Come altro poteva andare? Cos’altro avremmo potuto fare se non finirla qui?

La stanza di quell’alberghetto cominciava a farsi davvero piccola intorno a sé.

Girava anche, come se non bastasse.

Dimensionare le cose intorno a lui era una sfida già da qualche minuto.

Si ripeteva che era la droga e la parte razionale del suo cervello gli sussurrava che non era affatto così.

Puoi convincerti di quello che cazzo vuoi ma non provare a fare lo stesso con me.

Per comodità si sarebbe detto che era la droga, per comodità si sarebbe detto molte altre cose.

Aveva freddo ma non si sarebbe mosso neanche per tutto l’oro del mondo. 

Forse solo per un’altra dose o per un dolciume di qualche genere, ma quello era un’altro paio di maniche

Cercò di ricordare ciò che lo specialista (odiava la parola psicoanalista) gli aveva consigliato di fare nei momenti come quello.

Qualcosa sul respirare profondamente e al non rimanere in spazi chiusi.

Quando gliel’aveva consigliato aveva riso, colto dalla consapevolezza che quasi sicuramente non l’’avrebbe fatto.

E infatti.

Cazzo, ma svegliati! Ti comporterai come un automa per tutta la tua vita di merda o tirerai fuori le palle?

Si voleva alzare, voleva vedere se sarebbe riuscito ad arrivare alla macchinetta e a comprare uno snicker prima di rimetterci la pelle. Già si immaginava la scritta sulla lapide: morto coraggiosamente mentre tentava di comprare delle schifezze cancerogene.

Probabilmente il cancro era il male minore, vista la quantità di droga che era riuscito ad iniettarsi nelle vene. 

Quindi, in fin dei conti, sarebbe finita così, avrebbe avverato le previsioni che lui gli aveva profeticamente ripetuto per settimane, mesi, anni.

Riuscì a figurarsi un’ultima immagine razionale prima di sprofondare in un sonno delirante che, ne era sicuro, sarebbe stata la sua fine: lui che la guarda con un ultimo sguardo disperato ed esce sbattendo la porta.

Una fonte corrucciata, i suoi occhi pieni di disapprovazione, quasi disgusto.

Un pugno, poi una carezza.

La sua mano che accarezzava il taglio che essa stessa aveva lasciato e un milione di scuse, un milione di pianti.

Una risata e la sensazione ad avere lui dentro di sé, ad avere lui che riempie il vuoto.

Una poltrona, un camino, una tazza di the e Sherlock è di nuovo sveglio.

Sveglio e improvvisamente consapevole di quanto sia freddo il lato del letto.

Sveglio e consapevole di essersi spinto troppo oltre.

Sveglio e vivo. 

Chiude gli occhi frustrato.

Quand’è che il suo corpo soccomberà sotto il peso di quello a cui la mente ha già ceduto?

Quanto può sopravvivere con la consapevolezza che non lo vedrà mai più

Si inietta un’altra dose, più forte della precedente e John Watson torna a popolare i suoi sogni deliranti.

Sherlock che si droga, John che lo lascia per questo e Sherlock che si droga ancora di più. 

Vi ricorda qualcosa? Me ne sono resa conto dopo. Scusate Mofftiss, non era mia intenzione.

Mi sono detta: ho circa qualche miliardo di fan fiction varie cui Johnlock accumulate negli anni, e se ne facessi qualcosa di (dubbiamente) utile?

Domanda a cui è seguita la tipica domanda da cagasotto: e se fanno schifo e non me ne rendo conto perché sono troppo piena di me?

A cui è seguita la risposta subdola e un po’ stronza: tanto non possono essere associate a me, in quanto non c’è il mio nome ufficiale.

Quindi, se fanno schifo, fanno schifo, basta che me lo dite.

Non dico che non ci rimango male, dico che se fanno così schifo come sospetto che facciano, magari mi do una svegliata, che dite?

Questa nota autore è più lunga della cosa là su. Vabbè. Parlo troppo. Ciao.

C.