IV
DOLCE
NOTTE
Amalia
appoggiò il capo contro il muro, sospirando profondamente.
L’odore di carne bruciata pungeva il suo olfatto, mentre
sangue ancora fresco
colava dalle sue mani. Non il suo,
di
sangue, ovviamente.
Qualcuno
stava piangendo. Esattamente di fronte a lei, accasciato
contro il muro dall’altro lato della stanza, Seymour stava
facendo guizzare lo
sguardo da lei a ciò che rimaneva dei suoi due amici.
«T-Ti prego...» stava
dicendo, tra un singhiozzo e l’altro. «Non... non
uccidermi...»
Komand’r
fece una smorfia. Erano minuti interi che andava avanti in
quel modo. Lei ancora non gli aveva risposto. Ed era intenzionata a non
farlo. Comunque
no, non lo avrebbe ucciso. Si era già abbastanza sporcata le
mani, quel giorno.
Anche se quel tizio meritava di fare la stessa fine dei suoi amici per
come si
stava comportando. Lui non avrebbe esitato ad ucciderla, se
l’avesse catturata.
Anzi, già in diverse occasioni l’aveva quasi fatta
fuori, con i suoi dannati
raggi laser. Lui ed i suoi amici erano intenzionati a rapirla,
violentarla e
poi ammazzarla, ed ora quel tizio implorava pietà?
Disgustoso.
Patetico. Inaccettabile.
Dreamer
non aveva pianto quando lei gli aveva puntato una pistola di
fronte alla testa. Lui sapeva che ogni azione aveva una conseguenza e
sapeva
che prima o poi sarebbe toccato anche a lui. E se sotto quel frangente
perfino
un essere abominevole come Dreamer era migliore di quei quattro
perdenti che
avevano cercato di catturarla, allora significava che quei tizi erano davvero ripugnanti. E lui, Seymour,
avrebbe dovuto imparare più cose su come il mondo, il loro
mondo, funzionava
davvero. Ma non da Amalia. Lei non era più in vena di
insegnamenti. Si alzò in
piedi e si diresse verso la porta, lasciandosi alle spalle i corpi di
tutti i
presenti. Spense la luce e chiuse la porta, abbandonando Seymour ai
suoi
piagnistei, sperando che, dopo quella giornata, questo decidesse di
svanire per
sempre dalla faccia della terra. Ammesso e concesso che fosse riuscito
a
superare lo shock e liberarsi dalle fascette.
Komi si
diresse poi verso la camera da letto, dove il corpo di Ursula
la attendeva, sdraiato sopra al letto matrimoniale. La giovane aveva
pulito il
sangue, l’aveva cambiata e l’aveva pettinata.
Sembrava quasi che stesse
dormendo. Una fitta allo stomaco la colpì quando
ripensò a ciò che era successo
alla donna. Scosse la testa, ricacciando le lacrime, poi le si
avvicinò.
«Mi
dispiace...» sussurrò, con voce rotta.
«Riposa in pace, Ursula...
grazie di tutto. Non mi dimenticherò mai di te.»
Con il
peso del mondo ancora sulle proprie spalle, Amalia abbandonò
la
stanza, poi l’appartamento e poi il condominio.
Salì sul camioncino di Coso e
la sua banda e trovò la chiave ancora inserita nel quadro.
Senza esitare la
girò ed avviò il motore. Dopodiché,
iniziò a spostarsi. Non sapeva dove
dirigersi con esattezza, sapeva solo che, ovunque sarebbe andata, i
terribili
ricordi di quella città l’avrebbero seguita.
Tutto le
sembrava assente, irreale e distante, in quel momento. Il
volante che stringeva tra le mani, gli edifici che mano a mano
svanivano da
attorno a lei, la strada che percorreva, le luci dei lampioni accesi.
Nemmeno
si era accorta che era scesa la sera. Era come se nulla avesse
più importanza
per lei, ormai. Si sentiva un guscio vuoto che camminava e che
respirava. Lo
stesso guscio vuoto che era sempre stata.
Non
sapeva più cosa dire, cosa fare, cosa pensare. Le sembrava
di
essere imprigionata in un ciclo infinito in cui tutte le persone che
sembravano
tenere a lei o a cui lei stessa teneva erano destinate a morire. Valeva
davvero
la pena continuare così?
Il rumore
del motore dell’auto che si affievoliva lentamente la fece
destare da quei pensieri. Sentì i giri del veicolo diminuire
ciclicamente, fino
a quando il mezzo non si ritrovò ad avanzare a strattoni. E,
per finire, si
arrestò direttamente. Solo in quel momento la ragazza
notò la spia della
benzina accesa. Chissà da quanto lo era, poi. Amalia
sospirò e scosse la testa.
