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Autore: OpheliasCrown    06/02/2017    3 recensioni
Nico e Daniele conducono vite diverse e condividono il medesimo senso di solitudine. Troveranno l'uno nell'altro una luce di speranza; il riscatto da una vita di stenti e un nuovo modo di osservare la realtà che li circonda.
Storia partecipante al contest "Divinità dell'Olimpo" indetto da Dollarbaby sul forum di EFP.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Il canto del cigno
Il canto del cigno






La prima volta che ti vidi era una fredda giornata di novembre.
Camminavo a passo veloce, nervoso e adirato poiché le mie ultime fotografie erano state scartate dal direttore del giornale presso cui lavoravo al tempo.
Dovevo avere una faccia davvero terribile, la gente mi lanciava occhiate incuriosite mentre borbottavo a mezza bocca imprecazioni di varia natura.
Il capo non era rimasto soddisfatto del mio operato e la cosa peggiore era che neppure io andavo fiero di ciò che gli avevo consegnato.
"La povertà ai margini della società odierna", questo era il tema. A dire il vero non mi ero particolarmente impegnato, da persona già piuttosto depressa e sfiduciata quella realtà così cruda e carica di sofferenza non faceva che peggiorare il mio già turbato stato d'animo. Come tanti volgevo lo sguardo quando incrociavo quello di qualcuno ben più sfortunato di me, dimenticando dopo un battito di ciglia ciò che avevo a malapena intravisto. Appartenevo ad un mondo menefreghista e forse lo ero anch'io. Eppure tutto cambiò quando t'incontrai.
Rimuginavo su come avrei fatto a rimediare ad un tale fallimento quando udii una sonata per violino provenire da un'acciottolata strada laterale. Non ero un grande esperto di musica ma quella la riconobbi all'istante, era una delle opere più emozionanti di Sibelius, precisamente la 47 in D minore. La sentii mia in maniera prepotente e insinuante. Mi riportò alla mente ricordi assopiti nella memoria; una sensazione pesante di commozione mi colpì con violenza alla gola e allo stomaco. Quella musica l'ascoltavo sempre quando ero poco più di un ragazzino, mio nonno musicista l'adorava. Si accomodava in poltrona e si lasciava cullare da quella melodia incalzante tamburellando a ritmo le dita su uno degli ampi braccioli.
Ricordo bene e con nostalgia l'amore e la gioia che illuminavano la mia casa, ero felice di una felicità che a quell'età si pensa non possa mai svanire.
Ma il cambiamento è inevitabile e neppure io ne fui immune. Mi procurò sofferenza e ansia abbandonare il mio nido confortevole per volgere lo sguardo verso un mondo dalle possibilità illimitate e, convenni poi, davvero mal sfruttate. Non avevo quasi più nulla da perdere quando la persona fino ad allora a me più cara se ne andò per sempre. Strinsi i denti e affrontai la realtà che mi aveva terrorizzato e scandalizzato riuscendo a far della mia passione più grande un lavoro ben retribuito e stabile. Mi ero inserito bene nell'ambiente e, nonostante la mia giovane età, già possedevo un nome che suonava come una garanzia.
Inspirai l'aria densa di umidità sentendola riempire in un istante i polmoni e mi affrettai a zigzagare tra la folla cercando di raggiungere il prima possibile quel dolore incarnato in intenso intreccio di accordi.
Ti guardai e in un attimo mi fu tutto chiaro. Eri apparso all'improvviso come il sole che quel giorno stentava ad esserci, il sole che da troppi anni era scomparso dalla mia vita. Possedevi braccia lunghe e un maglione troppo largo, troppo logoro e leggero.
L'oro dei tuoi capelli riluceva in maniera inusuale benché fosse evidente che non incontrava acqua e shampoo da un po' di tempo.
Ma fu il tuo sguardo, Dio, che occhi!, a colpirmi più di tutto il resto. Lontano e disperato, concentrato nell'esecuzione di quei suoni struggenti e armoniosi che mi fecero inevitabilmente emozionare un po'. Il mio primo impulso fu quello di fuggire lontano dalle tue mani abili e sottili, dalla tua bocca dalla linea morbida e naturalmente curvata verso il basso, da quei tuoi fili dorati e da quel cappello consunto lasciato appositamente a terra, chiaro invito a donarti qualche spicciolo e un briciolo di speranza. Mi tradirono le gambe; non vollero saperne di muoversi neppure di un centimetro. Rimasi incantato ad ascoltare la tua grazia per minuti che mi sembrarono interminabili, minuti che trascorsero troppo velocemente perché avrei speso la vita intera ad ascoltarti e osservarti, anche se in quel momento non lo sapevo.
