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Autore: Sky_Anubis    31/01/2017    1 recensioni
Gli dèi, gli antichi dèi della regione di Athena sono furiosi con gli uomini. Un'antica società segreta cerca di evitare la tragedia insieme ad un ragazzo e i suoi amici, che scopriranno di essere molto più importanti di quanto credessero.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Camilla, Ruby
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga
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Regione di Athena, 3750 a.C.

«Maestro, la sento.»
«Cosa dice, Kim?»
«Urla. Urla di dolore, la sento.»
Il giovane Kim appariva sofferente. Girandosi verso il maestro, lo guardò con occhi pieni di lacrime, lacrime di dolore. Iperione non appariva turbato, conscio del fatto che la sofferenza di Kim era necessaria per proseguire nella loro missione. Pose una mano sulla spalla al giovane allievo, cercando di tranquillizzarlo.
«Kim, calmati, devi concentrarti. Chiudi gli occhi. Respira.»
Nel grande tempio sulla cima del Picco Aeternitas, Kim eseguì gli ordini del suo maestro. «Respira regolarmente, con calma. Che cosa senti ora?»
«Io… la sento, mi parla. La Madre Terra mi sta parlando.» diceva, mentre era nello stato di trance.
«Ora, concentrati sulla Madre Terra, cerca di capire cosa ti dice.»
«È davanti a me, sta parlando, ma non… non la capis… AH!»
Kim urlò, a lungo, in preda a spasmi violenti, e poi si accasciò a terra. Iperione stava per intervenire, colto dall’euforia del momento, ma poi il giovane prese ad alzarsi in piedi, tenendo gli occhi chiusi. Quando li aprì, le sue sclere si illuminarono per un attimo di un rosso intenso, e vistosi tatuaggi rossi e neri a forma di triangolo apparvero sulle braccia, sul petto e sulle guance. Le iridi, dall’azzurro ghiaccio tipico del ragazzo, gli erano diventate di un verde profondo. Iperione si inchinò, poggiando il pugno a terra.
«Madre degli dèi, ti saluto.» disse, chinando il capo.
«Alzati, Iperione, non è usanza che un figlio chini il capo dinanzi una madre.»
Iperione si alzò in piedi, fissando negli occhi la Madre Terra. «Sai già perché ti abbiamo invocato, madre.» disse.
«Certamente. E lascia che ti dica che la mia pazienza sta finendo. Ricorda, non tollererò altre offese a ciò che ho creato con così tanta bontà.»
«Madre, ti prego, cerca di comprendere, gli uomini sono assetati di potere, l’Ordine dei Lupi Bianchi da solo non riesce a porre fine alla guerra...»
«Iperione, non sta a me intromettermi nelle faccende degli uomini, anche se tra voi è presente il mio figlio più amato. Per una madre come me non c’è gioia più grande di vedere i miei figli che diventano indipendenti. Non posso pregiudicare la vostra libertà imponendovi di fermarvi.»
«Madre, ti scongiuro, ascolta le preghiere di un tuo devoto figlio.»
«No, Iperione. Voi uomini dovete imparare ad affrontare il destino che voi stessi create, noi dèi non possiamo imporvi nulla. Così è stato deciso all’inizio del tempo e così sarà.»
«Non temi che anche Kim possa cadere?» chiese Iperione alla Madre Terra, ormai disperato. Quella frase alle sue orecchie doveva suonare come l’ultima arma, quella che avrebbe dovuto convincere la dea.
«Io ho parlato. Noi dèi non interverremo nelle faccende di voi umani. Vi ho creati artefici del vostro destino, e come tali subirete la giusta punizione nel caso in cui continuerete ad offendere ulteriormente le nostre supreme leggi. Ricorda, figlio, e fatti portavoce della mia profezia all’umanità. La Terra, la stessa Terra che fino ad ora vi ha generosamente nutrito senza chiedere nulla in cambio, inizierà a cantare, e canterà la melodia della Morte. L’Età dell’Oro è terminata.»
La Madre Terra chiuse gli occhi, e i tatuaggi scomparvero dal corpo di Kim, che stava per cadere sul pavimento dell’altare. Iperione intervenne immediatamente, frenando la caduta. Gli occhi del giovane si aprirono, rivelando di nuovo il solito azzurro ghiaccio.
