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Autore: MerasaviaAnderson    07/02/2017    4 recensioni
•{Gallavich ~ Pericolosamente angst ~ Mickey!OOC ~ What if?}
Mickey ha convinto Ian a non arruolarsi nell'esercito.
Al Rosso non viene diagnosticato il Disturbo Bipolare.
Eppure, due anni dopo, una difficoltà molto più grande si abbatterà sui due amanti.
"Il mal di testa pulsava sulle sue tempie e ancora mezzo intorpidito si era deciso ad accendere il telefono, dove aveva trovato una numerosa serie di chiamate perse da praticamente ogni membro dei Gallagher e un’altra manciata da Mandy.
E lì ebbe la consapevolezza di non poter essere egoista: di non poter lasciare da solo Ian in una situazione del genere, di dover mettere da parte la sua sofferenza e tornare lo stronzo Mickey Milkovich che tutti conoscevano prima che quella fighetta avesse fatto breccia nella sua miserabile vita."
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Until the end of my days

Capitolo VII:


TAKE ME TO CHURCH

“My
lover’s got humor, he’s the giggle at the funeral, knows everybody disapproval, I should’ve worship him sooner. If the Heavens ever did speak, he’s the last true mouthpiece, every Sunday is getting more bleak, a fresh poison each week.”
 
 
 
