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Autore: edoardo811    18/02/2017    4 recensioni
Mentre il mondo è in rovina e Sub City è scenario di una terribile guerra tra bande e conduit, una vita si ritrova nelle medesime condizioni.
Si può davvero fuggire da sé stessi? Rabbia, odio, frustrazione, rancore, un mix letale che ci renderebbero una bomba ad orologeria pronta ad esplodere, se non si riesce a trovare il modo di disinnescarla.
O qualcuno in grado di farlo.
"Sbagliata. Ecco com’era lei. La sua vita, il suo comportamento, la sua mente. Tutto era sbagliato, in lei. Era una cosa che si ripeteva in continuazione e che, ovviamente, non poteva affatto portare a nulla di concreto. Aveva perso il conto di tutti gli specchi che aveva rotto, pur di non vedere nel riflesso quel volto emaciato che aveva imparato ad odiare con ogni fibra del suo essere: perché se doveva assegnare la colpa a qualcuno per tutte le sue sventure, quel qualcuno era proprio sé stessa."
Spin-off di InFAMOUS: The Darkness' Daughter.
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Blackfire, Sorpresa
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'InFAMOUS: The Series'
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IV

DOLCE NOTTE

 

 

 

Amalia appoggiò il capo contro il muro, sospirando profondamente. L’odore di carne bruciata pungeva il suo olfatto, mentre sangue ancora fresco colava dalle sue mani. Non il suo, di sangue, ovviamente.

Qualcuno stava piangendo. Esattamente di fronte a lei, accasciato contro il muro dall’altro lato della stanza, Seymour stava facendo guizzare lo sguardo da lei a ciò che rimaneva dei suoi due amici. «T-Ti prego...» stava dicendo, tra un singhiozzo e l’altro. «Non... non uccidermi...»

Komand’r fece una smorfia. Erano minuti interi che andava avanti in quel modo. Lei ancora non gli aveva risposto. Ed era intenzionata a non farlo. Comunque no, non lo avrebbe ucciso. Si era già abbastanza sporcata le mani, quel giorno. Anche se quel tizio meritava di fare la stessa fine dei suoi amici per come si stava comportando. Lui non avrebbe esitato ad ucciderla, se l’avesse catturata. Anzi, già in diverse occasioni l’aveva quasi fatta fuori, con i suoi dannati raggi laser. Lui ed i suoi amici erano intenzionati a rapirla, violentarla e poi ammazzarla, ed ora quel tizio implorava pietà?

Disgustoso. Patetico. Inaccettabile.

Dreamer non aveva pianto quando lei gli aveva puntato una pistola di fronte alla testa. Lui sapeva che ogni azione aveva una conseguenza e sapeva che prima o poi sarebbe toccato anche a lui. E se sotto quel frangente perfino un essere abominevole come Dreamer era migliore di quei quattro perdenti che avevano cercato di catturarla, allora significava che quei tizi erano davvero ripugnanti. E lui, Seymour, avrebbe dovuto imparare più cose su come il mondo, il loro mondo, funzionava davvero. Ma non da Amalia. Lei non era più in vena di insegnamenti. Si alzò in piedi e si diresse verso la porta, lasciandosi alle spalle i corpi di tutti i presenti. Spense la luce e chiuse la porta, abbandonando Seymour ai suoi piagnistei, sperando che, dopo quella giornata, questo decidesse di svanire per sempre dalla faccia della terra. Ammesso e concesso che fosse riuscito a superare lo shock e liberarsi dalle fascette.

Komi si diresse poi verso la camera da letto, dove il corpo di Ursula la attendeva, sdraiato sopra al letto matrimoniale. La giovane aveva pulito il sangue, l’aveva cambiata e l’aveva pettinata. Sembrava quasi che stesse dormendo. Una fitta allo stomaco la colpì quando ripensò a ciò che era successo alla donna. Scosse la testa, ricacciando le lacrime, poi le si avvicinò.

«Mi dispiace...» sussurrò, con voce rotta. «Riposa in pace, Ursula... grazie di tutto. Non mi dimenticherò mai di te.»

Con il peso del mondo ancora sulle proprie spalle, Amalia abbandonò la stanza, poi l’appartamento e poi il condominio. Salì sul camioncino di Coso e la sua banda e trovò la chiave ancora inserita nel quadro. Senza esitare la girò ed avviò il motore. Dopodiché, iniziò a spostarsi. Non sapeva dove dirigersi con esattezza, sapeva solo che, ovunque sarebbe andata, i terribili ricordi di quella città l’avrebbero seguita.

