Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Ruta    14/02/2017    2 recensioni
“Mi dispiace.” Lui traccia col pollice gli spigoli del suo viso, sembra sinceramente dispiaciuto. “Avrei dovuto accorgermene prima.” Parla con voce arrochita dal dolore e Molly si lascia avvolgere da quel dolore non suo e allo stesso tempo così simile al proprio. “Lei era il tuo John Watson.”
“No,” un sussurro vero, sincero, “lei era la mia Mary.”
Genere: Fluff, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mary Morstan, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Errata corrige. Ho modificato il titolo della storia, quello di prima non mi convinceva, aveva un suono strano e poco centrava con il significato che intendevo darle. Questo fa riferimento a quello che il video rappresenta emotivamente: le ultime volontà e il testamento di Mary Watson. Grazie come sempre per l'attenzione e la pazienza :)


indizio

Le cose sono all'uomo limite, indizio, strumento. Come indizio, esercitano l'intelligenza; come limite, la sensività, vale a dire la facoltà passiva; come strumento, l'attività, cioè il volere e l'amore.

Niccolò Tommaseo, Aforismi della scienza prima, 1837

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ultime volontà e testamento di un'amicizia.

 

 

 


 

“Avrei dovuto accorgermene.”
Molly trasalisce e nel sussulto una delle borse eco-compatibili della Tesco le sfugge di mano, cadendo. Parte della spesa rotola fuori. Scatolame, surgelati, latte e una confezione di Jammie Dodgers.
Lei sospira per il sollievo – nessun danno, nulla di rotto – prima di rivolgere un’occhiata torva all’uomo che occupa abusivamente una delle poltrone, il Belstaff stretto attorno al suo corpo longilineo come la coperta di Linus e un gatto grigio acciambellato in grembo.
“Sherlock,” lei aggrotta le sopracciglia e inizia a raccogliere gli acquisti.
Non gli domanda come abbia fatto ad entrare – non perché lui non sarebbe in grado di scassinare la sua serratura (in passato, come una sfida, lui gliene ha fornito una dimostrazione nel modo esibizionistico e plateale che gli è proprio, solo per avvalorare una delle sue tesi), ma per il semplice, inoppugnabile fatto che sono anni che Sherlock possiede un suo mazzo di chiavi, così come lei ha una copia delle chiavi del 221B di Baker Street.
“Cosa intendevi dire?” Inginocchiata sul pavimento, Molly continua a sistemare le compere nella borsa con movimenti placidi e un’espressione serafica.
Un barattolo di piselli, uno di fagioli e così via, in un rapido e meccanico susseguirsi di gesti del tutto uguali. Una parte di lei, quella esausta che agogna da ore un bagno caldo e una cena frugale (togliersi di dosso l’odore della morte, riempire un poco quel senso di vuoto che la sta lacerando sempre più spesso ultimamente), avrebbe preferito esporre la domanda in modo diverso, con parole meno gentili. Nonostante la stanchezza attanagliante, Molly ingoia come un boccone amaro il rimbrotto che sfrigola sulla punta della lingua, l’imprecazione che le è affiorata alle labbra. L’intempestività di Sherlock è la proverbiale goccia che potrebbe far traboccare il vaso.
“Eri tu.” La voce di lui è pericolosamente bassa, un mormorio soffice nella semioscurità dell’appartamento. Sherlock è soltanto un’ombra dai contorni aguzzi, un fantasma in bianco e nero contro un fondale marino da incubo e Molly si dà della stupida per non aver acceso le luci. Come se le avesse letto nel pensiero, lo vede allungare la mano libera verso la lampada sul tavolino mentre con l’altra continua a grattare distrattamente Toby dietro le orecchie con quelle sue pallide dita da musicista.
“E’ proprio necessario che tu faccia così?” Contrariamente a ogni suo precedente proposito, Molly lascia trapelare parte del fastidio che prova. “Basta con gli enigmi. Sputa il rospo.” Lei raddrizza le spalle e gli lancia uno sguardo severo. Non che sia davvero convinta che basti a convincerlo ad arrivare al punto. Sherlock ama la teatralità, l’ostentazione, le digressioni, anche se gli piacere credere di essere ermetico e oscuro come un segreto perpetrato nel cuore di una notte di metà inverno. In un giorno diverso Molly asseconderebbe come le è già capitato di fare in passato i bisogni di lui, ma stasera è davvero troppo stanca per sostenere il peso di una conversazione seria, figurarsi quello di una conversazione seria con Sherlock Holmes.
Lui non dice niente. Si tasta invece l’interno del cappotto e quando lo vede estrarre da una delle tasche una busta da lettere già aperta, tenendola tra l’indice e il medio in modo che lei possa osservarne il retro, Molly deve ricorrere a ogni briciolo di volontà ed energia residua per mantenere il volto accuratamente inespressivo, evitare di fare una smorfia o abbassare gli occhi in una inequivocabile ammissione di colpevolezza.
“Una lettera.” Cerca di usare un tono di voce leggero, ma lo sguardo penetrante – insolitamente duro - di lui le fa capire quanto ogni tentativo o resistenza sia futile. Molly accarezza con i polpastrelli l’ennesimo barattolo, senza affannarsi ad afferrarlo. Sospira e questa volta, a differenza del primo, il suono non è esasperato, ma ha un ché di stremato, sconfitto. “Che cosa vuoi che ti dica?” domanda, respingendo il desiderio di sfregarsi gli occhi per disperdere l’angoscia e l’amarezza, l’impotenza e l’immancabile tristezza.
