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Autore: Zappa    18/02/2017    13 recensioni
"Doveva dormire. Era tardi, era stanco, sudato e dolorante. Si era allenato come un matto per tutta la giornata e l'unica cosa che gli martellava il cervello, in quel momento, a parte la faccia scema di Kakaroth, era dormire.
Ma qualcuno non era d'accordo con lui."
Ecco come è difficile vivere con un gatto in casa, soprattutto quando sei il Principe dei Saiyan e vuoi dormire.
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ieri, 17 febbraio, era la giornata dedicata ai gatti.

E la mia mente balzana ha creato questa storia.

Dovrei evitare di fare queste cose ma, ormai, è troppo tardi.





Doveva dormire.

Era tardi, era stanco, sudato e dolorante. Si era allenato come un matto per tutta la giornata e l'unica cosa che gli martellava il cervello, in quel momento, a parte la faccia scema di Kakaroth, era dormire.

La giornata era stata faticosa, come al solito. Un allenamento sfinente, un calore bruciante che gli aveva prosciugato i nervi sottopelle e un'afa da succhiare l'ossigeno direttamente dai polmoni, l'avevano accompagnato tutta la giornata, fastidiosi e persistenti quanto una zanzara.

L'unica, ora, era dormire: farsi una doccia, accomodarsi per bene fra le lenzuola fresche e dormire.

In camera non c'erano problemi di afa. La moglie ipertecnologica aveva dotato la loro stanza matrimoniale del miglior impianto di condizionamento del pianeta, tanto da far provare invidia ai pinguini, e il microclima che si creava nella stanza era una meraviglia. Abbandonò così cucina e salotto e salì le scale per il piano di sopra.

Nel lungo corridoio che conduceva alle stanze da letto, Vegeta diede una rapida occhiata alla porta del figlio, lasciata come sempre socchiusa per far trapelare quel singolo filo di luce dei neon del corridoio, che si infilava nella stanzetta di Trunks come uno sciame di lucciole.

Coperto a malapena dal lenzuolo che ricadeva sullo scendiletto, Trunks dormiva della grossa nel suo letto con le lenzuola dei Transformers. A pancia in giù, accomodato per bene, venne osservato per qualche istante dall'occhio vigile del padre. Anche i mostriciattoli dormono, pensò il principe al leggero russare del bimbo. Ma certo, dopo aver passato l'intera giornata a combinar guai con il figlio di Kakaroth, il mostriciattolo deve riprendere le forze per torturarmi nuovamente domani.

Vegeta scosse la testa, sbuffando e lasciando il piccolo ai propri sogni, e si avviò verso la stanza che condivideva con la moglie in fondo al corridoio. Bulma diceva sempre che esagerava a definire mostriciattolo il figlio. Infatti, demone gli calza di più, pensò, sornione. Se ci fosse stata lì la moglie probabilmente gli avrebbe rifilato una bella gomitata in pancia, per poi venire irrimediabilmente presa dalle sue braccia nerborute, buttata sul letto, e ricoperta di baci fino al giorno dopo per aver osato sfidare il Principe dei Saiyan. Ma quella notte avrebbe dovuto dormire da solo, la moglie era rimasta fuori città per una conferenza internazionale e, anche se avrebbe preferito passare la notte in dolce compagnia, dovette accontentarsi di una fresca doccia e del ronzio del condizionatore a fargli da sottofondo.

Dopo una doccia che parve una manna dal cielo per le sue povere spalle incriccate, si spaparanzò sul letto, andando ad occupare la parte di materasso che spettava ordinariamente alla moglie ed inspirò a pieni polmoni l’effluvio di cui era sparso il suo morbido cuscino. Così, coccolato dal profumo della compagna, dalla freschezza soffiata dal condizionatore e dallo stridio delle cicale in giardino, chiuse gli occhi e, finalmente, si rilassò.

Il rumore fastidioso di una porta che si socchiudeva lo strappò improvvisamente al sonno. Dei passi felpati, leggeri come piume, costellarono la stanza, lasciarono a terra qualche vestito, vi passarono sopra incuranti ed andarono a posarsi sul morbido materasso, curvandolo sotto il loro peso. Una figura morbida, un respiro flebile, due occhi brillanti che lo osservarono.

Vegeta si tirò su sui gomiti, postandosi svogliatamente sul letto e osservò il nuovo arrivato che ricambiò lo sguardo curioso, quasi sorridente.

