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Autore: Bankotsu90    05/02/2017    2 recensioni
1968: mentre gli occhi del mondo sono puntati sulla contestazione giovanile, sulla primavera di Praga, sulla guerra in Vietnam e sugli imminenti giochi olimpici di Città del Messico, un archeologo statunitense si reca nella capitale messicana poiché un suo collega ha fatto una scoperta molto importante. Ciò che troverà sarà allucinante... Prequel di Kill Me.
Genere: Horror, Mistero, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri, Crack Pairing | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Morte e resurrezione.'
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Città del Messico, 4 luglio 1968
 
Un Boeing 707 della Pan Am proveniente da New York era appena atterrato all'aeroporto internazionale Venustiano Carranza. A bordo di esso, fra gli altri passeggeri, spiccava un uomo sulla cinquantina, con capelli neri corti e occhi grigi che indossava un completo elegante e stava scrivendo un diario:
 
4 luglio. Dopo un volo di 5 ore sono finalmente giunto a Città del Messico, dove dovrò incontrarmi col professor Alejandro Martinez, stimato collega e amico di vecchia data, il quale qualche settimana mi ha scritto di aver effettuato una nuova scoperta a Palenque, antica città-stato creata dal popolo dei Maya intorno al V secolo d.C. e poi abbandonata dai suoi abitanti verso la fine dell’VIII. Il telegramma che mi ha spedito era piuttosto vago, e spero di ottenere da lui maggiori dettagli quando lo incontrerò.
 
“Señor?” Lo chiamò una voce femminile.
 
Alzò lo sguardo e vide una hostess che lo fissava sorridendo cordiale.
 
“Sì?”
 
“El avión aterrizó. Tiene que bajar…  (l’aereo è atterrato. Deve scendere…)”
 
“Sì.”
 
Si alzò, chiuse il diario e si incamminò.
 
*******
Sceso dal velivolo si guardò attorno: il cielo quel giorno era terso, e faceva molto caldo.
 
Nel telegramma diceva che mi avrebbe atteso al terminal… Spero di aver scelto il giorno giusto, il suo lavoro all'Università nazionale autonoma lo tiene molto impegnato.
 
*****
Giunto alla dogana fu sottoposto ai soliti controlli di rito: una volta superati fece per incamminarsi quando una voce conosciuta lo chiamò:
 
“William!”
 
Si voltò e vide un uomo sulla sessantina con capelli e barba corti di colore grigio, dall'abbronzatura color mattone e che indossava una camicia rossa e dei jeans.
 
“Alejandro!”
 
I due si strinsero la mano.
 
“Fatto un buon viaggio?”
 
“Sì, non posso lamentarmi.”
 
“Seguimi, ho posteggiato la mia auto qua fuori.”
 
“Volentieri.”
 
********
Usciti all'aperto, i due archeologi salirono a bordo di una Chrysler 300 di colore nero, la quale dopo poco si avviò in mezzo al traffico.
 
“Come ti vanno le cose a Nueva York?”
 
“Benone, nella mia ultima conferenza ho ricevuto molti elogi.”
 
“E tuo nipote James? Mi sembra che ora abbia 13 anni.”
 
“Non lo vedo dal giorno del ringraziamento... Ma ogni tanto lo sento via telefono. Sta bene.”
 
Alejandro rise.
 
“Tuo fratello… Come si chiama?”
 
“Noah.”
 
“Tuo fratello Noah e la sua famiglia dovrebbero lasciare Utica e trasferirsi da te.  È triste che due fratelli siano separati.”
 
“Non può… Lì ha una casa, un’attività. E poi non si troverebbe bene in una grande città come New York… Una metropoli che non dorme mai, con le attrattive ma anche con molti problemi. In primis la criminalità.”
 
“Ah, capisco.”
 
“Piuttosto… Qual è la grande scoperta?” Domandò William, voltandosi verso il suo amico e collega.
 
“Un bassorilievo, che abbiamo trovato nel tempio del sole. Secondo le mie stime risale al VII secolo dopo Cristo.”
 
“Quando è stato scoperto?”
 
“Circa tre settimane fa.”
 
“Come mai i media non hanno parlato della scoperta?”
 
“Gli occhi del mondo sono puntati altrove… Cecoslovacchia, Vietnam, Nigeria. Così l’unico a parlarne è stato il quotidiano El sol del Mexico, in un articoletto a pagina 8.”
 
“Capisco… Dove maggiore c’è minore cessa.”
 
“Già, proprio così.”
 
Ora stavano passando in via Quetzalcoatl; pedoni che andavano avanti e indietro, auto ferme ai semafori, un pullman carico di turisti, un tram giallo… La tipica scena cui potevi assistere in ogni città del mondo.
 
“Dove è conservato il reperto?”
 
“All'università locale, dove lavoro.”
 
“Dovrebbe stare in un museo.”
 
“Prima ci serve la tua valutazione; nel campo dell’archeologia sei considerato una vera autorità.
 
“Anche tu te la cavi.”
 
“Più siamo prima risolveremo questo mistero.”
 
William, perplesso domandò:
 
“Quale mistero?”
 
“Te lo dirò appena arriveremo all'università. Anche perché voglio farti conoscere alcuni nostri colleghi.”
 
“Volentieri… Posso accendere la radio?”
 
“Fai pure.”
 
William allungò la mano e girò la manopola; stavano trasmettendo un notiziario.
 
“Mancano meno di cinque mesi alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America, in cui si affronteranno Richard Nixon per il partito repubblicano e Hubert Humphrey per il partito democratico (che ha preso il posto di Robert Kennedy, fratello del defunto presidente John, entrambi morti assassinati uno a cinque anni di distanza dall'altro). Temi principali della campagna elettorale portata avanti dai due candidati saranno i rapporti con l’Unione Sovietica di Breznev, il coinvolgimento americano nella guerra del Vietnam e la questione dei diritti civili per gli afroamericani.”
 
********
Ore 12:25
 
Giunti a destinazione William e Alejandro scesero dall'auto e videro da lontano la sede dell’università nazionale autonoma, un edificio di 12 piani attorno a cui stava un cortile nel quale passavano alcuni studenti.
 
“Bella, vero? È la più antica del paese, fu fondata nel XVI secolo.”
 
