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Autore: reila_guren    02/02/2017    3 recensioni
"-Magnus- la voce di Alec si fece subito più attenta e preoccupata. -Sono le tre di notte, stai bene?-
-Io... beh ho avuto un incubo.- Magnus sapeva di suonare ridicolo. Il potentissimo Sommo Stregone di Brooklyn che chiamava il suo... qualsiasi cosa fosse Alec per lui, perché aveva fatto un brutto sogno.-"
Nota: La storia segue gli avvenimenti dell'episodio 5 della seconda stagione della serie TV, ma non contiene veri e propri spoiler della puntata e può essere letta anche da chi non segue il telefilm.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il bambino camminava lento lungo i campi. I suoi piccoli piedi nudi sprofondavano nell'acqua e il terreno melmoso si infilava tra le dita, rendendo instabili i suoi passi. Le persone intorno a lui erano concentrate sul loro lavoro. Le schiene nude degli uomini, bruciate dalla lunga esposizione al sole, brillavano di sudore, piegate sotto il peso di un lavoro sfinente, e le casacche di tessuto grezzo delle donne erano bagnate di sudore e umidità.
Il bambino conosceva tutte quelle persone, quando si vive in un piccolo villaggio è normale conoscere tutti. L'avevano sempre trattato con gentilezza, era un bambino educato e intelligente, e gli abitanti del villaggio non avevano mai mancato di spendere qualche momento con lui quando lo vedevano. All'improvviso, però, tutti avevano cambiato atteggiamento nei suoi confronti. La signora che di nascosto gli dava le patate dolci ora gli lanciava guardi spaventati. Non c'erano più dolcetti al miele da parte della vicina per lui, né animaletti intagliati nel legno con cui giocare. Ma non erano solo gli abitanti del villaggio a trattarlo diversamente, anche i suoi genitori erano cambiati. Sua madre non gli cantava più canzoni per farlo addormentare, né lo stringeva quando i tuoni lo spaventavano così tanto che non riusciva a dormire. Nelle notti tempestose si era sempre infilato sotto le coperte con lei e aveva ascoltato le storie che gli raccontava, addormentandosi al suono della sua voce. Ora invece quando c'era il temporale era costretto a rannicchiarsi sotto la coperta sottile e coprirsi le orecchie con le mani, sperando che passasse presto. Non sapeva spiegarsi perché all'improvviso avessero smesso di volergli bene, ma sapeva che era colpa sua se ora i suoi genitori e gli abitanti del villaggio lo guardavano con odio e timore. Vedeva nei loro occhi la paura e sapeva che c'era qualcosa di sbagliato in lui, qualcosa di innaturale e malvagio.
Il bambino continuava a camminare. Ad ogni passo smuoveva l'acqua sotto ai suoi piedi, attirando l'attenzione delle persone che lavoravano e che per guardarlo abbandonavano le piantine di riso che in file ordinate ricoprivano il campo. Il bambino rivolgeva loro sguardi speranzosi. Sperava in un sorriso affettuoso, in una mano amica che gli spettinasse i capelli o gli infilasse in tasca una di quelle focacce di mais che gli piacevano tanto, ma nessuno aveva gesti o parole gentili per lui questa volta.
Un uomo aveva raccolto una pietra da terra. Il bambino lo conosceva bene, una volta gli aveva regalato un coniglio intagliato nel legno. Lo guardava con odio, stringendo la pietra nel pugno chiuso.
-Demone!- aveva sibilato e poi con forza aveva scagliato la pietra che aveva colpito il bambino sulla nuca.
Il bambino aveva urlato di dolore e piangendo era corso verso casa, in cerca di un conforto che non avrebbe trovato.
Una fitta pioggia aveva iniziato a cadere, rendendo velocemente fangoso il terreno e sporcandogli ancora di più i piedi. Le sue gambe l'avevano condotto automaticamente al fienile. L'odore del fieno era esaltato da quello della pioggia e gli riportava alla mente le giornate passate lì dentro con gli altri bambini, ad inventare storie e giocare. Si sentiva così solo.
L'ambiente era quasi completamente buio, ma una volta che i suoi occhi si erano abituati all'oscurità aveva visto qualcuno in un angolo. Sua madre era in piedi su un malandato sgabello di legno, sopra di lei pendeva un cappio. Nonostante l'assenza di luce, il bambino era riuscito a vedere la sua espressione che traboccava tristezza e rassegnazione.