Quei quattro idioti non avevano fatto il pieno. Anche quando non
rappresentavano più una minaccia diretta riuscivano ad
irritarla.
Soffocando
la milionesima imprecazione di quel giorno, la mora scese
dal veicolo e sbatté la portiera con forza. Si
affacciò sul cassone, sperando
di trovare un’eventuale tanica di benzina, per poi vedere con
enorme stupore il
suo borsone. Komi sgranò gli occhi. Solo in quel momento si
ricordò che quei
quattro gliel’avevano rubato. Ma il sollievo provato nel
ritrovarlo si
trasformò ben presto in rabbia. Si sbatté una
mano sulla tempia, con forza,
digrignando i denti. Se solo se ne fosse ricordata prima, avrebbe
potuto
prendere il suo fucile per salvare Ursula. Anche se, forse, era
più semplice a
dirsi che a farsi. Dubitava che sarebbe riuscita a nascondere il fucile
in
tasca come invece aveva fatto con la fiamma ossidrica.
Sospirò
profondamente. Ormai, era tardi per avere simili pensieri, e
sicuramente non aveva bisogno di torturasi più di quanto
già stesse facendo. Afferrò
il borsone e proseguì per la sua strada a piedi, visto che
di taniche di
benzina non c’era nemmeno l’ombra. Ricevette
diverse fitte di dolore al fianco
mentre camminava, ma era un dolore comunque sopportabile. E, in ogni
caso,
avrebbe anche potuto avere una gamba rotta, se ne sarebbe comunque
andata da
quella dannata città; a piedi, in macchina, strisciando sui
gomiti, non le
importava; doveva andarsene.
Continuò
a camminare, immersa nel silenzio di quella notte,
accompagnata solamente dalle brezze di aria fredda e dalle luci dei
lampioni e
della luna piena. In effetti, la luna era davvero bella quella sera.
Non che la
cosa le importasse più di tanto, però.
Sinceramente,
non le importava più di niente. Voleva solamente
andarsene da quella città e non voltarsi mai più
indietro, anche se sapeva che
non sarebbe stato così facile. Ciò che era
successo giusto poche ore prima...
nulla avrebbe potuto cancellarglielo dalla mente. Le morti di Ursula,
di Coso e
di Mammoth ormai erano ricordi indelebili, marchiati a fuoco nel suo
cervello.
Dubitava che sarebbe riuscita a dormire mai più sonni
sereni, anche se già a
stento ricordava l’ultima volta che davvero era riuscita ad
averne uno.
Un
mostro, un’assassina, una psicopatica e per giusta lesbica,
anche
se quest’ultima cosa non era davvero un problema... se non si
menzionava il
fatto che si fosse presa una cotta per la sua stessa dannata sorella.
Quello
cambiava decisamente tutto quanto.
Aveva
iniziato quel viaggio solitario solamente un giorno prima per
poter riflettere e pensare, e si era ritrovata con ancora
più problemi ed
angosce. Se solo non se ne fosse mai andata, se solo fosse rimasta in
quel
magazzino, se solo non avesse lasciato...
«Tara...»
sussurrò, sollevando lo sguardo mentre una lacrima le rigava
il volto. Osservò la luna piena, con un moto di nostalgia.
Alla ragazza bionda
sarebbe piaciuta quella notte. E a lei sarebbe piaciuto trascorrerla
assieme a
lei. Guardare il cielo, fumarsi una sigaretta, chiacchierare del
più e del meno
senza filtri, senza pensieri, senza preoccupazioni. Quanto avrebbe
voluto
poterlo fare di nuovo. Ma senza Ryan... non sarebbe stata la stessa
cosa.
Dubitava che sarebbe davvero mai più riuscita a sorridere
sinceramente, non con
la consapevolezza di aver perso suo fratello, l’unica persona
cara che le era
rimasta.
Se lui
avesse visto che cosa aveva fatto a quei due...
«Ma
cosa c’è che non va in me?»
sussurrò la ragazza, chinando il capo
e strizzando le palpebre per ricacciare le lacrime. Non poteva mettersi
a
piangere lì, non in quel momento. Non proprio quando era
così vicina al confine
della città. Ormai la zona industriale si era quasi del
tutto diradata e
riusciva perfettamente a scorgere, in lontananza, gli alberi e la fitta
vegetazione del New Jersey. Mancava poco, ormai. Avrebbe lasciato la
città,
trovato un posto per dormire e dopo avrebbe potuto piagnucolare quanto
voleva.