<< Che cazzo ci fai tu qui. >>

Il micio nero, da dietro i suoi baffi felini, sembrò indeciso all’inizio sulla risposta. Lo fissò immobile, come sempre, finché optò per un pragmatico miagolio. Vegeta sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

<< Senti, sparisci! Io voglio dormire! >> ringhiò di rimando, oltraggiato per essere stato disturbato proprio quando stava per addormentarsi. Il micio, allora, gli rispose con un altro miagolio che gli fece salire la bile su dall’esofago. Si passò una mano sul volto, brontolando. Quante volte aveva detto a Bulma che quel gatto doveva sparire dalla sua vista? Almeno un centinaio, rammentò, e ogni volta le sue lamentele si disperdevano come parole al vento. Lui voleva dormire e quel dannato animale era lì!

Il micetto nero, il cui nome non gli interessava proprio, più che non rammentarlo, da qualche tempo, aveva preso la fastidiosa abitudine di seguirlo ovunque andasse, come se fosse la sua seconda ombra. Silenzioso, attento e scaltrito, sembrava sapesse dove posare ogni singola zampa e anticipare il movimento del più piccolo granello di polvere nella stanza. Aveva visto con quale agilità si sapeva arrampicare sulle tende della suocera, per la felicità della giovane nonnina ma, d’altro canto, aveva anche visto la ruffianeria di cui era capace quando voleva una scatola di croccantini in più. Non gli piaceva la bestia, era furba, callida. Una volta Bulma, scherzando, aveva detto che il suo animale simbolo doveva essere il gatto. E il fatto che si assomigliassero, anche troppo, non gli piaceva. Non gli piaceva affatto.

<< Allora bestia, non ci siamo capiti >> disse, afferrando il micio dal copino e sollevandolo rabbiosamente per portarselo davanti agli occhi, naso contro naso. << Tu devi andar- >> ma venne interrotto da una leccatina sul naso, che lo fece rabbrividire. Il micio, per sua grande sorpresa e orrore, infatti, aveva iniziato a strofinare il musetto sul suo viso a dir poco alterato, alternando le coccole ai bacini, deliziosamente accompagnati dalle fusa. Il micino, poi, lo guardò curioso e completamente ignaro del pericolo che in quel momento stava correndo.

Vegeta, rimasto immobile a fissare nauseabondo il piccino, ricorse a tutto il suo autocontrollo per non strappare al micio la colonna vertebrale e spiattellarlo direttamente sul muro. Chiuse gli occhi, contando fino a dieci, e, quando li riaprì,, si disse che non ne valeva la pena di sporcarsi le mani di pelo e sangue a quell’ora della notte e appoggiò a terra il gatto, che si appallottolò ai piedi del letto.

Tirò un sospiro di sollievo, cercando il suo chakra interiore e, nonostante il ticchettio all’occhio destro, rilassò i muscoli e chiuse nuovamente gli occhi, riaccomodandosi tra le lenzuola. Nel buio della stanza, Vegeta si convinse finalmente a rilassarsi, dopo essersi massaggiato il ticchettio all’occhio. Non c’è bisogno di uccidere nessuno, pensò fra sé e sé. Il micio è fermo, ai piedi del letto, non dà fastidio a nessuno e io posso chiudere gli occhi in pace e dormire. È tutto perfetto. Tutto in ordine. Sospirò un’altra volta per rilassarsi. Bene, ora posso dormire. Non c’è bisogno di uccidere nessuno. Calma. Non c’è bisogno di-

<< … merda. >>

Il chakra si incrinò un secondo quando il micio aveva saltato sul letto, per poi accomodarsi meglio sulle gambe del Saiyan. Quella brutta bestiaccia aveva osato mettere le sue luride zampine sulle sue gambe! Anni di duro allenamento deturpati da un felino che osava poggiare il fondoschiena lurido e peloso sulle sue gambe e- va bene, si disse Vegeta, sto un po’ esagerando. Con una pazienza che non pensava di avere, riafferrò, quindi, il micino e lo appoggiò, stavolta con una leggera stizza a terra, sullo scendiletto, così che fosse pure comodo e dormisse bene e non gli rompesse le scatole nuovamente. Tornò a sdraiarsi nel letto.

<< Fa già maledettamente caldo, non mi serve uno scaldino! >> brontolò tra sé e sé, una volta sicuro che il gatto stesse fermo al suo posto. Sbuffando, si sistemò meglio sul lenzuolo, incrociò le braccia e fissò rabbioso il soffitto per qualche secondo. Bulma gli aveva insegnato il segreto della calma e nel tempo gli era servito innumerevoli volte contare fino a dieci. Questo l’aveva salvato dalla voglia di sparare suo figlio su Marte, quando, da bimbo, gli aveva riempito gli stivali di vermi, o dallo spaccare a suon di pugni la faccia di Kakaroth, quando più volte aveva abusato della sua pazienza per i motivi più futili. Come quella volta che si presentato in camera sua all’una di notte, mentre lui e Bulma erano impegnati in qualcosa di serio, chiedendogli se avesse visto in giro il suo stivale perché l’aveva perso. Sospirò, massaggiandosi le meningi e invocando una briciola di sonno.

