Segnali
di fumo
All these sounds still echo
in my mind,
and as conducted by death
himself it all comes together as music.
A rhythm of death
A symphony of war
Avvertimenti: War!AU, morte di un personaggio principale, nomi di luoghi veri
storpiati
perché è un universo alternativo anche al nostro.
Il suono della campana
raggiunge gli estremi del continente
Worthy of my undying regard
Se
mai fosse
tornato vivo da quella guerra (l’aveva giurato) avrebbe
comprato una di quelle
stupide case sul Miccisippi, una di quelle che si espandeva non in
larghezza
sulla riva del fiume, bensì in lunghezza – una di
quelle vecchie case di
proprietari terrieri che non volevano pagare le tasse per avere la
camera da
letto con vista sul fiume.
Ma
ehi, tanto non
sarebbe tornato vivo per nulla, vista la situazione in cui era riuscito
a
cacciarsi. E pensare che, solo quella stessa mattina, si trovava sulla
spiaggia, alla foce di un qualche fiume dal nome improponibile, a fare
surf
mentre il napalm bruciava un intero villaggio nemico: certo, un surf
estremo,
ma quando è il colonnello a ordinare ai propri sottoposti di
fare surf perché
ci sono delle splendide onde e sarebbe un peccato non sfruttarle, che
cosa può
fare un semplice soldato?
(Si
era anche
divertito: da secoli non solcava delle onde così alte!)
Ecco,
quella
mattina quasi era impazzito tra il rimbombare delle onde e i fulmini
dei fucili
e dei lanciarazzi, mentre ormai, quella stessa sera, si trovava con un
piede
nella fossa – una fossa senza nome e in terra straniera. Una
gioia, insomma.
Non avrebbe mai più rivisto la propria famiglia, con un
fratello troppo piccolo
per la guerra e un altro lontano abbastanza da essere considerato da
tutti come
obiettore di coscienza; non avrebbe mai comperato quella stupida casa
sul Miccisippi;
non avrebbe mai avuto quel posto nella Galley-la, quello che aveva
adocchiato
da quando la compagnia aveva deciso di costruire un intero centro
finanziario
operativo a New Water 7; non avrebbe mai potuto esaudire tutti questi
desideri,
perché durante la ricognizione di quel tardo pomeriggio, nel
mezzo di quella
dannatissima giungla umida e di uno scontro a fuoco improvviso, aveva
perso di
vista il proprio gruppo e il fucile aveva smesso di funzionare,
maledetto
arnese. La polvere che si era sollevata nella lotta l’aveva
accecato, le grida
(in lingue conosciute e sconosciute) gli avevano attraversato le
orecchie come
dei rombi di aerei, e aveva visto un compagno cadere prima di finire a
terra,
con la schiena contro un albero e con la sensazione di una morte
viscida
attaccata al collo. Aveva ancora due soli caricatori e cercare di
sistemare la
carabina al buio non sembrava portare risultati concreti: per di
più accendere
la torcia o chiamare aiuto con un razzo di segnalazione era fuori
discussione,
visto come il luogo brulicava di nemici. Era davvero riuscito a
scavarsi la
fossa da solo, e quei bastardi avrebbero dovuto soltanto piantargli un
proiettile in testa per porre fine a tutte le sue preoccupazioni.
Là,
piantato nella
giungla, schiacciato contro le radici di un’enorme pianta
come il muschio ha
presa salda sulle pietre, sentì i passi dei nemici smuovere
il terreno. Si
rannicchiò il più possibile contro
l’albero e smise di respirare: sotto
l’elmetto il sangue pulsava come l’acqua in un
idrante, mentre le mani
tremavano per l’eccitazione e l’adrenalina. Non era
una persona paurosa, ma
trovarsi a qualche metro dalla morte, a vent’anni, quando
aveva combattuto
soltanto contro degli animali feroci (e mai contro degli uomini!), era
un’esperienza traumatizzante. Forse solo sopravvivere a una
malattia mostruosa
gli avrebbe tolto qualsiasi paura – soprattutto quella di
finire nelle mani di
quei bastardi e vedersi tolta la libertà.
La
gabbia: bastava che la immaginasse, che
quella gli
annebbiava la vista. Tutto, ma non la gabbia. La morte, ma
non la gabbia.
Il
rametto che
qualcuno aveva spezzato sotto i piedi era troppo vicino. Non si accorse
di aver
stretto i denti come quando si sta per essere operati senza anestesia.