«Maestro...»
«Non parlare, Kim, devi riposare, ora. Ti porterò nella tua stanza.»
Preso in braccio Kim, il maestro uscì dal tempio e si diresse verso una piccola casetta, metà in pietra metà in legno.
«Maestro… ho… ho sentito cosa ha detto mia madre...»
«Non preoccuparti, Kim, cercheremo di nuovo di convincerla.»
Iperione aprì la porta. In un angolo della costruzione c’era un caminetto in pietra con un fuoco che scoppiettava allegramente. Vicino c’era un letto, sempre in pietra, sovrastato da uno spesso strato di paglia e piume a fare da materasso, con sopra delle coperte di soffice e caldo pelo di Stoutland, e un cuscino morbido. Il maestro poggiò lì il giovane. «Growlithe!» chiamò, e un piccolo Pokémon Cagnolino si presentò scodinzolando. «Riscalda Kim, ti prego, è molto debole, prenditene cura.»
Growlithe si infilò sotto le coperte insieme a Kim, e si dispose in modo da riscaldargli bene il torace.
Iperione fece per andarsene, ma il ragazzo lo chiamò, debolmente: «Maestro Iperione… questa guerra segna la fine dell’Età dell’Oro… ho paura…»
«Non pensarci, Kim, ora riposa.»
Pur nella sua veste di Sommo Sacerdote del Sole, Iperione aveva paura, e ne aveva anche tanta, ma non la lasciava trasparire. Varcò la soglia dell’abitazione di Kim. «Growlithe» disse «Prenditi cura di Kim.» poi chiuse la porta.

Regione di Athena, oggi

È difficile dormire su un letto che ha la stessa morbidezza di una lastra di pietra. E infatti Kai continuava a girarsi e a rigirarsi nel sonno, senza tuttavia trovar pace. Perfino nei sogni sentiva un vago senso di disagio, che ogni tanto veniva interrotto da una secchiata di acqua in faccia, come quella mattina.
«Alzati, moccioso, devo rifare i letti!»
Kai balzò seduto sul letto, ma perse l’equilibrio e cadde a terra, rotolando di lato.
«Henrietta, ma che cazzo di problemi hai?» urlò, mentre era ancora carponi.
«Modera il linguaggio, poppante, o ti battezzo la schiena col manico della scopa.»
«Ma che… va bene, sto zitto...» le rispose Kai, mentre si rialzava mordendosi la lingua per non dare fuoco a qualcosa con le parole. Henrietta era brava ad attirarsi l’odio degli ospiti di quell’orfanotrofio, tanto che gli orfani la chiamavano Maleficent, come la strega cattiva di una delle tante favole che si sentono da bambini, oppure “la Corva”, per i capelli neri lunghissimi che aveva, sempre incredibilmente lisci e lucenti, proprio come le piume di un corvo. Henrietta era una donna alta, magra, sulla quarantina, con la carnagione chiarissima e gli occhi azzurri. Il viso era bello, con un vezzoso neo sulla guancia sinistra. Una simile bellezza comunque tradiva una cattiveria che i ragazzi dell’orfanotrofio Ilitia pativano da circa 16 anni. Kai in particolare sembrava il suo preferito, dato che la donna non perdeva occasione per farsi odiare specialmente da lui.
«Non ti scordare di svegliare quella bestiaccia che ti dorme vicino.» fece quella, indicando il Riolu di Kai, che aveva continuato a dormire della grossa anche dopo tutto l’ambaradan di prima.
«Tranquilla» rispose Kai, mentre prendeva in braccio Riolu «al massimo quella di cui potrei dimenticarmi sei tu, Corva.» e iniziò a saettare verso il corridoio, mentre quell’altra urlava «Ti uccido, moccioso!» e agitava la scopa in aria. Anche se non era sempre così semplice sfuggirle, a Kai divertiva far arrabbiare Henrietta, era uno dei pochi momenti di divertimento nello squallore dell’Ilitia.
