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Autore: Black Swallowtail    11/02/2017    0 recensioni
"Ogni giorno, ogni singola volta, la scatola attorno a me diveniva così densa ed impenetrabile da deformare il mondo esterno un po' di più, come attraverso un opaco strato di vetro che mi rimandava una distorta immagine di quel che mi circondava.
Non sono mai riuscita ad essere qualcuno, per qualcuno – come se il mio viso, il mio nome, la mia esistenza, non potessero rimanere impresse nelle loro menti."
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Azure Kuri è una studentessa incapace di formare legami con gli altri, incapace di rimanere impressa nelle loro menti. Condannata alla solitudine e ad essere una figura pallida e dimenticata, desidera ardentemente di non dover più provare nulla - nemmeno questo dolore.
L'incontro con uno strano gatto che sembra distorcere la realtà la condannerà per due anni a vivere una vita incolore e priva di emozioni, finché, un giorno, qualcuno non la chiama presso un'aula in disuso della scuola.
Questa persona che la attende le rivelerà una via d'uscita dal mondo incolore che la circonda e le mostrerà cosa c'è al di sotto della realtà, dove solo chi crede può vedere — un mondo sovrannaturale invisibile agli occhi del mondo.
Ma non a quelli di chi sceglie di credere.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Scary Monsters and Nice Spirits'
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In questo mondo, ci sono creature di ogni genere. Vivono attorno a noi, separati dalla nostra realtà da un leggero, impercettibile velo che si assottiglia quando si avvicina il crepuscolo, o quando determinate condizioni vengono soddisfatte. L'essere umano non se ne accorge, forse perché vedere uno spettro o un essere sovrannaturale significherebbe, per lui, vedersi crollare addosso le fondamenta del buonsenso e della razionalità. Sfuggono alla nostra comprensione e dev'essere questo il motivo per il quale non ci appaiono, per il quale le crediamo frutto di fantasie.

Eppure, ci sono alcune persone che riescono a percepire la loro presenza, a volte perfino a vederle; ma quando questo accade, è sinonimo di grande ferite, di un tentativo talmente grande di fuggire dalla realtà, sfuggendo ai suoi artigli, da dedicarsi ad un altro luogo più interessante, forse anche più pericoloso, ma che funge da rifugio per coloro che si sentono soli, abbandonati, impauriti e disgustati.

È una lezione che ho imparato sulla mia pelle e che, da una settimana a questa parte, non ho più dimenticato. Dall'istante in cui il Gatto è sparito dal mio abbraccio, dal momento in cui ho sentito le lacrime sgorgare dal mio viso, ho capito che quella parte di me, che per così tanto tempo credevo fosse sparita, è sempre stata in attesa, come dormiente. Aveva ragione Aidan, dopotutto: non si trattava di uno spirito maligno, ma solo mosso da compassione. Quando, in quel giorno di due anni fa, ha sentito la mia chiamata, rispondendo al mio disperato desiderio, ha esaudito la mia richiesta superficiale – quella di abbandonare ogni emozione.

Ma, allo stesso tempo, nella sua compassione, ha voluto aiutarmi; d'altronde, come ha detto l'esperto del sovrannaturale, questo genere di spiriti è simpatetico con l'essere umano, ferito e sofferente. Per tale ragione, il Gatto ha lasciato in me una scintilla, meno del guizzare della fiamma, meno del riverbero di una candela nell'oscurità; una minima luce, silenziosa, in attesa che, un giorno, si accendesse, risvegliando in me una parte di quelle emozioni che credevo di aver perduto.

Per realizzare il mio inespresso desiderio, quello di poter essere un qualcuno, per una volta, in questo mondo, per riuscire a plasmare in me l'accettazione che ho sempre cercato, ha lasciato un barlume di desiderio che si fosse acceso, qualora, un giorno, avessi voluto che qualcuno si ricordasse di me. Che qualcuno potesse chiamarmi per nome, camminare al mio fianco.

Perciò, ho sentito in me un vago desiderio di sentire, ancora una volta, il mio nome; perciò, lentamente, mutevoli e blandi frammenti morenti di emozione hanno, ogni tanto, vibrato dentro di me, come risuonando ad un richiamo che avessero atteso così tanto a lungo.

