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Autore: Urheber des Bosen    18/02/2017    0 recensioni
Era malato.
Non c'era modo di addolcire la medicina.
L'odio colmava ciò che l'amore si rifiutava di vedere. Bello, era il demonio che attraverso quegl'occhi gli sorrideva.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: AU | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
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Bellezza.

Che concetto ingrato. Letterati, artisti, intellettuali hanno cercato di dare un significato a questo aggettivo. Forse, non serve guardare le aspirazioni degli ingegni più alti. Tutti, almeno una volta, abbiamo cercato di risolvere l’enigma che si cela dietro il mistero della bellezza.

Qualcuno ha trovato conforto nel pensare che la nobiltà di spirito, si esprime attraverso la beltà della materia. Consolante, ma ingiusto. Questa teoria fu spazzata via dalla consapevolezza dell’umanità. Quest’ultima brutta, pretende d’esser sentita. Ci fu un uomo che disse, che le due ministre del mondo: la natura e la fortuna nascevano sotto i rami dell’umiltà d’animo.

Interessante,ma falso.

L’uomo dai capelli bianchi sapeva, che la vera bellezza non esprime bontà, anzi era conscio che la vera bellezza nasce sotto i rami della stagnante ignoranza.

Non si parla di bellezza.

Questa è troppo razionale, banale, è calcolabile anche dagli ingegni più bassi.

La bellezza è ignorata, superata dalla grazia.

Quest’ultima è un concetto irrazionale, crudele, che si beffa dell’occhio distratto.

La grazia non ha una spiegazione, nessuno si pone dubbi su quest’ultima perché quasi nessuno la vede.

Purtroppo l’albino l’aveva scorta, si era fermato un attimo ad osservarla e quella subdola gli era entrata dentro.

Dagli occhi, con gli artigli si era insediata nel suo povero cuore.

Dopo anni, tante riflessioni e tanto alcol ,era giunto ad una conclusione. La bellezza è qualcosa di umano, di imperfetto perché copia della natura, ma la grazia è qualcosa di divino perché supera la natura.

Mentre cercava di ritornare al bar, alla sanità mentale, guardava il paesaggio.

Brutto.

Fortunatamente la notte ingabbiava tutto, luridi lampioni segnavano il suo passaggio.

Arrabbiato, per l’ennesima volta guardava il cielo.

Bello.

 

Il biondo era stanco.

Cercava di tenere gli occhi aperti, cercava il fratello. L’esasperazione continuava a farlo stare vigile, l’aveva perso.

Quell’uomo si era allontanato senza di lui.

Solo, come al solito.

Imbarazzato, non c’era neanche un posto dove andare, avrebbe dovuto aspettare il fratello che neanche lo vedeva.

Lui, che dal basso della sua stupidità aveva sempre cercato di attirare la sua attenzione, di esser visto.

Nessuno si accorgeva di lui.

Solo.

 

I passi si facevano pesanti.

Le mani in tasca bruciavano. Avrebbe dovuto lasciarlo marcire in quel bar, nella sua testa.

Avrebbe dovuto andare avanti, avrebbe dovuto smettere si bere e farsi una vita dignitosa.

Forse non avrebbe dovuto vedere.

La vista tra i sensi è quello che si inganna meno facilmente, impietoso pretende rispetto.

Le gambe non avevano seguito il suo ciclo di pensieri, era sempre lo stesso giro, in tondo.

Era l’orrendo percorso dell’accidia che l’aveva ricondotto da lui.

La Grazia era seduta e con le mani si reggeva la testa, nessuno lo vedeva, solo lui.

Bello, sorrise della consapevolezza del suo occhio fine, si prese un’altra birra ed andò ad riprendersi la sua Arte.

Nessuno può sfuggire al proprio occhio, alla propria testa.

 

 

  
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