Tutto le sembrava assente, irreale e distante, in quel momento. Il volante che stringeva tra le mani, gli edifici che mano a mano svanivano da attorno a lei, la strada che percorreva, le luci dei lampioni accesi. Nemmeno si era accorta che era scesa la sera. Era come se nulla avesse più importanza per lei, ormai. Si sentiva un guscio vuoto che camminava e che respirava. Lo stesso guscio vuoto che era sempre stata.

Non sapeva più cosa dire, cosa fare, cosa pensare. Le sembrava di essere imprigionata in un ciclo infinito in cui tutte le persone che sembravano tenere a lei o a cui lei stessa teneva erano destinate a morire. Valeva davvero la pena continuare così?

Il rumore del motore dell’auto che si affievoliva lentamente la fece destare da quei pensieri. Sentì i giri del veicolo diminuire ciclicamente, fino a quando il mezzo non si ritrovò ad avanzare a strattoni. E, per finire, si arrestò direttamente. Solo in quel momento la ragazza notò la spia della benzina accesa. Chissà da quanto lo era, poi. Amalia sospirò e scosse la testa. Quei quattro idioti non avevano fatto il pieno. Anche quando non rappresentavano più una minaccia diretta riuscivano ad irritarla.

Soffocando la milionesima imprecazione di quel giorno, la mora scese dal veicolo e sbatté la portiera con forza. Si affacciò sul cassone, sperando di trovare un’eventuale tanica di benzina, per poi vedere con enorme stupore il suo borsone. Komi sgranò gli occhi. Solo in quel momento si ricordò che quei quattro gliel’avevano rubato. Ma il sollievo provato nel ritrovarlo si trasformò ben presto in rabbia. Si sbatté una mano sulla tempia, con forza, digrignando i denti. Se solo se ne fosse ricordata prima, avrebbe potuto prendere il suo fucile per salvare Ursula. Anche se, forse, era più semplice a dirsi che a farsi. Dubitava che sarebbe riuscita a nascondere il fucile in tasca come invece aveva fatto con la fiamma ossidrica.

Sospirò profondamente. Ormai, era tardi per avere simili pensieri, e sicuramente non aveva bisogno di torturasi più di quanto già stesse facendo. Afferrò il borsone e proseguì per la sua strada a piedi, visto che di taniche di benzina non c’era nemmeno l’ombra. Ricevette diverse fitte di dolore al fianco mentre camminava, ma era un dolore comunque sopportabile. E, in ogni caso, avrebbe anche potuto avere una gamba rotta, se ne sarebbe comunque andata da quella dannata città; a piedi, in macchina, strisciando sui gomiti, non le importava; doveva andarsene.

Continuò a camminare, immersa nel silenzio di quella notte, accompagnata solamente dalle brezze di aria fredda e dalle luci dei lampioni e della luna piena. In effetti, la luna era davvero bella quella sera. Non che la cosa le importasse più di tanto, però.

Sinceramente, non le importava più di niente. Voleva solamente andarsene da quella città e non voltarsi mai più indietro, anche se sapeva che non sarebbe stato così facile. Ciò che era successo giusto poche ore prima... nulla avrebbe potuto cancellarglielo dalla mente. Le morti di Ursula, di Coso e di Mammoth ormai erano ricordi indelebili, marchiati a fuoco nel suo cervello. Dubitava che sarebbe riuscita a dormire mai più sonni sereni, anche se già a stento ricordava l’ultima volta che davvero era riuscita ad averne uno.

Un mostro, un’assassina, una psicopatica e per giusta lesbica, anche se quest’ultima cosa non era davvero un problema... se non si menzionava il fatto che si fosse presa una cotta per la sua stessa dannata sorella. Quello cambiava decisamente tutto quanto.

Aveva iniziato quel viaggio solitario solamente un giorno prima per poter riflettere e pensare, e si era ritrovata con ancora più problemi ed angosce. Se solo non se ne fosse mai andata, se solo fosse rimasta in quel magazzino, se solo non avesse lasciato...