“La verità,” lui dice senza la minima esitazione.
“La verità,” lei ripete con una risata querula e si strofina con una nocca il labbro inferiore per cancellarsi dalla bocca il suono indelicato e fuori luogo di quella risata nervosa.
La massa dura e incandescente in fondo agli occhi di Sherlock si fa meno cupa e torbida, come se cogliendo il suo turbamento lui avesse deciso di alleggerire i toni.
“Credevate davvero che non me ne sarei accorto?” L’accusa è evidente, ma è mascherata da una nota pizzicata di curiosità.
“Non te ne sei accorto fino ad oggi,” Molly gli fa notare. “Non te ne faccio una colpa,” continua con un sorriso a cui lui reagisce accigliandosi. “Hai avuto altro per la testa.” Non specifica cosa questo ‘altro’ sia, non occorre: un lutto, l’ennesima riabilitazione e disintossicazione dalle droghe, l’allontanamento e il riavvicinamento a John e infine tutto il clamoroso pasticcio causato da Euros.
“Non voglio un come,” lui chiarisce, irascibile come ogni volta che sente approssimarsi la soluzione di un caso, come ogni volta che affronta l’ora più buia, quella che precede l’alba. “Voglio un perché.”
“Deducilo, Sherlock. Perché credi che l’abbiamo fatto? Conosci già la risposta.”
“Posso aver compreso le ragioni di Mary,” lui concede, accompagnando ogni frase con un gesto sussiegoso della mano. “L’amore per suo marito e per sua figlia, ovviamente. Il desiderio di saperli al sicuro –”
“E per te,” Molly lo interrompe.
Di fronte al suo silenzio corrucciato, lei si umetta le labbra. I ricordi si affollano dolorosamente dietro le sue palpebre socchiuse: flash di capelli biondi e ondulati; occhi profondi e immensi come i tesori nascosti negli abissi del mare in ogni racconto piratesco che si rispetti; risate, tante da giustificare ogni lacrima. “E per te, Sherlock,” ripete con dolcezza. “L’amore per te. Il desiderio di proteggere te.”
Per un istante, la rifrazione di un’emozione, tenue e fragile e latente, si rivela nel profilo marmoreo di Sherlock, ma poi l’istante passa e ogni traccia di vulnerabilità si dissolve, un sogno che svanisce nel risveglio della logica e che congeda l’eco di un battito di cuore colto in fragrante.
“Le mie ragioni appartengono a me,” lei dichiara, incapace di distogliere lo sguardo, anche se sa di avere appena assistito a qualcosa di intimo, privato, raro. Non è la prima volta. “Sono mie soltanto.”
La bocca di Sherlock si arcua in un sorriso asimmetrico. “Sono un segreto?”
Molly non si lascia urtare dalla provocazione. Scrolla le spalle, serrando le mani sopra un ginocchio. “Niente che valga davvero tutto questo affanno.”
“Questo lascia che sia io a giudicarlo.” Con la coda dell’occhio lo vede prendere tra le braccia Toby e alzarsi con uno scatto felino, avvicinarsi e sedersi di fronte a lei. Toby miagola, chiaramente contrariato dal cambio di posizione e istintivamente lei si piega in avanti e lo accarezza, tracciando col palmo della mano la sua colonna vertebrale. Da qualche parte sopra la sua testa china, Sherlock Holmes la fissa e il peso di quello sguardo le si incunea nella nuca come un’esca agganciata all’amo.
“Cosa stai nascondendo, Molly?”
E’ la stanchezza a prendere il sopravvento, a farla parlare. Lei scuote piano la testa e le punte dei capelli le sfiorano la gola e i lati del collo. (Deve ancora abituarsi al nuovo taglio. Un’azione impulsiva, nata da un pensiero irragionevole. Voleva un cambiamento visibile, qualcosa che testimoniasse quello intangibile avvenuto dentro di lei in seguito alla perdita di Mary.) “Nulla che tu non sappia già o che abbia voglia sentire.”
Lo sente espirare profondamente, ma non pronuncia una parola. Cerca la sua mano, invece, e quando la trova, non la intreccia alla sua, ma ve la poggia sopra. Molly le fissa, affascinata: due mani così diverse, per grandezza e misura e struttura ossea eppure, accostate così l’una all’altra, sembrano acquisire una loro ragione d’essere.
“Perché non me ne hai parlato? Perché hai lasciato che lo scoprissi così?”
Molly assapora la nota d’incertezza e confusione nella sua voce. “Che cosa avresti preferito?” Solleva la testa e incrocia il suo sguardo fermamente. “Tu avevi fatto un voto. Io ho fatto una promessa.”
Sherlock la guarda a lungo prima di annuire, un unico, fluido cenno. “Capisco. Immagino che ci fosse un terminus ante quem. Hai dovuto aspettarlo prima di recapitare la consegna.”
Molly sorride senza calore, la nostalgia acuta e perforante come una fitta, il senso di colpa comprimente.
“Mi dispiace.” Lui traccia col pollice gli spigoli del suo viso, sembra sinceramente dispiaciuto. “Avrei dovuto accorgermene prima.” Parla con voce arrochita dal dolore e Molly si lascia avvolgere da quel dolore non suo e allo stesso tempo così simile al proprio. “Lei era il tuo John Watson.”
“No.” [Un ricordo. “So che ti sto chiedendo molto, Molly, ma non c’è nessun altro a cui potrei chiederlo.” Il rimorso scolpito nell’espressione di Mary quando, dopo aver registrato il video, le aveva porto la busta sigillata; in gola l’eco di un pianto che non si era concessa. “So che ti sto chiedendo l’impossibile e mi dispiace, mi dispiace così tanto –”]
“No,” un sussurro vero, sincero, “lei era la mia Mary.”  