Trasalì
quando
qualcuno, nel buio, appoggiò una mano accanto alla sua
testa, contro la
corteccia della pianta. «Aspetta» aveva detto
l’individuo, in una lingua
comprensibile (benché appena un sussurro); poi si era
chinato per essere faccia
a faccia con il nostro giovane soldato, in modo che la poca luce lunare
colpisse gli occhi e dimostrasse di essere un alleato. «I
nostri nemici ora
avranno due soldati da colpire, non uno solo.»
Non
era ironia tra
commilitoni: quel marine comparso all’improvviso (o meglio,
solo dopo un
rametto spezzato) era più serio del colonnello che, quella
mattina, aveva
spronato i propri sottoposti a fare surf sul campo di battaglia, mentre
la
battaglia infuriava – e sì, il colonnello era
stato accigliato e severo come a
un funerale di Stato. Il nostro soldato annuì, rincuorato
dalla comparsa di un
marine che non aveva mai visto prima. Aveva le cicatrici di un veterano
e
l’addestramento di un reparto speciale.
«Grazie,» disse il nostro, e dopo
essersi presentato chiese: «Qual è il tuo
nome?»
«Mi
chiamavano Helbleidd,
al campo,» rispose il marine (alto come una montagna,
constatò il nostro). «Se
hai una Beretta o qualcosa del genere, tienitela stretta. Ci
servirà, visto che
la tua carabina è inservibile.»
Ehi,
Helbleidd
suonava bene. Gli ricordava il fatto di essere dalle parti
dell’inferno: doveva
ancora prendere una cartolina e portarla ai propri fratelli. Non poteva
morire
lì – non quando aveva incontrato un uomo in grado
di aiutarlo a uscire da
quella giungla.
⁂
Helbleidd
aveva in
bocca una sigaretta spenta, ancora intatta. Il nostro giovane soldato
si
domandò non tanto perché non l’avesse
ancora accesa, bensì da dove arrivasse il
fumo che si arricciava attorno alla testa di Helbleidd: sembrava quasi
un fuoco
fatuo (grigio, però), piuttosto che il fumo di un
falò o di un campo. Il nostro
rimase in silenzio, specie perché il nemico era vicino.
(Perché
stavano
combattendo quella guerra? Non se lo ricordava benissimo: di certo era
più
facile richiamare alla mente la mattina sulla tavola da surf o la sera
prima, quando
c’era stato quello spettacolo di belle ragazze
sull’isola precedente. Belle
ragazze davvero.)
«Arrivano»
aveva
detto il marine infernale, imbracciando il fucile e proteggendosi
dietro un
tronco d’albero. Il nostro aveva appena fatto in tempo a
nascondersi che un
proiettile venne sparato da uno dei ricognitori nemici e
fulminò l’aria a
qualche centimetro dalla sua faccia. Helbleidd uscì dalla
copertura per fare
fuoco.
«Atten—»
stava per
sussurrare il giovane, quando vide una pallottola filare diritta
attraverso la
testa di Helbleidd. Era certo che il grosso soldato sarebbe caduto a
terra,
morto, e che lui da solo avrebbe dovuto combattere nel buio: per questo
motivo
sparò un colpo di disperazione. Dopo un secondo, vide che
invece il marine era
rimasto in piedi, illeso, senza smettere di sparare, con la precisione
di una
Diana (d’altronde era notte e Apollo è una
creatura diurna) e le urla dei
feriti come sottofondo orrorifico. In un certo qual modo, si trattava
di una
scena entusiasmante – gli parve che qualcuno gli avesse
iniettato
dell’eccitante direttamente nel braccio, perché
sollevò la pistola e tese
l’orecchio, prima di entrare nella linea di fuoco e di
sparare un colpo, poi un
altro, una capriola fino all’albero successivo per riprendere
fiato e giù di
nuovo nella sparatoria, con Helbleidd al fianco che evitava i
proiettili in
qualche maniera malefica. Sembrava esser costituito non da carne e
ossa, ma da
puro gas – puro fumo, quel fumo che non proveniva dalla
sigaretta (ma dunque da
dove arrivava?) –, e con quello respingeva tutti gli artigli
della morte.
Sembrava
un
miraggio disegnato a pennello per un soldato sul ciglio
dell’abisso: un
miraggio, già, eppure era saldo come una roccia e tangibile
come la stanchezza
dopo una battaglia.
Il
nostro giovane
soldato non poté sapere con precisione per quanto tempo
Helbleidd restò in
piedi, consumando un caricatore dopo l’altro, mentre lui
doveva tenersi ben
stretto quei trenta proiettili della propria pistola. Fortunatamente
bastarono,
da parte sua; quando, prima dell’alba, Helbleidd si
lanciò al fianco del
giovane, con il fiato corto e l’ultimo caricatore pronto,
sentì che quella era
un’occasione per vivere – perché la
morte era così vicina, ma così vicina—
«Fuoco
di
copertura. Striscia fuori dalla vista e io ti raggiungerò.
