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Autore: Emmastory    05/02/2017    3 recensioni
Anche se il tempo continua a scorrere, le cose nell'un tempo bella e umile Aveiron sembrano non cambiare. La minaccia dei Ladri è ancora presente, e una tragedia ha ora scosso l'animo dei nostri amici. Come in molti hanno ormai capito, quest'assurda lotta non risparmia nessuno, e a seguito di un nobile sacrificio, la piccola ma coraggiosa Terra sembra caduta in battaglia, e avendo combattuto una miriade di metaforiche e reali battaglie, i nostri eroi sono ora decisi. Sanno bene che quest'assurda e sanguinosa guerra non ha ancora avuto fine, ma insieme, sono convinti che un giorno riusciranno a mettere la parola fine a questo scempio, fatto di sangue, dolore, fame, miseria e violenza. Così, fra lucenti scudi, affilate spade e indissolubili legami, una nuova avventura per la giovane Rain e il suo gruppo ha inizio. Nessuno oltre al tempo stesso sa cosa accadrà, ma come si suol dire, la speranza è sempre l'ultima a morire.
(Seguito di: Le cronache di Aveiron: Miriadi di battaglie)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le cronache di Aveiron: La guerra continua

Capitolo I

Come sabbia fra le dita

Ero esterrefatta. Non riuscivo a muovermi, a ragionare o a concentrarmi. Avevo dalla mia parte la compagnia del mio gruppo, ma nonostante questo, mi veniva davvero da piangere. Lacrime. Acqua che minacciava di sgorgare dai miei occhi da un momento all’altro. Attorno a me non c’erano che dolore, miseria e distruzione, e mentre sia il tempo che il mio intero mondo parevano aver smesso di muoversi, io ero lì, ferma e china sul corpo della mia povera figlia, che all’età di soli cinque anni, aveva raccolto tutto il suo coraggio per difendere me. Sua madre, la donna che le aveva donato la vita. Muta e letteralmente incapace di parlare, non facevo che guardarla e piangere in silenzio. Guardandomi intorno, non dicevo una parola, ma anche solo con l’aiuto dello sguardo, cercavo aiuto. In quel preciso istante, Stefan e Soren mi notarono, e avvicinandosi, il mio amato si rese subito conto di quanto stesso accadendo. “Mio Dio, Terra.” Biascicò, con la voce rotta e spezzata dall’emozione. Proprio come me, non riusciva a crederci. La sua bambina, piccola principessa, che ora giaceva lì, immobile e quasi priva di vita. Inginocchiata in terra, la guardai, e solo allora, notai un particolare. Stentavo a crederci, ma non era morta. La mia piccola era ancora viva, e respirava. Il suo petto si alzava e abbassava lentamente, ma c’era un ritmo, e questo bastava. Allarmato, Stefan le afferrò un polso, e guardandoci per un attimo negli occhi, ci sentimmo sollevati. Sembrava un miracolo, ma il suo piccolo cuore batteva. Seppur rinfrancata da quella vista, non potei evitare di piangere, e i miei singhiozzi si trasformarono presto in grida disperate. “Aiuto! Un dottore! Ci serve un dottore! È per nostra figlia!” urlavo, sperando che qualche buon’anima sopravvissuta come noi a quest’insulso massacro potesse aiutarci. Con il cuore dolente ma al contempo gonfio di speranza, facevo saettare lo sguardo ovunque, andando alla muta ricerca del dottor Patrick, o perlomeno di una qualunque persona con indosso un camice bianco. Inutile è dire che fossi disperata e paralizzata dal terrore, ma improvvisamente, qualcosa accadde. Grazie alla forza della disperazione, scelsi di agire. Mi concentrai quindi sulla ferita nella schiena di mia figlia, e chiudendo gli occhi per un attimo, mi feci coraggio. Con un gesto secco estrassi quell’arma, e subito dopo, fu il turno di Stefan. “Non perdere tempo, andiamo.” Mi disse, invitandomi ad alzarmi e sollevando da terra il corpo della nostra piccola. La prese quindi in braccio, e correndo, mi incitò a seguirlo. Limitandomi ad annuire, obbedii senza proteste, e durante quella così sfrenata corsa verso l’ignoto, ascoltavo i suoni e le urla della povera gente intorno a me. Suoni che sentivo ininterrottamente, e che avevo ormai imparato ad ignorare. Ben presto, questi vennero sostituiti da altro, ossia dalle parole del mio amato. Fra un passo e l’altro, parlava a nostra figlia. “Va tutto bene Terra, sei con papà adesso.” Le diceva, parlandole con la sola speranza di mantenerla cosciente ed evitare di perderla. In fin dei conti, era la nostra primogenita, ed ero sicura che se questo fosse accaduto, entrambi ne saremmo usciti distrutti. “Sei al sicuro adesso, piccola. Hai capito?” continuò, ponendole quella domanda al solo scopo di sincerarsi di essere ascoltato e sentito. La nostra amata Terra era viva, ma dato il gran dolore derivante dalla ferita sulla sua schiena, non parlava. Non riusciva