-

-

-


  -    

 N/A:

Okay, non so cosa mia sia preso. So soltanto che dovevo scrivere e che quando ho finito avrei voluto mettermi a piangere. Il rapporto tra Molly e Mary è qualcosa che non avviene sullo schermo, che nel corso della serie viene semplicemente lasciato intuire. Mary, sin dal principio, riconosce l’importanza di Molly nella vita di Sherlock (è lei, dopotutto, ad andare da Molly dopo che Sherlock è scappato dall’ospedale – o forse mi confondo? – e poi da Anderson per chiedere loro dei rifugi segreti di Sherlock). C’è un motivo se ha scelto Molly come madrina di Rosamund, non è qualcosa che chiederesti ad una conoscente, è di sua figlia che si parla, della cosa più preziosa che ha dopo l’amore di John, qualcosa che pur di proteggere è disposta ad abbandonare per fare in modo che il pericolo segua le sue tracce e si allontani dalle due persone più importanti della sua vita, dal mondo che ha lottato così tanto per costruire, la famiglia che si è creata.

L’idea che Mary sia stata ‘aiutata’ nella realizzazione del video, nel recapito, era qualcosa che avevo già considerato e su cui avevo ponderato e costruito congetture. Poi, rivedendo il finale del primo episodio, gli indizi si sono incastrati alla perfezione. Le persiane, o meglio il primo piano delle persiane, sono state la chiave di volta. Le persiane alle spalle di Mary nel video, il primo piano delle persiane dell’appartamento di Molly quando Sherlock va a trovarla e c’è quella scena straziante in cui lei gli consegna la lettera di John (ho controllato e le persiane non sono presenti in casa Watson, inoltre John dice chiaramente che Rosamund è a casa di amici, indi per cui: Molly, casa di Molly, persiane di Molly. Bingo!). Anche se brillante e arguta e perspicace, non credo che Mary avesse davvero elaborato un piano a lungo termine che prevedeva l’invio di quel video a Sherlock nel caso di una sua prematura dipartita. Insomma non ha molto più senso che lei abbia messo al corrente Molly, abbia registrato il video in casa sua (senza la possibilità che qualcuno come John o Sherlock la disturbasse?) e le abbia chiesto di spedirlo nell’eventualità che le fosse successo qualcosa? L’idea è così tragicamente bella e disturbante che mi si spezza il cuore, soprattutto perché avrei voluto davvero che ci venisse mostrato qualcosa di più delle loro interazioni. Voi cosa ne pensate? Li reputate le scempiaggini di una pazza sclerotica o siete con me sulla via di mattoni gialli che porta ad Oz?

Un bacione!  

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Ruta