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Autore: imunfjxable    14/02/2017    1 recensioni
Chi siamo? Chi sono? Viviamo la nostra esistenza tormentati da questa semplice domanda, in cerca di una risposta che non arriverà mai.
Ma che importanza ha sapere chi siamo? La concezione dell'essere cambia da uomo a uomo, ed esprimere un giudizio oggettivo dal punto di vista personale è impossibile tanto è che detto così sembra quasi un ossimoro.
Io non sono nessuno, sono un'insignificante creatura trasportata su questo modo non per volontà, non per scelta, ma per caso.
Genere: Introspettivo, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'inesplicabile essenza dell'essere. 


Quando da bambina sognavo di fare la giornalista ci credevo veramente. Da adolescente ci ho creduto un po' meno, ma ora sono seduta sulla mia scrivania, osservando le strade trafficate dalla finestra e sto cercando di buttare giù qualche riga per la mia autobiografia.
Ricordo che decisi di fare la giornalista perché sapevo che la mia vita non era interessante, ma quella degli altri si. C'erano persone nel mondo che meritavano di essere raccontate, di venire idealizzate dalla magia della scrittura, rivestite da quella patina di surrealismo che solo un' esperta giornalista sa dare. 
E dopo gli articoli e i saggi brevi, erano arrivati loro. I miei libri.
Riguardo il mio primo romanzo ben esposto sulla libreria nera che ho nel mio studio, il silenzioso terrore di vivere, vincitore del premio Strega.
Dopo di lui ce ne erano stati altri, pieni di personaggi intriganti, con dolori sulle spalle, imperfezioni, amori e dubbi. Erano umani anche loro, umani che avevano qualcosa da dire. Ai quali io avevo dato qualcosa da dire.
Ma era la vera me a dover parlare adesso. 
Mi siedo e inizio a digitare qualcosa senza sosta per ben dieci minuti, poi rileggo ciò che ho scritto.
«Sono nata il 24 gennaio, il mese più freddo dell'anno, che mi ha temprata fin dall'inizio ad abituarmi al cinismo dei miei, e lentamente anche io sono diventata come loro.
Non mi è mai piaciuto il contatto umano, o credere che per realizzarmi a pieno dovessi incontrare l'amore della mia vita o avere un figlio»
Smetto di leggere, stizzita, e presa da un attacco d'ira biascico a denti stretti qualche brutta parola, afferrando il pacchetto di sigarette e prendendone una con i denti.
Rigiro il filtro tra le mie labbra screpolate -malamente coperte da una leggera passata di rossetto color carne- e accendo la mia Marlboro Gold  in silenzio. Adoro ascoltare il suono che produce quando inizia a bruciare.
Mi alzo e cammino a piedi nudi per la stanza, fermandomi davanti allo specchio. Questa scena sa di cliché. Già! È proprio come in "uno, nessuno e centomila" di Pirandello quando Vitangelo Moscarda ispeziona pazientemente il suo riflesso e arriva a capire che lui è uno e centomila assieme. Forse potrei fare come lui, perché solo spersonalizzandomi, vedendomi dall'esterno, con lo stesso approccio con il quale vedo i miei personaggi o le persone delle quali parlo, riuscirò a scrivere chi sono.
Osservo la mia figura che non mi è mai andata a genio più di tanto, rendendomi conto di aver passato la mia adolescenza ad odiare un corpo che purtroppo non poteva essere cambiato e realizzo che vivo ancora a fatica in un corpo che non sento mio, un involucro troppo esile per contenere le mie idee. 
Tendo la punta del piede sinistro e ripenso a quando il mio altro sogno era fare la ballerina, ma spesso non sempre le cose vanno come ci aspettiamo.
Sfioro con la punta del piede tutta la lunghezza della gamba, eseguendo un relevè con tanto di passè.
Mi mancava ballare, ho ancora delle belle gambe, muscolose, abbastanza slanciate, capaci di sostenere un busto che si tiene  troppo dritto a causa degli innumerevoli anni di sbarra e un paio di braccia eleganti i cui polsi sono decisamente troppo sottili per una mano grande come quella che mi ritrovo. Ho le stesse dita lunghe di mio padre, ed era un bene perché quando mi mancava il suo tocco tra i miei capelli, cercavo di rassicurarmi da sola, facendo passare la mia mano sul mio capo ma non era mai la stessa cosa, avevo le unghie fin troppo lunghe affinché il tocco dei miei polpastrelli assomigliasse al suo, con le pellicine mangiucchiate tanto quanto le unghie (sopratutto quella dell'anulare sinistro).
Prima che possa rendermene conto sto già arricciando la ciocca destra dei miei capelli color castagna con le mie dita, tic che avevo sfortunatamente ereditato da mia madre, così come la folta e riccissima chioma che incorniciava il mio volto ovale, i cui occhi color caramello  non avevano ancora smesso di vagare lungo il riflesso dello specchio e si erano ora soffermati sulla loro stessa immagine. 
Un taglio di occhi particolare il mio, leggermente allungati e molto grandi, con folte ciglia scure e curve, e sopracciglia ugualmente folte ma mai curate più del necessario che stonavano decisamente sul mio visino smilzo, la cui superficie era maggiormente occupata dalla parte del mio corpo che più odiavo di me: il naso.