Scivolavi lungo le vie come se non dovessi mai toccare terra tenendo stretto in mano il violino che era per te la voce, lo strumento con il quale comunicavi agli altri parte delle bellezze che tenevi nascoste nel tuo meraviglioso guscio, poiché avevi deciso di precluderti la capacità di emettere suoni e quindi con essi ti eri fuso in una cosa sola. Mi nascondevo dietro ogni albero e ogni palazzo cercando di immortalarti con la mia macchina fotografica.
All'inizio, di me, neppure te ne accorgevi. Troppo impegnato ad eseguire accordi perfetti, oppure più semplicemente eri fin troppo consapevole dello sguardo indagatore e commiserante della gente. Quelli come te vengono sempre lasciati in disparte, dimenticati da una società che non vuol vedere né sentire.
Esseri che non provano pietà per qualcuno che è esattamente uguale a loro; qualcuno la cui vita ha subìto un brusco arresto e non è più in grado di ripartire.
Mi soffermai più volte a riflettere se non ci fosse stato qualcosa in più che avrei potuto fare ma che non ebbi il coraggio di compiere. E pensare che eri il mio amore, la mia passione, la mia ossessione. Ti seguivo ovunque mentre tu, come una spina che incide a fondo la pelle, non mi degnavi neppure di uno sguardo.
Con il tempo capii che avrei riconosciuto la tua figura a occhi chiusi, potevo respirarne anche solo l'odore e trovarti in mezzo a milioni. Eri il sole delle mie giornate grigie e tutte uguali e avrei voluto disperatamente fondermi con la tua luce che nulla poteva offuscare, annullarmi e dimenticarmi di ogni amico, familiare e ricordo. Assaporare un po' di quel calore che inconsapevolmente mi trasmettevi. A quel tempo avevo freddo, ma tu certamente di più.
Ogni mattina percorrevo strade che avevo imparato a conoscere a memoria giungendo fino al tuo piccolo giaciglio che ogni tanto abbandonavi per un po'.
Avevo notato diverse persone girarti intorno con fare strano, ambiguo. Tu afferravi una sacca sdrucita abbassando appena la testa, andandotene senza dire nulla.
In un silenzio che alle mie orecchie arrivava assordante; i tuoi passi mi calpestavano il cuore e mi sentivo vigliacco e immeritevole di esistere perché non riuscivo a fare niente, non sapevo come aiutarti. Continuavo soltanto a scattarti fotografie di nascosto per poi riguardarle nella sicurezza del mio appartamento. In quei pezzi di carta lucida apparivi come eri ai miei occhi, i tuoi abiti erano principeschi come il tuo portamento, i tuoi capelli color dell'oro ben pettinati e puliti. Non c'era più la strada gelida e scura intorno a te ma un salone caldo e accogliente, con poltrone di damasco rosso e un fuoco scoppiettante nel caminetto in pietra.
Ti ritraevo per quello che eri davvero, la disgrazia non poteva permettersi di offuscare qualcosa di tanto puro e prezioso.
Se non lo avessi fatto avrei cessato di sentirmi un artista. La sonata di Sibelius risuonava sempre nei miei sogni, ogni mattina mi svegliava e speravo di poter incontrare il mio sole personale. Quello che, avevo capito poi, doveva far parte della mia vita ad ogni costo.
 - Attendiamo ancora dei buoni scatti per l'articolo sulla povertà, vedi di lavorare brillantemente come al tuo solito, questa volta.
Avevo perfino accantonato un po' il lavoro preso com'ero dal mio cigno dorato. Una sera di inizio anno mi feci coraggio e ti rivolsi la parola, le feste erano ormai terminate ed ero ben lieto della loro conclusione. Mi chiesi spesso dov'eri mentre mezzo mondo festeggiava con amici e parenti al caldo della propria abitazione, con la pancia piena e il cuore un poco più leggero. La sera di Natale arrivai perfino a cercarti ma non ti trovai da nessuna parte.
Avvolto in una pesante sciarpa di lana blu, regalo da parte di mia nonna, mi avvicinai mentre ti accingevi a sistemare il tuo prezioso violino nella custodia.