Aidan lo aveva capito, naturalmente, ma ha deciso di non rendermi partecipe per non rovinare il disegno del Gatto, per rendere quel graduale, crescente desiderio, autentico, tenendolo vivo nell'istante in cui ha minacciato di spegnersi, ricordandomi che, da quel momento, non sarei più dovuta essere sola. Mi ha ricordato che tra noi due, era nata una promessa che avrebbe rispettato, ricordandomi vivida com'ero.

Siamo tornati a casa mia quando il sole era già a metà del suo arco mattiniero, ma nella situazione in cui versavo, non sono potuta andare a scuola. Tutte le sensazioni rimaste sopite mi sono esplose in petto di colpo ed ho dovuto fare affidamento ad Aidan, per non rimanerne preda. Ho provato una sorta di profonda malinconia, per tutto quel che è accaduto, come quando si guarda indietro ad un qualcosa di non esattamente felice, ma che, in un certo senso, ha inciso abbastanza sulla nostra vita da rimanerne una parte importante, abbastanza da sentirne il distacco.

Abbiamo parlato di quel che avremmo fatto, di come affrontare questa situazione, per i giorni a venire. La soluzione migliore è stata, ovviamente, quella di evitare eccessivi contatti con l'esterno, in particolare con la scuola, ora che sono tornata in possesso delle mie facoltà emozionali, almeno finché non le avrò normalizzate. Fortunatamente, a detta dell'esperto, grazie allo spettro delle emozioni opportunamente lasciato dal Gatto, il recupero delle mie sensazioni non è stato tanto traumatico quanto pensava.

Siamo entrambi rimasti piuttosto sorpresi dalla complessità del disegno di quello spirito misterioso, di come, pur di riuscire a sollevare il dolore dalle mie spalle, di guarirmi dalla mia apatia e dal mio desiderio di distacco, avesse lasciato in me un rimasuglio che si sarebbe, un giorno, potuto attivare. Forse, in cuor mio, ho sempre saputo che perdere le mie sensazioni non era la via giusta per trovare sollievo, per trovare un posto in questo mondo che mi appare, anche ora, a tratti, insensibile e crudele.

Ho avuto del tempo per riflettere su quel che mi è accaduto, di vagliare me stessa, i miei desideri. In me, non si è mai spento il desiderio di essere riconosciuta da qualcuno. Di essere ricordata. Di non essere un evanescente nessuno.

All'inizio, è stato difficile abituarmi nuovamente a quel torrente di emozioni. Per una settimana, ho dovuto essere estremamente cauta in ogni mia azione, in ogni mio movimento, come se vedessi il mondo a colori per la prima volta; abituata a sentire nulla, solo un divorante, infinito vuoto, ho dovuto lentamente tornare a controllare le mie emozioni, le mie reazioni. Ho pianto lacrime di felicità per ogni nuovo sapore, per ogni nuova sensazione che ho sentito nascere nel petto, rendendomi conto di quanto fossi stata privata di un frammento così importante di me stessa.

Aidan ha trascorso con me gran parte della prima settimana, complice la scusa di portarmi appunti e compiti dalle ultime lezioni, aiutandomi al meglio delle sue possibilità a rimettere insieme i miei pezzi. Ogni giorno, presentandosi di fronte a casa mia nonostante il gelo pungente, si è premurato di continuare a starmi accanto, aiutandomi con la riabilitazione. Quando gli ho chiesto se fossi, in un certo modo, un peso per lui, per il suo lavoro, ha semplicemente scrollato le spalle, rispondendomi che avrebbero aspettato.

A suo dire, non sono così frequenti i casi di presenze sovrannaturali che richiedano il suo intervento, e di recente non sembrano essersi verificati casi degni della sua attenzione, all'infuori del mio, se non qualche voce che lo ha insospettito, ma sulla quale si sarebbe preso il tempo giusto per indagare, prima di contattare l'interessato... o viceversa.

Così, mentre io ho fatto pigramente intere colonne di esercizi di matematica e sfogliato decine di pagine di letteratura, l'ho osservato semplicemente essere lì, con me, e leggere, scribacchiare appunti, ogni tanto sparire per un po' di tempo in qualche ricerca al computer, ma senza mai allontanarsi da casa mia, almeno finché il sole non è calato ogni volta lasciando il posto alla luna e al cielo scuro della mordente sera.