Mentre scendeva le scale di corsa con Riolu in braccio, che intanto si era svegliato, il ragazzo ripensava al sogno di quella notte, con tutti quei personaggi dagli strani nomi che però gli sembrava di aver già sentito. Specialmente quello del ragazzino, Kim, gli suonava stranamente familiare, quasi come se fosse un membro della famiglia che non aveva mai conosciuto. Intanto non si era quasi accorto di essere arrivato nel cortile dell’orfanotrofio.
«Ehi, Kai!» si sentì chiamare.
«Ciao, Minerva.» rispose.
La ragazza che gli si era avvicinata, alta circa un metro e settanta, capelli biondi con una sfumatura metallica tendente al platino, aveva gli occhi di un grigio molto chiaro. Minerva aveva 16 anni, ma sembrava in effetti una donna già fatta e finita. Aveva le curve nel posto giusto, e Madre Natura non si era certo risparmiata. Non erano pochi i ragazzi che ci avevano provato con lei, ma erano stati tutti irrimediabilmente rifiutati, senza tentennamenti. Aveva una pelle straordinariamente candida, quasi fosse avorio, senza la minima traccia d’imperfezione, e uno sguardo furbo, attento al minimo particolare. «Ciao, Riolu.» fece al piccolo Pokémon, sorridendo. Riolu rispose al saluto sorridendo anche lui e abbaiando felice. «Sei fradicio.» notò poi, rivolgendo la sua attenzione a Kai.
«Ho provato la sveglia di Maleficent.» risposte lui.
«Ultimamente la propina sempre più spesso, prima o poi beccherà anche me.»
«Non credo, ti svegli sempre prima di tutti, non so come tu faccia a dormire così poco.»
«Va be’… piuttosto, Percy? L’hai visto?»
«No, sono uscito dal dormitorio pochi minuti fa. Deve comunque essere da qualche parte vicino l’istituto.» Kai si guardò intorno, visionando tutto il cortile, ma non lo vide. Vide invece Vincent Ahrai che veniva verso di lui, con la sua solita andatura da bulletto. «Riolu, è meglio che tu scenda, c’è aria di scazzottate.» fece, facendo scendere Riolu a terra.
Vincent era un ragazzone tutto d’un pezzo, un vero e proprio armadio, probabilmente originario di Alola, visto il colore della pelle. Sull’avambraccio destro aveva un tatuaggio tribale. Era accompagnato, come sempre, da Cornelia, una ragazza bassina con qualche piercing sul naso e sul labbro, e da Jackson, un ragazzo magrolino, che girava sempre con un coltellino nella tasca dei jeans.
«Ma guarda, Henrietta ti ha fatto la doccia!» fece Ahrai, urlando. Tutti si girarono. «Almeno ti sei lavato, sfigatello.» e si mise a ridere rumorosamente, seguito dai suoi compari. Ogni volta che Kai lo vedeva, quel grugno da prendere a schiaffi lo faceva incazzare. Stava lottando con sé stesso per non mettergli le mani addosso, ma stavolta, complice forse la doccia fredda di Henrietta, stava per partire in quarta. Poi vide che Minerva si era messa davanti a lui.
«Ahrai, ti consiglio di chiudere quella fogna che ti ritrovi per bocca, prima che ti spediamo nel cesto dei panni sporchi a piangere.» disse, decisa. La ragazza appariva perfettamente calma, nessuna espressione facciale tradiva la sua imperturbabilità, ma guardandola negli occhi le si vedeva un fuoco divamparle nelle iridi.
«Oh, a quanto pare adesso ti fai difendere dalle ragazze, femminuccia.» rispose Ahrai.
«Tesoro» intervenne Cornelia, rivolta a Minerva «dovresti farti da parte quando parla Vin. E dovresti anche avere un po’ più di gusto, quelle scarpe le ho viste ieri addosso ad un barbone.»
Ogni volta che Cornelia apriva bocca era per dire qualcosa di cattivo a Minerva. E ogni volta dentro di lei si accendeva una vampa che le faceva arrivare troppo sangue al cervello, finendo per rendere inutile il suo volto imperturbabile di prima. «Parla la grande stilista! Non sfidare la mia pazienza, bamboccia!»
La ragazza stava per venire alle mani, ma Vincent si frappose tra le due ragazze, tenendole separate.