Avevi le mani arrossate e screpolate, senza guanti. Un giubbotto all'apparenza leggero ti fasciava appena i fianchi visibilmente molto magri.
Indugiai un minuto di troppo sul tuo lungo e candido collo simile a quello di un cigno prima che, finalmente, alzassi lo sguardo per guardarmi.
Mi rivolgesti un sorriso lievemente imbarazzato mentre ti affrettavi a raccogliere gli spiccioli che qualche amante della buona musica, o semplicemente di buon cuore, ti aveva donato quella sera.
- Aspetta, non andare via.
Il tuo sguardo si fece interrogativo, mi viene tutt'oggi da sorridere nel ricordare quelle fossette deliziose agli angoli della tua bocca. Avevi il volto di un bambino che suo malgrado si era ritrovato a dover crescere in fretta privo d'amore. A gesti mi facesti capire di non poterti esprimere a parole ma nemmeno io, che la voce la utilizzavo eccome, riuscii a tirar fuori alcun suono.
Presi il portafogli dalla tasca dei pantaloni mettendoti in mano una banconota da dieci euro, gli unici soldi che mi rimanevano.
Eri incerto mentre li prendevi ma ti spronai con lo sguardo. Ricorderò sempre l'espressione dolce e grata che si affacciò su due labbra livide e segnate.
- Questo è un misero ringraziamento per la meravigliosa musica che sei in grado di produrre. Vorrei poterti offrire di più ma non ho altro con me. Eccetto questo.
Ti porsi il mio biglietto da visita e notai le tue sopracciglia aggrottarsi un poco. Sotto il nome c'era naturalmente riportata la dicitura di fotografo. Mi guardasti non sapendo cosa dovessi fartene.
- Qualche volta vorrei avere la possibilità di scattarti delle fotografie, se me lo permetti. Il giornale per cui lavoro sta raccogliendo informazioni per un articolo sulle realtà maggiormente ai margini e ho pensato che tu sei un esempio perfetto di come si riesca a non piegarsi dinanzi alla sofferenza e a possedere qualità eccezionali che, purtroppo, vengono evidentemente sottovalutate.
Il mio sole, il mio bellissimo, tenero e solitario sole, accennò un sorriso amaro. Intuii che voleva rispondermi ma non sapeva come fare, tirò fuori dalla sacca un pezzo di carta ma non riuscì a trovare una penna. Gli porsi il mio cellulare invitandolo ad usare l'applicazione dei messaggi per poter scrivere. Ci mise un po' a elaborare qualche riga, aveva le mani che tremavano e non era evidentemente un esperto di tecnologia.
"Ti ringrazio. Sono un invisibile come tanti che ha la fortuna di avere un'àncora di salvezza in mezzo a questo orrore. Non mi vergogno di ciò che sono ma provo vergogna per la mia condizione che è quella di fin troppa gente. Se questo articolo potrà aiutare ad aprire un po' di più gli occhi alle persone sarò lieto di aiutarti. Non ho un indirizzo da darti né un numero di telefono. Cercami nei dintorni perché sono quasi sempre qui. Mi chiamo Daniele".
Con una timidezza che non si confaceva esattamente al mio essere gli chiesi se potessi essergli ulteriormente d'aiuto. Avevo degli abiti dimessi che avrebbero potuto tenerlo al caldo. Mi guardò con due occhi immensi indicando con un cenno della testa il telefono che stringevo ancora nella mano.
- Spero di non offenderti con questa offerta.
Sorrise e digitò un po' più velocemente.
"Ti sembro forse nella condizione di poter rifiutare? Ti ringrazio sinceramente, adesso mi sento in debito".
Si lasciò sfuggire un lieve risolino e mi chiesi come mai non volesse esprimere nessun altro suono.
Mio Daniele dai capelli di miele, quanto avrei voluto tenerti stretto tra le braccia per portarti in un luogo sicuro. Nel riprendere il telefono sfiorai appena le tue dita gelide e ti chiesi di suonare un ultimo pezzo di quella sonata di Sibelius solo per me, per riscaldarmi e amarti e soffrire insieme a te. Ci guardammo e il tempo si fermò in una dimensione astratta e personale dove io non ero più un fotografo che indossava un cappotto costoso e tu un giovane senza fissa dimora che non possedeva materialmente nulla. Eravamo due esseri che nascono soli e sperano di non morire altrettanto, ognuno con il proprio fardello da sopportare.