Da domani mattina, potrò tornare a scuola, in classe, dove abbiamo deciso che terrò un comportamento simile a quello che ho avuto fino ad ora, procedendo lentamente, per non creare scompiglio, fino a dare una nuova immagine di me a tutto il resto del mondo.

Il salotto è una stanza piuttosto sobria, con una grande porta finestra che si spalanca sulla città; quando le tende non sono tirate, sul fare del tramonto, la stanza si tinge di una miriade di colori, sfumature del cielo rosseggiante che vanno dal purpureo al rosato, in una soffusa atmosfera quasi surreale. Adagiata sul divano color crema, riesco ad intravedere, perfino attraverso gli spiragli lasciati dalle mie dita poggiate sul volto, i giochi di luce che si riflettono sullo specchio e poi sul muro immacolato, producendosi in strane, vaghe ombre dall'opaco colore quasi roseo.

Il ticchettare dell'orologio da parete indica lo scorrere inesorabile del tempo, un altra giornata che lentamente volge al termine, anche questa scivolata tra le mie dita mentre mi riapproprio delle mie emozioni. Mi rendo conto solo ora di quanto tempo sia passato, di quanto velocemente sia sparito, senza che me ne accorgessi, senza riuscire a sentirne il sapore. Non ho potuto fare a meno di chiedermi, se abbia veramente vissuto, nell'arco di questi due anni, o se semplicemente mi sia limitata a respirare.

—Hai vissuto, o hai solo respirato?

Una domanda a cui non troverò mai davvero una risposta.

Due anni sono passati nel grigiore di una vita senza alcuna emozione. Due anni che non potrò mai più riavere indietro. Per questo, ora, sono come presa da una frenesia divorante, dall'urgenza di riuscire, in qualche modo, a riappropriarmi dei miei sentimenti il prima possibile, per recuperare almeno una parte di quel tempo perso. Mi sento come un malato provi di nuovo a camminare dopo tanto tempo passato immobile, su un letto di ospedale; è faticoso riuscire ad abituarmi, nonostante lentamente tutto stia volgendo verso la normalità. A volte, è quasi nauseante la quantità di sentimenti che germogliano, sopratutto se ripenso al passato, se richiamo alla memoria quel che è accaduto anche solo pochi giorni fa.

Lentamente, mi volto su un fianco, in modo da poterlo guardare mentre è impegnato nel suo studio, a scribacchiare appunti uno dopo l'altro, tormentando il cappuccio della sua penna meccanica, in preda all'indecisione. La sua fronte, a volte, sembra come corrucciarsi, forse per la delusione, per il nervosismo di non riuscire a determinare, esattamente, quale genere di creatura si sia messa in contatto con me, nel momento del bisogno.

Mentre siamo seduti, uno di fronte all'altro, nel piccolo salotto di casa mia, io sdraiata sul divano, lui intento a scorrere il suo bestiario poggiato sul tavolo, mi chiedo se sia il caso di chiedergli di quale spirito si trattasse. Dopotutto, non ho mai saputo quale essere sia venuto in mio soccorso, udendo la mia supplica, e come abbia deciso di offrire il suo aiuto in un modo tanto contorto e subliminale, ma efficace.

“Ci sono molte scelte. Avrebbe potuto essere un Silfe, uno spirito dei venti, ma non ne sono sicuro. È una teoria piuttosto flebile. Potrebbe trattarsi di un essere di natura totalmente diversa, per questo sto tentando di individuare esattamente la sua identità.” chiude il libro, con un grosso sospiro di rassegnazione, poggiando il mento sulla mano, lo sguardo che vaga verso il tramonto rossastro del pomeriggio invernale, “Forse non lo scopriremo mai. A volte succede. Il mondo dell'occulto è ben più contorto e sconosciuto di quanto tu possa immaginare.”

“Dev'essere un lavoro terribilmente duro, il tuo,” rifletto, mentre, a fatica, mi alzo in piedi, stiracchiandomi, tendendo il corpo snello, prima di sedermi di fronte a lui, scoccandogli uno sguardo di sottecchi. Mi sono chiesta, più volte, il motivo che abbia spinto Aidan Reiss ad interessarsi del mondo dell'occulto, come sia riuscito, per primo, a trovarvi rifugio. Ho pensato alle più disparate ragioni, ma nessuna di esse sembra riuscire a convincermi. Una volta, nel nostro primo incontro, ha detto con un tono quasi di amarezza, che nessuno, meglio di lui, può capire quanto questo mondo faccia schifo. Quanto lo disgusti.