«Tara...» sussurrò, sollevando lo sguardo mentre una lacrima le rigava il volto. Osservò la luna piena, con un moto di nostalgia. Alla ragazza bionda sarebbe piaciuta quella notte. E a lei sarebbe piaciuto trascorrerla assieme a lei. Guardare il cielo, fumarsi una sigaretta, chiacchierare del più e del meno senza filtri, senza pensieri, senza preoccupazioni. Quanto avrebbe voluto poterlo fare di nuovo. Ma senza Ryan... non sarebbe stata la stessa cosa. Dubitava che sarebbe davvero mai più riuscita a sorridere sinceramente, non con la consapevolezza di aver perso suo fratello, l’unica persona cara che le era rimasta.

Se lui avesse visto che cosa aveva fatto a quei due...

«Ma cosa c’è che non va in me?» sussurrò la ragazza, chinando il capo e strizzando le palpebre per ricacciare le lacrime. Non poteva mettersi a piangere lì, non in quel momento. Non proprio quando era così vicina al confine della città. Ormai la zona industriale si era quasi del tutto diradata e riusciva perfettamente a scorgere, in lontananza, gli alberi e la fitta vegetazione del New Jersey. Mancava poco, ormai. Avrebbe lasciato la città, trovato un posto per dormire e dopo avrebbe potuto piagnucolare quanto voleva. Ma fino ad allora, doveva stringere i denti e proseguire, ignorando il dolore, fisico o mentale che fosse.

E così fece. Più avanzava e più voleva accelerare il passo. Non ne poteva più di quelle strade. Il confine si fece sempre più vicino. La ragazza pensò quasi di poter finalmente tirare un sospiro di sollievo, ma un bagliore improvviso proveniente dalle sue spalle la fece irrigidire di colpo. Si voltò e vide una macchina in strada, la quale teneva i fari puntati proprio verso di lei. La mora fece una smorfia e socchiuse gli occhi. Chi diavolo poteva essere? Qualcun altro che voleva lasciare la città? Altri nemici? Seymour che cercava vendetta? Dubitava di quest’ultima eventualità. Ma allora chi?

L’auto la sorpassò e proseguì dritta. Per un momento la ragazza pensò quasi che avrebbe proseguito in quel modo, ignorandola completamente, ma questa, invece, iniziò a rallentare, per poi accostare ad una ventina di metri di distanza da lei.

«Altri guai? Sul serio?!» sussurrò lei, per poi mettere mano al borsone. Non aveva alcuna intenzione di farsi fregare di nuovo. Chiunque ci fosse dentro quell’auto, avrebbe dovuto tenersi a debita distanza da lei o avrebbe assaggiato il suo piombo. Afferrò il fucile e lo sollevò, dopodiché lo puntò verso la portiera anteriore, la quale si stava aprendo.

«Vuoi qualcosa da me? Vieni a prenderlo!» bisbigliò ancora, avvicinando il dito al grilletto. Ma non appena il guidatore scese e la ragazza vide il suo volto – il suo brutto volto – illuminato dal lampione sopra di lui, rimase a bocca aperta.

«Sì, anch’io sono felice di rivederti» disse quello, accennando con il mento al fucile della mora. «Ora però potresti abbassare quel coso?»

«Non ci credo...» sussurrò lei, abbassando lentamente l’arma. Anche altre due portiere si aprirono, ed altre due persone scesero dalla macchina. Rimase esterrefatta. Anche queste si voltarono verso di lei. Ci fu un breve momento di silenzio, in cui nessuno disse o fece nulla. Il tempo parve quasi fermarsi. Poi, la figura dai capelli biondi, sorrise entusiasta. «KOMI!»

Si separò dagli altri e le corse incontro. Amalia la osservò immobile, sempre più interdetta, sempre più convinta di star sognando. Ma quando Tara la stritolò in un abbraccio, quando vide i sorrisi di Rachel e Rosso rivolti verso di loro, quel momento le parve più reale che mai.

«Komi!» esclamò ancora la bionda, appoggiando il mento sulla sua spalla. «Non sai quanto sia felice di rivederti!»

«T-Tara...» sussurrò Amalia, ancora incredula, mentre un piccolo sorriso si accendeva sul suo volto, allargandosi man mano che il tempo passava e realizzava che tutto quello stava accadendo per davvero. Il fucile le cadde di mano mentre ricambiava la stretta con quanta forza ancora avesse in corpo, ignorando il dolore, la stanchezza, ogni cosa. «Tara!»

 Nemmeno si rese conto delle lacrime che cominciarono a scenderle dagli occhi. Mentre la vista le si appannava, non riusciva a ricordare un altro momento della sua vita in cui si era sentita così felice di vedere qualcuno. Le lacrime cominciarono a scendere in maniera autonoma, dapprima in un segno di sollievo, felicità, ma ben presto al sollievo si aggiunsero anche la tristezza, il rammarico, la rabbia.