-Li vedo anche al buio- aveva detto la donna con voce sommessa -brillano proprio come quelli di un gatto. Sono occhi di demonio, i tuoi.- Poi si era infilata il cappio attorno al collo e aveva dato un calcio allo sgabello. I suoi occhi erano rimasti fissi sul figlio finché non si erano spenti, restando vuoti come pozzi.

Suo padre lo trascinava per il braccio. L'aveva trovato quella sera sotto al corpo della madre, gli occhi ormai vuoti di lei l'avevano fissato per tutto il tempo, accusatori. L'uomo aveva gettato uno sguardo alla moglie morta, con la testa piegata in modo innaturale e il viso contratto negli spasmi della morte, e poi aveva rivolto la sua ira sul bambino. Gli aveva tirato uno schiaffo che l'aveva fatto finire per terra, la caduta leggermente attutita dallo strato di paglia umida e sporca che ricopriva il pavimento. Il bambino aveva cercato di sfuggire alla furia del padre, ma l'uomo era più veloce e l'aveva afferrato per un braccio e trascinato fuori fino al fiume lungo il quale aveva tante volte giocato. Non aveva detto niente, ma nel momento in cui l'aveva afferrato per i capelli e spinto verso l'acqua, il bambino aveva visto il proprio riflesso distorto nel fiume. I suoi occhi un tempo di un caldo marrone, ora erano dorati e attraversati da una sottile pupilla verticale: occhi da gatto. Occhi da demonio.


Magnus si svegliò di soprassalto. Era ricoperto di sudore, ma tremava di freddo e le lenzuola gli si erano attaccate addosso in modo fastidioso. Si mise a sedere e respirò profondamente, cercando di riprendere il controllo di sé. Erano anni che non faceva quel sogno. Aver parlato a Clary della morte di sua madre aveva riaperto una ferita del suo passato che non si era mai del tutto rimarginata e nonostante fossero passati secoli, letteralmente, in quel momento si sentiva ancora come quel bambino di nove anni che aveva visto la mamma morire per colpa sua. Sentiva la stessa paura, lo stesso senso di colpa, la stessa solitudine e lo stesso senso di abbandono che aveva provato da piccolo. Prese il copriletto giallo canarino che era finito in fondo ai piedi e se lo strinse addosso.
Era una fortuna che si fosse svegliato poco prima di rivivere il tentativo del suo patrigno di annegarlo. Ancora adesso riusciva a sentire l'acqua bruciargli la gola e i polmoni ad ogni respiro, sentiva le mani forti dell'uomo tenergli la testa sott'acqua e sentiva i sassi appuntiti ferirgli i piedi nudi mentre si dibatteva. Sospirò e si prese la testa tra le mani. Davanti a lui lo specchio rifletteva due brillanti occhi dorati. Chiuse le palpebre e quando le riaprì erano spariti, sostituiti da un caldo color cioccolato.
Odiava svegliarsi da solo quando aveva gli incubi. Aveva bisogno di avere qualcuno accanto che lo distraesse o non sarebbe riuscito a togliersi dalla mente il sogno che aveva fatto. Chairman Meow saltò sul letto e gli si acciambellò in grembo.
-Sì, lo so che ci sei tu con me.- Disse Magnus grattandolo dietro alle orecchie e il gatto iniziò a fare le fusa.
Magnus prese il cellulare sul comodino e titubante aprì la lista dei contatti. Erano le tre di notte e non era sicuro che il loro tipo di relazione prevedesse telefonate nel cuore della notte, dopotutto non erano nemmeno usciti insieme ancora. Tuttavia il bisogno di sentire la sua voce era troppo forte per essere ignorato.
-Pronto?- La voce assonnata di Alec lo fece subito rilassare.
-Alexander, ciao. Scusami se ti ho svegliato.- Disse Magnus continuando ad accarezzare Chairman Meow. -Magnus- la voce di Alec si fece subito più attenta e preoccupata. -Sono le tre di notte, stai bene?- -Io... Beh ho avuto un incubo.- Magnus sapeva di suonare ridicolo. Il potentissimo Sommo Stregone di Brooklyn che chiamava il suo... qualsiasi cosa fosse Alec per lui, perché aveva fatto un brutto sogno.