<< Che gran figlio di- >>

<< Meeooow >>

Alzò nuovamente gli occhi al cielo e si girò a pancia in giù e, abbandonati nuovamente i buoni propositi di tornare nel mondo dei sogni, si rivolse al micino che stava ansioso ad aspettarlo accanto al letto, mentre impastava con le zampine pelose la sciarpetta in seta che la moglie aveva abbandonato al vento la sera prima, nella fretta di prepararsi e farsi bella. Il micino ci si stava facendo le unghie, sfilacciando i preziosi fili e stropicciando, in materia insensibile. Wow, spero Bulma non dia la colpa a me, sperò, alzando un sopracciglio.

<< Senti, coso… >> il micio sembrò per un istante prestargli attenzione, puntandogli gli occhietti vispi addosso. Vegeta proseguì con uno sbadiglio << Io ho passato l’intera giornata ad allenarmi, ho sonno e pretendo di dormire! Tu quindi te ne vai fuo- >> ma il micio già non lo ascoltava più e, in vena di attenzioni, aveva iniziato a strofinare il muso sul dito puntato con cui lo aveva apostrofato il principe e, incurante delle sue parole minacciose, continuava a far fusa, al limite della ruffianeria.

Consapevole che in un un diverbio con un gatto sarebbe risultato certamente perdente, Vegeta optò per le maniere forti. Così, in pochi secondi, il gatto si ritrovò sbattuto fuori dalla stanza fresca in cui era entrato per bearsi della compagnia del padrone e del condizionatore.

Vegeta tornò finalmente a letto, a passi pesanti, e si buttò di pancia sul materasso, andandosi ad accoccolare accanto al cuscino di Bulma. Sospirò estasiato al silenzio che finalmente era tornato nella camera e chiuse gli occhi, con un sorriso soddisfatto in volto. << Alleluia... >> ringraziò gli dei e si abbandonò all’incoscienza.

Fuori la stanza, invece, il povero micio fissava la porta che lo separava dal fresco della camera da letto. Mosse la coda, infastidito e triste per la sua uscita - poco teatrale - di scena.

Non passarono che pochi minuti di quiete che il gatto si mise a graffiare la porta e a miagolare all’impazzata per richiamare l’attenzione del padrone. Vegeta si destò improvvisamente e grugnì di disappunto. Avrebbe dovuto impagliarlo quel gatto. Afferrò il primo cuscino che gli capitò sottomano e se lo ficcò in faccia, sperando di morire soffocato piuttosto di sentire ancora le lagnanze del micio. Neanche il ronzio, seppur benaccetto, del refrigeratore riusciva a coprire quella lagna melensa fuori dalla porta. Così, inquieto e furibondo per essere stato nuovamente svegliato, corse ad aprire la porta, per ritrovarsi faccia a faccia con il gattino che, stavolta, lo fissò spaurito. Il ticchettio all’occhio riprese a pulsare e nel chakra beneamato si formò qualche crepa. Nel buio della notte, il micetto riuscì solo a vedere il sorriso malvagio del padrone aprirsi tremendamente per iniziare a suonargli una bella sviolinata, quando, all’ultimo, riuscì sgusciare dentro la stanza, abbandonando il principe sull’uscio a fissare il vuoto. Interdetto, Vegeta riuscì solo a vedere la sagoma elegante del gattino saltare sul letto, accomodarsi meglio sul cuscino, il suo cuscino, e iniziare a dormire indisturbato.

Ormai il suo occhio era andato e anche il pomello della porta risentì della sua insoddisfazione tanto che gli si sbriciolò facilmente in mano. Si avviò furibondo verso il letto. Squadrò il micino, che nel frattempo si era messo a pancia in su, facendo le fusa, contento, e digrignò con forza i denti, facendoli scrocchiare tra loro.