“Lo so… Ora però muoviamoci.”
 
Alejandro lo condusse attraverso il cortile e poi, una volta varcata la porte d’ingresso, si trovò davanti a tre persone: un uomo con capelli corvini corti e occhi neri sulla trentina, un asiatico della stessa età con capelli neri, occhi del medesimo colore che indossava un completo elegante nero, un uomo sulla sessantina con capelli bianchi corti e occhi azzurri e infine una giovane donna sui 25 anni con capelli verdi lunghi e occhi viola.
 
“William, ti presento i professori Henry Walton Jones, di Edimburgo…”
 
L’uomo fece un cenno col capo.
 
“Tadaomi Miyano di Tokyo…”
 
“Molto lieto.”
 
“Arjen Rudd di Città del Capo…”
 
“Piacere di conoscerla.”
 
“E infine Angie Connell, di Sidney. Signori, vi presento William Black, celebre archeologo di New York.”
 
“Conosco di fama il dottor Black.”
 
“Come io lei, dottor Miyano. Corre voce che lei sia un ladro di tombe.”
 
“Preferirei un appellativo meno provocatorio.” Replicò lo scienziato giapponese, palesemente contrariato da quell'epiteto.
 
“Non ne dubito.” Affermò William con tono blandamente ironico.
 
“ Signori, vi prego. Non è il momento di perdere tempo in bisticci infantili.” Intervenne Alejandro, che voleva evitare polemiche e litigi tra i suoi colleghi.
 
“In tal caso smettila di fare il misterioso e mostrami questo bassorilievo.” Lo esortò William.
 
“Certamente… Seguitemi, vi faccio strada.”
 
L’archeologo si avviò, seguito a ruota dai suoi colleghi.
 
Durante il tragitto William aveva un’aria pensierosa.
 
Perché Alejandro ha convocato ben 4 archeologi? Si tratta di un bassorilievo, non certo del  Mjöllnir.
 
Pensò.
 
Alejandro li guidò in una stanza, arredata in modo semplice: una libreria appoggiata a una parete un tavolo dove stavano posati oltre ai ferri del mestiere (come una scopetta, una paletta e un bisturi) una grossa lastra di pietra che rappresentava una dozzina di persone prostrarsi di fronte a una figura femminile il cui aspetto e abiti erano inusuali.
 
“È questo il reperto?” Chiese, anche se conosceva già la risposta.
 
“Esatto.”
 
L’americano la scrutò attentamente per qualche minuto, poi disse:
 
“Ha circa 1300 anni, risale al periodo di regno di Yohl Ik'nal, che fu la prima regina di Palenque.”
 
Alejandro annuì.
 
“Esatto, governò la città-stato per circa 20 anni (583/604 d.C.). E qui la possiamo vedere mentre rende omaggio a questa donna sconosciuta, probabilmente qualche divinità maya.”
 
“Ma non assomiglia a nessuna divinità nota… Non è  Auilix, né Ixchel né Ixtab.”
 
“Dice bene, dottor  Black… Chiunque sia la donna ritratta nel bassorilievo non appartiene al pantheon Maya.” Intervenne Tadaomi.
 
“Ma allora chi è? E da dove viene?”
 
“Questa forse può aiutarci.” E mentre diceva questo Alejandro gli porse una tavoletta ricoperta di glifi.
 
William la prese e la esaminò.
 
“Viene anch'essa dal tempio del sole?”
 
“Esatto. Prova a decifrarla.”
 
L’archeologo tirò fuori dalla tasca una lente di ingrandimento, la accostò alla tavoletta e cominciò a leggere.
 
“Nel diciassettesimo anno di regno della regina Yohl Ik'nal, una dea proveniente da oltre la grande acqua giunse in volo presso la nostra città. Il suo arrivo destò grande meraviglia tra i cittadini, che la accolsero con grandi onori; essa aveva lunghi capelli bianchi, occhi color dell’oro e indossava vesti sgargianti e sinuose. Era dotata di incredibili poteri, tra i quali la capacità di trasformarsi in una belva gigantesca, con il pelo bianco e gli occhi color del sangue. All'inizio nessuno comprendeva il suo linguaggio, ma dopo breve tempo ella imparò la nostra lingua e ci raccontò la sua storia: era giunta da una terra lontana chiamata paese del Sol Levante, ed era giunta a Palenque per puro caso. Apparteneva ad una famiglia molto potente. Fu ospite della regina Yohl per circa tre lune, dopodiché riprese il suo viaggio.”
 
Alzò lo sguardo e guardò i suoi colleghi, sbalordito.
 
“Paese del Sol Levante... Quindi quella donna era giapponese?” Chiese.
 
“Così dicono le iscrizioni. Certo, qualcuno potrebbe sostenere che tanto la tavoletta quanto il bassorilievo siano falsi, ma io, te e i nostri colleghi ne abbiamo appurato l’autenticità.”
 
“Vi rendete conto che la storia è da riscrivere? Questa donna è giunta nel Nuovo Mondo prima di Colombo, prima ancora dei Vichinghi! Ovviamente non credo al fatto che vi sia arrivata in volo, ma è comunque una scoperta sensazionale!”
 
“E non è la sola, dottor Black… Glielo garantisco.” Intervenne la sua collega australiana, sorridente.
 
“Che intende dire, signorina Connell?”
 
“Lo scoprirà…  Ci segua.”
 
**********
Dopo un breve cammino i 6 archeologi entrarono in una sala di proiezione.  Tutti si accomodarono su delle poltrone in prima fila, tranne Alejandro che si avvicinò al proiettore.
 
“Di sicuro ti sarai chiesto perché ho convocato ben 4 nostri colleghi, oltre a te.”
 
“Esatto.” Rispose Black.
 
“Bene, te lo spiegherò: essi hanno visitato siti archeologici in varie parti del mondo, e in tali occasioni hanno compiuto delle scoperte… Come dire? Sorprendenti. All'inizio non ci hanno fatto caso, ma quando hanno notato delle analogie nei manufatti da loro trovati, beh… Sono rimasti a bocca aperta.”
 
“Che tipo di manufatti?”
 
“Ora vedrai…”
 
Acceso il proiettore, Alejandro cominciò a far scorrere alcune diapositive.
 