Il tuo avrei voluto sobbarcarmelo per intero, eri un cigno muto che sarebbe dovuto volare senza pesi né pensieri.
Desideravo rannicchiarmi ai tuoi piedi e piangere fino ad esaurire ogni lacrima, ogni ansia e preoccupazione che mi tenevo dentro da non sapevo più quanto tempo. Solo davanti a te sentivo di poter essere il vero me stesso, senza filtri e senza maschere.
Ti congedasti con un lieve inchino e la tacita promessa di rivederci ancora. Da settimane ormai mi stavo consumando e decisi che non potevo continuare ad andare avanti così, dovevo dare una svolta a quella situazione e tirarti fuori da quell'inferno di cemento e gelo. Mi armai di buona volontà come non mi accadeva da tanto tempo e percorsi fiducioso le strade che sapevo mi avrebbero condotto da te. Quella volta non ti trovai. Ingoiai il sapore amaro di un presentimento sgradevole e iniziai a fotografare la realtà che tempo addietro avevo cercato di nascondere al mio sguardo. Immortalai un vecchio che dormiva dietro una colonna avvolto in una quantità numerosa di coperte che lasciavano intravedere una parte delle scarpe bucate. Provai compassione e amarezza.
Camminai per un po' cercando di trovare quella parte di mondo dimenticata, scovando una donna che sarebbe potuta essere bella rovistare nella spazzatura.
Si accorse di ciò che stavo facendo ma non proferì parola, mi degnò di un'occhiata vuota che non aveva più nulla da dire. Mi sentii angosciato e imbarazzato, tentai di nasconderle la macchina fotografica. Ricevetti imprecazioni e insulti da parte di un ragazzo che sedeva sopra un mucchio di cartoni con una bottiglia mezza vuota di vino scadente accanto. Mi urlò di farmi i cazzi miei, di non guardarlo con lo schifo negli occhi. Quello sguardo non ce l'avevo di certo, non potevo possederlo dopo aver conosciuto lui, dopo essermi reso conto che nella miseria possiamo sprofondare tutti perché questa non conosce differenze. Può accadere di possedere un buon lavoro e una famiglia affettuosa e d'improvviso puff, basta un errore o un evento tragico a toglierci amore, sicurezza e dignità. Mi convinsi maggiormente che dovevo sbattere in faccia ai lettori del giornale quel degrado che nasceva dalla comune indifferenza.
Intanto continuavo ad incontrarmi con Daniele quasi tutte le sere prima di tornare a casa. Pensare che lui non ne possedeva una rendeva le mie notti insonni, mi rigiravo e sognavo frammenti di conversazioni avvenute o che ancora dovevano accadere. Mi svegliavo all'alba chiedendomi se stesse bene, se non avesse subìto aggressioni o non avesse patito eccessivamente il freddo che quei giorni era più pungente del dovuto.
Una volta lo trovai accucciato a terra con le mani piene di graffi e il labbro spaccato; la frangia gli copriva a stento l'occhio livido e gonfio.
Si rifiutò categoricamente di andare al pronto soccorso facendomi capire che aveva avuto una lite banale con qualcuno del posto, nulla di nuovo o preoccupante.
Avevo l'animo agitato perché avvertivo la sua sofferenza; era diventata anche la mia e aveva iniziato ad inghiottirmi voracemente. Ero e sono ancora oggi turbato dal pensiero che molti esseri umani sono privati di qualcosa che dovrebbero avere tutti senza eccezioni. Trovo inaccettabile che ci sia gente come Daniele che deve sperare di arrivare viva il giorno successivo, magari senza l'orribile sensazione di avere lo stomaco vuoto. Mi tranquillizzavo soltanto quando i nostri sguardi finalmente s'incrociavano dopo una giornata trascorsa nel mio studio con un continuo via vai di modelle e truccatori.
Quei corpi perfetti e quei volti eccessivamente dipinti non mi piacevano per nulla, non avevano consistenza né calore.
Fingevo di apprezzare e dispensavo sorrisi a tutti, mi adoravano senza conoscermi affatto. Qualche sera sostavo con Daniele più a lungo. Passeggiavamo per un po' mentre gli raccontavo della mia vita, presente e passata, delle mie ambizioni e anche di quel senso di oppressione che avvertivo da anni.