Ciò che all’inizio era un semplice pianto di gioia si tramutò ben presto in uno sfogo vero e proprio, mentre tutte quelle lacrime che per troppo tempo si era tenuta dentro iniziavano a sgorgare senza freni. Pianse per la felicità di trovarsi lì, con loro, con lei, dopodiché pianse per la morte di Ursula, per quella di Ryan, per quella di Kori, pianse per essersene andata in quel modo ed essersi cacciata in quel guaio enorme, pianse per il mostro che sapeva di essere, pianse perché sapeva di essere sbagliata, pianse perché la sua vita era stata un autentico inferno e, per finire, pianse perché qualcuno che teneva a lei ancora esisteva, e, questa volta, lo avrebbe protetto fino a quando non avrebbe esalato il suo ultimo respiro. Affondò il volto nella spalla dell’amica e lo riempì di lacrime.

«T-Tara...» disse ancora, semplicemente. Si sentì tremendamente stupida, patetica, vulnerabile. E allo stesso tempo, mentre la bionda le carezzava i capelli e la schiena e le sussurrava all’orecchio che ora che erano di nuovo insieme non doveva più preoccuparsi di nulla, si sentì la persona più felice dell’universo.

Era lei. Era Tara, la sua amica. E l’aveva ritrovata.

 

***

 

Komand’r buttò fuori una nuvola di fumo dalla bocca. Quanto le era mancato il gusto amaro delle sigarette sul suo palato. Sapeva che ogni tiro fatto da quelle cose erano un minuto di vita che se ne andava, ma a lei non importava; fumare, ormai, era una delle poche soddisfazioni che le erano rimaste.

Anche una scopata non mi dispiacerebbe...

La mora sollevò lo sguardo, verso il cielo, dove poté constatare che il tempo non era affatto cambiato. Faceva freddo, certo, soprattutto dove si trovava lei in quel momento – sul tetto della stazione di servizio, parecchio fuori città, in cui si erano accampati per la notte – però il cielo era sereno, non c’era nessuna nuvola e la luna piena e le stelle erano ancora lì, libere di risplendere quanto volessero. E comunque, anche il freddo aveva smesso di essere un problema quando Rachel le aveva prestato una delle sue felpe.

«Così siamo pari» le aveva detto. Amalia non aveva nemmeno capito il perché di tale affermazione in un primo momento, solamente più tardi si era ricordata di quella volta che l’aveva rivestita e messa a dormire nel suo letto, ad Empire, in quella notte di pioggia torrenziale. Sembrava passata una vita intera da allora. Ne erano successe così tante...

Per quanto dura fosse stata, quella che aveva vissuto era comunque stata un’avventura assolutamente degna di un libro, o di un film. Tra pazzi maniaci, criminali, assassini, mostri con poteri disumani, ne aveva un sacco da raccontare.

Essere di nuovo con i suoi compagni di viaggio... le sembrava così strano. Era passato, quanto, uno, due giorni, da quando se n’era andata? Invece le pareva che fosse passato molto più tempo. Inoltre, era ormai così convinta di non incontrarli mai più che perfino in quel momento, ormai ore dopo la loro riunione, le sembrava tutto surreale.

Tara e Rachel le avevano detto che era stato grazie a Rosso se l’avevano ritrovata, che era stato lui a dedurre dove sarebbe andata, ossia verso il confine della città. Un sorrisetto si dipinse sul volto della ragazza a quel pensiero; sinceramente, il fatto che fosse stato proprio lui il maggior responsabile del suo ritrovamento le appariva quasi buffo, in particolare dopo tutte le volte che avevano cercato di azzannarsi a vicenda. Probabilmente c’erano gli zampini di Rachel e Tara, dietro.

E a proposito di Rachel, la mora aveva notato una certa intesa tra lei e Rosso, da quando era tornata. Cioè, un’intesa molto più forte di quella che ricordava. Forse alla fine i piccioncini si erano svegliati ed avevano capito di essere fatti l’uno per l’altra, forse.