“Un mosaico romano, risalente al IV secolo d.C. scoperto dal dottor Jones nel pressi del Vallo di Adriano.”
 
“Un ritratto del 1467, realizzato da  Sesshū Tōyō. Trovato dal dottor Miyano a Yamaguchi.”
 
“Pitture rupestri Khoisan scoperte in Sudafrica, risalenti al XII secolo a.C. scoperte dal dottor Rudd.”
 
“Una scultura Moche risalente al IV secolo d.C. L’ho scoperta in Perù nel 1962.”
 
“E infine altre pitture rupestri, realizzate dagli aborigeni australiani attorno al 1000 a.C., scoperti dalla qui presente signorina Connell. Questi sono solo alcuni dei reperti anomali da loro scoperti negli ultimi anni, in varie parti del globo.”
 
“Affascinanti, non c’è che dire. Ma non capisco cosa abbiano di anomalo…”
 
Si interruppe, come folgorato. Sgranò gli occhi in una espressione di sorpresa, per poi esclamare:
 
“Oh, mio dio…”
 
“Ci sei arrivato, finalmente.” Disse Alejandro.
 
“Rappresentano tutti lo stesso soggetto!”
 
“Giusto. Se osserverai meglio, noterai che in alcune opere la donna è da sola, mentre in altre è affiancata da una o due persone, simili a lei.”
 
“E qui sorge spontanea la domanda: come è possibile che popoli e civiltà, separate non solo dallo spazio ma anche dal tempo abbiano raffigurato gli stessi esseri?”  Chiese il sudafricano.
 
“Avrei tre di ipotesi… Ma sono entrambe assurde.”
 
“Le esponga comunque, dottor Black. Una volta eliminato l'impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev'essere la verità.”
 
“Vedo che ha letto Sherlock Holmes, dottor Jones.”
 
“Ovviamente. I gialli, insieme all'archeologia, sono una mia grande passione.”
 
“Ad ogni modo le possibilità sono tre: o si tratta di un mito ancestrale, magari una religione primitiva sorta quando l’uomo era ancora confinato in Africa e che si è tramandata in varie culture oppure…”  Si interruppe, come se temesse di pronunciare una eresia.
 
“Oppure? Su, parli!” Lo esortò Angie, ansiosa.
 
L’americano emise un sospiro, poi riprese:
 
“Che la donna e gli atri due siano dei viaggiatori del tempo, o extraterrestri,  o magari abbiano ottenuto in qualche modo l’immortalità.”
 
Nella stanza calò un silenzio totale.
 
“Sono ridicolo, vero?” Chiese lui.
 
“Beh, dottor Jones… In mancanza di prove valide le sue restano solo teorie.” Spiegò il suo collega sudafricano.
 
“E a proposito di teorie, ne avrei una terza.”
 
“Quale, dottor Miyano?”
 
“Si dice che in Giappone, nei tempi antichi, circolassero varie specie di yokai.”
 
I suoi colleghi lo guardarono confusi.
 
“Yokai?” Domandò Henry.
 
“Un tipo di creatura soprannaturale della mitologia nipponica. Come ho detto prima erano divisi in varie specie. I malvagi oni, i kappa e le nure-onna  per esempio erano creature mostruose e si notavano. Ma altri erano diversi, sembravano umani. Erano gli yokai umanoidi; esistevano anche yokai animali (come le nekomata) o oggetti (come i karakasa). Erano dotati di poteri straordinari. La loro presenza è stata segnalata fino all'epoca Sengoku, poi sembrano svanire nel nulla.”
 
“Quali poteri?”
 
“Beh… Di preciso non lo so.  Qualcuno controllava il ghiaccio, le kitsune potevano assumere qualsiasi sembianza, altri potevano trasformarsi in animali. Inoltre erano decisamente longevi, alcuni forse immortali.”
 
“Come la donna del bassorilievo!”
 
“Esatto.”
 
Sempre più disorientato William si passò una mano sul volto.
 
“Mi sembra di essere in un fumetto degli X-men… Mio nipote va matto per quella roba.” Affermò, cupo in volto.
 
“All'inizio eravamo sbalorditi quanto te, amigo.”
 
“E adesso? Cosa dovremmo fare?”
 
“Risolvere questo mistero, ovviamente. È il nostro dovere, in quanto archeologi.”
 
“Non è così facile, dottor Jones. Il nostro compito è ricostruire la storia di popoli e civiltà ormai scomparsi da tempi immemori partendo dall'analisi delle loro vestigia e dalla decifrazione della lingua. Ma qui siamo nel campo del sovrannaturale, e sinceramente non credo ai miti e alle leggende; io mi occupo di storia vera.”
 
“Questa è storia vera. Le abbiamo appena fornito le prove.” Gli ricordò Henry, indicando lo schermo per le proiezioni.
 
“Sono troppo scarse. Non abbiamo niente, tranne alcuni reperti che ci dicono che quelle… Persone esistono ma non sappiamo chi siano, non sappiano la loro storia né la loro provenienza.”
 
“Vero. Beh, ne discuteremo con calma durante il pranzo.”
 
“Pranzo?”
 
“Certamente. Non vorrà mica restare a stomaco vuoto?”
 
“Certo che no.”
 
“Ho già prenotato un tavolo per 6 al sir Horatio Nelson, uno dei ristoranti più raffinati della capitale.” Lo informò Alejandro.
 
“Ottima notizia. Quando ci andiamo?”
 
“Subito. È già tardi." Gli rispose il suo amico e collega, guardando l'orologio.
 
********
Ore 13:00
 
Un corteo formato dall'auto di Alejandro e da quattro taxi stava attraversando le strade della capitale, diretto verso il sir Horatio Nelson. William era seduto accanto al suo amico e collega messicano, e ogni tanto guardava fuori dal finestrino.
 
“Sbaglio o i turisti sono più numerosi del solito?”
 
“Non sbagli… Sono tutti ansiosi di assistere al grande evento.”
 
È vero… Un evento del genere attira frotte i turisti da ogni parte del mondo.
 
Fra tre mesi esatti Città del Messico avrebbe ospitato la XIX edizione dei  giochi olimpici, il primo evento del genere ospitato in un paese dell’America Latina.
 