Lui mi ascoltava attento gesticolando di tanto in tanto, digitando qualche parola sul mio cellulare che era ormai diventato il nostro mezzo di comunicazione principale. Di sé mi parlava poco, si stringeva nelle spalle ogni volta che cercavo di strappargli qualche informazione. Venni a conoscenza del suo passato a piccoli frammenti di cui facevo tesoro. Ogni volta lo salutavo con un groppo in gola augurandomi sempre che non fosse l'ultima.
Arrivai a regalargli un cellulare. Non era costoso né di ultima generazione, ma potevamo scambiarci qualche messaggio quando non eravamo insieme.
Poteva rintracciarmi in qualsiasi momento in caso avesse avuto bisogno di aiuto. Quel dono inaspettato lo rabbuiò non poco e dovetti sfoderare tutta la pazienza e le doti di convincimento che possedevo per indurlo a prenderlo. Ne fui ampiamente ripagato, mi scrisse spesso e il mio volto ricominciò a prendere colore.
Un giorno gli parlai del mio progetto per l'articolo, stavo organizzando tutto fin nei minimi particolari. Avrei offerto cibo e denaro a chiunque si fosse reso disponibile per il mio servizio fotografico. Grazie al mio amico scenografo e ai truccatori che mi seguivano nei vari progetti allestii nel mio studio un finto salone, somigliante il più possibile a quello in cui avevo immaginato Daniele in abiti ottocenteschi. Drappeggiai attorno alla finestra una tenda di velluto verde scuro tenuta ferma da un cordino d'oro. Ricoprii con una stoffa damascata il mio vecchio divano bianco che sembrò tornare agli antichi splendori.
Daniele mi aiutò a sistemare un grande tappeto dai colori caldi sotto ad un tavolino di cristallo portato lì per l'occasione. Nel giro di qualche ora trasformai quella stanza priva di personalità in un salotto accogliente e lussuoso. Una volta sistemate luci e flash era tutto pronto, avrei provvedduto a quel che mancava in post produzione. Lavorare aiutato da Daniele fu impagabile, quell'esperienza ci unì maggiormente e nonostante fosse restio ad esprimersi a parole mi comunicava con lo sguardo i suoi pensieri. E io li comprendevo, tutti!
Cominciarono ad arrivare i primi modelli amici di colui che aveva contribuito a rendere tutto quello possibile, desiderosi di trascorrere una giornata diversa e allettati da ciò che avrebbero ricevuto in cambio. Ecco arrivare quindi la signora di mezz'età dai capelli ingrigiti e la vestaglia lisa trasformata in una elegante e raffinata con indosso un abito da sera blu notte e un filo di perle attorno al collo. Il ragazzo dagli occhi scuri fu abbigliato con una splendida giacca alla moda con la cravatta abbinata, e che bella schiena diritta che aveva senza il giaccone sformato e il cappellone di lana pesante. Una graziosa ragazza mia coetanea si affacciò dubbiosa scambiandosi occhiate incerte con Daniele. Lui le sorrise rassicurante poggiandole una mano sulla spalla ossuta invitandola ad ammirarsi allo specchio.
Non ci sono parole per descrivere la sensazione di profonda gioia che provai nell'osservare quei cambiamenti superficiali che avevano scacciato per un attimo la nebbia dal cuore di quelle persone. Perfino i miei collaboratori rimasero entusiasti del lavoro svolto, i parrucchieri e le truccatrici avevano compiuto un vero miracolo su quei volti devastati dalla sofferenza. Bastava così poco per regalare un sorriso e mi rattristai pensando che a loro veniva negato perfino quello.
Daniele mi venne accanto digitando una sola parola sul suo telefono: grazie. In quel momento pensai davvero che non ci fosse niente di meglio al mondo, avevo ritrovato la contentezza di svolgere il lavoro che amavo, la ricchezza d'animo che si acquisisce nell'aiutare qualcuno in difficoltà e soprattutto avevo trovato lui, il mio gentile e delicato sole. Mentre distribuivamo caffè caldo e il compenso dovuto ci rivolgemmo occhiate più appassionate e febbrili.
Lo volevo disperatamente e compresi che anche lui desiderava me. Quella sera lo condussi nel mio appartamento, il suo sguardo si fece meravigliato mentre osservava i dipinti e le fotografie che avevo scattato durante i miei numerosi soggiorni all'estero.
- Un giorno vedrai con i tuoi occhi questi luoghi incredibili e, se me lo permetterai, sarò il tuo compagno di viaggio. Vorrei essere con te mentre dispieghi finalmente le ali verso un mondo che dovrà donarti tutto il meglio che finora ti ha precluso.
