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Autore: Kastel    13/02/2017    3 recensioni
[AU ambientata in un GULag/Viktor center/OOC per l'ambientazione]
Sogna ancora di pattinare, nel suo piccolo paesino. Sogna di poter indossare nuovamente dei pattini e sfrecciare sul ghiaccio.
E invece.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Victor Nikiforov
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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“Vedi di darti una mossa, prigioniero.
Viktor alza lo sguardo sul soldato, che di tutta risposta lo colpisce col calcio del fucile sullo stomaco.

“Non hai ancora capito? Non puoi guardarmi. Ti è chiaro adesso?”
Abbassa lo sguardo, annuendo poi.
“Bravo. Ora muoviti o ti colpisco un’altra volta.”
Si alza in piedi a fatica, iniziando a camminare verso la miniera. Oramai tutto è faticoso, persino respirare. E l’essere un ex carceriere non aiuta.
Sospira, entrando nella miniera e prendendo gli attrezzi, anche se a fatica. Il gelo non l’aiuta affatto. Le mani sembrano dei pezzi di ghiaccio. Almeno dentro la miniera fa più caldo.
Uno spintone e si ritrova a terra, mentre sente ridere. Un altro simpatico scherzo degli altri prigionieri. Ottimo.
Si alza in piedi a fatica, aiutandosi con gli attrezzi. E dire che fino a qualche giorno prima aveva lui il coltello dalla parte del manico.
 

 

Viktor Nikiforov, è vero che ti è scappato un prigioniero?”
Viktor alzò le mani, come a voler dire che era una bugia, ma non poteva negare la realtà, non quando c’era un testimone.
Sì, è vero.”
Il comandante chiuse gli occhi, riflettendo sul da farsi.
Sei un ottimo soldato. Pronto, attento. Hai persino fatto un sacrificio importante e di questo ne tengo conto. Però...”
Alzò lo sguardo sul comandante, sperando che non dicesse quella frase.
L’aver fatto scappare un prigioniero è una cosa gravissima. Non possiamo far lasciar passare l’accaduto come se niente fosse. Cosa penseranno i prigionieri, se
lasciassimo intendere che qualsiasi fuga è senza punizioni?”

Il comandante sospirò, chiudendo gli occhi.
Viktor Nikiforov, me ne dispiaccio davvero. Ma da questo momento sei un detenuto anche tu.”
Il mondo intorno a Viktor crollò. O forse era solo lui ad essere crollato, chi poteva dirlo.

 

 

E ora si ritrova a dover vivere esattamente ciò che ha sempre calpestato, insultato, odiato. Ora è lui ad essere quello debole, a soffrire il freddo e la fame, ma non solo. Deve anche sopravvivere ai suoi compagni di sventura che, manco a dirlo, lo odiano con tutto l’ardore del mondo. Ovviamente.
Viktor chiude gli occhi, sdraiato a letto. Quel giaciglio è scomodo da morire e pieno di difetti, tra cui il fatto che fa entrare il freddo. Quel gelo terribile che gli scombussola la giornata, che la rende invivibile. Trema terribilmente, si sente la febbre ma sa che è solo la stanchezza, che non lo abbandona mai. Vorrebbe solo dormire, riposarsi decentemente.
“Come ci si sente ad essere come noi, eh?”
Apre gli occhi, alzando lo sguardo verso i suoi compagni di baracca, che hanno accerchiato il letto, pronti a fargliela pagare un’altra volta.
Viktor si alza a sedere, togliendosi la parte sopra degli stracci che indossa. Segni rossi e morsi solcano la sua pelle, una punizione di cui aveva sentito parlare ma che non aveva mai subito di persona. Ora invece è lui quello che la sta vivendo, con divertimento dei suoi compagni di sventura.
Chiuse gli occhi, stringendoli con forza. Magari se li serra niente di tutto quello accadrà. Un pensiero infantile, che si scontra con la dura realtà del subire una violenza. Non solo fisica, non solo sessuale, ma anche psicologica. Soprattutto psicologica.
Qualcosa dentro di lui si è rotto la prima notte in cui si è ritrovato a dover vivere da detenuto in un GULag e nessuno glielo potrà ridare. Neppure i sogni.

 

Fa spesso uno strano sogno.
Non è più il soldato o il prigioniero dai capelli rasati e dagli occhi di ghiaccio. Tutt’altro.
I suoi piedi corrono veloci coi pattini sul ghiaccio, ma sono così leggeri che gli permettono di volare. Salta in alto così tanto che raggiunge il cielo. Con una mano lo tocca, ritrovandosi a piangere per la bellezza. Vorrebbe fermare le lacrime, ma non ci riesce. Tutto è così bello, così reale. Così vivo. Sa che è solo un sogno, ma spera che duri in eterno.
Non come, invece, la sua vita.

 

 

Un altro giorno di tortura, un altro giorno da vivere solo perché si è vivi e non per un’effettiva volontà. Oramai le giornate sono così: violenze gratuite giorno e notte. Un contrappasso fin troppo doloroso, quasi dovesse pagare per le morti che ha causato.
Ci sta riflettendo spesso, sul dover scontare una punizione per i suoi errori. Quasi fosse finito direttamente all’inferno, nel girone degli assassini. Altrimenti non si spiega il perché debba soffrire così, per il puro divertimento degli altri. A pensarci bene, però, non è stato anche lui così? Non ha dato punizioni per il puro gusto di farlo? Ovviamente sì, come tutti coloro che sono nella sua ex posizione. Non si scampa: troppo potere in mani di pochi fa male, ora se ne rende conto. Vorrebbe averlo capito prima.

 

 

Se c’è una cosa che ha capito diventando prigioniero è che loro (oramai c’è dentro fino al collo) non sono esseri umani, agli occhi dei soldati. Sono delle bestie, pericolose alcune e docili altri, ma tutte da maltrattare e con cui divertirsi, anche a costo di ucciderle.
“Ehi, prigioniero.
Viktor alza la testa, senza guardare chi ha parlato: lo sguardo, spento, è girato verso il nulla più totale.
“Vedi di rispondermi quando ti parlo!”
Un calcio e Viktor è a terra, lamentandosi per il dolore. Le guardie ridono, tirandogli un altro calcio. Vorrebbe poter dir loro di non divertirsi troppo, che a un minimo errore ci si può trasformare in animali, ma non può. Ha la bocca piena di sangue, il suo sangue. Tossisce con forza, rendendo scarlatta la neve. Subito i soldati si scansano, fissandolo con rabbia.
“Osi rovinare le mie scarpe?”
E vorrebbe urlare di no, che non è vero, che non oserebbe mai ma arriva un calcio e poi un altro a macchiare il suo viso di sangue. I soldati continuano per un po’, finché non si rendono conto di una cosa.
Viktor non si muove più.
I soldati lo guardano con disprezzo, sputandogli addosso il loro odio. E viene lasciato lì, al freddo, a morire.

 

 

Un nuovo sogno, stavolta pieno di particolari.
Sta pattinando nuovamente, ma non è solo. Con lui ci sono altri due uomini e si avvicinano verso dei flash di macchine fotografiche. Si sente sorridente, mentre alza una medaglia dorata. Significa che ha vinto. La bacia, mostrandola poi al pubblico.
Un sogno del genere prima di morire non è male, pensa.
Già, non è affatto male.

 

 

 

Note.
Ed è finita questa fic. Spero sia piaciuta, che vi abbia fatto riflettere un poco. E niente, ci vediamo alla prossima!

   
 
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