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Autore: Silvar tales    07/02/2017    9 recensioni
«Ma sei arrabbiato?»
Ottimo spirito di osservazione, Altin. Quando avevi intenzione di accorgertene?
«No, ma ammetto che in questo momento avrei una gran voglia di spedirti ai lavori forzati in Siberia. Sai, è così che facciamo noi russi, quando qualcuno ci sta antipatico».
«Yura, smettila con questa storia dei russi, stavo scherzando…»
«Giusto, dimenticavo che ora preferisci i francesi».
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Otabek Altin, Yuri Plisetsky
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The North Face'
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The North Face




made by Marti





Piccole premesse:

● Avete ragione, non ho scuse, sto rompendo le scatole. Il fatto è che mi diverto troppo a scrivere queste "otayuri montanare".
Me li immagino benissimo, quei due, a fare gli alpinisti (ovviamente sono tutti miei headcanon, ma sapete meglio di me che quando ti assale il famigerato blocco dello scrittore, gli headcanon sono sacrosanti per ritrovare la voglia di scrivere). Quindi ho deciso di fare una serie di tre one-shot tutte collegate. Questa è la seconda.
E niente, so che è strana, so che è insolita, quindi non pretendo assolutamente nulla. Ho adorato scriverla, e questo mi basta.
Però stavolta, a mia discolpa, posso dire di essermi impegnata a metterci un po’ di fluff, così compensiamo la carrellata di toponimi e tecnicismi.
Non credo ci sia bisogno di specificarlo, ma non si sa mai... i pensieri di Yuri non corrispondono con quelli della sottoscritta. Ergo, non ho nulla contro i francesi.
● La one-shot è ispirata a DJ Snake ft. Justin Bieber - Let Me Love You (Andrew Watt Acoustic Remix) (la versione rigorosamente acustica).
L’immagine di chiusura è una foto scattata da me medesima il 13 agosto 2016, quindi non necessita di credits.
● Come sempre, ringrazio in anticipo chiunque spenderà del tempo a leggere questa cosuccia. Siete la mia gioia




Deffeyes





Menomale che per cena gli avevano servito una porzione abbondante di polenta e Bleu d’Aoste, e una cotoletta di vitello alla valdostana fritta nel burro.
Con la pancia piena, Yuri Plisetsky era sempre un po’ meno incazzato.
Diciamo che, ora, era solamente parecchio irritato.
Fingendo di studiare la cartina che aveva steso sul tavolaccio di legno, in realtà sbirciava Otabek Altin e le sue chiacchiere infinite.
Da quando era così loquace?
Si sentiva abbandonato, trascurato e tradito. Era da più di mezz’ora che quello se ne stava al bancone a confabulare con il gestore del rifugio, un ragazzotto lentigginoso con dei lunghi riccioli biondi che non doveva avere più di vent’anni. Aveva inutilmente cercato di ascoltare stralci di conversazione, ma la comitiva di alpinisti seduta al tavolo di fianco al suo faceva un baccano infernale.
Al diavolo, non poteva essere quello il vero gestore del Deffeyes. Era semplicemente ridicolo!
Che fine aveva fatto l’alpinista rubizzo con la barba incolta e le dita mancanti? C’era sempre l’alpinista rubizzo con una foresta di barba in faccia e qualche dito in meno, che fosse dei piedi o delle mani o di entrambi non aveva importanza: Yuri non ricordava un solo rifugio in cui non si fosse imbattuto in questa sorta di figura leggendaria, il Saggio Rifugista che conosceva a memoria ogni pietra della sua montagna, che avrebbe potuto percorrere ad occhi chiusi ogni sentiero, ogni via alpinistica del circondario (e talvolta, qualcuna l’aveva anche aperta lui stesso), che fiutava la tempesta ore prima che arrivasse, che conosceva a menadito la posizione dei seracchi e dei crepacci dei suoi ghiacciai. Sì, insomma, una sorta di incrocio tra il nonno di Heidi e Reinhold Messner.
Quello era il tipo di uomo che si poteva stare ad ascoltare per ore, in silenzio. Ma quel ragazzino lì…
Yuri Plisetsky non riusciva proprio a capire che cosa avessero da dirsi di così importante.
Ti devo ricordare che l’estate scorsa abbiamo scalato la Parete Nord dell’Eiger, Otabek Altin? Chiedigli se l’ha fatto anche lui ultimamente.
L’indomani si sarebbero dovuti svegliare alle quattro del mattino per affrontare la traversata del Rutor. Era un itinerario semplicissimo per le loro abilità, quasi elementare.
Otabek spesso lo rimproverava per la sua avventatezza. Diceva che anche il percorso più semplice non era mai da sottovalutare, e che ogni parete, ogni ghiacciaio, ogni vetta era una questione a sé stante. La montagna andava rispettata.
Yuri ne era consapevole. Avevano salito molte cime nelle Alpi, ma non erano mai stati nella zona del Rutor, ed informarsi dalle guide alpine locali era cosa buona e giusta. Ma diamine, serviva davvero un’ora per chiedere chiarimenti su uno stupidissimo ghiacciaio?
Il russo ne aveva avuto abbastanza. Certo, avrebbe potuto anche lui scambiare due chiacchiere con gli altri alpinisti seduti alle tavolate (più per ripicca che per reale interesse). Non era una persona particolarmente socievole, ma in montagna era diverso. In montagna, la gente si salutava quando si incrociava sui sentieri. L’ambiente spartano e conviviale del rifugio creava un clima di collaborazione ed amicizia unico, e anche Yuri ne percepiva il fascino.
C’era solo un problema: in quella zona delle Alpi c’erano troppi maledettissimi francesi. Dopo il suo litigio con Leroy, il suo ex compagno di cordata, Yuri aveva sviluppato un’antipatia viscerale per chiunque parlasse quella lingua. Era una cosa stupida e infantile, ne era consapevole, ma proprio non gli andava di intavolare una conversazione con qualcuno che parlava in francese. E che non si sforzava di parlare altro, soprattutto.
Perciò, Yuri Plisetsky aveva preso il suo boccale di birra, aveva infilato i guanti di pile e il berretto di lana, cui aveva aggiunto il cappuccio della giacca in goretex, ed era uscito dal rifugio.