Daniele mi guardò con una leggera ombra di tristezza nello sguardo iniziando ad avvicinarsi lentamente, le dita affusolate intente a sbottonare la camicia che indossava. Nel silenzio che ci apparteneva osservai il suo torace magro, i lividi che gli segnavano braccia e gambe e il collo candido e immacolato come una tela che doveva necessariamente essere sporcata e colorata. Il battito del mio cuore aumentò fino a farmi credere che sarebbe fuoriuscito dalla cassa toracica.
Con uno dei suoi consueti gesti mi fece capire che desiderava farsi una doccia; gli indicai il bagno mentre mi apprestavo a procurargli asciugamano e abiti puliti.
La notte facemmo l'amore per la prima volta. Respirai a fondo il suo odore e mi persi in quel corpo caldo e terribilmente solo. Affondai in lui per tentare di inglobarlo in me. Quanto avrei voluto che quei momenti potessero durare per sempre, agognavo di tenerlo stretto al mio fianco per non doverlo mai più restituire alla strada.
Lo guardai nudo e addormentato nel mio letto chiedendomi chi fosse davvero quel ragazzo così bello e disperato. Quale fosse il motivo che lo aveva costretto a dover vivere di stenti. Gli espressi questo mio desiderio di conoscere per intero la sua storia il mattino seguente a colazione. Non disse come al solito una parola e io ero già atrocemente in ritardo per poter proseguire quella specie di non voluto interrogatorio. Gli dissi di non preoccuparsi di nulla e di attendere il mio ritorno, aveva la casa a disposizione e poteva fare ciò che preferiva.
Alla sede del giornale mi comunicarono che le mie fotografie erano state più che approvate, ero riuscito a ridare dignità a chi l'aveva perduta.
Il direttore si congratulò battendo amichevolmente la mano sulla mia spalla. Il pubblico avrebbe ricevuto un bello schiaffo in faccia nel constatare come quei "barboni" potessero apparire precisamente uguali a loro in abiti da cerimonia, in completo per andare in ufficio o semplicemente in jeans e cardigan pronti per una giornata di svaghi all'aperto. L'articolo sarebbe venuto benissimo e io ero entusiasta e orgoglioso dell'impatto che avrebbe potuto avere.
Ormai sognavo un mondo in cui quella realtà iniziava poco a poco a scomparire.
Quando rincasai, stanco e sereno, non trovai Daniele ad attendermi. Lo chiamai cercandolo per tutto l'appartamento ma se ne era chiaramente andato.
Mi assalì un'angoscia indicibile, perché aveva deciso di andare fuori al freddo anziché aspettare il mio rientro? Non riuscivo davvero a comprendere.
Ponderai l'idea di uscire per tentare di trovarlo quando mi accorsi di un mucchio di fogli poggiati ordinatamente sul tavolo della cucina.
''Caro, dolce Nico. Ti scrivo questa lettera per spiegarti il motivo per il quale non sarò più qui. Come avrai capito non ho avuto una vita facile, te lo dissi più di una volta senza però approfondire. Mia madre era una ballerina polacca venuta in Italia per inseguire il suo sogno ma incappò in gente che le fece soltanto vane e belle promesse. Si rimboccò le maniche lavorando presso una ditta di pulizie che la sottopagava finché non incontrò mio padre, un uomo alquanto facoltoso che la mise incinta per poi lasciarla quando venni alla luce. 