Possibile che si tratti solo di questo? Repulsione per la nostra realtà? Oppure, dietro di esso, c'è un'altra ragione che mi sfugge e che non posso riuscire a comprendere?

Nonostante sia riuscito a guardare attraverso di me senza alcun problema, per quanto io sia un libro aperto ai suoi occhi, lui è una figura piena di incognite, di punti di domanda. Ma è quello che ci sia spetta da chi si immerge in un mondo privo di razionalità e che sfugge ad ogni logica, dopotutto; un minimo di mistero che lo avvolge e lo nasconde. A volte, ho l'impressione che le sue espressioni siano false, forzate, come simulate; sono certa, però, che quando ha tentato di trattenermi, quando ha voluto con tutto se stesso farmi desistere dal fuggire... In quel momento, voglio credere che sia stato completamente onesto. Voglio credere che abbia dato voce a tutti i suoi pensieri, senza alcun timore o remora.

Di fronte al parco abbandonato, che ha scelto per me, perché ha pensato mi rispecchiasse, è come se per un istante avesse lasciato aprirsi una incrinatura su di sé. Mi ha chiesto di dimenticare quel che ha detto. Come se potessi farlo così semplicemente, come se potessi dimenticare quelle parole come se nulla fosse.

Ed è stato in quel momento, che mi sono chiesta cosa possa essergli accaduto davvero, se forse qualcosa che si sia verificata in passato lo possa aver spinto a tendermi la sua mano.

Nonostante ciò, ha mantenuto la sua promessa, con tutto se stesso. Con ogni sua capacità, con ogni sforzo, non ha rotto il nostro patto. Mi ha promesso che avrebbe ricordato il mio nome... E fino ad ora, ha continuato, ogni giorno, a chiamarmi per nome. Come a volermi ricordare il nostro patto, come se tentasse di dirmi che, d'ora in poi, non mi dovrò più sentire come un pallido spettro che sparisce dalle vite altrui, come un manichino senza volto.

“Il rientro a scuola sarà difficile,” ragiona ad alta voce, con tono assente, “Sopportare gli sguardi di tutti, le voci, sopratutto quando ci vedranno insieme. Ma non dovresti metterci molto ad abituarti, perché—”

“Aidan.”

Il mio sussurro è talmente basso che non sono sicuro che l'abbia udito, preso com'è a far spaziare lo sguardo sulla città arrossata dal sole. Evito di incrociare i suoi occhi, di guardarlo anche solo per un istante, di nascosto. Nascondo il mio viso abbandonando il braccio sugli occhi, schiudendo leggermente la bocca, come a voler sussurrare qualcosa. La mia bocca trema un secondo, esitanti, mentre lui mormora una risposta.

“Sì?”

Lasciando che l'aria entri nei miei polmoni in una grande boccata, in un respiro profondo, chiudo gli occhi, trovando la forza per chiedergli, una volta sola, “Puoi pronunciare il mio nome?”

Per un lungo istante, di colpo, è immobile, quasi stia riflettendo sulla mia richiesta improvvisa, che lo ha preso di contropiede. Lo sfogliare febbricitante delle pagine del suo libro si interrompono, come in silenziosa attesa.“Hai paura scompaia di nuovo?” la sua risposta è esitante, posso avvertirla dalla lieve vibrazione nel suo tono, nonostante cerchi di dissimularlo, “Ti ho già detto che—”

Senza aprire gli occhi, senza osare guardare il mondo, dischiudo appena le labbra, “Ti prego.”

Per un istante, è come se trattenesse il respiro, quasi in bilico. Mi sembra quasi di vederlo, lì seduto che tiene il libro sulle ginocchia, senza osare guardarmi, senza osare posare lo sguardo su di me, mentre morbidamente, con un tono leggermente esitante, sussurra, in un respiro, “Kuri.”

Un tiepido calore si allunga nel mio corpo, insieme al sorriso che, spontaneamente, si incurva sul mio viso, al suono di quella semplice parola, di quel nome come un altro. Mi sento—viva. Presente. Come se questa fosse stata la prova della mia esistenza. Una sensazione che credevo non avrei mai provato, una vaga scintilla di pallida gioia, che affonda le sue radici nel mio petto.