Ma fino ad allora, doveva stringere i denti e proseguire, ignorando il
dolore,
fisico o mentale che fosse.
E
così fece. Più avanzava e più voleva
accelerare il passo. Non ne
poteva più di quelle strade. Il confine si fece sempre
più vicino. La ragazza
pensò quasi di poter finalmente tirare un sospiro di
sollievo, ma un bagliore
improvviso proveniente dalle sue spalle la fece irrigidire di colpo. Si
voltò e
vide una macchina in strada, la quale teneva i fari puntati proprio
verso di
lei. La mora fece una smorfia e socchiuse gli occhi. Chi diavolo poteva
essere?
Qualcun altro che voleva lasciare la città? Altri nemici?
Seymour che cercava
vendetta? Dubitava di quest’ultima eventualità. Ma
allora chi?
L’auto
la sorpassò e proseguì dritta. Per un momento la
ragazza pensò
quasi che avrebbe proseguito in quel modo, ignorandola completamente,
ma
questa, invece, iniziò a rallentare, per poi accostare ad
una ventina di metri
di distanza da lei.
«Altri
guai? Sul serio?!» sussurrò lei, per poi mettere
mano al
borsone. Non aveva alcuna intenzione di farsi fregare di nuovo.
Chiunque ci
fosse dentro quell’auto, avrebbe dovuto tenersi a debita
distanza da lei o
avrebbe assaggiato il suo piombo. Afferrò il fucile e lo
sollevò, dopodiché lo
puntò verso la portiera anteriore, la quale si stava aprendo.
«Vuoi
qualcosa da me? Vieni a prenderlo!» bisbigliò
ancora,
avvicinando il dito al grilletto. Ma non appena il guidatore scese e la
ragazza
vide il suo volto – il suo brutto volto
– illuminato dal lampione sopra di lui, rimase a bocca
aperta.
«Sì,
anch’io sono felice di rivederti» disse quello,
accennando con il
mento al fucile della mora. «Ora però potresti
abbassare quel coso?»
«Non
ci credo...» sussurrò lei, abbassando lentamente
l’arma. Anche
altre due portiere si aprirono, ed altre due persone scesero dalla
macchina.
Rimase esterrefatta. Anche queste si voltarono verso di lei. Ci fu un
breve
momento di silenzio, in cui nessuno disse o fece nulla. Il tempo parve
quasi
fermarsi. Poi, la figura dai capelli biondi, sorrise entusiasta.
«KOMI!»
Si
separò dagli altri e le corse incontro. Amalia la
osservò immobile,
sempre più interdetta, sempre più convinta di
star sognando. Ma quando Tara la
stritolò in un abbraccio, quando vide i sorrisi di Rachel e
Rosso rivolti verso
di loro, quel momento le parve più reale che mai.
«Komi!»
esclamò ancora la bionda, appoggiando il mento sulla sua
spalla. «Non sai quanto sia felice di rivederti!»
«T-Tara...»
sussurrò Amalia, ancora incredula, mentre un piccolo
sorriso si accendeva sul suo volto, allargandosi man mano che il tempo
passava
e realizzava che tutto quello stava accadendo per davvero. Il fucile le
cadde
di mano mentre ricambiava la stretta con quanta forza ancora avesse in
corpo,
ignorando il dolore, la stanchezza, ogni cosa.
«Tara!»
Nemmeno si rese conto delle
lacrime che cominciarono a scenderle dagli occhi. Mentre la vista le si
appannava, non riusciva a ricordare un altro momento della sua vita in
cui si
era sentita così felice di vedere qualcuno. Le lacrime
cominciarono a scendere
in maniera autonoma, dapprima in un segno di sollievo,
felicità, ma ben presto
al sollievo si aggiunsero anche la tristezza, il rammarico, la rabbia.
Ciò
che all’inizio era un semplice pianto di gioia si
tramutò ben
presto in uno sfogo vero e proprio, mentre tutte quelle lacrime che per
troppo
tempo si era tenuta dentro iniziavano a sgorgare senza freni. Pianse
per la
felicità di trovarsi lì, con loro, con lei,
dopodiché pianse per la morte di Ursula, per quella di Ryan,
per quella di
Kori, pianse per essersene andata in quel modo ed essersi cacciata in
quel
guaio enorme, pianse per il mostro che sapeva di essere, pianse
perché sapeva
di essere sbagliata, pianse perché la sua vita era stata un
autentico inferno
e, per finire, pianse perché qualcuno che teneva a lei
ancora esisteva, e,
questa volta, lo avrebbe protetto fino a quando non avrebbe esalato il
suo
ultimo respiro. Affondò il volto nella spalla
dell’amica e lo riempì di
lacrime.