«Andiamo, bambole, non vi azzuffate.» disse. Poi si rivolse esplicitamente alla bionda: «Quanto a te, dolcezza, che ne dici di sfogare la tua aggressività da gattina feroce sotto le lenzuola?»
Minerva apparve sconvolta per un attimo, solo per dare al bullo l’impressione che lui l’avesse colpita al fianco, ma subito si abbassò con uno scatto e fece perdere l’equilibrio ad Ahrai con un calcio alle caviglie, poi si spostò immediatamente di lato, per dar modo a Kai di sorprenderlo con una gomitata in piena fronte. La combinazione finì con una Forzasfera di Riolu e scaraventò Vincent ad una decina di metri, facendogli assaggiare il suolo umidiccio del cortile.
«Vin!» esclamò Cornelia, correndo verso di lui insieme a Jackson. Ahrai era intontito per la gomitata, ma riuscì comunque ad alzarsi, anche se con fatica.
«Andiamo, non farla tanto lunga, ti abbiamo colpito appena.» gli disse Kai.
Ripresosi dallo shock, Vincent scattò verso i due ragazzi, ma Cornelia e Jackson lo bloccarono. «Vin, non farlo.» gli fece Jackson, dopo aver dato un rapido sguardo dietro le spalle dei due che avevano fatto mangiare la polvere al suo compagno.
«Ahrai, ti conviene ascoltare il tuo cagnolino se non vuoi prenderle di nuovo.» disse Minerva, con ancora il fuoco di prima nello sguardo. La ragazza, Kai e Riolu erano decisi a dare alla combriccola un’altra lezione, se fosse stato necessario, ma furono interrotti da un vocione. «Voi delinquenti! Con me, si va dalla Chateau.»
A parlare era stato il capo dei guardiani della struttura, Francis, che aveva assistito alla scena dal grande portone dell’Ilitia e aveva fatto l’annuncio con un megafono.


«È solo colpa vostra.» borbottò Kai sottovoce a Vincent e gli altri due, mentre salivano la grande scala di legno che portava alla stanza della direttrice.
Isabelle Chateau era una donna bassina e compatta, con dei capelli biondi che teneva sempre perfettamente lisci, pettinati in un caschetto. Originaria di Kalos, dove prima insegnava matematica in una delle tante scuole superiori di Luminopoli, era un autentico concentrato di malvagità. Era lì da quasi quattro anni, quattro anni in cui il terrore correva sui muri. L’ufficio della Chateau era forse l’unico posto elegante di tutto l’istituto, con un pavimento di parquet chiaro levigatissimo e una scrivania di ciliegio con sopra una lastra di marmo bianco. Sotto la scrivania stava un grande tappeto, su cui stavano anche due poltroncine in velluto rosa. In un angolo c’era un caminetto con dei divanetti, sempre rosa, e un tavolinetto con sopra un servizio da tè. L’altro lato della stanza era occupato da una grande libreria in legno, con la statua in marmo bianco di una figura femminile, forse una divinità.
«Non vorrei essere nei vostri panni...» disse Francis, con una specie di sorrisetto sadico. Poi bussò alla porta. «Avanti!» si sentì rispondere da dentro da una vocina dolce.
«Chiedo scusa per il disturbo, madama.» fece il guardiano, aprendo la porta ed entrando seguito dai ragazzi. «Ho trovato questi ragazzi che cercavano di scatenare una rissa in cortile.»
La Chateau si stava concedendo un attimo di pausa, sorseggiando un tè e leggendo un libro preso dalla sua libreria personale. Minerva allungò lo sguardo per leggere il titolo del libro, “Ultime lettere di Jacopo Ortis” di Foscolo. La donna amava i classici, pur essendo un’ex insegnante di matematica. «La ringrazio, signor Francis. Può andare, ora.»
Francis accennò un mezzo saluto col cappello e uscì fuori dall’ufficio, chiudendo la porta. La Chateau si alzò, dirigendosi verso la scrivania.
«Dunque, tesori, ho sentito un po’ di rumore poco fa dalla finestra. Che cosa è successo?» fece quella, guardando Kai. “Ma che cavolo vuole questa da me?” pensò il ragazzo. Anche Riolu era leggermente inquieto.
