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Autore: JohnTM    31/01/2017    1 recensioni
Parto per il mio Grande Viaggio.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo I
Era il giorno prima della partenza per il mio “Grande Viaggio”, era una tradizione della famiglia di mio padre, ogni Jones che si rispetti a sedici anni ha fatto il suo Grande Viaggio, consiste nel scegliere una meta sperduta e lontana da casa e partire per “maturare e diventare adulti”.
Quando all’età di sei anni mio padre mi raccontò che tra dieci anni a questa parte sarei partito all’avventura da solo, il me bambino iniziò a immaginarsi una strepitosa esperienza e premurosamente iniziai a mettere da parte le piccole mance dei lavoretti in casa, dei compleanni, delle festività in generale. E ora ho un bel gruzzoletto con cui sopravvivere per i tre mesi estivi
Per salutarmi i miei decisero di farmi un regalo.
Il mio Grande Viaggio non volevo farlo da solo però, quella era la mia più grande paura, rimanere solo e sperduto, perciò chiesi a mio padre uno strappo alla regola.
Il mio migliore amico d’infanzia Chase Lee veniva con me ed io ero la persona più felice del mondo.
Mia madre decise di farmi un regalo per la mia partenza, come a convincermi di tornare il prima possibile.
“Fino al tuo ritorno non la muoveremo dal garage, sarà lucida e splendente.” disse mio padre mostrandomi le chiavi della mia prima macchina.
“Grazie mille Pà, lo apprezzo molto, non dovevate!” Ero genuinamente felice, ma fremevo di più per la partenza dell’indomani mattina.
Quella sera fu tranquilla, mangiammo una pizza e guardammo un film noleggiato da mio padre, aveva insistito davvero molto sul vedere quel film, ma finimmo comunque a parlare di ciò che io avrei fatto in quei tre mesi senza di loro.
“Ascolta Will, non voglio ricevere notizie cattive, non fumare e non bere, voglio dire… ogni tanto qualche birretta ci sta, ma non ti ubriacare, fa schifo vomitare. Fidati di tuo padre che le ha passate quelle cose”
“Ma non si dice che gli errori devo farli da solo per capirli” Dissi guardandolo con un mezzo sorriso di sfida.
“Ragazzo non ti azzardare o le conseguenze dei tuoi errori li vedrai al ritorno” disse scrocchiandosi il collo come un lottatore pronto a un match.
“Scherzavo” dissi ridendo, stavo davvero scherzando, non sono quel tipo di ragazzo.
“Ti divertirai un mondo, ne sono certa” mi sorrise mia madre con quella faccia nostalgica come se fossi già partito.
“E magari chissà, potresti trovare qualche ragazza che ti faccia svegliare un pochetto” diceva sempre così, che mi serviva qualcuno che mi svegliasse un pochetto, non ero mai stato un asso nelle relazioni, ma non perché non volessi, non ne sentivo la necessità.
Per mia madre era stranissimo perché lei ha dovuto fare i salti mortali per piacere a mio padre, lui sì che era sveglio alla mia età, un vero Don Giovanni. Ma credo sia qualche strana legge della natura, il gene “Playboy” salta una generazione.
“Mamma, quante volte te lo devo dire, non mi interessa fidanzarmi, sto bene così… voglio solo fare delle nuove esperienze” le risposi un po’ seccato.
“Si si, nuove esperienze. Vedi di fare attenzione piuttosto, in qualsiasi tipo di nuova esperienza” fece virgolettando con le dita le parole: nuova esperienza.
Verso mezzanotte finimmo di vedere il film e assonnati andammo a letto pronti per la partenza.
Sveglia alle nove di mattina per prendere l'aereo che ci avrebbe portarti a Los Angeles, dove il nostro Viaggio sarebbe iniziato, sei ore e mezza di volo, attraversando a bordo di quell'uccello di metallo tutti gli Stati Uniti, tornando indietro di tre ore sull'orologio.
"Stiamo viaggiando indietro nel tempo" disse con aria seria Chase dopo la prima ora di volo.
"Calmati Doctor Who, non stiamo andando a salvare il mondo" replicai.
"Questo è ciò che pensi tu! Non sappiamo a cosa andiamo incontro" Rispose tutto esaltato.