«T-Tara...»
disse ancora, semplicemente. Si sentì tremendamente
stupida, patetica, vulnerabile. E allo stesso tempo, mentre la bionda
le
carezzava i capelli e la schiena e le sussurrava all’orecchio
che ora che erano
di nuovo insieme non doveva più preoccuparsi di nulla, si
sentì la persona più
felice dell’universo.
Era lei.
Era Tara, la sua amica. E l’aveva ritrovata.
***
Komand’r
buttò fuori una nuvola di fumo dalla bocca. Quanto le era
mancato il gusto amaro delle sigarette sul suo palato. Sapeva che ogni
tiro
fatto da quelle cose erano un minuto di vita che se ne andava, ma a lei
non
importava; fumare, ormai, era una delle poche soddisfazioni che le
erano
rimaste.
Anche una
scopata non mi dispiacerebbe...
La mora
sollevò lo sguardo, verso il cielo, dove poté
constatare che
il tempo non era affatto cambiato. Faceva freddo, certo, soprattutto
dove si
trovava lei in quel momento – sul tetto della stazione di
servizio, parecchio
fuori città, in cui si erano accampati per la notte
– però il cielo era sereno,
non c’era nessuna nuvola e la luna piena e le stelle erano
ancora lì, libere di
risplendere quanto volessero. E comunque, anche il freddo aveva smesso
di
essere un problema quando Rachel le aveva prestato una delle sue felpe.
«Così siamo
pari» le
aveva detto. Amalia non aveva nemmeno capito il perché di
tale
affermazione in un primo momento, solamente più tardi si era
ricordata di
quella volta che l’aveva rivestita e messa a dormire nel suo
letto, ad Empire,
in quella notte di pioggia torrenziale. Sembrava passata una vita
intera da
allora. Ne erano successe così tante...
Per
quanto dura fosse stata, quella che aveva vissuto era comunque
stata un’avventura assolutamente degna di un libro, o di un
film. Tra pazzi
maniaci, criminali, assassini, mostri con poteri disumani, ne aveva un
sacco da
raccontare.
Essere di
nuovo con i suoi compagni di viaggio... le sembrava così
strano. Era passato, quanto, uno, due giorni, da quando se n’era andata? Invece le pareva che fosse passato molto più tempo.
Inoltre, era ormai così
convinta di non incontrarli mai più che perfino in quel momento,
ormai ore dopo la
loro riunione, le sembrava tutto surreale.
Tara e
Rachel le avevano detto che era stato grazie a Rosso se
l’avevano ritrovata, che era stato lui a dedurre dove sarebbe
andata, ossia
verso il confine della città. Un sorrisetto si dipinse sul
volto della ragazza
a quel pensiero; sinceramente, il fatto che fosse stato proprio lui il
maggior
responsabile del suo ritrovamento le appariva quasi buffo, in
particolare dopo
tutte le volte che avevano cercato di azzannarsi a vicenda.
Probabilmente
c’erano gli zampini di Rachel e Tara, dietro.
E a
proposito di Rachel, la mora aveva notato una certa intesa tra lei
e Rosso, da quando era tornata. Cioè, un’intesa
molto più forte di quella che
ricordava. Forse alla fine i piccioncini si erano svegliati ed avevano
capito
di essere fatti l’uno per l’altra, forse.
Subito
dopo la sua crisi di pianto, di cui ancora si vergognava
leggermente, il trio le aveva raccontato che cos’era accaduto
in sua assenza, e
la mora doveva ammettere di essere in parte grata di essersi perso il
combattimento con quel conduit impazzito, Domenico, o come cavolo si
chiamava.
Poi, quando Tara le aveva raccontato di essere di nuovo senza poteri,
si era
sinceramente sentita felice per lei. E quando le avevano detto che
erano stati
proprio i poteri di Rachel a "guarire" la bionda, non aveva potuto
non provare un piccolo moto di gratitudine nei suoi confronti e,
sicuramente,
essere grata del fatto che Roth fosse dalla sua parte. Anche
perché,
sicuramente, senza la ragazza corvina non sarebbe mai sopravvissuta a
Sub City.