Questo era il colmo. A quest’ora il micio sarebbe già dovuto essere scaraventato in giardino a velocità supersonica e lui sarebbe dovuto essere a letto a dormire tranquillo. E Invece no. Sospirò, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, e si passò una mano sugli occhi. Le cose che non faceva per quella famiglia. Perché aveva visto il modo in cui Trunks accarezzava il micio quando questo beveva il suo latte. Era una carezza gentile, delicata, come se stesse sfiorando una foglia caduca o la guancia di un neonato. E aveva visto il modo in cui Bulma o il dottor Brief si portavano in braccio il micio mentre gironzolavano per i laboratori. Appollaiato sulla spalla, a far le fusa e a dormicchiare in pace, sembrava proprio un animaletto indispensabile per la sua famiglia. Risalì nuovamente a letto e, sperò davvero fosse l’ultima volta, si rimise sdraiato sulle lenzuola, questa volta con il micetto acciambellato vicino alla spalla. Le vibrisse che vibravano leggermente ad ogni respiro e la coda distesa lungo il fianco. Certo, indispensabile un cazzo, pensò incavolato se fosse stato per lui se lo sarebbe mangiato in un panino. Chiuse finalmente gli occhi.

Durante la notte la coda del gatto gli finì in bocca innumerevoli volte e questo portò alla rottura definitiva del suo chakra e a farlo urlare in grida isteriche un paio di volte, facendo sobbalzare il piccolo Trunks dall’altra parte del corridoio, ma, alla fine, il sonno gli tornò favorevole e gradito.

Dall’altra parte dell’universo, invece, qualcuno non dormiva affatto e osservava oltraggiato, attraverso lo scettro di Whis, quello che era avvenuto in quelle poche ore in casa Brief. Il Signore della Distruzione spalancò la bocca sconcertato al terribile voltafaccia che il principe del Saiyan aveva osato infliggergli e arricciò il naso, in un moto di invidia.

<< Whis! Vieni subito qui! >> urlò al suo secondo, richiamandolo senza mezzi termini ai suoi servigi.

Il maestro comparve immediato e impeccabile, come sempre, nella sua tunica raffinata. << Sì, Lord Beerus, mi avete chiamato? >>

Beerus lo squadrò con occhio furente e gli indicò l’immagine che compariva nello scettro: << Hai visto cosa ha fatto? >> esclamò isterico.

Whis si avvicinò al suo pupillo con la solita grazia ed eleganza e, come gli aveva indicato il giovane dio, osservò con volto imperscrutabile all’interno della sua ampolla. Si portò una mano alla bocca e rise caldamente, sotto lo sguardo furente di Beerus: << Vegeta sta dormendo, non vedo cosa ci sia di male >> sorrise bonariamente il maestro.

Lord Beerus si mostrò, invece, molto più alterato. << Lo vedo anche io che sta dormendo! >> sbottò << ma che cosa diamine è quello? >>

Whis si avvicinò nuovamente al suo scettro per vedere che cosa stesse indicando di tanto sconcertante il suo allievo. Alzò un sopracciglio, dubbioso. << Sarà uno degli animali che vivono presso la casa della signora Bulma… >>

Il dio non pareva soddisfatto della sua risposta ma, notò il maestro, strinse ancora di più i pugni. << Portami subito da Vegeta, te lo ordino. >> Poteva esserci solo un gatto per Vegeta e quel gatto era lui, non quell’altro. Lui e nessun altro.

In pochi secondi, scomparvero entrambi nell’etere.

Bulma rientrò a casa il mattino seguente di buon’ora, grazie all’arrivo prodigato di un taxi che ebbe la fortuna di riaccompagnarla a casa e di guadagnarsi la giornata con quella sola corsa.

Salì le scale che portavano al secondo piano, facendo il minimo rumore possibile, e si avviò sorridente verso la sua stanza, sperando di trovare suo marito ancora addormentato e bendisposto, magari più tardi, a qualche dolce coccola tra le loro lenzuola fresche e profumate d’amore.

Appena aprì la porta, trovò, invece, per sua grande meraviglia, il marito già sveglio ma completamente terrorizzato: infatti, per qualche assurdo motivo, ai piedi del marito sonnecchiava Beerus, il dio della Distruzione che aveva preso come cuscino le gambe del marito, bloccandolo completamente in ogni movimento, e che ronfava comodo e rilassato sulle lenzuola morbide come se fosse un comune gatto. Vegeta, invece, pareva non aver chiuso occhio e la fissava con due occhi iniettati di sangue e due occhiaie spaventose, mentre Scrat, il suo micio nero gli giaceva in grembo come se nulla fosse.

<< Aiutami… >> gli sentì sussurrare al colmo del parossismo e le parve di vederlo lottare contro alcune lacrime di disperazione che sembravano scorgere ai lati degli occhi.

Sconcertata, gli sorrise timidamente e socchiuse la porta. Era meglio chiamare Whis, perché venisse al più presto a riprendersi Lord Beerus.





Angolo dell’autrice

Adoro far disperare Vegeta.

Seriamente. LOL.

Questa storiellina scema è dedicata a Felinala. Perché sì.

Fatemi sapere che ne pensate!

A presto.



   
 
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