Mickey non aveva ancora compreso come si ritrovassero già al diciassette marzo, il giorno in cui si sarebbero tenuti i funerali di Ian. Gli sembrava che fossero passati solo dieci minuti da quando gli era morto tra le braccia.
Era più o meno l’ora di pranzo e il cielo era grigio come il suo animo, nel salotto di casa Gallagher c’era un terribile via vai di persone, accolte dai membri della famiglia per porgere un ultimo saluto ad Ian, già vestito bene e steso dentro una bara che ingombrava la stanza.
Mickey detestava quelle persone, entravano in casa del suo amato per ammirarlo come un tesoro per un’ultima volta e piangere su di lui.
Alcuni avevano chiesto di lui, Fiona aveva dato loro sempre la stessa risposta: «Mickey non ce la fa.»
Sembrava quasi una barzelletta, perché tutti lo conoscevano come quello forte, quello che andava a picchiare la gente, che rubava le auto, che creava risse, quello che non era altro che uno sporco avanzo di galera. Ed ora si era ridotto ad un involucro vuoto che piangeva tra le coperte del letto di Ian, quello che aveva condiviso per mesi, che era stato testimone di scopate mozzafiato, baci rubati, carezze e tante, tante lacrime.
Odorando il lenzuolo riusciva a sentire ancora il suo profumo.
Si era raccolto in posizione fetale, stringendo qualcosa che aveva l’odore di Ian al petto e piangendo lacrime amare dai suoi occhi cristallini, che la sua Testa rossa amava tanto guardare e spesso lui glielo impediva, evitando il contatto visivo.
Che coglione che era stato.
Non aveva dormito neanche un secondo, non aveva mangiato e aveva dei terribili crampi allo stomaco che peggioravano con ogni secondo che passava. Aveva trascorso tutta la notte accanto al cadavere di Ian, bianco come non mai, e con l’unico briciolo di coraggio che aveva continuava ripetutamente a lasciare carezze nei suoi capelli rossi, l’unica cosa al mondo che lo faceva stare un minimo meglio.
La sua mano era gelida, come il resto del corpo, come le sue labbra, che aveva provato a baciare. Solo dopo realizzò di aver baciato un cadavere, e nonostante quello fosse il suo Ian, era dovuto correre in bagno a vomitare, perché non poteva mai al mondo accettare che quel bacio lui non l’avrebbe mai sentito, non l’avrebbe mai ricambiato.
E faceva un freddo cane a casa Gallagher, perché qualcuno aveva scordato di accendere i riscaldamenti. Ma non gli importava.
Nessuno chiuse occhio quella notte e quando le persone avevano cominciato ad arrivare lui si era rintanato nella stanza dei fratelli Gallagher, nel letto di Ian, con cui l’aveva condiviso fino alla notte prima.
Erano più o meno le due del pomeriggio, quando Lip e Carl Gallagher erano entrati timorosamente nella stanza portandosi dietro dei completi neri ed eleganti, simili a quelli che avevano messo ad Ian la sera prima. Era stato lui, con le mani tremanti, ad aggiustargli il colletto della camicia, sostenendo il peso della bambola che era diventato tra le braccia. Sembrava che dormisse.
Ma quando vide i suoi fratelli si decise che avrebbe dovuto iniziare a prepararsi anche lui per il funerale, con il vecchio vestito del suo matrimonio con Svetlana che gli aveva portato la Russa stessa quella mattina.
Perché sì, sarebbe andato al funerale e avrebbe affrontato le persone. Glielo doveva, ad Ian. Tutti, nel South Side, avrebbero scoperto cos’era Mickey Milkovich per Ian Gallagher.
E stranamente Mickey non se ne vergognava, non più.
Con tutte le forze che aveva in corpo andò in bagno e vi si chiuse, intento a sciacquarsi il volto e a sistemarsi i capelli , ma fu solo quando si guardò allo specchio che se ne accorse: un leggero filo di barba scura era spuntata sul suo volto, ruvida al tatto.
Ad Ian non piaceva quella barba.
Ian adorava guardarlo ogni mattina mentre si radeva il volto, diceva di trovarlo incredibilmente sexy quando lo faceva e si divertiva a strusciarsi contro di lui, prendendolo in giro.
Sorrise triste, toccandosi quell’accenno di barba.
Guardandosi nello specchio con attenzione immaginò di vedere Ian riflesso accanto a lui, così decise di spalmarsi il volto di schiuma e levarla via con una lametta. E gli sembrava di sentire Ian chiacchierare con lui di prima mattina, in quel bagno, mentre si faceva la doccia e cantava l’inno nazionale. Eppure nessuna lacrima scese al ricordo di quella voce angelica e dello scroscio della doccia, quando una volta finito di radersi entrava nella doccia con lui e facevano sesso, quasi sempre con qualche fratello Gallagher dietro la porta che reclamava il bagno.
Il ricordo di Ian si era fatto più dolce, meno disperato, come se non se ne fosse mai andato via veramente. Ma Mickey sapeva che il peggio doveva ancora arrivare.
Finì di toglier via la barba e si sciacquò il viso, asciugandosi con un asciugamano pulito e concedendosi di guardare il suo riflesso nello specchio un po’ sporco: le occhiaie erano profonde, i capelli sfatti, gli occhi arrossati. Pensò solo che forse Ian non avrebbe voluto vederlo in quel modo, ma non gli importò.
Si diresse verso la camera dei fratelli Gallagher e prese il suo vestito, si infilò i pantaloni, sperando di vedere Ian entrare e chiedergli come cazzo si stesse vestendo. Non accadde.
Mickey si rifiutò di indossare la camicia bianca che Svetlana gli aveva portato, aprì il cassetto dei vestiti di Ian e vi prese una camicia ben piegata, la accarezzò con una goffa dolcezza e ne odorò il profumo, lo stesso che era abituato a sentire da tre anni, ogni volta che si avvicinava. Capitava a volte che Mickey indossasse i suoi vestiti, e Ian lo prendeva in giro perché le maniche delle magliette erano troppo lunghe ed anche i pantaloni, a cui doveva fare sempre i risvolti.
Anche quella camicia, quando se la infilò, era troppo grande per lui: i polsini gli arrivavano quasi fino alle nocche e questo lo fece sorridere, tristemente, pensando a quanto stava bene ad Ian quella camicia, anche se non glielo aveva mai detto.
Con quell’indumento indosso si sentiva un po’ più sicuro, quasi protetto, circondato da quell’odore gli sembrava di avere Ian al suo fianco, vivo.
Quando finì di vestirsi, dopo essersi accertato che in casa vi fossero solo i fratelli Gallagher, Kevin, Veronica e Mandy, scese al piano di sotto, timoroso e per le scale incrociò sua sorella, più alta di lui, con un vestito nero e i tacchi, i capelli un po’ arruffati, senza trucco.
«Stavo venendo a chiamarti.» mormorò, prendendo improvvisamente la sua mano «Stiamo per andare.»
Lui annuì, venendo condotto dalla sorella fino in salotto, si sentiva più forte con lei accanto, si sentiva come se non fosse il solo a cui il mondo era crollato addosso.
Effimera consolazione.
Fiona gli andò in contro, domandandogli come stesse e lui fece spallucce, non sapendo cosa rispondere.
Come stava?
Sicuramente non bene. Male, sì, ma un male così profondo che non riusciva a dargli un nome, una definizione precisa. Vi era solo un grande vuoto a perdere dentro il suo animo.
«Questa è sua, vero?» sussurrò tra le lacrime, accarezzando il colletto della camicia che indossava.
Per qualche ragione assurda Mickey s’aspettava che i fratelli di Ian si arrabbiassero vedendogli indosso quella camicia.
«S-Sì.» abbassò lo sguardo, guardandosi le maniche delle camicia troppo lunghe e passandovi sopra le dita «Sai, sentire il suo odore e tutte quelle altre stronzate là …»
Fiona annuì distrattamente, stringendo Debbie che si era avvicinata a lei con le lacrime che le solcavano le guance e i vestiti sobri e scuri, terribili da vedere su una bambina.
Il campanello suonò, segno che era arrivata l’agenzia funebre e Mickey si voltò a guardare la bara di Ian, ancora aperta: Lip era in piedi davanti ad essa e carezzava piano il volto del fratello, come se le sue spoglie fossero fatte di vetro e temesse di romperlo.
I funzionari si stavano dirigendo verso la bara, intenti a chiuderla, ma Mickey li bloccò, colpito da una strana fitta al cuore: aveva una dannata paura di vederlo andare via così, senza guardarlo un’ultima volta, senza accarezzare i suoi capelli ancora per un po’, perché non si accontentava mai e adesso avrebbe dovuto farne a meno per l’eternità.
Ian Gallagher aveva accettato la morte e adesso toccava a lui farlo, trovando il coraggio di ammettere a se stesso che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe potuto poggiare le mani sul suo viso.
«Aspettate!» esclamò, dirigendosi verso quella maledetta bara con passo triste e sicuro, sicuro come mai era stato.
Perché in cuor suo sapeva di essere forte, distrutto, spezzato, disintegrato, ma forte.
Quando si trovò davanti a lui volle immaginare che stesse solo dormendo, così gli posò una mano sulla guancia fredda, accarezzandola piano; l’altra mano la posò sui capelli, vi passò le dita fra di essi, cercando di non disfarli troppo.
Volle credere che fossero ancora sulle spiagge delle Hawaii, che le sue guance erano ancora scottate dal sole, le sue labbra calde e piegate in un timido sorriso.
Gli serviva immaginarlo, altrimenti non ce l’avrebbe fatta.
«Ci rincontreremo prima o poi.» sussurrò, con la voce spezzata, tremante, carica di un dolore inimmaginabile. Un silenzio tombale era piombato nella stanza, sapeva di avere tutti gli occhi puntati addosso. Non gli importava. «Dovunque cazzo andremo a finire io ti troverò» tirò su con il naso, mentre altre lacrime bagnavano sulle sue guance. Un tempo le avrebbe asciugate il prima possibile, se ne sarebbe vergognato. «e Dio, il Destino, il Fato o quello che cazzo è si potranno mettere l’anima in pace perché non permetterò più a niente di portarti via, avremo l’eternità per stare insieme e saremo bellissimi e cazzoni, come lo siamo stati in questa vita di merda.» pianse ancora, avvicinandosi al suo volto e continuando a posare carezze sulle sue guance e sui suoi capelli. Era finita. «Ci vedremo presto, okay?» un singhiozzo uscì dalla sua gola, una lacrima cadde sul volto di Ian e lui l’asciugò, con le mani che tremavano come foglie in autunno «Okay, Ian? Sì? Okay. Ti amo.» e l’ultimo bacio che gli dette non fu altro che uno sfiorarsi di labbra, poteva sentire un leggero alone di calore stringerlo da dietro e sorrise tra le lacrime, perché era Lui.
Non aveva mai creduto veramente a quelle stronzate, ma sentiva che al suo fianco vi era il suo amato Ian, che il suo spirito gli avvolgeva il corpo, stringendolo nel suo amore per l’ultima volta.