L’aveva
perdonata per la morte di Ryan, questo già
gliel’aveva detto,
però si era ripromessa di ripeterglielo. Perché
era vero, Rachel non aveva
nessuna colpa. Il responsabile di quell’atrocità
aveva già pagato, ormai, ed
era inutile rimuginarci su.
Ryan...
quanto avrebbe voluto che fosse lì con lei, con loro, in
quel
momento. Quanto avrebbe voluto poterlo rivedere, potergli parlare,
poter
sentire la sua voce... poterlo abbracciare e potergli chiedere scusa
per ogni
cosa. Quanto avrebbe voluto...
«Non
vai a dormire?» Un istante prima che la mora iniziasse a
piangersi nuovamente addosso, la voce di Rosso provenne dalle sue
spalle.
La
ragazza ricacciò le lacrime e si voltò verso di
lui, riacquistando
la solita spavalderia che usava in sua presenza. «Potrei
farti la stessa
domanda...»
«Sì,
ma te l’ho chiesto prima io» replicò il
ragazzo, avvicinandosi e
sedendosi sul bordo del tetto, accanto a lei. «Sarai esausta
dopo quello che ti
è successo. Quattro conduit non devono essere una
passeggiata per nessuno.
Ancora mi chiedo come tu abbia fatto a sopravvivere...»
Un
sorrisetto provocatorio si accese sul volto della mora. «Sono
piena
di risorse.»
«Non
voglio sapere altro...» mugugnò Rosso,
strappandole una risatina.
Il
silenzio scese tra loro per un momento, dopo che il ragazzo tacque.
I due rimasero fermi, ad osservare il cielo e la vegetazione che li
circondava,
entrambi immersi nei propri pensieri. Amalia non sapeva
perché Rosso si
trovasse lì con lei, ma scoprì con una enorme
sorpresa che la sua presenza non
la infastidiva poi così tanto. Del resto, per quanto in
disaccordo potessero
essersi trovati in quei giorni, erano pur sempre una squadra. E
comunque,
grazie a lui Komi poté distrarsi per un poco dai suoi
tormenti.
«Ascolta...»
disse poi Lucas, rompendo il silenzio, tenendo gli occhi
fissi sulle stelle. «... so che io e te abbiamo iniziato con
il piede
sbagliato, e so anche che probabilmente non saremo mai i migliori amici
del
cuore, ma voglio comunque che tu sappia che... che sono felice che tu
stia
bene.»
Komand’r
lo osservò, questa volta con un sorriso perplesso stampato
in
faccia. «Questa è la cosa più carina
che tu mi abbia mai detto, lo sai?»
«Sì,
beh, non farci l’abitudine» rispose lui, voltandosi
verso di lei
e abbozzando un sorrisetto a sua volta. «È solo
che mi sarebbe spiaciuto
vederti tirare le cuoia. E, sicuramente, la cosa sarebbe spiaciuta
anche a
Rachel. E a Tara.»
«Lo
so» convenne Amalia, sentendo le propria interiora
attorcigliarsi
quando la Markov venne nominata. «Ma posso assicurarvi che
episodi simili non
si verificheranno mai più. Non so a cosa stessi pensando
quando me ne sono
andata, ma so che me ne sono pentita fin dal primo istante. Dopotutto,
nel bene
e nel male, noi siamo una squadra.»
«Hai
ragione, lo siamo. Perciò... credo che forse sia il caso di
smettere di litigare, almeno per un po’. Che dici?»
«Vuoi
fare la pace?» domandò Komi, inarcando un
sopracciglio.
Lucas
piegò il capo. «Chiamiamola... tregua.»
Amalia
annuì, ridacchiando sommessamente. «Va bene, ci
sto.»
Rosso
annuì a sua volta, allargando leggermente il sorriso,
dopodiché
si voltò nuovamente. Il suo sorriso, tuttavia, ci mise poco
a vacillare, come
se stesse pensando a qualcosa di non esattamente felice.
Abbassò lentamente lo
sguardo, fino ad osservarsi le ginocchia. Komi si accorse
immediatamente di
quel suo repentino cambio d’umore e si insospettì.
«Che ti prende? C’è qualcosa
che non va?»
A quella
domanda, lui tornò a guardarla. Il suo sguardo
tradì
qualsiasi emozione. Era... triste. La ragazza non riuscì
proprio a spiegarsi il
perché di ciò.
«Ascolta,
Amalia...» iniziò a dire, incerto. Mai lei lo
aveva visto
così, forse solamente quando erano stati catturati da
Dreamer. Ma anche
all’epoca, più che altro le era sembrato
arrabbiato. In quel momento, invece,
sembrava davvero abbattuto. «... c’è...
c’è una cosa che dovresti sapere...»