“Grazie.” Apro un occhio, per osservarlo mentre si mordicchia il labbro, nel rispondermi, “Non è nulla. Era un patto e sto solo facendo la mia parte.”

Non riesce ad essere del tutto convincente. Per quanto il suo tono sembri naturale, persino convinto, riesco quasi ad avvertirvi una lieve vibrazione. Potrei pensare che stia fingendo, se non fosse per quelle parole, piene di rabbia e frustrazione, così diverse da ogni altra che mi aveva rivolto prima, pronunciate in quel vicolo, solo una settimana fa.

“Non volevi forse che io ti ricordassi?”

Ho aspettato tanto a lungo che qualcuno mi si rivolgesse così. Ho atteso così tanto di essere riconosciuta da qualcuno, da aver perso ogni speranza. In quel momento, forse, devo essere apparsa tanto miserabile, da spingere quello spirito ad aiutarmi. Un Gatto che mi ha rubato le emozioni, premurandosi di lasciarne in me un barlume, in modo che, un giorno, avessi potuto liberarmi dalla soffocante sensazione di essere sbiadita, trasparente.

“Grazie, Aidan.” ripeto, nascondendo il volto nell'incavo del mio gomito, così che non possa vedere le lacrime bollenti di liberazione che stanno sgorgando dai miei occhi, scorrendo brucianti lungo le mie guance, “L'ho aspettato per così tanto tempo.”

Lui non si muove, per venirmi a consolare, a poggiarmi una mano sulla spalla, ad asciugare le mie lacrime. Semplicemente, rimane immobile, come bloccato, senza muovere un muscolo, limitandosi ad abbassare appena la fronte.

“L'ho fatto per me. È stato un lavoro come un altro.”

Bugiardo.

Sei proprio un pessimo bugiardo, Aidan Reiss. Non sapresti ingannare nessuno, con quel tono, con quell'espressione sulla faccia. Sei proprio senza speranza.

Un bugiardo senza speranza.

Il sorriso sul mio viso non è ancora sparito, quando gli rispondo, con voce rotta, “Capisco.”

Probabilmente, se raccontassi questa storia a qualcuno, riceverei solo occhiatacce e sussurri alle spalle. Chi crederebbe mai che le mie emozioni sono state rubate da un Gatto, o meglio, uno spirito dalla forma di un gatto?

Era quello che credevo. In fondo andava bene così.

Nessuno avrebbe creduto all'esistenza di mostri spaventosi e spiriti gentili che abbiamo perso la facoltà di vedere, perché la nostra razionalità ci ha divorato e surclassato. Non ci avrei creduto nemmeno io, se non lo avessi vissuto nella mia pelle.

Non c'era qualcuno a cui volessi dirlo. Non c'era alcuna persona a cui importasse di me, dopotutto.

C'è una vecchia leggenda, che molti definiscono sciocca o melensa, una favola come le altre, frutto di innumerevoli secoli di tradizione giunti fino a noi. Un filo rosso collegherebbe alla nascita coloro che, in un modo o nell'altro, sono destinati ad incontrarsi, ad incrociare i propri cammini e, per una ragione qualsiasi, finiscono per essere legati indissolubilmente. Si tratta di un filo invisibile e vibrante, che si tende ma non si spezza, non importa quanto grande sia la distanza, o quanto tempo possa passare; semplicemente, questo filo rimane, inscindibile, a collegare due persone.

Priva di emozioni, piena solo di una visione razionale e scevra da ogni influenza della mia anima, lo avevo classificato come uno sciocco mito, destinato a rimanere, come gli altri, in un vago cassetto della memoria, una storiella adatta a chi volesse illudersi di aver seguito un cammino approntato dalle inesistenti forze del fato.

Eppure, alla luce dei nuovi avvenimenti, non posso fare a meno di chiedermi se effettivamente qualcosa del genere possa esistere sul serio. Se esistono mostri e spiriti, è così strano che qualcuno sia legato ad un'altra persona, per una ragione sovrannaturale che sfugge alla nostra comprensione? Alcuni fatti che sembrano accadere per caso, che sembrano verificarsi solo per coincidenze nella vita di tutti i giorni, e che ci portano poi a conoscere una certa persona verso la quale sentiamo un irresistibile richiamo, una persona che sembra essere l'unica in grado di sentirci, quale altra spiegazione potrebbero avere? Possibile si tratti solo di casualità, di probabilità scientifiche, di processi biochimici all'interno del nostro cervello?