È una storia triste e purtroppo non unica, ma è stata la mia realtà. Durante l'infanzia mia madre cercò di non farmi mancare quasi nulla tranne l'affetto. In me non riusciva proprio a vedere un figlio da amare ma solo un peso con l'obbligo di sfamare e mandare a scuola con abiti decorosi. Mi abbandonò quando compii diciotto anni, trovò un altro riccone che la sposò portandola a vivere in una città diversa. Sono sinceramente felice per lei, da vittima si è trasformata in carnefice e trovo giusto che sia così. Non la odio né la amo, ho soltanto un buco nel petto. Fin da ragazzino ho avuto la passione per il violino e questo, in parte, fu la mia salvezza durante il primo periodo di solitudine. Per un anno suonai in un'orchestra che mi mandò via quando scoprì che non avevo più una dimora fissa. Problemi con la burocrazia, non ho mai ben capito. L'appartamento in cui abitavo con mia madre era in affitto e non riuscii più a pagarlo con il ridicolo stipendio che prendevo. Mi ritrovai a dover vagare senza un'effettiva meta cercando un impiego che non trovavo, capendo infine che avrei potuto guadagnare qualche spicciolo suonando per la strada. È così già da tre anni; per mancanza di voglia di vivere, sfortuna e timori purtroppo ben radicati nel mio essere non sono riuscito a cambiare la mia condizione. Non ho mai avuto oltre un centinaio di euro in tasca pur risparmiando il più possibile. Ho fatto richiesta per un alloggio popolare ma non sono mai stato contattato. Se te lo stessi chiedendo non conosco i parenti di mio padre e quelli di mia madre sono lontani e non ho la minima idea del loro aspetto. I pochi amici che avevo al tempo della scuola sono spariti ma ne ho trovati degli altri. Ho trovato te. La scorsa notte mi hai confessato che mi seguivi da settimane prima di trovare il coraggio di parlarmi. Fatti dire che me ne ero accorto, mi piaceva sentire il tuo sguardo addosso perché era l'unico che lo faceva senza pena e compassione. Adoro quando i tuoi occhi si velano di lacrime mentre eseguo l'unica cosa che sono in grado di fare: suonare.
La musica mi ha salvato dalle notti più oscure e disperate, mi ha strappato via dal dolore più abietto e cieco tornando a farmi parzialmente vedere. Ho smesso di parlare perché sentivo che non avevo più nulla da trasmettere a parole, bastava il suono del mio violino. Con quello ho cercato aiuto e sostegno in un modo che la maggior parte della gente non può comprendere, eccetto te. Sei la mia musica di speranza trasformata in un corpo d'uomo. Averti conosciuto mi ha fatto capire che ho ancora una possibilità, non è tutto perso. Me ne vado perché non posso coinvolgerti nella mia difficile riabilitazione, hai la tua vita e il tuo splendido lavoro a cui dedicarti. Ti prometto che un giorno c'incontreremo ancora''.
Rimasi attonito, le orecchie ronzavano e il sangue mi affluì direttamente al cervello. Uscii di corsa senza neppure premurarmi d'indossare il cappotto.
Inciampai e mi rialzai sperando di trovarti ancora nel solito posto. Volevo raggiungerti e dirti che anche tu eri la mia speranza e senza di te sarei sprofondato in un oceano colmo di rimpianti e fallimenti.
Il tuo giaciglio era vuoto. Domandai a qualche tuo compagno di sventura se ti avessero visto ma dissero soltanto che te ne eri andato salutandoli con la mano.
Non pensavano che non ti avrebbero più incontrato, e io neppure.


Daniele, mio sole, sono trascorsi quasi due anni e la mia vita è in stand by. Ho avuto un amante ma l'ho ferito e allontanato, ho lasciato il lavoro tornando ad essere un semplice freelancer. Continuo a trascinarmi un po' dappertutto fotografando le realtà più ai margini vendendo i miei scatti a chiunque voglia rendere pubblica questa parte di mondo che annichilisce e disgusta. Mi hanno proposto di esporre parte delle mie opere in una galleria, devo ancora comunicare la risposta.
Mi sento perso ma immagino che questo sia un punto di partenza per ricominciare a vivere dopo aver perduto un amore così grande.
Mi stringo maggiormente nel trench nero che indosso. L'autunno è appena arrivato e il vento inizia la sua danza più veloce e indolente.
Guardo il cielo terso in cui purtroppo, per me, da quel giorno manca sempre il sole. Lo incarnavi e te lo sei portato via relegandomi a una vita di nubi e nebbie costanti.
Cammino a passo spedito, necessito di arrivare a casa il prima possibile per togliermi di dosso gli abiti della giornata languendo sotto il getto bollente della doccia.
Per cercare di non pensare, per tentare di sparire qualche istante. Chiudo un momento gli occhi e finalmente la sento.
Non mi sembra vero, nell'aria risuona proprio l'opera numero 47 di Sibelius, non ho alcun dubbio.
Il cuore mi martella veloce nel petto e le mani iniziano a sudarmi nonostante faccia tutto fuorché caldo.
Le gambe si muovono da sole, sto sognando o forse solo impazzendo. Porto le dita a toccare gli occhi che hanno inevitabilmente iniziato a versare lacrime incontrollabili. Sono diventato troppo emotivo ma non importa perché accelero il passo e ti ritrovo di nuovo dinanzi a me. Questa volta indossi un cappotto scuro e un cappello in tinta; hai ciuffi di capelli dorati, bellissimi e soffici capelli, che spuntano in maniera non tanto disordinata da sotto la visiera.