davvero a farlo, ma in cuor mio speravo ardentemente che si riprendesse. “Ti prego, piccola mia. Ti prego. Torna da mamma, per favore.” Continuavo a ripetere, parlando con me stessa e sperando che qualcuno di molto più in alto oltre a lei potesse sentirmi. Data la situazione, poteva apparire scontato, ma stavo davvero pregando Dio perché la salvasse. Da molti avevo sentito dire che il destino era scritto, e che per tale ragione nulla si poteva cambiare, ma io non ci credevo. In fondo, perché mai qualcuno di superiore a me e alla mia intera e allargata famiglia avrebbe dovuto scrivere un capitolo così triste per le nostre rispettive vite? Non lo sapevo, né potevo saperlo, e benché fosse accaduto, non potevo accettarlo. Non lei, non la mia bambina. La dolce e adorabile creatura che avevo tenuto sotto il mio cuore per nove lunghi mesi, ancora troppo giovane, piccola e fragile per questa vita, piena di dolore, miseria e violenza. Ad ogni modo, il tempo aveva seppur lentamente ripreso a scorrere, e data la situazione, ogni attimo era una tortura, un vero e doloroso supplizio. I minuti passavano, ed io rimanevo metaforicamente ferma a incolparmi di quanto fosse appena accaduto. “Perché non l’avevo fermata? Perché non l’avevo lasciata alle cure di mia madre o di Lady Fatima? Perché?” domande che mi ponevo incessantemente, soffocando ogni volta l’impulso di urlare e piangere. Intanto, la nostra corsa continuava, e improvvisamente, un viso amico si palesò davanti ai nostri occhi. “Dottor Patrick! Dottor Patrick! Chiamai a gran voce, vedendolo notarci solo allora. “Ragazzi! Che cosa…” provò a chiedere, faticando a parlare per lo sforzo e l’emozione. “Papà! Ti prego, aiuto. Si tratta della bambina. Aiuto!” rispose Stefan, non badando al tono che utilizzò nel parlare. “Accidenti, è grave. Venite con me, presto.” Commentò, ordinandoci poi di seguirlo verso un edificio che ai nostri occhi appariva malconcio e abbandonato da parecchio tempo. Confusa, mi guardai intorno. Le pareti bianche e piene di crepe, le porte delle stanze chiuse, le luci attaccate al soffitto che penzolavano appena sopra di noi. In quel momento, un lampo di genio. Sembrava incredibile, ma finalmente, avevamo raggiunto un vero ospedale. Mantenevo il silenzio, ma era come se il mio cuore fosse stretto in una morsa. Il dolore mi stava consumando, e in quel preciso istante, avevo un unico desiderio. Rivedere la mia bambina in forze. Vederla sorridere, sentirla parlare, ascoltare il suono della sua risata, in una parola, riaverla. Senza proferire parola, guardai il mio Stefan negli occhi, pregandolo di posare la povera e ora incosciente Terra fra le braccia del nonno. “Avrà cura di lei. Sai che puoi fidarti, Stefan.” Gli dissi, notando la riluttanza che tentava in ogni modo di mascherare. Decidendosi, il mio amato scelse di ascoltarmi, e deponendo la bambina fra le braccia di suo padre, si voltò dando le spalle ad entrambi, e concentrandosi poi su di me. Provando istintivamente pena per lui, lo abbracciai, stringendolo a me con forza inaudita. “Pensi che ce la farà?” mi chiese, con la voce corrotta da un dolore impossibile da nascondere. Scivolando nel più completo mutismo, non risposi. La sofferenza mi dilaniava, ma nonostante questo, raccolsi le mie energie, e parlando in completa sincerità, mi espressi. “Guardami negli occhi e ascoltami.” Gli intimai, facendomi improvvisamente seria. “Ricordi quello che ha detto Rachel? Bene, io non ci credevo, ma ha ragione. Terra non è solo una bambina. Lei è forte, molto forte, perciò sì, ce la farà.” Risposi poi, vedendo il suo sguardo illuminarsi. In quel preciso istante, la gioia parve pervaderlo, e senza pronunciare una singola parola, avvicinò le sue labbra alle mie, baciandomi. Non muovendo un muscolo, lo lasciai fare, e quella sera, passai gran parte del tempo nella stanza assegnata alla nostra piccola, tenendole la mano e pregando. Proprio come mi aspettavo, Stefan mi rimase accanto, e mentre la luna e le compagne stelle prendevano il loro posto nel cielo scuro e quasi tinto di nero, sussurrò qualcosa. “Rain?” mi chiamò, quasi volendo sincerarsi di avere tutta la mia attenzione. “Sì?” risposi, spostando il mio sguardo su di lui. “Voglio crederci.” Disse poi, terminando quella frase con un secondo e più leggero bacio sulla fronte, che accettai con un sorriso. In parole più povere e comprensibili, quella notte fu per noi colma di dolore e tristezza, ma anche di speranza, poiché entrambi, orgogliosi della nostra amata bambina, non avremmo permesso che la sua vita scivolasse via come la fine sabbia di una spiaggia fra le nostre stesse dita.
   
 
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