"Già, per ora ti conviene dormire, altrimenti non avrai forze per arrivare a destinazione. E sappi che ti lascio indietro." Non è vero, non l'avrei mai fatto.
Dormimmo, fino a una mezz'oretta prima dell'atterraggio. Eravamo carichi, esaltati, per i prossimi tre mesi ogni nostra azione doveva avere uno scopo; questo era ciò che ci eravamo prefissati.
Scesi dall'aereo e superati i vari controlli uscimmo dall'aereoporto zaino in spalla, ci guardammo negli occhi e quasi come se ci fosse un collegamento telepatico urlammo contemporaneamente
"DESTINAZIONE: BEAR VALLEY SPRING"
"Ora. Il problema è arrivarci" disse in tornando in tono serissimo in pochi nanosecondi.
Scoppiai a ridere, effettivamente sapevamo solo la direzione e il fatto che distasse due ore e mezza di macchina. La prima sfida del nostro Grande Viaggio era questa: Arrivare a destinazione senza pagare un dollaro bucato per farlo. Non volevamo prendere pullman o taxi per quel luogo sperduto tra i boschi e le montagne della California. Ci saremmo arrivati facendo autostop.
Per quanto la legge in California reciti: “Nessuna persona dovrebbe stare in mezzo alla strada per sollecitare un passaggio da ogni tipo di guidatore di ogni tipo di veicolo” noi volevamo farlo lo stesso. Ripensandoci è stupida e pericolosa come idea, ma hey, qui qualcuno cerca di crescere facendo cose stupide.
Non l’avevamo detto ai nostri genitori perché si sarebbero preoccupati per noi ancor di più di quanto non lo fossero già prima della partenza.
Erano le tre e mezza del pomeriggio quando un signore sulla quarantina tanto pelato quanto barbuto e muscoloso ci ha gentilmente offerto un passaggio dall’aeroporto fino a San Fernando.
In questo modo quasi un terzo del nostro percorso fino a Bear Valley Spring era compiuto, eravamo molto fiduciosi di riuscire ad arrivare a destinazione prima del tramonto.
Quarantadue minuti di interminabili canzoni Metal, che dopo questo viaggio, è tra i primi posti nella mia lista “Musica da non ascoltare”.
Sarò io un tipo troppo calmo per quel genere, ma quella musica mi fa venire il mal di testa dopo un paio di minuti.
Tralasciando la sezione musicale, l’omaccione che disse di chiamarsi Henry ci riempì di domande durante tutto il viaggio del tipo: “Ma come mai due ragazzini della vostra età cercano passaggi per posti sperduti? Non mi dite che siete ricercati o cose del genere!”
“No no, si figuri, stiamo andando a BVS per incontrare una persona” avevamo deciso di raccontare questo a tutti i nostri possibili autisti, “Incontrare una persona” forse era un obiettivo che ci eravamo inconsciamente messi in testa.
“Se lo dite voi mi fido” Concluse con un sorriso così grande che gli teneva gli occhi socchiusi.
Era un tipo socievole il signor Henry, una brava persona.
 Arrivati al Cimitero Cattolico di San Fernando che si affaccia sulla 405, il signor Henry, abbassò il volume della sua musica spaccatimpani e ci fece scendere alla stazione di servizio vicina.
“Qui finisce il mio viaggio con voi ragazzi, è stato un piacere conoscervi, buona fortuna ad arrivare… ovunque voi dobbiate arrivare!”
Chase era stato insolitamente silenzioso durante il viaggio, devo dire che al contrario mio lui era un bravo osservatore.
“Arrivederla signor Henry, mi dispiace per la sua perdita” disse lui
“Grazie giovanotto, dispiace tanto anche a me” E lentamente uscì dal parcheggio per raggiungere la sua triste destinazione.
Solo dopo mi spiegò che aveva notato nel bagagliaio un enorme mazzo di fiori bianchi con una foto di una giovanissima ragazza che assomigliava molto al signor Henry, per quanto ne sappiamo era sua figlia, suppongo che anche il signor Henry avesse un motivo, per cui stesse viaggiando. Salutarla per l’ultima volta, un viaggio triste con uno scopo ancor più triste, ma per quanto il signor Henry fosse un adulto, quel triste viaggio l’avrebbe fatto crescere. Come il nostro avrebbe fatto crescere noi.
 
   
 
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