Subito dopo la sua crisi di pianto, di cui ancora si vergognava leggermente, il trio le aveva raccontato che cos’era accaduto in sua assenza, e la mora doveva ammettere di essere in parte grata di essersi perso il combattimento con quel conduit impazzito, Domenico, o come cavolo si chiamava. Poi, quando Tara le aveva raccontato di essere di nuovo senza poteri, si era sinceramente sentita felice per lei. E quando le avevano detto che erano stati proprio i poteri di Rachel a "guarire" la bionda, non aveva potuto non provare un piccolo moto di gratitudine nei suoi confronti e, sicuramente, essere grata del fatto che Roth fosse dalla sua parte. Anche perché, sicuramente, senza la ragazza corvina non sarebbe mai sopravvissuta a Sub City.

L’aveva perdonata per la morte di Ryan, questo già gliel’aveva detto, però si era ripromessa di ripeterglielo. Perché era vero, Rachel non aveva nessuna colpa. Il responsabile di quell’atrocità aveva già pagato, ormai, ed era inutile rimuginarci su.

Ryan... quanto avrebbe voluto che fosse lì con lei, con loro, in quel momento. Quanto avrebbe voluto poterlo rivedere, potergli parlare, poter sentire la sua voce... poterlo abbracciare e potergli chiedere scusa per ogni cosa. Quanto avrebbe voluto...

«Non vai a dormire?» Un istante prima che la mora iniziasse a piangersi nuovamente addosso, la voce di Rosso provenne dalle sue spalle.

La ragazza ricacciò le lacrime e si voltò verso di lui, riacquistando la solita spavalderia che usava in sua presenza. «Potrei farti la stessa domanda...»

«Sì, ma te l’ho chiesto prima io» replicò il ragazzo, avvicinandosi e sedendosi sul bordo del tetto, accanto a lei. «Sarai esausta dopo quello che ti è successo. Quattro conduit non devono essere una passeggiata per nessuno. Ancora mi chiedo come tu abbia fatto a sopravvivere...»

Un sorrisetto provocatorio si accese sul volto della mora. «Sono piena di risorse.»

«Non voglio sapere altro...» mugugnò Rosso, strappandole una risatina.

Il silenzio scese tra loro per un momento, dopo che il ragazzo tacque. I due rimasero fermi, ad osservare il cielo e la vegetazione che li circondava, entrambi immersi nei propri pensieri. Amalia non sapeva perché Rosso si trovasse lì con lei, ma scoprì con una enorme sorpresa che la sua presenza non la infastidiva poi così tanto. Del resto, per quanto in disaccordo potessero essersi trovati in quei giorni, erano pur sempre una squadra. E comunque, grazie a lui Komi poté distrarsi per un poco dai suoi tormenti.

«Ascolta...» disse poi Lucas, rompendo il silenzio, tenendo gli occhi fissi sulle stelle. «... so che io e te abbiamo iniziato con il piede sbagliato, e so anche che probabilmente non saremo mai i migliori amici del cuore, ma voglio comunque che tu sappia che... che sono felice che tu stia bene.»

Komand’r lo osservò, questa volta con un sorriso perplesso stampato in faccia. «Questa è la cosa più carina che tu mi abbia mai detto, lo sai?»

«Sì, beh, non farci l’abitudine» rispose lui, voltandosi verso di lei e abbozzando un sorrisetto a sua volta. «È solo che mi sarebbe spiaciuto vederti tirare le cuoia. E, sicuramente, la cosa sarebbe spiaciuta anche a Rachel. E a Tara.»

«Lo so» convenne Amalia, sentendo le propria interiora attorcigliarsi quando la Markov venne nominata. «Ma posso assicurarvi che episodi simili non si verificheranno mai più. Non so a cosa stessi pensando quando me ne sono andata, ma so che me ne sono pentita fin dal primo istante. Dopotutto, nel bene e nel male, noi siamo una squadra.»

«Hai ragione, lo siamo. Perciò... credo che forse sia il caso di smettere di litigare, almeno per un po’. Che dici?»

«Vuoi fare la pace?» domandò Komi, inarcando un sopracciglio.

Lucas piegò il capo. «Chiamiamola... tregua.»

Amalia annuì, ridacchiando sommessamente. «Va bene, ci sto.»

Rosso annuì a sua volta, allargando leggermente il sorriso, dopodiché si voltò nuovamente. Il suo sorriso, tuttavia, ci mise poco a vacillare, come se stesse pensando a qualcosa di non esattamente felice. Abbassò lentamente lo sguardo, fino ad osservarsi le ginocchia. Komi si accorse immediatamente di quel suo repentino cambio d’umore e si insospettì. «Che ti prende? C’è qualcosa che non va?»