Da quella parte,
oltre un fiumiciattolo.» Helbleidd indicò il cielo
che si intravedeva tra le
piante e che stava schiarendosi piano.
Il
nostro annuì,
senza neanche tentare di opporsi alla decisione: avendo visto
combattere il
marine, decise di lasciargli il campo. Quello evitava i colpi nemici
come se
fosse un fantasma, mentre lui sapeva bene di non essere in grado di
compiere
simili meraviglie. Una parte di lui avrebbe voluto rimanere
lì e combattere
fino alla fine, come aveva fatto per ogni singola battaglia vissuta in
precedenza; un’altra era stata colpita dalle mani di
Helbleidd, quelle di un
veterano, quelle che da piccolo associava o al nonno o a qualche
capitano di
ventura dei vecchi libri del bar giù al porto – e
dagli occhi risoluti di un
uomo che, costi quello che costi, avrebbe salvato un altro uomo.
(Forse
era senso
del dovere...? E non l’aveva nemmeno visto così
bene, al buio, però aveva
avvertito tutto questo, compreso il senso di sicurezza dato dalle
indicazioni
abbastanza precise sulla loro posizione e quella del campo. Forse la
prossimità
alla morte causava di queste burle.)
Helbleidd
si
rialzò per l’ultima resistenza, mentre il giovane
soldato, rannicchiato,
cominciò a camminare cercando di non far rumore. Scansava i
rametti e le foglie
secche con determinazione, senza dimenticare l’addestramento
impartitogli,
pensando solo a seguire il sole e a trovare una fonte d’acqua
– era poco più
avanti, e sembrava tutto sospettosamente tranquillo.
Il
marine
ricomparve all’ultimo momento – ultimo
perché il nostro ragazzo si era trovato
nel mirino di un soldato nemico, che aveva avuto il tempo necessario a
scrivere
Portgas sul proiettile, a prendere
la
mira e a sparare: nell’arco di tempo necessario alla
pallottola per raggiungere
la testa del giovane, Helbleidd l’aveva raggiunto e aveva
cacciato via il colpo
come se fosse stato una minuscola, insignificante mosca.
L’aveva scacciato con
una mano, quella da veterano o da capitano di ventura, guardandola con
gli
occhi risoluti di un salvatore d’uomo.
Anche
il soldato
nemico rimase sorpreso quanto il nostro – ma finì
a terra, accoltellato, mentre
marine e giovane ripresero a correre come due lupi incontro al sole.
⁂
Il
nostro giovane
soldato, quando giunse assieme a Helbleidd nei pressi
dell’accampamento, si
levò il sudore dalla fronte con una mano e
ringraziò il marine che l’aveva
cavato fuori da una pessima situazione. L’uomo, scrollando le
spalle, si limitò
ad annuire e a scivolare di nuovo nella giungla, verso il sole che
avrebbe
presto cominciato a salire dietro le piante più alte.
Ora
aveva una gran
storia da raccontare: quando il resto della truppa lo vide ancora in
piedi, fu
praticamente trascinato fino al primo medico del campo che trovarono.
«Un
soldato
chiamato Helbleidd? Perdio!» Esclamò il vecchio
medico, che aveva appena finito
di applicargli dei punti in faccia. Con uno scatto inaspettato, il
dottore si
diresse verso un’altra tenda, e il nostro lo
seguì, pensando che quel vecchio
scheletro gli ricordava lo spirito della donna che aveva allevato lui e
i suoi
fratelli. «Certo che lo conosciamo! È
qui.»
Come
poteva esser
lì, se si era rifugiato di nuovo nella foresta? Il nostro
aveva ipotizzato che
fosse andato a cercare altri dispersi, com’era stato nel suo
caso; invece, in
quella tenda da obitorio, su un tavolo giaceva un uomo che per stazza e
per
mani era di certo comparabile a Helbleidd. Sollevato il telo sulla sua
testa,
si rese conto che anche il viso e i capelli erano simili a quelli di
Helbleidd,
per quello che ne aveva visto e che si ricordava.
«Ragazzo,
forse
hai raccontato una storia vera,» continuò il
medico, «ma questo è l’uomo che
cerchi, Helbleidd, ed è qui da ieri sera, quando
è spirato.»