Il ritorno a scuola è stato piuttosto difficile. Per quanto abbia deciso di procedere per gradi, non sono riuscita ad assumere lo stesso atteggiamento di prima; per la prima volta, mi è sembrato di notare degli occhi puntarsi fugacemente su di me, forse perché ho salutato, per la prima volta, la classe con un balbettio poco convinto. O forse perché quel ragazzo taciturno e sul quale ogni tanto circolano strane voci, quell'Aidan Reiss che se ne sta sempre sulle sue, mi è venuto a parlare come se nulla fosse. Mi ha rimproverato, ovviamente, perché non sono riuscita ad attenermi minimamente al piano, dandomi della senza speranza; l'imbarazzo è stato troppo forte, qualcosa a cui non sono abituata, e credo di essere arrossita talmente tanto che, anche se non avessi esitato nel salutare la classe dopo la settimana di malattia, qualcuno avrebbe comunque notato il mio cambio d'atteggiamento.

Ora che siamo seduti in un angolo del cortile della scuola, durante la pausa pomeridiana, mi rendo conto anche di quante voci potrebbero essere iniziate a circolare, tra loro, sul mio comportamento, o sul mio rapporto con Aidan, o su chissà quante altre cose. Ho l'impulso di fuggire da qualche parte, ma allo stesso tempo, per qualche motivo, mi sento stranamente—esistente. Non per le occhiate, che per la prima volta non mi sono passate attraverso come fossi fatta di pietra, non per le voci, che per una volta, in qualche modo, sono riuscite a pronunciare parzialmente il mio nome nel modo corretto, ma perché qui, seduta a sentire la brezza gelida invernale, mi rendo conto di poter finalmente rispondere ad una domanda che credevo impossibile. Ora, per la prima volta... Mi sento come se non stessi solo respirando.

La leggenda del filo rosso potrebbe essere, semplicemente, una storia come un'altra. Si tratta, dopotutto, di una favoletta non diversa da quella di demoni che stringono patti con gli uomini, o spiriti che esaudiscono desideri. Non voglio credere che sia effettivamente vera, solo perché questi esistono davvero. Voglio pensare che abbia un fondo di verità perché io stessa credo di aver sentito il filo attorno alla mia mano tendersi, stringersi, quasi come chiamarmi, facendo in modo che il mio cammino si incrociasse con la persona all'altro capo.

C'è chi, forse non troverà mai la persona all'altro capo del filo, perché troppo lontana, perché separata da ostacoli insormontabili. Io, invece, voglio avere fiducia; voglio dire di aver avuto la fortuna di incontrarla. Di aver trovato l'unica persona che, nel mio mondo incolore, sia riuscita ad ascoltarmi e a tendermi una mano. Quando tutti mi ignoravano, quando ero una senza nome, una nessuno che minacciava di sparire, divorata dal nulla che avevo all'interno, che mi circondava, solo una persona è riuscita a riaccendere in me una scintilla. Solo una persona mi ha dato un vago colore da seguire.

Perciò, sono sicura che si sia trattato di qualcosa che ci ha legato indissolubilmente. Sono sicura che solo la persona, dall'altro capo del filo, potesse essere in grado di udire un grido di aiuto silenzioso, che nemmeno io conoscevo.

“Aidan.” lo interrompo di colpo, la sua espressione corrucciata che si distende quando incrocia il mio sguardo. Sento gli occhi umidi. Mi affretto ad asciugare le lacrime, “Sono finalmente qualcuno.”

“Sei sempre stata qualcuno, Kuri.”

Nonostante tenti di nasconderlo, ho intravisto il suo sorriso. Il primo che mi abbia mai mostrato. Alzo il mignolo, puntandolo contro il cielo, perché socchiudendo gli occhi, contro la luce del sole pallido, forse vedrei davvero il filo che ci unisce.

Mi chiedo quanti spiriti gentili e quanti mostri spaventosi esistano a questo mondo.

Mi chiedo cosa ricorderò, negli anni a venire, di questi giorni. Sono sicura che, per quante cose mi possano accadere, non riuscirò mai a dimenticare...

Non riuscirò mai a dimenticare i giorni in cui sono stata senza nome.

I giorni in cui sono stata una nessuno trasparente. 

   
 
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