Fuori il termometro segnava meno cinque gradi, ma il vento gelido che spirava dal vicino ghiacciaio rendeva la temperatura percepita molto più bassa.
Aveva acceso la lampada frontale, perché all’esterno avevano già spento tutte le luci.
Era una notte limpida: le poche nuvole che macchiavano il cielo viaggiavano veloci. Avrebbero potuto partire anche in quel momento, la visibilità era ottima. C’era il plenilunio, e il ghiaccio in lontananza riluceva di un chiarore spettrale. Persino da quella distanza si distinguevano ad occhio nudo le increspature dei seracchi e le fenditure dei crepacci più grossi, nei punti in cui l’azzurro del ghiaccio vivo feriva il candore del manto nevoso.
Yuri si sedette su una panca di legno addossata al muro in pietra del ricovero, ma si pentì all’istante di averlo fatto. Si era cambiato i pantaloni tecnici da alpinismo, e ora indossava solamente una semplice tuta, tutt’altro che impermeabile o isolante.
Diamine, aveva il sedere ghiacciato. Ma di tornare dentro non se ne parlava nemmeno.
Vediamo quanto ci avrebbe messo il signorino del Kazakistan ad accorgersi che il suo alpinista russo aveva lasciato il tavolo.
Yuri incrociò le braccia al petto e gonfiò le guance. Razza di traditore.
Nemmeno la solenne maestosità di quel panorama notturno riusciva a rasserenarlo.
Cercò di concentrarsi sulla sua birra e su nient'altro in particolare, e nel tentativo di far sbollire il nervoso la seccò in un colpo solo.