Lo
fissò a lungo. Un’illuminazione
nacque nella mente del nostro soldato, come se una lampadina si fosse
accesa o
come se una campanella avesse cominciato a squillare:
quell’uomo ormai spento
era e non era il suo salvatore. Portgas era salvatore di se stesso
attraverso
la proiezione di un altro uomo, così come ogni uomo
appartiene a se stesso e
all’umanità – era stata solo una piccola
sensazione, eppure l’aveva consolato, dopo
aver appoggiato le mani sul bordo del tavolo per sollevare il telo che
copriva
il volto di Helbleidd. Uno sconosciuto gli aveva salvato la vita e, da
quel
momento in avanti, a questo soldato di cui conosceva solo le mani e gli
occhi avrebbe
portato grande rispetto; nella casa sul Miccisippi, davanti ai propri
fratelli,
avrebbe potuto raccontare dell’onore che gli fu offerto
quando il medico gli
porse le targhette identificative di Helbleidd.
«Da
ieri sera?»
Chiese il ragazzo, rigirandosi le placchette tra le mani.
Il
medico annuì, e
poi aggiunse: «Prima di morire per un’infezione
piuttosto grave, disse che
avrebbe fatto giustizia, e che il suo ultimo desiderio era di salvare
un
soldato circondato dai nemici. Sentita la tua storia, ragazzo, sta bene
che tu
prenda le sue targhette.»
Il
nome Helbleidd era stato inciso con
un
coltellino o con un cavatappi, qualcosa del genere, sotto il suo vero
nome. Non
c’era dubbio: quella sigaretta spenta che Helbleidd aveva
tenuto in bocca per
tutta la notte doveva essere un segno del destino, visto che in vita il
marine si
era chiamato Smoker.
Portgas
se ne uscì
dalla tenda dei morti con le targhettine di Smoker in mano,
abbandonando la
pistola su qualche cassa in disordine, e decise di farsi un giro di
surf in
onore dello spettro infernale che l’aveva tirato fuori dalla
giovinezza, che
aveva superato con lui la linea d’ombra del loro tempo di
guerra.
Note:
Il
sottotitolo
alla raccolta viene da Diary of An
Unknown Soldier, dei Sabaton.
Storia
scritta
grazie alla canzone chiamata Camouflage,
che parla proprio di una storia del genere. Una cover di questa canzone
è dei
Sabaton, ormai saprete che li adoro.
Fatemi
sapere se
convenga inserire l’avvertimento OOC: onestamente? A me
così paiono, ma ad
altri potrebbero risultare in maniera diversa. Ai posteri
l’ardua sentenza. Ho
deciso che, per una volta, mi poteva andar bene così.
Helbleidd
› di per
sè, questo nome non significa nulla in nessuna lingua
esistente. Blaidd, se non sbaglio,
vale lupo grigio in gallese, il che
mi
sembrava appropriato per Smoker (ed è diventato bleidd). La radice hale-
in gallese si riferisce alla caccia. Smoker è il Cacciatore
Bianco, dunque ho
messo insieme le varie cose. Helbleidd, con una pronuncia un
po’ stramba, può
sembrare l’inglese Hell Blade. (Per questo nome si ringrazi
Geralt di Rivia e
l’autore della bellissima serie di libri a lui dedicata.)
La linea d’ombra, libro di
Conrad, è un’opera che consiglio
a tutti. Il sottotitolo della storia è una citazione proprio
dalla Linea d’Ombra.
Il
titolo è un
adattamento dal pensiero di John Donne: «No man is an island,
entire of itself;
every man is a piece of the continent, a part of the main. [...] Each
man’s
death diminishes me, for I am involved in mankind. Therefore never send
to know
for whom the bell tolls; it tolls for thee.»
Tradotto (malamente) dalla sottoscritta: «Nessun uomo
è un’isola, completo di
per se stesso; ogni uomo è un pezzo di continente, una parte
dell’intero/tutto.
La singola morte di un uomo mi sminuisce/diminuisce, perché
io faccio parte
dell’umanità. Perciò non mandare mai a
chiedere per chi suoni la campana [che
suona a morto]: suona per te.»
Si
ringrazi anche
il film Apocalypse Now. Qualcuno
riconoscerà il surf, il colonnello e le belle ragazze.
Questa
è la prima
parte di una mini-raccolta di due capitoli a tema guerra&SmoAce
(SmoAce
trattato in maniera tutt’altro che romantica, a dire il vero.
Pace). Inizialmente
doveva essere una raccoltona mega-gigante di cinquanta shots SmoAce
(speculare,
per certi versi, a Indice di fuoco),
ma mi son resa conto che venti ne ho cominciate, e una sola –
in cinque mesi –
ho finito, mentre solo due sono quelle che voglio
finire. (don’t worry, me still loves SmoAce. Spero che
qualcun altro prosegua
nella scia della SmoAce, perché ne ho bisogno.)
Grazie
per aver
letto, per tutto il sostegno, per tutto quanto.
Stay
safe!
claws_Jo
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.