C’era un tizio al cimitero che parlava, Mickey non sapeva chi fosse, ma non era un prete, né un parente dei Gallagher, quindi supponeva che fosse una di quelle persone che celebravano i funerali laici.
Non l’avrebbe mai saputo, non ascoltava neanche una delle colossali minchiate che stava dicendo, come se conoscesse il suo Ian da sempre.
Ian stesso aveva espressamente chiesto un funerale non religioso quando Padre Pitt si era rifiutato di celebrarlo. Perché ci era andato con Mickey che borbottava, in chiesa, mano per la mano e il prete ubriaco li aveva buttati fuori, additandoli come figli di satana.
Mickey trovò che fosse buffo, andare a parlare di persona con un prete del proprio funerale, lì per lì lo fece ridere, prima che si ricordasse che effettivamente il funerale era del suo Ian.
I fratelli Gallagher erano tutti stretti in un abbraccio, per sorreggersi a vicenda, Fiona si reggeva a malapena in piedi, era un fiume di lacrime mentre stringeva a sé i suoi fratellini, Debbie piangeva abbracciando Lip, che teneva la mano di Mandy, la quale gli tirava delle occhiate tristi e preoccupate. Aveva intravisto Svetlana, vestita con un tradizionale abito russo e il capo coperto da uno scialle nero, aveva in braccio il piccolo Yevgeny, il suo Succhia-latte. C’era persino Frank, chiuso nel silenzio nel suo vecchio abito elegante, accompagnato da Sheila Jackson che piangeva. Accanto ai fratelli Gallagher Kevin e Veronica si abbracciavano stretti. Riconobbe dei compagni di scuola di Ian e alcuni dei Parà, vestiti rigorosamente in uniforme. Lui, dal suo canto, continuava a torturare i polsini della camicia di Ian, tenendo lo sguardo basso per nascondere qualche lacrima solitaria che scendeva quando un ricordo troppo bello e doloroso gli attraversava la mente.
Fu la voce di Philip Gallagher a destare Mickey dai suoi pensieri, che era salito con imbarazzo sul soppalco dove si facevano i discorsi.
«Okay, ehm …» esordì, guardandosi intorno nervoso «Io queste stronzate non le so fare, ma Ian è mio fratello e glielo devo. Non ho la più pallida idea di come andrà la vita da oggi in poi, senza di lui, senza condividere la stanza, senza i litigi, i vestiti scambiati, come quando dovevo uscire con la ragazza più sexy del quartiere» guardò Mandy, che aveva affondato il volto nella spalla del fratello, che aveva il volto di un automa pietrificato «e cercavo disperatamente una maglietta ed ero incazzato, nervoso … e poi è entrato lui, con la sua camminata tranquilla e la mia maglietta addosso.»
Lip non era propriamente in sé, Mickey constatò che era leggermente brillo e fatto, per via delle due birre che aveva bevuto e la canna che si era fumato prima del funerale. In più, durante la notte, lo aveva visto andare in cortile e distruggere il dondolo, piangendo e urlando. Aveva continuato a raccontare qualche aneddoto di quando erano bambini, storie a lui sconosciute, ma un dolce pensiero si formò nella sua mente quando provò ad immaginare un bambino dai ricci capelli rossi e tempestato di lentiggini sul viso. Tirò uno sguardo a Fiona, che teneva in braccio Liam e si crogiolava negli abbracci di Carl e Debbie.
«E c’è un’ultima cosa che non ho mai detto a quel cazzone di mio fratello,» esordì, guardando verso l’alto, con le lacrime che scendevano sul volto arrossato, guardava le nuvole grigie, nella speranza di vedere qualcosa che gli ricordasse Ian in quel cielo tempestoso «mi manchi come l’aria, Ian.»
Lo disse socchiudendo gli occhi e piangendo, quando una leggera brezza fredda iniziò a soffiare, si abbatteva sui volti della gente e Mickey sentì nuovamente quella calda sensazione che aveva avuto quando aveva dato l’ultimo saluto ad Ian, quell’abbraccio che lo accoglieva, che gli dava un briciolo di respiro. S’accorse che Lip lo stava guardando, con il volto un po’ scioccato e perso, così Mickey comprese che anche lui stava percependo quel calore, continuando a guardarlo annuì con un cenno di capo, provando a fargli comprendere che non c’era nulla di cui aver paura, che era solo Ian che li stava salutando.
Il tizio che celebrava il rito riprese a parlare, ringraziando Lip per le sue parole e dicendo anche lui qualcosa in proposito. Mickey non seppe come, ma all’improvviso si ritrovò Svetlana al suo fianco e Yevgeny tra le braccia, allora guardò perplesso la finta moglie, confuso e terrorizzato da quel bambino che si era già rannicchiato tra le sue braccia.
«Vado a fare discorso per Ian.» gli disse, con naturalezza.
«Ma che cazzo dici?» sussurrò, chiedendosi cosa diamine avesse da dire Svetlana al funerale di Ian. A dire il vero, lui non voleva neanche che fosse lì.
L’avrebbe voluto sposare, Ian, nei suoi ultimi mesi di vita, in modo che fossero legati per sempre e non aveva potuto a causa sua, perché in teoria lui era già sposato con quella puttana Russa.
Ian gli aveva detto che non gli importava, che non avevano bisogno di un pezzo di carta e un anello al dito per essere legati per tutta la vita.
«Io vado a fare discorso e tu smetti di rompere cazzo, okay?» non attese neanche la risposta e lo abbandonò là, mentre borbottava qualcosa di incomprensibile e cercava di far calmare il bambino che si agitava tra le sue braccia.
Guardò bene Yevgeny: gli occhi azzurri identici ai suoi lo guardavano come due fanali, quasi gli sembrava di vedere il bambino che era stato scrutarlo dal passato attraverso suo figlio; i capelli biondi erano scompigliati, come quelli di Ian quando li accarezzava, forse per questo posò una mano sulla sua guanciotta morbida e gli fece una fugace e imbarazzata carezza. Ian era stato una sottospecie di genitore per quel bambino e negli ultimi tempi aveva coinvolto anche lui, forse nel vano tentativo di immaginare un futuro insieme.