Quindici minuti più tardi, il rumore della porta del rifugio che si apriva turbò il silenzio, e una lama di luce tagliò il buio.
Ormai riconosceva la cadenza dei suoi passi e, ad essere sinceri, la cosa lo inquietava. Era davvero così cotto?
«Gli hai raccontato anche di quella volta che a cinque anni sei finito con lo slittino contro un gatto delle nevi?»
Otabek si lasciò sfuggire dalle labbra un soffio che assomigliava vagamente a una risata. Raggiunse Yuri sulla panca, seguendo la luce del frontalino che teneva poggiato in grembo. Gli mise sotto al naso un punch al rum caldo fumante che non avrebbe potuto rifiutare, nemmeno se era arrabbiato, nemmeno se si ostinava a tenere le braccia incrociate e non lo degnava di uno sguardo.
Difatti, Yuri lo accettò senza dire una parola, e portò subito la tazzina di vetro alle labbra. Il calore gli intiepidiva gentilmente le mani spandendosi attraverso il tessuto sintetico dei guanti, per poi scendergli giù in gola, accompagnato dal pizzicore dell’alcol e dal vago aroma di melassa.
Proprio quello che ci voleva. Otabek sapeva come viziarlo, ma se credeva che sarebbe bastato un punch per farsi perdonare… forse due punch. E magari anche una fetta di torta alla ricotta, una fetta bella grossa. Sì, decisamente avrebbe potuto impegnarsi di più.
«Stai cercando di farmi ubriacare?»
«Voi russi siete duri da ubriacare. Vi crescono a latte e vodka».
Yuri borbottò qualcosa come amefaschifolavodka, per poi chiudersi nuovamente nel suo guscio di silenzio.
Otabek si lasciò scappare uno starnuto. Aveva indosso solo una maglia termica e un pile, era uscito senza giacca, senza guanti e senza berretto. Stava tremando.
Anche se non lo avrebbe mai e poi mai ammesso ad alta voce, Yuri si sentì un po’ in colpa. Dentro di sé si rendeva conto che ormai aveva ventun’anni, e che il tempo in cui poteva permettersi di fare i capricci era finito da quel pezzo.
«Fa un fred-do cane… tu… non hai freddo?»
«A noi russi ci mettono la neve nel pannolino da piccoli… non lo sapevi?» ironizzò Yuri, ma al contempo gli passò il punch, e si lasciò stringere in un abbraccio. Si lasciò abbracciare ma, mettiamo in chiaro le cose, solo perché gli faceva pena, quel povero kazako in balia dei venti. Non lo aveva mica perdonato, certo che no.
Otabek mandò giù un ingeneroso sorso di alcolico, poi rimise la tazzina nelle mani di Yuri.
«Ma sei arrabbiato?»
Ottimo spirito di osservazione, Altin. Quando avevi intenzione di accorgertene?
«No, è solo che in questo momento avrei una gran voglia di spedirti ai lavori forzati in Siberia. Sai, è così che facciamo noi russi, quando qualcuno ci sta antipatico».
«Yura, smettila con questa storia dei russi, stavo scherzando…»
«Giusto, dimenticavo che ora preferisci i francesi».
«Amore?»
«Hmpf, amore, ma sentilo».
Otabek ci pensò su, ma sì, mezzo secondo. Poi si allungò sul suo viso e gli scoccò un bacio sulla tempia, cercando di farsi strada con le labbra tra i ciuffi di capelli biondi. Grazie al cielo Yuri non si tirò indietro. La situazione era meno grave del previsto.
«Hai finito di fare il geloso?»
La ghirlanda di bandiere tibetane schioccava sotto i colpi delle raffiche di vento.
Yuri si strinse ancora di più ad Otabek e cercò le sue labbra. Si scambiarono un veloce bacio sulla bocca, anche se la tentazione di approfondire quel contatto ridicolo era forte. Il vento era glaciale, e le loro lingue erano calde.
«Ho troppa voglia di farlo con te stasera», gli sussurrò Yuri all’orecchio, suscitandogli una delle sue rare risate. Otabek rideva sempre con la bocca chiusa, soffiando via l'aria dal naso.
«Ti faccio presente che in rifugio si dorme in camerata».
«Non ho detto stasera scopiamo, ho solo detto che ne ho voglia», ribatté Yuri, mettendosi subito sulla difensiva. Ma le sue difese si abbassarono due secondi più tardi, quando abbandonò completamente il capo sulla spalla di Otabek.
La luna fluttuava sopra la lontana distesa di ghiaccio come fosse una gigantesca medusa.
«Quella è la Tête du Rutor?» chiese il russo, indicando con un vago gesto della mano la guglia più alta che si ergeva dal ghiacciaio.
«Hm hm», fece Otabek, e ne approfittò per riepilogare il percorso che avrebbero dovuto fare il giorno seguente. Estrasse dalla tasca dei pantaloni la carta dei sentieri che Yuri aveva lasciato sul tavolo, e la dispiegò sulle propria ginocchia.
«Domattina prendiamo il sentiero dell’Alta Via verso Passo Planaval. Passiamo accanto a due laghi, qui sulla cartina sono indicati come Lago Verde e Lago Grigio, a quota 2538, circa. Dopo alcuni tratti attrezzati con delle catene, risaliamo un pezzo di morena. A quota 2750 attacchiamo il ghiacciaio da un terrazzino, il punto esatto è segnalato con una palina».
«Si vede da qua?»
«Hm, forse il primo tratto. È molto ripido e crepacciato, dobbiamo fare attenzione. Anche se i crepacci sono ben visibili, noi lo attraverseremo ancora con il buio. Poi ci teniamo sulla sinistra, seguendo le pareti di roccia, e superiamo alcuni seracchi.
Dopo un ampio pianoro e un ultimo ripido tratto, raggiungiamo Col del Rutor, a quota 3373. Da lì, se vogliamo salire sulla Tête du Rutor, percorriamo la cresta di roccia fino ad arrivare a 3486».
Yuri rimaneva ogni volta impressionato dalla precisione con cui Otabek riusciva a memorizzare un itinerario alpinistico, addirittura su terra incognita, semplicemente osservando la conformazione del paesaggio. Non per niente di mestiere faceva la guida alpina.
«Caspita. Hai imparato tutto a memoria?» chiese, sinceramente ammirato.
«No, ho preso appunti sulla tua cartina».
«Tu hai fatto… cosa?»