«Che
cosa? Non vorrai mica dichiararti a me, vero? Scusa ma non sei il
mio tipo» cercò di sdrammatizzare lei, ma lo
sguardo serio di lui non mutò di
una virgola. Anzi, parve quasi non gradire quella battutina.
«Non
c’è da scherzare. Questa cosa riguarda me, te e
chissà quante
altri milioni di persone.»
Dopo
quella frase, la mora iniziò seriamente ad essere turbata.
«Di...
di che cosa stai parlando?»
«Non
è facile da spiegare, ma riguarda noi, persone che non
possediamo
il gene conduit. Vedi, c’è...
c’è una...» Per tutto il tempo Lucas
cercò di
evitare il suo sguardo, ma non appena i loro occhi si incontrarono, il
moro si
interruppe. Amalia lo osservava sempre più perplessa ed
anche preoccupata,
mentre lui, invece, parve impossibilitato a dire altro. Distolse di
nuovo lo
sguardo, apparendo impossibilitato a reggerlo, quasi come un bambino di
fronte
ad un adulto.
«Niente,
lascia stare» disse infine, rialzandosi in piedi e liquidando
la faccenda. «Non è nulla di importante.»
Komi
inarcò un sopracciglio, sempre più basita.
«Davvero? Sei sicuro?»
«Sì,
sta tranquilla. Sei appena tornata e non voglio romperti le
scatole fin da subito. Ne riparleremo un’altra volta, in un
momento più
opportuno, magari.»
«Così
mi metti ancora più soggezione, lo sai, vero?»
«Fidati,
non è niente.» Rosso le diede le spalle e
sollevò una mano. «Meglio
che tu vada a riposarti adesso, domani ci aspetta un viaggio lungo. La
California è piuttosto lontana da qui.»
Komand’r
non era molto convinta, ma annuì ugualmente.
«Sì, hai
ragione. Buonanotte, Rosso.»
«’Notte.»
Rosso
scese dal tetto passando per le scale sul retro. Amalia lo
seguì
con lo sguardo, con la mente piena di interrogativi. Che cosa voleva
dirle
Rosso? Perché le era sembrato così a disagio?
Prima le sorrideva e faceva tutto
il cordiale e subito dopo si tramutava nel bel – per modo di
dire – tenebroso
che ormai aveva imparato a conoscere? E lei che pensava di essere
l’unica pseudo
bipolare...
«Ahh,
al diavolo» la ragazza si massaggiò una tempia,
sbadigliando
rumorosamente. Era troppo stanca per pensarci, e comunque, Lucas aveva
ragione,
un lungo viaggio attendeva tutti loro l’indomani. Avrebbe
fatto meglio a
riposarsi.
Si
alzò in piedi e si diresse verso le scale a sua volta,
sperando che
quella notte di sonno cancellasse i brutti ricordi della giornata.
Sapeva che
non sarebbe mai stato così, però volle comunque
aggrapparsi a quella speranza.
D’altronde, sperare era una delle poche cose che le erano
rimaste.
***
La
ragazza entrò nella stanza sul retro, quella in cui
"alloggiavano" lei e Tara. Vide la bionda dormire ancora
profondamente, avvolta nel suo sacco a pelo. Un piccolo sorriso nacque
sulle
labbra di Komi. La Markov sembrava così tranquilla,
così rilassata, come una
bambina. Ancora una volta, la ragazza mora si rese conto di quanto una
come lei
si trovasse fuori posto in un mondo schifoso come quello. Bastava un
solo
sguardo per capire quanto fragile fosse, sia fisicamente che
emotivamente.
Anche lei aveva sofferto e non poco in quegli ultimi mesi, in quegli
ultimi
giorni soprattutto.
Le
ritornò in mente il giorno in cui gli UDG avevano irrotto
nel loro
vecchio magazzino. Non aveva potuto fare niente per proteggerla; le
avevano
sparato, dopodiché avevano afferrato Tara e
l’avevano portata via di forza. Le
sue urla ed il suo pianto erano ancora vividi nella sua mente. A quei
pensieri,
la mora rabbrividì. Scosse rapidamente la testa, cercando di
allontanare quegli
spiacevoli ricordi, dopodiché si sedette sul pavimento,
accanto all’amica. Se
non altro, ora era al sicuro, assieme a lei. Con un tenue sorriso,
Komand’r
passò una mano fra i capelli di Tara, suscitando un verso di
protesta da parte
sua e facendola rigirare nel suo giaciglio quasi indispettita. Komi
trattenne a
stento una risatina.