“Il presidente Ordaz è convinto che ospitare i giochi olimpici  dia prestigio al paese ospitante, e sta facendo del suo meglio per rimettere a lucido la nazione e suscitare buona impressione sia negli atleti che nei turisti.”
 
“Logico.”
 
“Mai assistito alle olimpiadi? Dal vivo, intendo.”
 
“8 anni fa, le olimpiadi di Roma. Ci sono andato con la mia famiglia.”
 
“Capisco. E le altre?”
 
“In TV, ovviamente.”
 
“Capisco... Sai, la TV è qualcosa di magico. Grazie ad essa puoi vedere film, serie TV, notiziari e documentari. Puoi osservare ogni angolo del globo, dal Messico al Cile, dal Portogallo all'Unione Sovietica. Quando eravamo giovani io il massimo della tecnologia delle comunicazioni era la radio.”
 
“Già… Dopo che hai trovato quel bassorilievo a Palenque ti è capitato niente di strano?”
 
Alejandro distolse per un momento gli occhi dalla guida, guardando il suo amico.
 
“Che intendi per strano?”
 
“Tentativi di furto, o minacce.”
 
Alejandro scosse la testa in segno di diniego.
 
“No, niente del genere.” Detto ciò torno a concentrarsi sulla guida.
 
“Meglio così.”
 
“Sei preoccupato per questo?”
 
“L’ignoto genera sempre paura.”
 
“Non temere… Deve esserci una spiegazione logica per questo mistero. E noi la troveremo.”
 
William lo guardò senza replicare. Non voleva darlo a vedere, ma quella faccenda lo inquietava non poco. Il fatto che dei popoli lontani sia dal punto di vista geografico che temporale abbiano rappresentato gli stessi soggetti non poteva essere spiegato in modo razionale. Se erano viaggiatori del tempo bisognava chiedersi innanzitutto da quale epoca provenissero. Attualmente non esisteva una tecnologia che permettesse il viaggio nel tempo, e per quanto ne sapeva lui non sarebbe mai esistita. Se erano esseri immortali bisognava chiedersi come avevano ottenuto la vita eterna. In passato gli era capitato di leggere l’Epopea di Gilgameš, re sumero che aveva tentato invano di ottenere l’immortalità. L’ipotesi extraterrestre era poi da escludere: altrimenti i Maya avrebbero parlato di divinità provenienti dalle stelle, non dal Giappone.  L’ipotesi yokai era da scartare.
 
Merda… Rischio il manicomio solo per avere formulato certe ipotesi.
 
Pensò.
 
*********
Piazza della costituzione, ore 13:25
 
Piazza della Costituzione era la principale piazza di Città del Messico ed era una delle più grandi al mondo. Popolarmente veniva chiamata el Zócalo, ed era considerato il centro dell'identità nazionale messicana. La piazza si trovava nel cuore della zona conosciuta come centro storico di Città del Messico. Era circondata dalla cattedrale a nord, il palazzo nazionale a est e il comune a sud.  Come al solito, quel giorno c’era una grande animazione: persone che andavano avanti e indietro o che sedevano ai tavoli di un bar lì vicino. Non mancavano ovviamente i turisti, tra i quali spiccava una donna con lunghi e lisci capelli neri,  gli occhi blu e rossetto sulle labbra, che indossava una camicetta bianca, una gonna nera e scarpe dello stesso colore. Avvicinatasi a una edicola disse:
 
“El sol del Mexico, por favor.”
 
“Subito, señorita.” Rispose l’anziano edicolante.
 
Prese una copia del quotidiano e gliela porse.
 
“Gracias.”
 
“De nada.”
 
La donna si mise il giornale sottobraccio e si incamminò verso il bar. Sedutasi a un tavolo cominciò a leggerlo. La prima pagina era occupata principalmente dagli imminenti giochi olimpici.
 
SI AVVICINANO LE OLIMPIADI DEL 1968
 
Gli atleti messicani, orgoglio della nostra nazione, si allenano duramente per gli imminenti giochi olimpici.
 
Per quanto si sforzino non potrai piazzarsi ai primi tre posti, praticamente già prenotati da Stati Uniti, Unione Sovietica e Giappone.
 
Pensò, orgogliosa della squadra del suo paese.
 
Notizie interne, non le interessavano. Notizie dall'estero: a Tokyo, capitale del  Giappone si sono verificati scontri tra le forze di polizia e i membri dello Zengakuren, sindacato giovanile comunista che protestano contro il governo di Eisaku Sato, poiché non condanna l’intervento americano in Vietnam. Mentre era assorta nella lettura una voce maschile le chiese:
 
“Desidera, señorita?”
 
Alzò lo sguardo e vide un cameriere che le sorrideva benevolo.
 
“Un café, por favor.”
 
“Subito.”
 
L’uomo si allontanò, mentre lei riprese a leggere.
 
Pensandoci bene il Messico è un paese splendido… Siti archeologici (Palenque, Teotihuacan, Calakmul, Chichen Itza ), località balneari di prim'ordine, alberghi lussuosi… Persino la rete stradale è efficiente. La sola cosa a rovinarlo è il governo autoritario di Ordaz.
 
L’anno precedente si era recata in Bolivia per svolgere una missione di routine. Lo ricordava come se fosse ieri…
 
Inizio flashback
 
Provincia di Vallegrande, dipartimento di Santa Cruz, Bolivia, 9 ottobre 1967
 
Un fuoristrada Toyota serie 40 procedeva lungo una mulattiera; alla guida stava la donna misteriosa, che indossava un paio di occhiali da sole, una maglia blu, un paio di jeans e scarpe bianche; tra le labbra teneva una sigaretta accesa.
 
Che latrina di paese…. Non hanno neanche una rete stradale!
 
Pensò, disgustata.
 
Guardò l’orologio da polso e vide che erano le 13:07.
 
Ancora un po’ e arriverò a destinazione.
 
Pensato questo tornò a concentrarsi sulla guida.
 
*********
La Higuera, ore 13:15
 
Il fuoristrada era appena giunto in un piccolissimo villaggio di circa 15-20 case.  Dopo un breve tragitto si fermò e da esso scese la donna. Si guardò intorno, incontrando lo sguardo di alcuni paesani che la fissavano curiosi.
 