A quella domanda, lui tornò a guardarla. Il suo sguardo tradì qualsiasi emozione. Era... triste. La ragazza non riuscì proprio a spiegarsi il perché di ciò.

«Ascolta, Amalia...» iniziò a dire, incerto. Mai lei lo aveva visto così, forse solamente quando erano stati catturati da Dreamer. Ma anche all’epoca, più che altro le era sembrato arrabbiato. In quel momento, invece, sembrava davvero abbattuto. «... c’è... c’è una cosa che dovresti sapere...»

«Che cosa? Non vorrai mica dichiararti a me, vero? Scusa ma non sei il mio tipo» cercò di sdrammatizzare lei, ma lo sguardo serio di lui non mutò di una virgola. Anzi, parve quasi non gradire quella battutina.

«Non c’è da scherzare. Questa cosa riguarda me, te e chissà quante altri milioni di persone.»

Dopo quella frase, la mora iniziò seriamente ad essere turbata. «Di... di che cosa stai parlando?»

«Non è facile da spiegare, ma riguarda noi, persone che non possediamo il gene conduit. Vedi, c’è... c’è una...» Per tutto il tempo Lucas cercò di evitare il suo sguardo, ma non appena i loro occhi si incontrarono, il moro si interruppe. Amalia lo osservava sempre più perplessa ed anche preoccupata, mentre lui, invece, parve impossibilitato a dire altro. Distolse di nuovo lo sguardo, apparendo impossibilitato a reggerlo, quasi come un bambino di fronte ad un adulto.

«Niente, lascia stare» disse infine, rialzandosi in piedi e liquidando la faccenda. «Non è nulla di importante.»

Komi inarcò un sopracciglio, sempre più basita. «Davvero? Sei sicuro?»

«Sì, sta tranquilla. Sei appena tornata e non voglio romperti le scatole fin da subito. Ne riparleremo un’altra volta, in un momento più opportuno, magari.»

«Così mi metti ancora più soggezione, lo sai, vero?»

«Fidati, non è niente.» Rosso le diede le spalle e sollevò una mano. «Meglio che tu vada a riposarti adesso, domani ci aspetta un viaggio lungo. La California è piuttosto lontana da qui.»

Komand’r non era molto convinta, ma annuì ugualmente. «Sì, hai ragione. Buonanotte, Rosso.»

«’Notte.»

Rosso scese dal tetto passando per le scale sul retro. Amalia lo seguì con lo sguardo, con la mente piena di interrogativi. Che cosa voleva dirle Rosso? Perché le era sembrato così a disagio? Prima le sorrideva e faceva tutto il cordiale e subito dopo si tramutava nel bel – per modo di dire – tenebroso che ormai aveva imparato a conoscere? E lei che pensava di essere l’unica pseudo bipolare...

«Ahh, al diavolo» la ragazza si massaggiò una tempia, sbadigliando rumorosamente. Era troppo stanca per pensarci, e comunque, Lucas aveva ragione, un lungo viaggio attendeva tutti loro l’indomani. Avrebbe fatto meglio a riposarsi.

Si alzò in piedi e si diresse verso le scale a sua volta, sperando che quella notte di sonno cancellasse i brutti ricordi della giornata. Sapeva che non sarebbe mai stato così, però volle comunque aggrapparsi a quella speranza. D’altronde, sperare era una delle poche cose che le erano rimaste.

 

***

 

La ragazza entrò nella stanza sul retro, quella in cui "alloggiavano" lei e Tara. Vide la bionda dormire ancora profondamente, avvolta nel suo sacco a pelo. Un piccolo sorriso nacque sulle labbra di Komi. La Markov sembrava così tranquilla, così rilassata, come una bambina. Ancora una volta, la ragazza mora si rese conto di quanto una come lei si trovasse fuori posto in un mondo schifoso come quello. Bastava un solo sguardo per capire quanto fragile fosse, sia fisicamente che emotivamente. Anche lei aveva sofferto e non poco in quegli ultimi mesi, in quegli ultimi giorni soprattutto.

Le ritornò in mente il giorno in cui gli UDG avevano irrotto nel loro vecchio magazzino. Non aveva potuto fare niente per proteggerla; le avevano sparato, dopodiché avevano afferrato Tara e l’avevano portata via di forza. Le sue urla ed il suo pianto erano ancora vividi nella sua mente. A quei pensieri, la mora rabbrividì. Scosse rapidamente la testa, cercando di allontanare quegli spiacevoli ricordi, dopodiché si sedette sul pavimento, accanto all’amica. Se non altro, ora era al sicuro, assieme a lei. Con un tenue sorriso, Komand’r passò una mano fra i capelli di Tara, suscitando un verso di protesta da parte sua e facendola rigirare nel suo giaciglio quasi indispettita. Komi trattenne a stento una risatina.