Poteva anche essere il frutto di un ricordo orribile, ma Ian gli ricordava costantemente che quel bambino era innocente e doveva amarlo e comportarsi da padre.
Quando Svetlana salì sul soppalco guardò la folla con sguardo rigido, abbracciò tutti con gli occhi come se fosse il Papa e poi iniziò a parlare con il suo accento russo, che storpiava un po’ le parole.
«Testa Rossa era amante di mio finto marito gay. Sì, mio marito stronzo, ma Testa Rossa era buono, aiutava sempre con piccolo Yevgeny, amava bambino ed era bravo nella cucina, teneva pure casa in ordine.» Mickey desiderò con tutto se stesso che quella donna non si trovasse lì in quel momento, che non rovinasse una situazione così solenne come il funerale di Ian, il momento in cui doveva lasciarlo andare via per sempre. «Mi dispiace è andato da Eterno Padre, penso merita tanto in suo Regno. Lui era brava persona.»
La gente fece uno strano applauso, un po’ imbarazzato e palesemente confuso, i fratelli Gallagher, i fratelli Milkovich, Kevin e Veronica la guardarono un po’ di traverso, come se fosse una vera e propria intrusa in quella situazione.
Successivamente parlare toccò a Fiona, che aveva una voce carica di così tanto dolore che sembrava potesse esplodere da un momento all’altro. Yevgeny era ancora sulla spalla di Mickey, che lo aveva stretto forte tra le braccia, rendendosi conto che quel bambino era una delle poche cose strettamente collegate a quasi tutti i bei ricordi che aveva di Ian.
«Non so cosa dire.» iniziò la Gallagher, guardando la folla con le lacrime agli occhi «Non ho preparato un maledetto discorso perché Ian non ha bisogno di parole e frasi fatte. E soprattutto perché nessuno dovrebbe preparare un elogio funebre per il proprio fratello diciottenne. A novembre avrebbe compiuto diciannove anni e non ce l’ha fatta neanche ad arrivarci. Se sono arrabbiata? Sì, ed anche tanto.» si asciugò delle lacrime che aveva sul volto, cercando di parlare il più chiaramente possibile «Ero solo una bambina quando è nato Ian, avevo sei anni e ricordo che la prima volta che l’ho visto avevo pensato che fosse un alieno: perché aveva il viso pieno di lentiggini e rosso come i capelli e al contrario di Lip non piangeva quasi mai. Una volta gli ho salvato la vita» le lacrime e i piccoli singhiozzi vinsero su di lei, che si stringeva nel cappotto e si girava tra le mani il cappello militare di Ian, quello che gli avevano dato quando era entrato nei Parà. «Solo il cielo sa quanto avrei voluto farlo anche adesso.» fece un sorriso forzato che lasciava trapelare una tristezza assurda «Ma nonostante tutto mi sforzo ad essere felice, perché Ian lo è stato nei suoi ultimi giorni di vita e fino a ieri mattina rideva davanti alla televisione, scherzando con i suoi fratelli.
«Sapevamo che prima o poi sarebbe accaduto, che era solo una questione di tempo, solo … non ci aspettavamo che accadesse così improvvisamente. Ma Ian è morto in pace,» affermò, con la voce che tremava e l’espressione di una persona a cui stavano strappando l’anima dal corpo. Mickey pensò che mentì, quando diceva che si sforzava ad essere felice «è morto fra le braccia del suo fidanzato, sul dondolo della nostra casa e circondato dal nostro amore.»
E fu a quel punto che Mickey Milkovich crollò. Scoppiò in un pianto rumoroso, ignorando per la prima volta il fatto di essere in un luogo gremito di gente e stringendo forte Yevgeny a sé. Mai al mondo avrebbe pensato di piangere al funerale di Ian, con il Succhia-latte tra le braccia poi … Quel bambino che stava – pian piano – imparando ad amare.
E tutto ciò grazie ad Ian, al suo Ian, all’unica persona che avrebbe amato fino alla fine dei suoi giorni.
In quelle concitate ore non aveva realizzato che il suo era l’ultimo volto che Ian Gallagher aveva visto, l’ultimo corpo che aveva accarezzato, l’ultima voce che aveva udito.
E faceva male.
Faceva così fottutamente male perché sentiva di non meritarlo.
Percepì la mano di Mandy carezzargli piano il braccio, in un magro segno di consolazione quando Mickey Milkovich lo stronzo diventava la checca del South Side.
Non gli importava.
Il dolore che sentiva dentro non si poteva reprimere in alcun modo, nulla sarebbe mai stato più forte di esso, che stavolta l’aveva divorato totalmente.
Non s’accorse neanche che Fiona concluse il suo discorso, guadagnandosi un enorme quantitativo di applausi solenni come se fosse un’attrice famosa.
Cazzo ci applaudite, ha fatto un fottuto elogio funebre, non un discorso su come salvare i bambini in Africa.
Mickey si riprese un po’ solo quando il tizio che stava celebrando quell’orrido rito aveva iniziato a parlare con la sua voce odiosa, decise così di scaricare Yevgeny tra le braccia di Svetlana e di asciugarsi le lacrime che ancora sgorgavano dai suoi occhi azzurri.
Fu solo un secondo: il tempo di mettere a fuoco la vista e comprese che cosa stava accadendo. Lo sconvolse: degli uomini stavano calando la bara di Ian in una fossa.
No.
Non poteva permetterglielo.
Non poteva accettarlo.
Non riusciva ad accettare che marcisse sotto la terra, che dovesse rinunciare a tutto in così giovane età, a tutti i loro grandi progetti, ad andarsene da quella fogna di quartiere insieme.
«NO!» urlò, completamente fuori di sé, correndo verso la buca come se volesse gettarsi dentro. Fortunatamente Kevin e Mandy lo afferrarono prima che potesse davvero fare qualcosa di estremamente disperato, sotto lo sguardo scioccato della gente che mormorava cose incomprensibili.
