto le sue capacità come un peso, ma per una volta desiderò essere qualsiasi cosa, essere chiunque altro, tranne che essere trascinato anzitempo ad una introduzione che lui non voleva. Dio, non sapeva neanche se gli piacevano i ragazzi! Sì, molti lo avrebbero rimproverato per avere ancora dei limiti di genere in un mondo in cui ciò che contava era l’anima gemella chiunque costei fosse, ma Namjoon non poteva farci niente se il suo cervello ragionava per pensieri poco battuti.

Vorrei che si fossero sbagliati. Vorrei che qualcuno uscisse fuori e gridasse “candid camera” e tutto ciò si rivelasse uno scherzo da parte di Yoongi e del suo pessimo senso dell’umorismo.

La testa iniziò a fargli male come tutte le volte che aveva pensieri e non poteva esprimerli.

Tutto ciò non poteva essere giusto c’era sicuramente un errore, lui era solo Namjoon e se c’era un errore o era in lui o era nel sistema.

“La macchina è arrivata,” venne la voce di sua padre dal piano terra. Sua madre gli sistemò la cravatta e Namjoon sentì lo stomaco fare le capovolte.  Non era pronto, non lo sarebbe mai stato, il panico gli chiuse la gola e scese le scale con le gambe pesanti e la testa ronzante.

 Tutta la sua famiglia era tirata a festa e Namjoon se possibile si sentì peggio. Dunque tutto ciò era reale.

C’erano due macchine parcheggiate di fronte e al portone di casa sua, in una macchina fu fatta salire tutta la sua famiglia mentre invece nell’altra fu fatto salire solo lui. Namjoon avrebbe voluto protestare ma si sentiva la gola serrata e quindi riuscì solo a lanciare un’occhiata spaventata a sua madre, che cercò di sorridere per rassicurarlo.  Col cuore in gola e le mani sudate si sedette nel sedile posteriore della berlina e quando la macchina si mise in moto, Namjoon seppe che oramai era impossibile fermare l’inevitabile.

Guardò fuori dal finestrino per distrarsi, si era dimenticato il cellulare sul letto e quindi non aveva neanche quello per distrarsi. La musica lo avrebbe calmato, invece ora era più nervoso che mai.

La macchina si fermò quasi un’ora dopo di fronte al cancello di quella che Namjoon non poteva definire che una villa.  Si trovavano nella zona lussuosa della capitale, in un quartiere in cui Namjoon non aveva mai messo piede. Qualcuno venne ad aprire la porta e lui dovette concentrarsi per non inciampare sul marciapiede come suo solito.

La sua famiglia per fortuna fu subito accanto lui e tutti loro vennero scortati attraverso il bellissimo giardino e in seguito all’interno dell’ancora più bella villa. In un’altra occasione Namjoon avrebbe apprezzato tanto squisito gusto soprattutto la magnifica biblioteca che aveva intravisto da una delle porte aperte che davano sul corridoio principale ma Namjoon non era nel suo stato mentale migliore. La sua famiglia fu condotta in quella che poteva essere definita una sala per le conferenze e lui si chiese quanto grande fosse quel posto. Probabilmente almeno dieci volte casa sua.

La sua famiglia fu fatta sedere da un lato del lungo tavolo, Namjoon alla destra del posto da capotavola che si trovava in quel momento vuoto. La famiglia consolare Kim non era ancora arrivata. Non dovettero aspettare molto, solo cinque minuti scarsi prima che si aprisse la doppia porta della sala uno stuolo di quelli che dovevano essere collaboratori e famigliari.  Poi, dietro a tutta questa gente fecero il loro ingresso la coppia consolare Kim, il console Kim andò a sedersi a capotavola mentre la signora occupò il secondo posto vuoto, lasciando quello di fronte a Namjoon libero. Il posto dell’erede.

Infine la porta si aprì un’ultima volta.

Era alto, ben vestito e aveva un’aria gentile che stonava così magnificamente rispetto a tutto quel freddo sfarzo, che Namjoon dovette farsi forza per resistere l’impulso di guadarlo in viso.  Era tutta colpa sua, si disse, di questo ragazzino viziato di diciott’anni erede dei Kim, se la sua vita era stata capovolta. Era colpa sua se per una qualche sfortunatissima coincidenza aveva finito col essere designato da un sistema obsoleto come sua anima gemella.

Namjoon provò davvero a resistere, non voleva darla loro vita, ma la curiosità e qualcos’altro a cui non sapeva dare nome, lo costrinsero a sollevare lo sguardo.

I loro occhi si incrociarono.

Fu come essere colpiti da un violento pugno allo stomaco.

Si era ripromesso di odiarlo e ancor prima di vederlo in viso Namjoon si era detto che lui era più forte del sistema e l’avrebbe sconfitto. Eppure sebbene avesse solo frustrazione dentro di se, gli fu impossibile non trovare questa persona, ancora prima di catturare i dettagli del suo viso, perfetta.

Tutto il suo corpo sembro esultare nel riconoscere in Kim Seokjin la sua anima gemella. Tutto il suo corpo, eccetto la sua mente.

“Ho mal di testa,” pensò.

Namjoon chiuse gli occhi nel sentire le prime avvisaglie di un violento mal di testa.


 






 
   
 
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