Un naso greco, curvo, leggermente spostato verso sinistra, che culminava con delle piccole narici tonde. Un naso che portava con se il tratto distintivo della famiglia di mio padre, la gobba quasi aquilina, sfoggiata con orgoglio perché "il naso gobbo è sempre stato simbolo di intelligenza e aristocrazia" ma io avrei preferito di gran lunga essere bella e stupida. 
La mia salvezza erano le labbra, carnose, piccole e delicate, il cui arco di cupido era così preciso che sembrava fosse stato disegnato a mano, e che si allargava leggermente quando sorridevo per mostrare una dentatura visibilmente ingiallita dal fumo, con l'incisivo destro spostato di mezzo millimetro più avanti rispetto al sinistro.
Prendo un altro tiro e mi risiedo.
«Chi siamo? Chi sono? Viviamo la nostra esistenza tormentati da questa semplice domanda, in cerca di una risposta che non arriverà mai.
Ma che importanza ha sapere chi siamo? La concezione dell'essere cambia da uomo a uomo, ed esprimere un giudizio oggettivo dal punto di vista personale è impossibile tanto è che detto così sembra quasi un ossimoro.
Io non sono nessuno, sono un'insignificante creatura trasportata su questo modo non per volontà, non per scelta, ma per caso. Sono parte dell'apparato umano, di queso folle gioco anche io; voglio solo essere consapevole di aver fatto una buona partita.
Io sono te che leggi, anima smarrita alla ricerca dell'essenza di sé stessa. 
Nessuno di noi è qualcosa, siamo solo la somma di tutte le esperienze di vita che ci hanno segnato, delle personalità delle persone che ci stanno accanto che abbiamo inconsciamente preso in prestito, del ritornello della nostra canzone preferita, delle righe che sottolineamo del libro che ci sta più a cuore, dei versi dell'unica poesia che è riuscita ad emozionarci mentre andavamo a scuola»
Leggo, sono compiaciuta di ciò che sto scrivendo. Continuo ad attorcigliarmi i capelli, spesso mi stupisco di averne ancora così tanti in testa; ogni volta che li arriccio finisco sempre per strapparmi qualche ciocca e non ho mai capito se io lo faccia di proposito o sia solo così distratta da non rendermene conto. 
Leggo nuovamente e alzo gli occhi al cielo: non va più bene.
Capisco che sto solo temporeggiando e che io non so ancora chi sono, che sto girando e rigirando attorno alla risposta di una domanda alla quale non so rispondere, che non è cambiato nulla da quando ero un'adolescente e che sono ancora alla ricerca di me stessa, ora così come quando avevo diciassette anni.
C'è sempre stato qualcosa che mi ha impedito di conoscermi a pieno, un rifiuto per la mia stessa persona che coincide con la mia mancanza di autostima e la mia ansia eccessiva per qualsiasi cosa, e comprendo che non c'è bisogno di dire chi siamo perché alla fine chi siamo non importa veramente a nessuno.
Vago ancora un po' con gli occhi nella mia stanza, volgendo uno sguardo ai miei altri libri, e ricordandomi ogni singolo personaggio, ogni carattere nato dalla mia penna e dalla mia mente.
Io sono il simulacro fallito dei miei personaggi, proiezione perfetta di chi avrei sempre voluto essere.
Se potessi tornare indietro nella mia vita, cambierei tutto, e raggiungerei un altro traguardo; eppure sono convinta che se lo raggiungessi, tornerei nuovamente indietro.
Sono da sempre stata destinata all'insoddisfazione io, fin troppo esigente con me stessa e mai con chi avrebbe dovuto veramente darmi qualcosa. Non ho mai preteso nulla dagli altri, perché non mi sono mai sentita come se mi dovessero qualcosa, e anche ora che posso vedere le cose con gli occhi di una persona più matura non credo che nessuno mi debba niente. O almeno, non voglio ammetterlo.
Cancello nuovamente tutto.
«Io sono io»
È questa la realizzazione completa. Il fulcro principale attorno al quale argomentare il tutto.
Io sono io, non sono nient'altro che una persona uguale agli altri nell'insieme, ma differente nello specifico, che non ha nulla da offrire se non storie tristi e un mare di vocaboli forbiti che non usa mai perché sa che non verrebbero mai capiti a pieno.
Io sono sempre stata io, fin da bambina. Sono la stessa sedicenne che ero un tempo, (forse) solo con un briciolo di esperienza in più perché le persone non cambiano, crescono.
«Se pensi di star leggendo questa autobiografia con l'intenzione di sapere qualcosa su di me, ti sbagli caro lettore. Tu non vuoi veramente sapere chi sono, vuoi solo ritrovarti nelle mie parole, sei il pastore errante dell'Asia che ha perso il suo punto di riferimento e spera di ritrovarlo tra queste righe, spero di trovare te stesso qui dentro eppure caro lettore io sono persa e confusa quanto te. 
Io sono come te, anima smarrita alla ricerca dell' inesplicabile essenza dell'essere.
   
 
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