Chi conosceva Mickey Milkovich si chiedeva se quello fosse davvero lui.  Ormai aveva iniziato a delirare, urlare frasi senza alcun senso, dimenarsi, piangere senza sosta.
«Fatemi andare con lui, vi prego, lasciatemi andare con lui
Parve che tutti i presenti ebbero un colpo al cuore quando udirono quella frase: chi era quell’uomo sofferente nascosto dentro il corpo del duro e truce avanzo di galera Mickey Milkovich?
Fiona era un fiume di lacrime tra le braccia di suo fratello Lip, che singhiozzava rumorosamente, si chiedevano come potesse mai pronunciare quelle parole … Ma ancora una volta a Mickey non importò.
Lo sconvolgimento tra la folla era enorme, tutti provavano a trattenerlo mentre si dimenava, ma l’unica cosa che fu capace di tranquillizzarlo furono le braccia di sua sorella che lo avvolsero, facendogli poggiare la testa sulla spalla, perché da solo non reggeva.
Teneva gli occhi chiusi mentre continuava a piangere, perché non voleva vedere mentre quella buca veniva ricoperta con altra gelida terra, mentre Ian andava via per sempre, lontano da lui.
«Non ce la faccio a guardare.» aveva mormorato a Mandy, che gli accarezzava la guancia bagnata e lo faceva raggomitolare a sé come un bambino. Si vergognava si se stesso, Mickey Milkovich «Non ci riesco.»
I suoi singhiozzi e il rumore della terra che colpiva la bara di Ian erano gli unici suoni che riempivano quel tanto odiato cimitero.
«Forse è meglio se lo porti un po’ fuori, non credi?» aveva sussurrato Kevin all’orecchio di Mandy, che aveva annuito piano, guardando l’uomo negli occhi rossi. Anche lui aveva pianto e teneva la mano di Veronica che guardava la scena con le lacrime sulle guance e una mano sulla bocca. Intravide anche quello stronzo di Frank, che aveva un’espressione amareggiata mentre Sheila Jackson gli accarezzava i capelli in lacrime.
«Andiamo a fare una passeggiata, va bene, Mickey?»
«No.» scosse la testa, poco convinto, con gli occhi azzurri che si potevano appena intravedere «Non posso.»
Glielo doveva, gli aveva promesso che avrebbe resistito.
«Dai, Mickey, solo dieci minuti. Poi torniamo.» provò a persuaderlo e pianse, non avendolo mai visto in quelle condizioni, neanche quando da piccolo veniva picchiato e umiliato da Terry. Pensò che probabilmente aveva versato più lacrime durante quei due giorni che in tutta la sua vita.
Ad un certo punto Mickey sgranò gli occhi, un’espressione di puro stupore si fece spazio sul suo volto: sentì una voce provenire dal profondo del suo petto, una di quelle voci che solo la sua testa poteva udire.
Vai, Mick.
Mickey credé d’esser pazzo, ma quella voce l’avrebbe riconosciuta tra mille e poteva appartenere solo a Lui.
Solo una persona lo chiamava “Mick”. Lui.
Si guardò intorno spaesato, nella speranza di vedere la sua rossa chioma tra la folla, ma fu tutto inutile … sapeva solo di doversi fidare di quella voce, perché era la sua.
«O-Okay.» balbettò, iniziando ad allontanarsi da tutti, sorretto da Mandy, che gli rivolse un’occhiata profondamente perplessa.
Non dissero una parola.
Solo quando arrivarono ai confini di quel cimitero, in una sottospecie di prato in cui soffiava piano il vento, Mickey ispirò a pieni polmoni quell’aria fredda, tenendo le mani strette attorno ai polsini della camicia di Ian. Mandy, poco più distante, lo fissava, con il vento che le scompigliava i lunghi capelli sciolti. Aveva un’espressione strana, più che di timore, di curiosità, giocava con le sue mani, si toglieva e si metteva in continuazione gli anelli che aveva nelle dita.
«Cosa hai sentito, Mickey? Poco fa.» gli domandò, mentre il fratello era ancora girato di spalle, a guardare il cielo come se stesse cercando qualcosa tra le nuvole grigie e minacciose.
«La sua voce.» rispose semplicemente, secco e senza alcuna esitazione. Il vento aveva asciugato le lacrime sulle sue guance. «E il suo cazzo di calore, come se fosse venuto ad abbracciarmi.» si voltò verso Mandy, stringendosi nel suo vestito scomodo mentre una lacrima calda bagnava la sua guancia gelida «Lo so che è una cosa da vedove disperate, ma io l’ho sentito vicino a me,» lo diceva con una tale disperazione nella voce che sembrava gli stessero trafiggendo il cuore con una spada, piano piano. «era come se non fosse realmente morto, capisci? Credo che l’abbia percepito anche il Biondino, Lip.»
Mandy sobbalzò nel sentire quel nome, ma rimase a guardare il fratello che crollava in ginocchio sull’erba bagnata, sporcandosi i pantaloni di terra … perché tutto quel dolore ormai neanche le sue gambe lo reggevano più. Si sostenne anche con le mani, cercando di nascondere il viso mentre iniziò a ridere. Ridere come un pazzo. Una risata che metteva un terrore immane.
La risata al funerale.
Mandy era spaventata, il suo cuore batteva all’impazzata e quasi non riconosceva Mickey, ma si inginocchiò comunque davanti a lui e preoccupata lo prese per le spalle.
Quell’isterico che rideva non poteva essere suo fratello, non quando i suoi meravigliosi occhi che facevano invidia ai più belli lapislazzuli erano diventati quelli di un pazzo.
Ma in un breve istante il suo riso si tramutò in un pianto singhiozzante e doloroso, per cui Mandy lo prese tra le braccia. Voleva piangere anche lei, perché Ian era una delle persone più importanti della sua vita, anche lei voleva risentire la sua voce.
Ma si limitò a lasciare buffetti sulle guance del fratello, lasciando che i suoi ricordi con Ian uscissero uno ad uno dai suoi occhi come lame taglienti.