Probabilmente sono la prima straniera che mette piede qui… Non hanno mai visto una come me.
 
Avvicinò uno degli autoctoni (una donna quechua in abiti tradizionali) e domandò:
 
“Dove sono i militari?”
 
“No entiendo, señorita.”
 
“Dónde están los soldados?” Ripeté la straniera, in uno spagnolo perfetto.
 
“Ah, soldados! Sígueme, que están esperando!”
 
La donna la guidò fino alla scuola del paese, dove stavano alcuni soldati dell’esercito locale. La corvina vide la sua guida parlottare coi soldati, poi uno di loro si fece avanti tendendole la mano.
 
“Lei deve essere…” Esordì ma fu interrotto.
 
“Sì, sono io. Niente nomi!”
 
“Lasci almeno che mi presenti: sergente Mario Terán.”
 
“Bene, Mario… Il soggetto è lì dentro?”
 
L'uomo annuì.
 
“Sì, señorita. Aspettavamo solo voi per l’esecuzione.”
 
“Come si è svolta la cattura?”
 
“Lo abbiamo preso a pochi chilometri da qui, si è arreso dopo essere stato ferito alle gambe.”
 
“Bene… Vado da lui.”
 
“Le faccio strada.”
 
Il sergente la accompagnò fino a una delle classi, dove stava un uomo in divisa, con capelli  e barba neri e occhi dello stesso colore. Era seduto sul pavimento, appoggiato a una parete e aveva un’aria tranquilla; nel sentirli alzò lo sguardo verso di loro.
 
“Lasciami sola con lui.”
 
“Sicura?”
 
“Sì.”
 
“Come vuole.”
 
Mario uscì richiudendosi la porta alle spalle.
 
Per qualche secondo nessuno dei due disse nulla, poi l’uomo disse:
 
“A un primo incontro, in genere si usa presentarsi.”
 
La corvina annuì.
 
 
“Tsubaki?”
 
“Semplicemente Tsubaki.”
 
“Lavorate para los americanos? Siete della CIA?”
 
“La CIA è l'agenzia per cui lavoro, ma sono affiliata a una organizzazione molto più occulta. Qualcuno mi definirebbe un agente doppio.”
 
“Penso sia inutile chiederle quale.”
 
“Esatto.”
 
“Non insisterò. Lei sa chi sono?”
 
La donna annuì.
 
“Ernesto Che Guevara, terrorista comunista e mercenario al soldo dell’Unione Sovietica.”
 
“Primo errore: io sono vicino alla Cina, il mio vecchio amico Fidel è vicino ai Sovietici. Secondo, io mi considero un rivoluzionario e un guerrigliero.”
 
“Cina o URSS fa lo stesso. Le vostre attività di guerriglia in Africa ed America Latina hanno attirato l’attenzione dei miei superiori. Inoltre tre anni fa avete tenuto un discorso alle Nazioni Unite, quando eravate ministro dell’industria a Cuba.”
 
“Capisco… È qui per uccidermi?”
 
“Per punire i vostri crimini.”
 
“Crimini? Liberare i popoli del terzo mondo da governi corrotti e schiavi dell’imperialismo statunitense sarebbe un crimine?” Le chiese lui, indignato.
 
“Non dica sciocchezze… Lei ha sempre fallito: in Guatemala come nel Congo, l’unica rivoluzione che ha avuto successo è quella cubana. E con quale risultato? Il cantante è cambiato e la musica è sempre la stessa! Avete abbattuto una dittatura per rimpiazzarla con un’altra. E, cosa ancora più grave…” Sfoderò dalla tasca una Luger P08, che puntò contro il suo interlocutore.
 
“Avete voltato le spalle alla libertà e alla democrazia, in favore del comunismo. La libertà è un ideale sacro, e un diritto che ogni essere umano acquisisce alla nascita. Chi tenta di togliere questo diritto ai suoi simili merita solo la morte.”
 
“Ha qualcosa da ridire contro il comunismo?”
 
“È una ideologia liberticida e anti-democratica. Ovunque sia andato al potere ha instaurato regimi totalitari: Unione Sovietica, Mongolia, Cina, Corea del Nord, Cuba. Certo, neanche l’attuale regime boliviano è democratico, come non lo è quello nel vicino Brasile… Ma l’alternativa è anche peggiore.”
 
Il Che scosse la testa e sbuffò.
 
“Evidentemente siamo di idee troppo diverse… Potremmo discutere per ore senza trovarci d’accordo.”
 
“Già… E io non ho tempo da perdere.”
 
Detto questo Tsubaki sparò, colpendolo al cuore. L'uomo spalancò gli occhi in uno sguardo che era un misto di dolore e sorpresa, poi li chiuse e chinò il capo mentre una macchia rossa si allargava sul lato sinistro della divisa. Era morto. In quel momento il sergente Terán entro nella stanza.
 
“È morto?” Chiese.
 
“Sì.” Rispose lei.
 
L’ufficiale si avvicinò al cadavere e ci sputò sopra.
 
“Bastardo de mierda... Erano mesi che ci teneva in scacco con la sua guerriglia!”
 
“Ora il dente è stato tolto. Il resto lo lascio a voi.”
 
Detto questo la donna rinfoderò la pistola e fece per andarsene.
 
“ Il presidente Ortuño la ricompenserà per questo.” Le disse Mario.
 
“Non vedo l’ora…” Replicò lei.
 
Fine flashback
 
Grazie a quell'impresa venni decorata da Ortuño in persona e intascai anche 700.000 Boliviani.
 
“Señorita?” La chiamò una voce.
 
Alzò lo sguardo e vide il cameriere di prima che le porgeva una tazzina di caffè.
 
“Gracias.”
 
“De nada.”
 
La prese e la bevette in un sorso. Poi gettò uno sguardo alla piazza; all'inizio non c’era nulla di anomalo, poi apparve una Chrysler 300, seguita da quattro taxi. Osservando meglio vide che a bordo dell’auto c’era il professor Alejandro Martinez con accanto un altro uomo.
 
“Hay un teléfono público por aquí?”
 
“Sì, señorita. Es por allá.”
 