Minerva si fece avanti, spavalda: «Madama Chateau, non è stata...»
«Silenzio, tesoro, non è a te che ho chiesto.» la interruppe. La ragazza strinse gli occhi, ad esprimere silenziosamente il suo odio. «Certo. Chiedo scusa.»
Kai intervenne: «Non è stata colpa nostra, ci siamo soltanto difesi.»
«Da cosa, esattamente?» chiese la direttrice. Kai tentennò un momento. Sapeva che le punizioni della Chateau erano terribili, e quasi gli dispiaceva che Ahrai ne subisse una, e con lui tutta la sua cricca. Il pensiero gli sfiorò per un attimo la mente, ma poi pensò “Al diavolo” e raccontò tutto alla direttrice, perfino delle avances poco ortodosse che il bullo aveva fatto alla sua amica. Durante il racconto Ahrai continuava a negare, disperato, ma la Chateau non sembrava dargli importanza. Finito il racconto, la donna si mise a pensare. Dopo qualche istante, sfoggiò un sorriso malefico, dicendo: «Tutti in punizione, tesoro.» con una calma serafica. Kai e Minerva apparvero stupiti. «Cosa?» risposero all’unisono.
«Esattamente.» disse quella. «Signor Francis, venga.»
Francis aveva aspettato fuori dall’ufficio, origliando tutto il tempo. Entrò dentro, estraendo il manganello. «No! Non abbiamo fatto niente!» esclamò Kai. Francis fece per zittirlo con il manganello, ma quello reagì con violenza. «Non toccarmi!» urlò, mentre una vibrazione del suolo, una vibrazione forte, che stava facendo cadere i libri dagli scaffali e il servizio da tè a terra, aveva iniziato a scuotere la stanza. Un terremoto. Non erano rari ad Athena, ma lasciavano sempre tutti comunque un po’ spiazzati.
La stanza continuava a tremare, mentre le iridi di Kai brillavano di un verde intenso, facendo risaltare ancora di più il colore naturale dei suoi occhi. Il ragazzo guardava Francis rabbiosamente, tenendo i pugni serrati, talmente forte che le nocche gli si erano sbiancate.
Minerva colse al volo l’occasione involontariamente offerta dall’amico. «Riolu, rompi quella vetrata!» urlò, riferendosi alla grande finestra dietro la scrivania della Chateau. Riolu colpì il vetro con Breccia, infrangendolo in mille pezzi, e atterrò sul ramo del grande abete nel cortile dell’Ilitia. Minerva diede un pugnetto all’amico sulla spalla sinistra, facendolo risvegliare da quella furia violenta che lo aveva colto. «Andiamo, Kai!» gli fece, balzando prima sulla scrivania e poi sul ramo, ed iniziando a scendere lungo il tronco con delle acrobazie degne di un ninja, mentre invece Riolu aspettava l’altro. Ripresosi da quello stato, Kai evitò all’ultimo secondo una manganellata di Francis con un movimento a spirale, e lo colpì con un calcio sulla gabbia toracica, sufficiente a farlo cadere a terra. Rapidamente e senza esitare, si tuffò nel vuoto, appendendosi al ramo su cui il suo Pokémon lo aspettava, e iniziando a scendere verso terra come aveva fatto Minerva.
«Kai! Minerva!» si sentirono chiamare da fuori il cortile. Appeso alla cancellata c’era un ragazzo biondo che li aspettava. «Di qua, presto!»
I due ragazzi e Riolu scavalcarono velocemente la cancellata di ferro, uscendo da quella prigione che era l’Ilitia, con l’intenzione di non farvi più ritorno. Mentre tutti e tre correvano via, il ragazzo biondo fece: «Ho sentito il terremoto mentre ero qui vicino, come avete fatto a scappare?»
«Te lo spieghiamo dopo, Percy, ora pensiamo a mettere quanta più distanza possibile tra noi e quell’inferno.» rispose Minerva.
Kai era rimasto zitto, e mentre correvano pensava a quello che era successo, a quel potere immenso che aveva sentito dentro di sé. Molto presto avrebbe saputo qualcosa che avrebbe cambiato la sua visione del mondo per tutta la vita, qualcosa che aveva a che fare con le antiche divinità di Athena.
   
 
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