Era
così buffa. Così innocente. Così
buona. Così... carina.
Amalia
sospirò, dopodiché si sdraiò sul
pavimento, accanto a lei, e
congiunse le mani sopra al proprio ventre. Osservò in
silenzio i neon spenti
appesi al soffitto sopra di lei, con il solo suono del respiro della
Markov a
riempire la stanza. Un parlottare soffuso arrivava invece da oltre le
pareti.
Rachel e Lucas, sicuramente. Chissà che cosa si stavano
dicendo. Si domandò se
avesse a che fare con la cosa di cui Rosso voleva parlarle. O magari
stavano
solamente tubando un po’... ciò avrebbe spiegato
il perché si erano presi una
stanza tutta per loro. Ma dal tono di voce apparentemente agitato,
quasi
irritato, di lui, scartò ben presto questa opzione.
A quanto
pare era successo qualcosa in sua assenza. Qualcosa di
grosso. E lei, sinceramente, dubitava di voler davvero sapere di che
cosa si
trattasse.
«Mhhh...»
Il verso impastato proveniente dal sacco a pelo di Tara la
fece voltare di scatto. Vide la bionda girarsi nuovamente, questa volta
verso
di lei, per poi aprire lentamente gli occhi. «K...
Komi?» domandò, assonnata.
Komand’r
non poté trattenere un altro sorriso.
«Presente.»
Tara fece
un altro verso, questa volta facendola ridacchiare. «Sono
felice che tu sia tornata...» mugugnò la bionda,
per poi sbadigliare.
«Me
l’hai già detto» rispose Amalia
girandosi su un fianco e
trovandosi faccia a faccia con l’amica.
«Sì,
lo so, però... non ti avevo detto che mi dispiace.»
«Di
cosa?»
«Non
avrei dovuto... lasciarti andare via in quel modo. È stata
colpa
mia...» spiegò la bionda, abbassando lo sguardo.
«Ma
che stai dicendo?» domandò Amalia, quasi basita.
«Sono stata io ad
andarmene, la colpa è solo mia. Non devi assumerti la
responsabilità per le mie
cazzate.»
«Sì,
però... però...» La bionda
singhiozzò. Komand’r sgranò gli occhi.
Stava... stava piangendo?
«Ho
avuto paura... di non rivederti più...»
sussurrò Tara. «Quando...
quando ti abbiamo ritrovata... ero al settimo cielo... ma non appena ho
visto
la tua ferita... io... io...»
«Tara...»
«E
se fossi morta?! Se non ti avessimo più trovata?!»
La bionda alzò
la voce, per un momento Komi temette che Rosso e Rachel potessero
addirittura
sentirle. «E se quei tizi ti avessero... ti
avessero...»
«Tara,
calmati!» esclamò Amalia avvicinando una mano ed
afferrando
quella della bionda. Non avrebbe mai potuto pensare che tenesse a lei
in quel
modo. Certo, sapeva che erano amiche, una specie, perlomeno,
però... era
comunque un qualcosa a cui Komi non aveva mai pensato. Forse
perché mai prima
di allora qualcuno aveva davvero sembrato tenere a lei.
Tranne
Kori. Od Ursula.
Strinse
la mano della compagna. Ripensando alla donna albina, le
ritornarono in mente le sue parole. Da sola non poteva fuggire da
sé stessa,
dai suoi demoni interiori. Ma con l’aiuto di qualcun altro,
una persona fidata,
qualcuno che fosse disposta a capirla, ad accettarla, qualcuno che
davvero
tenesse a lei...
Qualcuno
che la afferrasse al volo. Qualcuno che la salvasse.
Tara...
«Non
fare così, Tara. Ormai siamo qui, no? Siamo insieme. Non
dobbiamo
più preoccuparci di niente.»
«Non...
non mi lascerai più?»
«No.
Non lo farò.»
«Me
lo... me lo prometti?»
«Sì.»
Le due
ragazze si guardarono negli occhi. Nonostante la penombra,
Amalia non sarebbe mai riuscita a non restare incantata di fronte alle
splendidi iridi celesti di Tara. Di fronte a
quell’espressione così... così
dolce, così ingenua, così... buona.