E dicendo questo le indicò una cabina telefonica simile a quelle inglesi, ma di colore viola. Dopo aver pagato il conto e aver lasciato la mancia al cameriere Tsubaki la raggiunse, vi entrò e compose un numero. Dopo tre squilli una voce maschile chiese:
 
“Ci sono novità?”
 
“Ho appena avvistato il bersaglio, viaggia sulla sua auto insieme a un altro uomo ed è seguito da ben quattro taxi.”
 
“Dove sono diretti?”
 
“Al ristorante sir Horatio Nelson, come mi ha comunicato il nostro contatto all'università.”
 
“Raggiungili subito. È necessario scoprire quanto sanno sul bassorilievo.”
 
“Ma come faccio? Sono a piedi!”
 
In quel momento udì un colpo di clacson e si voltò. A poca distanza da lei stava una  Alfa Romeo Giulia Spider rossa fiammante. Alla guida stava una ragazza che aveva i capelli neri a caschetto, con un cerchietto rosso, occhi rossi e indossava un abito nero attillato che metteva in risalto le sue forme prosperose.
 
“Come avrai sicuramente visto non sei l’unica agente operativa sul territorio. Ora salta a bordo e seguili.” La invitò la corvina.
 
“Sì!”
 
Uscita dalla cabina raggiunse l’auto e salì a bordo.
 
“È da un po’ che non ci vediamo, Tsubaki!” La salutò la ragazza, allegra.
 
“Un mese, per la precisione.”
 
L'autista le rivolse una occhiata maliziosa.
 
“Mi sei mancata…”
 
Detto questo le accarezzò una guancia, per poi scendere sul collo. Tsubaki deglutì e chiuse gli occhi.
 
“Yura… Ti prego.”
 
“Che c’è?”
 
“Tieni a freno i tuoi impulsi… Ti ricordo che siamo in missione, e Seiya non è molto gentile con i falliti.”
 
“Ok.”
 
Tsubaki sorrise e la baciò sulle labbra.
 
“Una volta conclusa ti porterò nell'albergo più lussuoso di Città del Messico e lì ci divertiremo quanto vuoi.” Le promise.
 
“Non vedo l’ora!” Affermò Yura entusiasta, leccandosi le labbra.
 
Lei e Yura erano amiche di sesso da 7 anni, cioè da quando, durante una missione a Santo Domingo, in un albergo a tre stelle le era praticamente saltata addosso. Non che le due fossero dell’altra sponda, diciamo che stavano in mezzo. Per loro uomini o donne non faceva differenza.
 
*********
Ore 14:01
 
Il gruppo di Alejandro era appena giunto al ristorante sir Horatio Nelson.
 
“È un ristorante di cucina europea.”  Spiegò ai suoi colleghi.
 
“Meglio così. La cucina messicana non mi attrae, è troppo piccante.” Commentò Henry.
 
“Su, ora entriamo.”
 
******
Una volta all'interno furono accolti dal proprietario, un uomo sulla quarantina che assomigliava in modo impressionante ad Emiliano Zapata.
 
“Benvenuto, professor Martinez!” Esordì, sfoggiando un sorriso cordiale.
 
“Grazie, Pancho. Come vanno gli affari?”
 
“Muy bien, specie in questo periodo, con le olimpiadi alle porte! Come può vedere la clientela straniera e più numerosa del solito.”
 
Era vero; molti clienti del ristorante erano stranieri, sicuramente turisti venuti per assistere ai giochi olimpici.
 
“Immagino siate qui per il pranzo.”
 
“Esatto.”
 
“Vi faccio strada.”
 
L’uomo li guidò fino a un tavolo, dove i 6 si sedettero.
 
“Che desiderate?” Chiese loro.
 
“Non dovrebbe essere un cameriere a prendere le ordinazioni?” Chiese Angie.
 
“In questo caso voglio farlo personalmente. Il professor Martinez è una celebrità nel campo dell’archeologia, e la sua presenza qui è un onore per me.” Affermò.
 
“Ok… Allora per primo gradiremmo un piatto di cannelloni con ricotta e spinaci.”
 
“Subito, señorita!”
 
Detto questo l’uomo si congedò.
 
********
Al tavolo accanto una ragazza con lunghi capelli azzurri e occhi blu stava sorseggiando un bicchiere di vino. Quando ebbe finito lo poggiò delicatamente sul tavolo.
 
Delizioso!
 
Pensò, con una espressione soave in volto.
 
“Ma quanto ci mettono quelle due? Sono in ritardo!” Esclamò un’altra ragazza seduta allo stesso tavolo, con capelli lunghi rossi e occhi verdi.
 
“Abbi pazienza Shunran… Arriveranno.”
 
La rossa sbuffò, poi disse:
 
“A quest’ora dovremmo essere a Praga, a sostenere il tentativo di democratizzazione, e non qui a Città del Messico.”
 
“Gli ordini della gran maestra sono precisi… Ed è nostro compito eseguirli.”
 
La ragazza di nome Shunran la guardò con scetticismo.
 
“Lo sai, Toran? È nostro compito lottare anche per la libertà dei popoli, ma in tutto questo tempo abbiamo ben poco e abbiamo anche collezionato dei fallimenti, come in Ungheria nel ’56.”
 
Toran si fece seria.
 
“Lottare per gli ideali sacri è importante, ma anche mantenere il segreto sulla nostra esistenza e su quella del nostro ordine. In caso contrario rischiamo di finire come gli X men, additati come mostri sebbene più volte si pongano a difesa degli umani.”
 
“Non mi aspettavo che tu leggessi fumetti per bambini.” Affermò la rossa.
 
Toran scosse la testa.
 
“Non sono affatto per bambini, trattano di un tema importante: la discriminazione razziale.”
 
“Cambiando discorso… A mio parere sarebbe stato meglio organizzare le olimpiadi a Detroit… Almeno gli Stati Uniti sono una democrazia.”Commentò Shunran.
 
“Purtroppo Città del Messico ha preso 16 voti in più... E poi la politica e lo sport vanno tenuti separati.” Affermò la sua complice.
 
Infastidita, la rossa fece un gesto di stizza.
 
“Sarà ma è scandaloso. Nel 1936 le organizzarono a Berlino, ora a Città del Messico. Le prossime dove le faranno? Mosca? Pechino?”
 
