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Autore: Harryette    14/02/2017    1 recensioni
Era che nella mia mente era inconcepibile che tu avessi un qualsiasi tipo di mancanza
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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A tutti gli innamorati, di ogni tipo di amore o dell'amore



A volte mi dimentico perché mi piaci.
Cammino sotto i portici di Bologna e fa così tanto caldo che ho l’impressione che i vestiti mi siano rimasti attaccati addosso, Chiara mi stringe il braccio e mi legge una strana conversazione sul suo iPhone. Io tengo il mio stretto dall’altro lato, ‘che tanto non squillerebbe comunque mai.
E poi così, all’improvviso, mi vieni in mente. A distanza di anni, come se non fosse passato un singolo giorno dall’ultima volta che ti ho visto. Hai la barba incolta che ti sei scordato di tagliare e i capelli sparsi in tutte le direzioni, il libro di letteratura greca stretto in una mano ed un sigaretta fatta da te nell’altra. Fumi lentamente, aspetti il tuo turno e aspetti di lasciare quella scuola per sempre. Hai gli occhi vitrei e distanti, come fossero persi chissà dove ed immersi in chissà cosa. Ricordo di aver desiderato spasmodicamente di leggerti nel pensiero, perché avevo come la sensazione che mi stessi perdendo troppe cose. Quella sensazione persistente, onnipresente, come se mi mancasse sempre un pezzo, il punto di chiusura finale, la posizione di equilibrio termodinamico. Quando entri dai professori, senza una tesina e senza uno schema mentale, io prego tutti gli dei e Dio e tutti i santi affinchè ti risalgano in gola le parole.
Mi vieni in mente anche dopo, mentre Chiara continua a parlare e a camminare, e il tuo pensiero mi tiene compagnia in un giorno malinconicamente caldo, con una brezza nostalgicamente umida. Mi vengono in mente tutte le tue smorfie, tutte le volte in cui ho creduto di averti capito ed invece ho di nuovo, irrimediabilmente, sbagliato. ‘Che non sia stato tutto uno sbaglio non ne sono certa, eppure voglio continuare a sperarci.
E mentre Chiara mi mostra una foto casuale su Facebook, penso all’unica foto che abbiamo io e te insieme, relegata nei recessi del tuo telefono rotto e che io non ho mai avuto il coraggio di chiederti. Ci sei tu seduto su una sedia ed io che ti stringo dal dietro, come se volessi strangolarti, eppure si vede chiaramente che non l’avrei mai fatto. Non ti guardo, nella foto, al contrario di ogni attimo che ricordi della mia vita, ma guardo diritta davanti all’obiettivo, a Giacomo che ci stava immortalando a tradimento. Ho un’espressione corrucciata, perché Luca ha appena insinuato che tu non sia assolutamente capace di cucinare. Io li avevo sentiti, i tuoi spaghetti ai funghi. Ti ho difeso. Perché eri assolutamente capace di cucinare. Tu non hai proferito parola ma hai lentamente accarezzato il palmo della mia mano, ed io ho creduto di capire. In realtà ti ho sempre difeso, anche quando non pensavo di starlo facendo e anche quando mi pareva di essere dovunque fuorché dalla tua parte. Non era la questione degli spaghetti, era che nella mia mente era inconcepibile che tu avessi un qualsiasi tipo di mancanza. Tu, che mi sei sembrato così tante volte deperito e stanco e che – altrettante altre volte – mi sei sembrato un sole, un ammasso di materia e magma così splendente da accecare anche chi è voltato dall’altra parte. C’è qualcosa, nella tua camminata cadente che riaffiora nella mia memoria, che ancora mi tormenta e mi dilania dall’interno. Mi scuote come un terremoto, mi avvolge come un’onda anomala. Quella costante, continua, soffocante paura di non essere stata mai abbastanza.
Ogni tanto mi dimentico perché mi piaci.
E allora mi torna in mente la barba incolta che avevi il giorno degli esami di stato e mi ritornano in mente tutte le tue smorfie e le sigarette fumate di nascosto al bagno e mi ritornano in mente tutte le volte in cui avresti potuto parlare – parlarmi – ed invece hai preferito restare in silenzio, perché chi ti ama capisce. Mi capita, qualche volta, di chiedermi se ne sia valsa veramente la pena.
Non ce l’ho la risposta, non ce l’ho neanche adesso che fa caldissimo ed è passato così tanto tempo da farmi girare la testa, neanche adesso che mi sembra di aver raggiunto ogni obiettivo prefissato possibile, neanche adesso che ho una macchina nuova ed una casa in affitto, neanche adesso che ho qualcuno che mi aspetta con la luce del comodino accesa ed un libro di Herman Hesse fra le mani.
Non lo so, se ne è mai valsa veramente la pena.
So solo che, sì, ha fatto male, tanto, a volte a livelli insopportabili, a volte un po’ meno, perché bastava il suono della tua voce roca a farmi ritornare in mente perché, perché soffrissi, perché sperassi, perché mi incaponissi così tanto e perché non mi arrendessi nemmeno quando sbattevo prepotentemente contro un muro di cemento, così tanto forte da rompermi il naso, la testa, gli occhi, il cuore. So soltanto che ci ho creduto, che ci ho provato.

A volte, anche oggi, mi dimentico perché mi piaci.
Però non mi dimentico, mai, quello mai, chi sei. 
  
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