*




Yuri si sdraiò a pancia in giù, cercando una posizione comoda nel bozzolo del suo sacco lenzuolo. Ma per lui non era certo un problema, abituato com’era a dormire in tenda, sui sassi, sulla neve, o addirittura appeso in parete. Quella spartana cuccetta con il materasso sfondato era una sistemazione regale al confronto.
Dopo le nove e mezza, nei rifugi di alta montagna scattava il coprifuoco ed era vietato parlare a voce alta o accendere la luce. Il sonno era sacro: si andava a letto presto e ci si alzava prima che sorgesse il sole.
La loro camerata poteva ospitare ad occhio e croce una trentina di persone, ma c’erano molti letti liberi. La comitiva chiassosa di francesi fortunatamente dormiva in un’altra stanza, mentre assieme a loro c’erano due ragazze svizzere, una famigliola con due ragazzini al seguito, e infine altri quattro alpinisti francesi.
Otabek aveva occupato il letto sotto il suo.
Quel disgraziato che aveva osato scarabocchiare la sua carta dei sentieri kompass nuova di zecca… se ci pensava gli veniva voglia di strozzarlo!

Yuri lasciò che il braccio destro ciondolasse oltre la sponda del letto, e come aveva previsto pochi attimi dopo sentì le dita di Otabek sfiorare le sue.
Volevano dire ti amo anche io, e non c'era affatto bisogno di chiarirlo a voce alta.
Ritirò il braccio sotto il piumone, e con un sorriso sereno, nascosto al sicuro nel buio della notte, si lasciò cogliere dal sonno.
Addormentarsi era l’unico momento in cui era lecito cadere.
I sogni ad alta quota erano sempre reali, perché non potevi davvero desiderare altro.
Non potevi desiderare altro che attraversare l’oceano di ghiaccio del Rutor, sotto i raggi lunari, nel silenzio più assoluto, con Otabek al tuo fianco.
Fra poche ore, ancora.















mini-glossario (in ordine di apparizione):
Bleu d’Aoste: formaggio tipico valdostano.
Rutor: il ghiacciaio del Rutor è uno dei più vasti ghiacciai della Valle d'Aosta. Si trova nel vallone di La Thuile e prende il nome dalla Testa del Rutor (Tête du Rutor) (3.486 m s.l.m.), la montagna più alta che lo contorna.
Goretex: tessuto sintetico dalle alte capacità impermeabili e traspiranti.
   
 
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