-Oh- rispose Alec. Rimase in silenzio per un po', probabilmente incerto su cosa si dovesse dire in casi come quello, e alla fine disse: -Ti va di parlarne?-
Magnus sospirò stanco. Raccontargli il sogno sarebbe servito solo a renderlo più reale e lui voleva solo non pensarci.
-Non proprio. È solo una cosa successa tanto tempo fa.- Prima o poi, se le cose tra loro fossero proseguite, gli avrebbe raccontato qualcosa del suo passato, ma non era quello il momento. -Parlami, però. Raccontami qualcosa, così mi distraggo.-
-Uhm...-
Magnus sentì un rumore come di coperte smosse e un letto cigolare, poi Alec disse: -Oggi sono andato a fare shopping.-
-Sei andato a fare... cosa?- Magnus era sorpreso e divertito. Non riusciva ad immaginare Alec a fare qualcosa di così mondano come andare al centro commerciale. Sembrava comicamente fuori posto nella sua mente, in mezzo a manichini all'ultima moda.
-Shopping- ripeté il ragazzo. -In realtà mi ha costretto Izzy. Ha detto qualcosa riguardo al fatto che non posso andare al mio primo appuntamento con i vestiti che ho, quindi ha insistito per accompagnarmi a comprare qualcosa.-
Magnus sorrise e si rimise sotto le coperte. -A me non importa di quello che indossi, Alec.-
-Lo so,- rispose lui -altrimenti non mi avresti mai nemmeno guardato.-
-Alexander!- Esclamò Magnus divertito -era una battuta quella che hai appena fatto?-
-Penso di sì. Allora non sono poi così noioso.-
Scoppiarono entrambi a ridere, poi Magnus tornò serio e disse: -Tu come stai? Come va con i tuoi genitori?-
Non aveva ancora avuto modo di chiedergli come Robert e Maryse stavano prendendo l'improvviso coming out del figlio, ma conosceva gli Shadowhunters e soprattutto conosceva i Lightwood, quindi poteva immaginare la risposta...
Alec rimase in silenzio per un po', riflettendo: -Credo che ce l'abbiano ancora con me. Non ne parlano, ma non credo che mi abbiano perdonato.-
-Mi dispiace. Dai loro tempo. Sono i tuoi genitori, ti vogliono bene.- Magnus sapeva per esperienza che a volte i genitori non erano in grado di accettare i propri figli per quello che erano, ma sperava che i tempi fossero cambiati e che Alec non dovesse passare quello che aveva passato lui da bambino.
-Lo so. Vorrei solo che fosse più semplice.- Disse Alec sbagliando.
-Le cose più belle spesso sono le più difficili, Alexander.- Rispose Magnus -ora però ti lascio dormire.-
-No, tranquillo, non ho sonno.- Farfugliò Alec soffocando un altro sbadiglio.
-Invece sì- ridacchiò Magnus e fece spazio a Chairman Meow sotto alle coperte. Il gatto si acciambellò di fianco a lui. -Non preoccuparti, ora sto bene.-
-Ok.- Rispose Alec e Magnus lo sentì rimettersi a letto. -Grazie per aver chiamato- aggiunse poi imbarazzato -puoi farlo ancora, se vuoi. Se hai bisogno. Sì, ecco... Io ci sono.-
Magnus riusciva quasi a vedere la sua faccia rossa di imbarazzo mentre parlava e sentì un piacevole calore riempirgli il cuore. Era passato così tanto tempo dall'ultima volta che qualcuno si era preoccupato per lui.
-Ti ringrazio. Buonanotte, Alexander.-
-Buonanotte. Ah e Magnus...- Si bloccò, incerto se proseguire, e alla fine disse: -Non vedo l'ora di uscire con te.-
Magnus si sciolse in un sorriso. -Anche io non vedo l'ora di uscire con te. Ora dormi, però.-
Interruppe la chiamata, rimise il telefono sul comodino e ascoltando Chairman Meow che faceva le fusa sul suo stomaco chiuse gli occhi, lasciando che il bambino che con i piedi scalzi camminava per i campi di riso tornasse in un angolo dei suoi ricordi.
  
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