 
EPILOGO
 
 
Tre settimane dopo il funerale di Ian, all’improvviso, Mickey Milkovich scomparve.
Mandy era corsa a casa dei Gallagher terrorizzata quando, dopo non averlo visto ritornare a casa per quasi due giorni, aveva aperto il suo armadio e l’aveva trovato completamente vuoto. Si era portato anche la pistola di riserva.
Avevano subito pensato di andare a vedere se fosse al campo da baseball o al cimitero, perché da buona checca che era diventato andava lì quasi ogni giorno, piangendo sulla tomba di Ian. E ci andava sempre al tramonto, quando nessuno lo vedeva.
Sbatteva la testa contro la fotografia incastonata nel marmo – quella che lui amava tanto, dove aveva quel cappellino bianco che lasciava intravedere i capelli rossi e quel sorriso sbilenco da bambino – che prendeva a pugni, insanguinandosi le nocche, per poi chiedere scusa al fantasma di Ian.
Lo aveva sentito ancora durante quelle tre settimane: quando si svegliava nel cuore della notte all’improvviso, avvolto in un calore inspiegabile, lo stesso di quando Ian lo abbracciava da dietro raggomitolandosi nelle sue spalle come un gatto e prendendogli la mano.
Ricordava di come lui borbottava di voler dormire, ma poi Ian iniziava a baciargli il collo e Mickey faceva finta di incazzarsi.
E invece, cazzo, lo amava da morire e solo il cielo sapeva quando gli mancavano quei momenti. Quel calore gli portava pace, perché lo immaginava con il volto seppellito tra le sue scapole, che si dilettava a respirare il suo profumo e poi, con un sorriso malizioso gli diceva che era terribilmente afrodisiaco.
Solo che lui non aveva la più pallida idea di cosa significasse “Afrodisiaco”.
Semplicemente, anche se non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura, amava farsi baciare e mordere il collo da Ian.
Ma nel frattempo Mandy era nel panico totale e aveva confidato a Lip che temeva che il fratello avesse fatto qualcosa di stupido. Lui la tranquillizzò e andarono al cimitero, con la sola speranza di trovare Mickey lì.
Ogni qual volta che Lip arrivava davanti alla tomba del fratello e vedeva il suo giovane volto aveva un fortissimo colpo al cuore, tremendo. Perché non poteva aver lasciato che il suo fratellino morisse in quel modo …
Ma Mickey non c’era, al suo posto vi erano un papavero rosso e una busta bianca poggiati ai piedi della lapide.
Mandy la aprì e notò che la grafia era quella del fratello.
Poche righe:
“Non avrei mai voluto lasciarti qui, ma devo. Cazzo, me ne vado a vedere il mondo, Gallagher. Ti prego solo di non lasciarmi mai. Grazie.
Il tuo Mick.”

Mandy non avrebbe mai pensato che Mickey potesse dire, o tanto meno scrivere, delle parole del genere, ma evidentemente quello era un lato di lui che conosceva solo Ian.
Sia Mandy che Lip sentivano di aver violato qualcosa di estremamente segreto tra loro, una di quelle cose che solo Mickey ed Ian potevano conoscere, quel lato di Mikhailo Aleksandr Milkovich che emergeva solo quando il suo cervello veniva incasinato dall’amore che provava per il ragazzo.
«Be’, per lo meno sappiamo qualcosa.» le aveva detto Lip, smorzando la tensione.
Mandy richiuse la busta e la poggiò dov’era prima, per poi incamminarsi da sola verso l’uscita del cimitero.
«Andiamo a casa, Lip.» disse bruscamente, camminano a pugni stretti e con lo sguardo fisso e arrabbiato.
Era incazzatissima con Mickey.
Come aveva potuto? Vigliacco.
«Non vuoi – che ne so – cercarlo?»
«No. Sarà lontano ormai e non sappiamo neanche dove è diretto.» sbruffò, guardandosi intorno «Cazzo, forse non lo sa neanche lui.»
«Sei arrabbiata, Mandy?» le chiese accigliato.
«Arrabbiata?» urlò lei, gesticolando con le braccia «Sono incazzata nera! È andato via all’improvviso, mi ha abbandonata qui, da sola!» continuò, nonostante Lip l’avesse stretta tra le braccia «Avrebbe potuto portarmi con sé, lontano da questo ghetto del cazzo.»
«Tu sei meravigliosa, Mandy.» sussurrò serio al suo orecchio colmo di piercing «Ti ci porterò io lontano da qui.»
E la baciò, la baciò così intensamente che sembrò che la terra stesse crollando sotto ai loro piedi.
«Andiamo a casa.» la tranquillizzò, accarezzandole le guance «Quello stronzo di tuo fratello sa badare a se stesso.»
Lei sorrise rassegnata, sperando solo che fosse vero.

Nessuno rivide più Mickey Milkovich fino al cinque novembre di quell’anno, il giorno in cui Ian avrebbe dovuto compiere 19 anni, quando i Gallagher, Mandy, Kevin e Veronica erano andati al cimitero e l’avevano visto legare un palloncino rosso con su disegnato il numero 19.
Fu aggredito da Mandy, con cui fecero a botte, prima di essere separati dai fratelli Gallagher, leggermente indignati, Mickey venne ricoperto di insulti a cui non rispose neanche, guardando a testa bassa la foto di Ian.
Aveva iniziato a girare per il mondo, mantenendosi con lavori occasionali e modi non proprio legali. Lo aveva fatto per Ian, a cui un giorno – su un letto d’ospedale – aveva rivelato che quello era sempre stato il suo sogno.
Sapeva che l’avrebbe reso fiero.
Si scusò e promise di farsi sentire qualche volta e che al South Side ci sarebbe tornato almeno per Natale.
Glielo doveva, a sua sorella Mandy.