Era così buffa. Così innocente. Così buona. Così... carina.

Amalia sospirò, dopodiché si sdraiò sul pavimento, accanto a lei, e congiunse le mani sopra al proprio ventre. Osservò in silenzio i neon spenti appesi al soffitto sopra di lei, con il solo suono del respiro della Markov a riempire la stanza. Un parlottare soffuso arrivava invece da oltre le pareti. Rachel e Lucas, sicuramente. Chissà che cosa si stavano dicendo. Si domandò se avesse a che fare con la cosa di cui Rosso voleva parlarle. O magari stavano solamente tubando un po’... ciò avrebbe spiegato il perché si erano presi una stanza tutta per loro. Ma dal tono di voce apparentemente agitato, quasi irritato, di lui, scartò ben presto questa opzione.

A quanto pare era successo qualcosa in sua assenza. Qualcosa di grosso. E lei, sinceramente, dubitava di voler davvero sapere di che cosa si trattasse.

«Mhhh...» Il verso impastato proveniente dal sacco a pelo di Tara la fece voltare di scatto. Vide la bionda girarsi nuovamente, questa volta verso di lei, per poi aprire lentamente gli occhi. «K... Komi?» domandò, assonnata.

Komand’r non poté trattenere un altro sorriso. «Presente.»

Tara fece un altro verso, questa volta facendola ridacchiare. «Sono felice che tu sia tornata...» mugugnò la bionda, per poi sbadigliare.

«Me l’hai già detto» rispose Amalia girandosi su un fianco e trovandosi faccia a faccia con l’amica.

«Sì, lo so, però... non ti avevo detto che mi dispiace.»

«Di cosa?»

«Non avrei dovuto... lasciarti andare via in quel modo. È stata colpa mia...» spiegò la bionda, abbassando lo sguardo.

«Ma che stai dicendo?» domandò Amalia, quasi basita. «Sono stata io ad andarmene, la colpa è solo mia. Non devi assumerti la responsabilità per le mie cazzate.»

«Sì, però... però...» La bionda singhiozzò. Komand’r sgranò gli occhi. Stava... stava piangendo?

«Ho avuto paura... di non rivederti più...» sussurrò Tara. «Quando... quando ti abbiamo ritrovata... ero al settimo cielo... ma non appena ho visto la tua ferita... io... io...»

«Tara...»

«E se fossi morta?! Se non ti avessimo più trovata?!» La bionda alzò la voce, per un momento Komi temette che Rosso e Rachel potessero addirittura sentirle. «E se quei tizi ti avessero... ti avessero...»

«Tara, calmati!» esclamò Amalia avvicinando una mano ed afferrando quella della bionda. Non avrebbe mai potuto pensare che tenesse a lei in quel modo. Certo, sapeva che erano amiche, una specie, perlomeno, però... era comunque un qualcosa a cui Komi non aveva mai pensato. Forse perché mai prima di allora qualcuno aveva davvero sembrato tenere a lei.

Tranne Kori. Od Ursula.

Strinse la mano della compagna. Ripensando alla donna albina, le ritornarono in mente le sue parole. Da sola non poteva fuggire da sé stessa, dai suoi demoni interiori. Ma con l’aiuto di qualcun altro, una persona fidata, qualcuno che fosse disposta a capirla, ad accettarla, qualcuno che davvero tenesse a lei...

Qualcuno che la afferrasse al volo. Qualcuno che la salvasse.

Tara...

«Non fare così, Tara. Ormai siamo qui, no? Siamo insieme. Non dobbiamo più preoccuparci di niente.»

«Non... non mi lascerai più?»

«No. Non lo farò.»

«Me lo... me lo prometti?»

«Sì.»

Le due ragazze si guardarono negli occhi. Nonostante la penombra, Amalia non sarebbe mai riuscita a non restare incantata di fronte alle splendidi iridi celesti di Tara. Di fronte a quell’espressione così... così dolce, così ingenua, così... buona.