Diavolo,
ma come aveva potuto pensare anche solo per un momento che
scappare fosse la cosa migliore da fare? Restare da sola e separarsi
dall’unica
persona che era riuscita ad avvicinarla e ad andare d’accordo
con lei
nonostante il suo caratteraccio. Certo, anche con Rachel andava
d’accordo, però
con lei non aveva la stessa intesa che aveva con Tara, nemmeno
lontanamente. E
ora che era lì, con lei, in quella stanza, si sentiva come
se potesse
confidarle anche il più oscuro dei suoi segreti.
Fino a
quel mattino aveva pensato che rivolgersi a lei fosse un gesto
egoista e sbagliato, ma in quel momento, di fronte a quello sguardo
apprensivo,
le sembrava l’esatto contrario, perché tanto
sapeva che lei non l’avrebbe
giudicata, mai.
E anche
il dolore, la sofferenza provati per la morte di Ryan, erano
ancora presenti, facevano ancora male, certo, tuttavia erano quasi come
affievoliti. Non credeva che sarebbe mai successo, ma era
così. Era Tara, era
la sua presenza, era il suo calore a permettere ciò. Stando
accanto a lei si
sentiva come all’interno di un confortevole rifugio. E aveva
deciso che quel
rifugio non lo avrebbe più abbandonato. «Non ti
lascerò... mai più.»
Un timido
sorriso si accese sul volto della bionda. Fu la cosa più
adorabile che Amalia avesse mai visto in quegli ultimi mesi.
«Mai...
mai più...» rispose la ex conduit con voce sempre
più flebile,
come la fiamma di una candela pronta a spegnersi. Subito dopo, la
Markov chiuse
lentamente gli occhi. Si riaddormentò di fronte a lei, con
ancora la mano
intrecciata con quella della mora ed il sorriso sul volto.
Le labbra
di Komi si arricciarono verso l’alto di fronte a quella
scena. Probabilmente Tara non si sarebbe nemmeno ricordata di quella
loro
discussione l’indomani mattina. Era stanca, spossata dal suo
precedente
combattimento, era probabile che quello per lei fosse stato solamente
un sogno,
ma Amalia sapeva che non era così. Quella discussione era
accaduta davvero. E
la promessa che le aveva fatto, quella era determinata a mantenerla. Si
avvicinò alla ex conduit e le diede un bacio sulla fronte.
Aveva fallito a
proteggere i suoi fratelli ed Ursula, ma non avrebbe fallito a
proteggere lei,
la sua amica, la sua migliore amica.
Anche se,
sotto sotto, sentiva che quella che stava iniziando a
provare per lei non era più semplice amicizia. Ma la cosa,
anziché
preoccuparla, la faceva sentire bene. Tremendamente bene.
Aumentò la presa
attorno alla mano della ragazza bionda, dopodiché si
avvicinò ulteriormente a
lei, poggiando la fronte contro la sua, e chiuse lentamente gli occhi.
Quella,
fu la notte di sonno migliore che riuscì a trascorrere dopo
anni ed anni.
E con
questo, possiamo dichiarare finalmente conclusa la parentesi spin-off.
C’è
voluto un secolo emmezzo, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Mi
spiace davvero di
non essere riuscito a concludere questa piccola storiellina prima, ma
come già
dissi, non mi stava soddisfacendo abbastanza. Ma con qualche piccola
modifica
qua e là sono riuscito a farmela andare bene.
Vorrei
ringraziare ArkhamTerror
per avermi incitato a scrivere di nuovo,
perché senza di lei probabilmente avrei lasciato il file di
questo spin off
ancora intoccato (per fortuna ho comunque avuto il sangue freddo di non
cancellare i due capitoli che già avevo scritto, altrimenti
sai quanti santi
sarebbero piovuti per riscrivere tutto e lasciare intatta la perfetta
impressione che avevo voluto dare di Amalia).
Quindi
niente, la ringrazio di cuore.
Poi
ovviamente ringrazio Rose
Wilson per
non avermi abbandonato. Non ancora, perlomeno. Hai una bella pazienza,
lasciatelo dire.
Eustass_Sara, che da quando
è ritornata ha saputo benissimo
dimostrarmi tutto il suo supporto, e di questo le sono infinitamente
grato.
Per
concludere, Nanamin ,
che, anche se è davvero una brutta
persona, mi ha fatto capire quanto questa storia fosse importante per
lei e
probabilmente anche per altri.
Tutte
quante hanno scritto a loro volta delle storielline davvero carine sui
nostri
TT, pertanto vi consiglio caldamente di passare anche sul loro profilo
per dare
un’occhiata, perché secondo me meritano molto!
E niente,
per il momento è tutto. Ci becchiamo alla prossima!