Toran rabbrividì; il solo pensiero che nazioni come Unione Sovietica o Cina ospitassero i giochi olimpici le dava il voltastomaco. Scosse la testa per scacciare quei pensieri dalla sua mente.
 
“Non dire blasfemie… Ah, eccole!”
 
Infatti Yura e Tsubaki erano appena entrate nel ristorante.
 
“Ehi! Tsubaki!” La chiamò la rossa.
 
Questa, insieme alla sua complice, si avvicinò al tavolo e si sedette.
 
“Non devi chiamarmi per nome.” La rimproverò, irritata.
 
Shunran sorrise birichina, poi esclamò a gran voce:
 
“Tsubaki? Tsubaki! È arrivata Tsubaki!”
 
“Non gliene frega niente a nessuno.” Aggiunse.
 
Tsubaki la guardò male, non sopportando l'umorismo della rossa.
 
“Spiritosa come sempre, Shunran… Ciao, Toran.”
 
“Ciao, Tsubaki... Vi stavamo aspettando.”
 
La corvina si sedette al tavolo, imitata da Yura.
 
“Per tutti sono Sayoko Shinozaki, almeno in questa missione.”
 
“Sai qual è, giusto?”
 
“Tappare la bocca ad alcuni archeologi che hanno scoperto prove della nostra esistenza. Li ho seguiti fino a qui.”
 
Yura si schiarì la voce.
 
“Intendevo li abbiamo seguiti.” Si corresse Tsubaki, imbarazzata.
 
“Ora sono a poca distanza da noi. Che facciamo, li uccidiamo?” Chiese.
 
“Per scatenarci contro la polizia messicana e l’attenzione dei media? No… Entreremo in azione stasera.” Rispose Toran.
 
“Come vuoi…”
 
**********
Intanto i 6 archeologi, in attesa del pranzo, stavano discutendo fra loro.
 
“Non credete che dovremmo rendere pubblica la nostra scoperta?” Propose Angie.
 
“No, signorina Connell… Almeno non ora. Dobbiamo prima svelare il mistero che si cela dietro a quei reperti. Senza prove convincenti l’opinione pubblica ci prenderebbe per pazzi o bugiardi.” Le rispose il dottor Jones.
 
“Dottor Miyano, lei crede davvero che si tratti di yokai?”
 
“La mia è una semplice ipotesi, dottor Black… Yokai, alieni o viaggiatori nel tempo, resta il fatto che quelle persone sono entrate in contatto con vari popoli e civiltà nel corso dei secoli, i reperti lo provano.”
 
“Che ha, dottor Rudd? La vedo distratto.” Domandò Alejandro.
 
“Quelle ragazze.” Rispose il sudafricano, indicando un tavolo vicino al loro.
 
“E allora?”
 
“Mi sembra che stiano ascoltando i nostri discorsi.”
 
“Beh, stiamo parlando di alieni, demoni e misteri. Sono argomenti che attirano facilmente l’attenzione.” Affermò il messicano, non dando peso alla cosa.
 
Rudd annuì.
 
“Vero… Spero solo che non ridano di noi.”
 
“Forse non capiscono nemmeno la nostra lingua, sono tutte asiatiche.”
 
In quel momento Pancho fece ritorno con in mano un vassoio che appoggiò al tavolo.
 
“I vostri cannelloni, Señores.”
 
“Grazie, Pancho.”
 
“Dovere.”
 
Quando le pietanze furono sistemate nel piatto, i 6 iniziarono a mangiare.
 
********
Ore 16:00
 
Il gruppo di Alejandro, dopo un pranzo sostanzioso (e dopo aver pagato il conto) erano appena usciti dal ristorante.
 
“Che bella mangiata!” Esclamò Angie, entusiasta.
 
“Ne dubitavi? Questo è il ristorante più rinomato della capitale. L'ho scelto apposta.” Affermò il suo collega messicano.
 
“Che ne dite di una camminata per la città? Ci aiuterà a digerire.”
 
“Ci sto, dottor Black.” Rispose Rudd.
 
Anche gli altri annuirono.
 
Così il sestetto si incamminò.
 
********
Nello stesso momento, in un luogo imprecisato, un ragazzo con lunghi capelli bianchi e dagli occhi dorati stava attraversando un corridoio fino a quando non si fermò davanti a una porta e bussò.
 
“Avanti!” Disse una voce femminile.
 
Il giovane entrò, trovandosi al cospetto di una donna  simile a lui, con la differenza che essa aveva del rossetto viola sulle labbra.
 
“Novità dal Messico?” Chiese lei.
 
“Le nostre agenti sono sulle tracce degli archeologi, aspettano solo il momento giusto per entrare in azione.”
 
La donna sorrise.
 
“Eccellente… Presto quei ficca-naso esaleranno l’ultimo respiro!” Affermò, soddisfatta.
 
“Intendi restare alla finestra mentre gli altri eseguono il lavoro? Non è da te. Benedict Arnold è morto per tua stessa mano.”
 
Il sorriso di lei si fece bieco, mentre rispondeva:
 
“Infatti scenderò in campo, per eliminare Rodriguez.”
 
Il ragazzo le sorrise, orgoglioso.
 
“Ora ti riconosco.” Disse.
 
“Hai altro da dirmi?”
 
“Rispondi a una domanda.”
 
“Dimmi pure.”
 
“Sai che l’omicidio di quegli archeologi non passerà inosservato, vero?”
 
La donna misteriosa agitò una mano con noncuranza.
 
“Invece resterà inosservato, se saprò giocare bene le mie carte. In questo momento l’attenzione mediatica è tutta incentrata sugli imminenti giochi olimpici. Basterà far passare gli omicidi per semplici rapine e dopo pochi giorni nessuno ne parlerà più.”
 
“Un piano semplice ma efficace.” Commentò lui.
 
“Lo so… Non per niente sono la gran maestra dell’ordine, nonché fondatrice e proprietaria della Mitsubishi.” Gli ricordo lei, mettendo da parte la modestia.
 
“Come intendi agire?”
 
“Stasera, quando il professor Martinez tornerà a casa sua, troverà me ad attenderlo.”
 
“Una visita a sorpresa.”
 
“Già.”
 
“Hai qualche compito per me?”
 
“Sì, verrai con me. Un aiuto in più non guasta mai.”
 
“Come desideri.”
 