Diavolo, ma come aveva potuto pensare anche solo per un momento che scappare fosse la cosa migliore da fare? Restare da sola e separarsi dall’unica persona che era riuscita ad avvicinarla e ad andare d’accordo con lei nonostante il suo caratteraccio. Certo, anche con Rachel andava d’accordo, però con lei non aveva la stessa intesa che aveva con Tara, nemmeno lontanamente. E ora che era lì, con lei, in quella stanza, si sentiva come se potesse confidarle anche il più oscuro dei suoi segreti.

Fino a quel mattino aveva pensato che rivolgersi a lei fosse un gesto egoista e sbagliato, ma in quel momento, di fronte a quello sguardo apprensivo, le sembrava l’esatto contrario, perché tanto sapeva che lei non l’avrebbe giudicata, mai.

E anche il dolore, la sofferenza provati per la morte di Ryan, erano ancora presenti, facevano ancora male, certo, tuttavia erano quasi come affievoliti. Non credeva che sarebbe mai successo, ma era così. Era Tara, era la sua presenza, era il suo calore a permettere ciò. Stando accanto a lei si sentiva come all’interno di un confortevole rifugio. E aveva deciso che quel rifugio non lo avrebbe più abbandonato. «Non ti lascerò... mai più.»

Un timido sorriso si accese sul volto della bionda. Fu la cosa più adorabile che Amalia avesse mai visto in quegli ultimi mesi.

«Mai... mai più...» rispose la ex conduit con voce sempre più flebile, come la fiamma di una candela pronta a spegnersi. Subito dopo, la Markov chiuse lentamente gli occhi. Si riaddormentò di fronte a lei, con ancora la mano intrecciata con quella della mora ed il sorriso sul volto.

Le labbra di Komi si arricciarono verso l’alto di fronte a quella scena. Probabilmente Tara non si sarebbe nemmeno ricordata di quella loro discussione l’indomani mattina. Era stanca, spossata dal suo precedente combattimento, era probabile che quello per lei fosse stato solamente un sogno, ma Amalia sapeva che non era così. Quella discussione era accaduta davvero. E la promessa che le aveva fatto, quella era determinata a mantenerla. Si avvicinò alla ex conduit e le diede un bacio sulla fronte. Aveva fallito a proteggere i suoi fratelli ed Ursula, ma non avrebbe fallito a proteggere lei, la sua amica, la sua migliore amica.

Anche se, sotto sotto, sentiva che quella che stava iniziando a provare per lei non era più semplice amicizia. Ma la cosa, anziché preoccuparla, la faceva sentire bene. Tremendamente bene. Aumentò la presa attorno alla mano della ragazza bionda, dopodiché si avvicinò ulteriormente a lei, poggiando la fronte contro la sua, e chiuse lentamente gli occhi.

Quella, fu la notte di sonno migliore che riuscì a trascorrere dopo anni ed anni.

 

 

 

 

 

 

 

 

E con questo, possiamo dichiarare finalmente conclusa la parentesi spin-off. C’è voluto un secolo emmezzo, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Mi spiace davvero di non essere riuscito a concludere questa piccola storiellina prima, ma come già dissi, non mi stava soddisfacendo abbastanza. Ma con qualche piccola modifica qua e là sono riuscito a farmela andare bene.

Vorrei ringraziare ArkhamTerror per avermi incitato a scrivere di nuovo, perché senza di lei probabilmente avrei lasciato il file di questo spin off ancora intoccato (per fortuna ho comunque avuto il sangue freddo di non cancellare i due capitoli che già avevo scritto, altrimenti sai quanti santi sarebbero piovuti per riscrivere tutto e lasciare intatta la perfetta impressione che avevo voluto dare di Amalia).

Quindi niente, la ringrazio di cuore.

Poi ovviamente ringrazio Rose Wilson per non avermi abbandonato. Non ancora, perlomeno. Hai una bella pazienza, lasciatelo dire.

Eustass_Sara, che da quando è ritornata ha saputo benissimo dimostrarmi tutto il suo supporto, e di questo le sono infinitamente grato.

Per concludere, Nanamin , che, anche se è davvero una brutta persona, mi ha fatto capire quanto questa storia fosse importante per lei e probabilmente anche per altri.

Tutte quante hanno scritto a loro volta delle storielline davvero carine sui nostri TT, pertanto vi consiglio caldamente di passare anche sul loro profilo per dare un’occhiata, perché secondo me meritano molto!

E niente, per il momento è tutto. Ci becchiamo alla prossima!

 

 

 

 

 

 

 

Stick Together

 

   
 
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