A terra nessun cestino per chiedere l'elemosina.
Hai un'espressione nient'affatto stupita quando i tuoi occhi, tanto agognati, desiderati, cercati, incrociano finalmente i miei.
Ti esibisci in un ultimo accordo e poi in un grazioso inchino, il piccolo pubblico che ti si è stretto intorno applaude scivolando via lentamente dopo aver condiviso un piacere tanto immenso come quello della tua musica.
Ti sono davanti e mi ritrovo improvvisamente paralizzato, la voce morta in fondo alla gola. Ti avvicini piano e avverto la tua mano, non più rovinata e fredda ma morbida e calda, sfiorarmi una guancia umida.
 - Ciao, Nico.
Quel suono è, per me, la musica più bella. Quella che mai dimenticherò.
È il tuo canto del cigno, hai fatto morire il vecchio te stesso per rinascere in un essere diverso, consapevole ed equilibrato. Uno che non ha più paura di far udire al mondo intero la propria voce. Mio caro, ritrovato Daniele dai capelli di miele.
Entriamo in un bar e mi spieghi che ti sei iscritto a un'associazione di volontariato che si occupa dei senzatetto.
Hai conosciuto persone che sei stato in grado di aiutare e altre che ti hanno trovato un impiego e una sistemazione in un piccolo monolocale. Ti sei aggrappato con le unghie a una forza che temevi di non possedere più e ora sei in procinto di iniziare il conservatorio.
- Ho deciso di fare della mia passione per la musica un lavoro vero e proprio, esattamente come hai fatto tu. Mi pagherò gli studi continuando a lavorare presso l'associazione di cui ti ho parlato. Mi piacerebbe farti conoscere le persone fantastiche che hanno contribuito a farmi tornare in superficie.
 Adesso sono uno di loro e non dimentico dove ho vissuto e chi sono stato. Sono impegnato ad aiutare quelli che si trovano nella stessa situazione in cui ero anche io per dimostrare loro che possono farcela, che non sono completamente soli. Voglio che trovino la propria àncora di salvezza così come l'ho trovata io.
Daniele mi sorride dall'altro capo del tavolo e vorrei solo azzerare quel metro di distanza che ci separa tuffandomi tra quei suoi capelli d'oro che tanto mi sono mancati. Glielo confido a bassa voce guardando le mie mani stringersi attorno alla tazza di caffè bollente.
- Ho sentito anch'io la tua mancanza, terribilmente. Sei stato il mio sogno e al contempo il mio incubo peggiore perché desideravo starti accanto ma non in quelle condizioni. Non fragile e incasinato com'ero. Volevo tornare da te da uomo nuovo, uno che può essere in grado di donarti tutto ciò che tu gli hai regalato. Conservo ancora il cellulare e gli abiti che mi hai dato, sono i miei tesori più grandi. Ci siamo frequentati per poco ma hai lasciato un gigantesco solco proprio qui.
Si indica la parte del petto in cui è incastonato il cuore; nonostante abbia deciso di riprendere a parlare non può fare a meno di comunicare con il corpo intero quel che prova. Insiste per pagare il conto per entrambi e c'incamminiamo verso il mio appartamento così come accadde anni fa. Daniele ride e mi racconta ogni dettaglio della sua nuova vita e ogni pensiero che gli passa per la mente. Mi sfiora le braccia con le mani e cerco di cogliere ogni sfumatura di quella voce che avevo tante volte provato a immaginare. Ammiro nuovamente quella forza e bontà d'animo di chi ha toccato il fondo ma ha saputo trovare il modo di risalire.
- Se ce l'ho fatta è stato soprattutto grazie a te.
Non riesco ad aspettare di entrare nella riservatezza delle quattro mura di casa mia per baciarlo con trasporto, toccando ovunque posso senza riuscire più a trattenermi.
- Hai messo su peso.
Mi sorride, mi bacia ancora lieve.
- Beh, c'è una palestra accanto a dove abito, ho fatto l'abbonamento...
Scoppiamo a ridere insieme stringendoci le mani. Guardo questo bellissimo e caldo sole pensando che averlo trovato mi ha davvero cambiato la vita.
Possedevo tutto e lui nulla, ma ciò che è stato in grado di donarmi ha invaso per sempre di musica la mia esistenza.

  
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