CINQUE ANNI DOPO
Era nuovamente arrivato il cinque novembre e stavolta il palloncino rosso vicino alla lapide di Ian segnava il numero 24.
Mickey sorrideva, girandosi tra le mani il cappellino bianco che Ian aveva nella foto, quello che aveva rubato a casa Gallagher, il giorno in cui, dopo il funerale, aveva preso le sue cose ed era andato via.
Prima che ritornasse definitivamente a casa sua Fiona l’aveva chiamato in disparte, si erano seduti sul letto di Ian da soli, circondati da solo il silenzio, entrambi aveva esaurito le lacrime.
«Volevo dirti grazie per tutto quello che hai fatto. Per Ian e per noi.» gli aveva detto Fiona, guardandolo dritto negli occhi azzurri «Troverò il modo di ripagarti per tutte le spese mediche che hai pagato e anche per il viaggio.»
«Non voglio niente.» le aveva risposto, scuotendo la testa e chiedendosi come avesse mai potuto pensare di essere in debito con lui «Tutto quello che ho fatto l’ho fatto per Ian e comunque non è servito ad un cazzo, quindi …» si strofinò le mani sui pantaloni, abbassando lo sguardo sul pavimento, carico di tristezza.
«Non so cosa avremmo fatto senza di te, Mickey. Non so come avrebbe fatto Ian, probabilmente se ne sarebbe andato prima, visto che noi eravamo troppo occupati a piangerci addosso. Tu hai avuto la forza di dargli quello che noi non avremmo mai potuto offrirgli. Te ne sono grata.»
«Oh no, lui parlava sempre di voi, di quanto foste fottutamente perfetti, di quanto fosse felice di avervi accanto. Piuttosto si lamentava sempre di me» sorrise triste, stringendo i pugni «dicendo che dovevo smetterla di atteggiarmi da infermiere.»
«Lui ti amava, Mickey.»
«Lo so, cazzo, lo so.» annuì, cercando di non far tremare la voce e di placare il bruciore che gli infuocava il petto.
«Volevo darti questi.» Fiona Gallagher non trattenne la sua voce spezzata, piuttosto si voltò verso di lui, porgendogli qualcosa con il suo sorriso carico di malinconia. Capì subito cos’erano: la camicia di Ian che aveva indossato al suo funerale e una delle sue felpe, quelle in cui affondava il volto mentre gli lasciava i succhiotti sul collo e sulle spalle.
«Pensavo che ti avrebbe fatto piacere tenerli tu.» continuò la Gallagher, mentre lui li prendeva in mano e vi lasciava sopra qualche carezza.
Continuò ad annuire, guardando quei vestiti come una delle cose più preziose del mondo.
«Sai dov’è Mandy?» cercò di sviare il discorso, alzandosi e mettendosi in spalla il borsone con i suoi vestiti, con la camicia e la felpa di Ian strette in mano.
«Ha accompagnato Lip da qualche parte, non voleva lasciarlo solo, non se la passa bene.»
«D’accordo.» esitò, uscendo dalla camera e dirigendosi verso le scale per lasciarsi alle spalle quella casa colma di ricordi, in cui aleggiava ancora forte il profumo di Ian. Arancia e cannella.
«Mickey?» Fiona lo bloccò prima che potesse scendere le scale e lui si voltò, senza dire una parola «Non buttare la tua vita nel cesso, okay?»
«Okay.» annuì, per poi ritornare sui suoi passi.
Quella fu l’ultima volta che mise piede in casa Gallagher.

«Ehi, buon compleanno, testa di cazzo.» disse un po’ impacciato mentre il tramonto illuminava il cielo di un bellissimo arancione.
Mickey si domandava come sarebbe stato Ian a quell’età, come il suo volto sarebbe cambiato, diventando più maturo … chissà come sarebbe andata se lui fosse stato ancora in vita, al suo fianco. Probabilmente si sarebbero sposati, in smoking come una vecchia coppia di froci, dopo che avrebbe divorziato da Svetlana.
Non gliene sarebbe fottuto un cazzo se avesse perso la cittadinanza.
«Il Succhia-latte va a scuola quest’anno, lo sai?» si tirò fuori dalla tasca del giubbotto un foglio spiegazzato e colorato «Sapeva che oggi è il tuo compleanno e ti ha fatto un disegno. Anche se a volte Svetlana non è proprio d’accordo Mandy gli parla sempre di te, e lo faccio anche io quando torno in questo buco, perché credo, insomma … di volergli bene, grazie a te. È l’unico ricordo che mi resta di quei tempi. Quando giocavamo alla famigliola felice, io e te.»
Guardò il disegno con un certo imbarazzo, il suo volto dai lineamenti ormai adulti fece una smorfia.
Mickey era cresciuto.
Era cambiato.
Si era rotto e aveva rimesso insieme i pezzi, senza rinascere: per quello aspettava di avere lui al suo fianco, come gli aveva promesso in quella bara gelida.
«Guarda cosa quello stronzetto ossigenato ha fatto per te: all’inizio del foglio c’è uno sgorbietto, che dovrebbe essere la Russa, visto che sotto c’è scritto “mamma”. Poi c’è lui ed altre tre persone denominate come: “Papà Mickey (quello che va a vedere il mondo)” , “Papà Ian (quello che sta al Campo Santo)” – cazzo, non dovrebbero dirgli che stai in cielo o cazzate simili?» si asciugò una lacrima, ripiegando il foglio e riponendolo in tasca «Comunque alla fine del disegno c’è Mandy che, per la cronaca, se la fa ancora con tuo fratello Lip. Quel Biondino si è laureato e con quella stronza di mia sorella progettano di andarsene in qualche fottuto Paese delle Meraviglie; tuo fratello Carl ha lasciato il ghetto qualche mese fa, entrando nell’esercito. Piperita Patty, Debbie, è al college e Fiona è rimasta sola con Liam. Credo se la passino bene, invece io … » sospirò, strofinandosi il naso e sentendosi terribilmente stupido a parlare con un pezzo di marmo «Cazzo, è difficile senza te a rompermi le palle, ma me la cavo. Ce la faccio, sì … cazzo, se sapessi quanta roba bella che c’è lì fuori.»
Si dondolava avanti e indietro, inginocchiato davanti alla sua lapide, quando sentì quel famoso calore avvolgerlo, quello che ormai sentiva ogni notte e che agognava in ogni momento della giornata.
Ian era sempre con lui, a volte arrivava un po’ improvvisamente, ma i tremori della paura venivano placati dal calore di quel dolce fantasma, che non parlava quasi mai, limitandosi a vegliare su di lui e proteggerlo.
Si portò una mano sul petto, vicino al cuore dove si era fatto tatuare il suo nome. Era andato in uno schifo di studio a Indianapolis e aveva chiesto alla tatuatrice di tatuargli sul petto quel nome, minacciandola che se avesse fatto qualche domanda inopportuna le avrebbe piantato una scure in testa.
«Oh, altro che inferno, Gallagher …» sorrise tristemente ammirando la foto dell’uomo che amava tanto «Se il Paradiso potesse parlare saresti il suo ultimo vero portavoce …»
E si strinse il cappello bianco al petto mentre l’alone del fantasma di Ian lo stringeva forte, con la guancia poggiata tra le sue spalle, con un sorriso tipico di Ian Gallagher ispirava il profumo del suo cappotto pulito, colmo di quell’odore che non era mai cambiato in tutti quegli anni.
Tabacco e gomma da masticare.
Aveva sempre amato il suo odore.