Seiya sorrise, poi avvicinò le labbra a quelle del figlio.
 
“Appena concluso il lavoro fatti trovare qui… Festeggeremo in modo speciale.” Gli sussurrò, maliziosa.
 
Per tutta risposta il demone la spinse contro una parete e le disse, focoso:
 
“Io ti voglio ora… Non posso più aspettare!”
 
“Siamo affamati, vedo…” Disse Seiya, con sarcasmo.
 
“Naturale, dopo tre mesi di digiuno.” Replicò lui, senza staccare gli occhi da lei.
 
“Allora accomodati, figlio mio.” Lo invitò, lasciva.
 
*******
Ore 16:34
 
Il gruppo di Alejandro stava visitando lo zoo cittadino, costruito nel 1924. Conteneva circa  250 specie di animali tra cui 116 volatili, 1 anfibia, 93 di mammiferi e 40 di rettili. Tra gli animali che vi si potevano ammirare vi erano aquile reali, bisonti americani, canguri grigi e rossi, elefanti asiatici, gorilla, iene, ippopotami, giraffe, giaguari, leoni, orsi, panda (sia giganti che minori), pantere nere, pecari dal collare, rinoceronti bianchi e lupi messicani.  Henry e Angie erano intenti a osservare proprio questi ultimi.
 
“Sono splendidi.” Commentò l’australiana, ammaliata dagli animali.
 
“Vero… Sono animali nobili. Fa strano pensare che l’uomo li abbia demonizzati per secoli, tanto da condurli sull'orlo dell’estinzione tramite una caccia spietata.” Disse l'archeologo.
 
“Nel mio paese sono estinti da più di 60 anni.” Intervenne una voce femminile.
 
I due archeologi si voltarono e videro una ragazza con capelli rossi legati in due code e occhi verdi.
 
“Lei chi è?” Le chiese lo scozzese.
 
“Ayame Okami, giapponese.” Replicò la rossa.
 
“Siete qui per assistere alle olimpiadi?”
 
“Ovvio.”
 
“Io sono Henry Walton Jones, scozzese, e lei è Angie Connell australiana. Siamo archeologi.” Si presentò l'uomo, indicando prima sé stesso e poi la sua collega.
 
Sul volto della ragazza si formò un ampio sorriso.
 
“Archeologi, eh? Sono un'appassionata di antiche civiltà.”
 
I due archeologi ricambiarono il sorriso, ben lieti di trovarsi di fronte a una amante dell'archeologia.
 
“Buono a sapersi.” Affermò Henry, strizzandole l'occhio.
 
“Voi due siete sposati?” Chiese loro Ayame.
 
“No, no. Siamo solo colleghi!” Intervenne Angie, imbarazzata.
 
“Capisco.  È dalle olimpiadi di Tokyo del ’64 che non erano così emozionata, non vedo l’ora di vedere la mia nazionale in azione!” Affermò la rossa, entusiasta.
 
“Tale entusiasmo mi sembra un po’ prematuro, visto che 4 anni fa la nazionale nipponica nel medagliere olimpico risultò terza.” Le ricordò lui.
 
“È comunque un buon risultato, dottor Jones. Inoltre, se non ricordo male, la vostra patria si posizionò decima.”
 
Henry annuì.
 
“Ricorda bene, signorina.”
 
Improvvisamente il trio fu raggiunto da un ragazzo dai capelli grigi corti (tranne un ciuffo nero) e gli occhi blu, che disse:
 
“Ayame! Dove eri finita? Io e gli altri ci stavamo preoccupando!” Le chiese lui.
 
“Scusa, Ginta. Volevo dare una occhiata al recinto dei lupi.” Replicò lei.
 
“E questi due chi sono?”
 
“Ti presento Henry Walton Jones e Angie Connell, archeologi." Gli rispose la ragazza, per poi voltarsi verso Henry e Angie.
 
" Signori, vi presento Ginta Yoro, un mio amico.” Disse, concludendo le presentazioni.
 
“Piacere di conoscervi.” Disse lui.
 
“Il piacere è nostro, ragazzo.” Replicò Henry.
 
“Mia sorella…”
 
Ayame si schiarì la voce.
 
“… Intendevo la mia amica qui presente è appassionata di storia ed archeologia, oltre che di geografia.”
 
“Lo sappiamo, ce lo ha detto poco fa.”
 
“Siamo in Messico con due nostri amici, Koga e Hakkaku.” Aggiunse Ginta.
 
“A proposito, dove li hai lasciati?” Gli chiese la rossa.
 
“Vicino al recinto degli ippopotami.”
 
“Meglio raggiungerli… Non mi va di lasciarli da soli.”
 
“Come vuoi… È stato un piacere conoscervi.”
 
“Piacere nostro.” I due ragazzi si allontanarono.
 
“Simpatici quei due.” Affermò Henry.
 
Angie annuì.
 
“Già… A proposito, dove sono gli altri?”
 
“In giro per lo zoo, sicuramente.”
 
“Capisco… Su,  riprendiamo il nostro tour. La prossima tappa dovrebbe essere la Colonna dell'indipendenza.”
 
Henry la guardò confuso.
 
“Sarebbe?”
 
“Un monumento storico che si trova sull'incrocio tra il Paseo de la Reforma e la Via Firenze: è generalmente conosciuto come el Ángel (l'angelo), el Ángel de la Independencia (l'angelo dell'indipendenza) o meglio monumento all'indipendenza. Fu inaugurata il 16 settembre 1910, per celebrare il centenario dell’indipendenza messicana.”
 
“Interessante.”
 
“E non è il solo luogo di interesse: Paseo de la reforma ospita un monumento a Cristoforo Colombo, oltre a tre ambasciate (statunitense, giapponese, brasiliana).”
 
“Capisco... Non vedo l’ora di visitarla.”
 
*******
Ginta e Ayame li videro allontanarsi.
 
“Non dovremmo informare Seiya-sama dei loro spostamenti?” Chiese la rossa.
 
“Ci ha già pensato Tsubaki, che è sulle loro tracce. Contatteremo la gran maestra solo a missione conclusa, non vale la pena disturbarla per ogni sciocchezza.” Le spiegò il ragazzo.
 
Lei annuì.“Ok…”
   
 
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