 
FINE
 



Note d’Autrice
È finita.
Ancora non mi sembra vero, ma questa mia prima long sui Gallavich è ufficialmente conclusa.
Mi sembra ieri quando l’ho iniziata, ero in ospedale, annoiata per una brutta bronchite che non mi faceva respirare per bene e che mi ha dato l’ispirazione per questa storia.
Sinceramente non so molto bene cosa dire, quindi molto probabilmente mi perderò in un fiume di parole come al mio solito. Già, come avrete notato sono un bel po’ logorroica.
Scrivere questo funerale è stato un pugno al cuore, letteralmente. Non tanto per Ian stesso che è morto, quanto per le reazioni Mickey, che Mickey non è più.
Sono consapevole di aver distorto abbastanza la sua personalità, ma nella mia testa c’era questo disegno e non sarei mai riuscita a scrivere in maniera diversa.
Insomma … Mickey distante da Ian, in un altro paese, ma consapevole del fatto che sia vivo, vegeto e in salute è un conto, mentre il fatto che gli muoia tra le braccia dopo una lunga agonia è un altro.
Sostengo fermamente che in una situazione del genere il Mickey Milkovich della serie crollerebbe a pezzi.
Avrei davvero voluto  concentrarmi di più delle reazioni dei Gallagher, ma già gestire Mickey è stato straziante e difficile, quindi non oso immaginare cosa sarebbe uscito se la questione avesse preso molti più punti di vista.
Le scene che mi hanno fatto commuovere di più mentre le progettavo e le scrivevo sono due: Mickey che si fa la barba e il dialogo tra lui e Fiona dopo il funerale.
Mickey che si fa la barba solo perché ad Ian piaceva vedere il suo volto glabro, per come lo vedo io, è un sinonimo di forza immane del personaggio. Mickey che comunque riesce a prendere in mano la sua vita, che riesce per lo meno a sopravvivere dopo la morte di Ian.
Il flashback del dialogo tra Mickey e Fiona dopo il funerale è stato pensato e scritto molto velocemente, l’ho inserito in un ultimo momento, presa da un improvviso colpo di ispirazione. Volevo creare una sorta di legare tra Mickey e i fratelli Gallagher, dimostrare che lui era come un membro della loro famiglia e, per questo, Fiona lo ringrazia e gli regala i vestiti di Ian, chiedendogli di non “gettare la sua vita nel cesso” (Che è un riferimento al terzo capitolo, quando Ian chiede a Lip e Fiona di, appunto, “impedire che Mickey getti la sua vita nel cesso”).
Per me sono state due scene intense e cariche di dolore, mi auguro sul serio che siano piaciute a voi tanto quanto sono piaciute a me.
Be’, l’epilogo … Mickey che scappa.
Mickey scappa perché altrimenti sarebbe diventato matto.
Già il fatto che prenda a pugni la lapide di Ian dice molto, come al South Side in quelle condizioni avrebbe solo perso il senno e mandato letteralmente in rovina la sua vita.
Quindi va a realizzare i suoi desideri, nonostante non riesca mai a sconfiggere i demoni che la morte di Ian ha lasciato dentro di lui.
Non so di preciso se Ian continua veramente a vivere come il fantasma che Mickey sente ogni notte al suo fianco o se sia solo una sensazione del nostro amato King Mikhailo, sinceramente … lascio a voi interpretare questa cosa.
Se è vero o meno, comunque Mickey lo sente ed è una cosa che lo accompagnerà per la vita. Se buona o cattiva, be’ … lascio decidere anche questo a voi.
I versi di questo capitolo sono molto importanti per me, provengono da una canzone che amo, Take me to church, di Hozier.
Okay, credo di dover lasciar a voi la parola e concludo aggiornandovi su qualche nuovo progetto che ho in mente:
a breve, spero di riuscire a creare una raccolta di One Shots, missing moments di questa storia che non sono riuscita ad inserire all’interno dei capitoli;
giorno 25 febbraio pubblicherò una nuova long, sempre sui Gallavich;
ho in progetto un bel po’ di One Shots, che spero di pubblicare al più presto.
Spero che questa storia vi sia piaciuta e che continuerete a seguire gli altri miei lavori!
Vi ringrazio di cuore, TUTTI!
Un abbraccio,
Merasavia Anderson.
 
RINGRAZIAMENTI
Per prima cosa mi sento in dovere di ringraziare mia mamma, che ha dovuto sorbirsi i miei scleri su questa storia e l’ho praticamente obbligata a darmi consigli e pareri.
Senza di lei probabilmente sarei diventata pazza!
Ringrazio, su EFP, Hil 89, Willkick e Lex_in_Wonderlend che hanno recensito la storia, dashuria, Katie_P, kenyz, pensavoate e (ancora una volta) Hil 89 e Lex_in_Wonderlend che l’hanno inserita nelle preferite, bananacambogianachiquita e valelmekawy che l’hanno inserita nelle ricordate e Enzo98, ophelia15362, GwenJ,  e (ancora una volta) Willkick e valelmekawy che l’hanno inserita nelle seguite.
Su Wattpad, invece, ringrazio Silvia_Dashing29, silviaavagliano e mickeyiangallavich che hanno inserito la storia nei loro elenchi di lettura e ChiaraPesaresi1, e (ancora una volta) mickeyiangallavich  e silviaavagliano che l’hanno votata.
Vi ringrazio di cuore per il supporto che mi avete dato, per le belle parole che avete speso e per aver trovato il tempo di leggere questa mia storia.
Ringrazio i lettori silenziosi (so che ci siete!) nella speranza che un giorno possano uscire allo scoperto. (Insomma, ragazzi, se Mickey ha fatto quel plateale coming out … voi potrete sicuramente riuscire a mostrarvi!)
Mi sento in dovere di ringraziare anche Cameron Monaghan e Noel Fisher, perché senza le loro fantastiche interpretazioni i Gallavich non sarebbero mai stati i Gallavich che noi oggi amiamo. E con loro, sarebbe bello poter ringraziare tutto il cast e la crew di Shameless, che ci hanno regalato questa serie TV meravigliosa.
(E sì, lo so che non leggeranno mai questi ringraziamenti, ma è okay!)
Ringrazio, per ultime ma non meno importanti, tutte le persone che hanno o hanno avuto un ruolo speciale nella mia vita.
Ecco, ho finalmente finito.
Grazie ancora!



(Vi avevo avvertito di essere logorroica.)




 
   
 
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