Videogiochi > Deus Ex
Ricorda la storia  |      
Autore: ChiiCat92    19/02/2017    1 recensioni
"Ma rischiare il tutto per tutto adesso ne vale davvero la pena?
Le mie tasche sono già piene di crediti. E per di più non mi è stata chiesta una cosa da niente.
« Stiamo parlando delle Sarif Industries, giusto? »
« Per l'ennesima volta, sì. »
Mi costringo a prendere un profondo respiro.
Un colpo alle Sarif Industries, l'ultimo, il mio canto del cigno. Un mucchio di crediti. Eludere uno dei sistemi di sicurezza più complessi di Detroit, forse del mondo.
Sono indeciso."
Genere: Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

17/02/2017

 

Never let a computer know you're in a hurry

 

« Un ultimo colpo, Nucl3arSnake, e se va bene ce ne andiamo tutti in pensione con le tasche piene di crediti. »

Probabilmente aspetta una mia risposta.

Sento il suo respiro come se fossimo faccia a faccia, come se lui fosse nella stanza con me, a mormorarmi all'orecchio quelle parole allettanti. Invece è lontano, da qualche parte a Derelict Row credo, visto che ultimamente TinCan si sposta di continuo. Ha paura degli sbirri, e non lo biasimo.

Tamburello le dita sul tavolo, nel silenzio della stanza quel lieve tap tap tap echeggia come colpi di cannone.

« Allora? » insiste a chiedere.

Continuo a tamburellare le dita sul tavolo, senza rispondere.

Gli ultimi tre colpi sono andati bene, anche troppo bene. Nessuno si accorto dei conti in banca prosciugati e dei crediti scomparsi. Siamo stati bravi. Anzi, oserei dire che io sono stato bravo.

Se non fossi un così bravo hacker quei cinque stupidi sarebbero stati arrestati molto, molto tempo fa.

Ma rischiare il tutto per tutto adesso ne vale davvero la pena?

Le mie tasche sono già piene di crediti. E per di più non mi è stata chiesta una cosa da niente.

« Stiamo parlando delle Sarif Industries, giusto? »

« Per l'ennesima volta, sì. »

Mi costringo a prendere un profondo respiro.

Un colpo alle Sarif Industries, l'ultimo, il mio canto del cigno. Un mucchio di crediti. Eludere uno dei sistemi di sicurezza più complessi di Detroit, forse del mondo.

Sono indeciso.

Il fallimento, in caso dovessero beccarci, non riguarderebbe solo l'arresto, oh no, riguarderebbe la mia fama come hacker, riguarderebbe il buon nome di Nucl3arSnake, riguarderebbe una totale, catastrofica rovina di tutto quello che ho costruito in questi anni.

Ma...d'altra parte...il successo mi consacrerebbe nell'Olimpo dei truffatori. In rete non si parlerebbe altro che di me, in deep web pullulerebbe dei codici che ho creato, nessuna ultrapotenza mondiale sarebbe al sicuro dal veleno del serpente.

Ah. Il mio orgoglio sarà la mia rovina.

Giocherello con il labret, mordicchiandolo e tirandolo.

Sono contento che TinCan non possa vedermi, e che la sua presenza rimanga solo nell'etere, nell'infinitamente ridicola frequenza che ho aperto nella rete per le nostre comunicazioni segrete.

Per intercettarci ci vorrebbe un altro Francis Wendell Pritchard, un altro Nucl3arSnake. Per fortuna ne esiste solo uno.

« Avanti, Snake, non è difficile. Decidi, ci stai o no? Ci procureremo un altro hacker se tu non te la senti. »

Oh, quel maledetto bastardo. Stringo i pugni tanto che le nocche sbiancano.

Sa bene dove colpire, non devo neanche far finta.

« Non esiste altro hacker al mondo a parte me in grado di fare questo lavoro. »

« Quindi ci stai? »

Alzo gli occhi al cielo e prendo un profondo sospiro.

Una minuscola parte di me sa che mi pentirò amaramente di aver accettato, ma la restante parte, quella che forma la maggioranza, ne gioisce.

« Mandami tutti i dettagli. Nucl3arSnake, chiudo. »

Non voglio neanche sentire il commento di TinCan.

Sfilo l'auricolare e lo getto sulla scrivania.

La stanza, illuminata dal pallido lucore di sei schermi olografici sospesi in cerchio intorno a quello del computer, non mi è mai sembrata così buia, cupa, asfissiante, ingombra.

Ovunque, fogli sparsi, libri, macchie d'olio, pezzi di ricambio, chip e strumenti meccanici; console vecchie più di me accasciate le une sulle altre prendono polvere insieme a giochi che non ho mai avuto il tempo di giocare.

Dall'unica finestra, chiusa, filtrano brandelli di luce.

Mentre là fuori il mondo va avanti con la sua frenesia, qui dentro si è bloccato nel momento in cui ho dato il mio assenso.

« In cosa mi sono cacciato. » mi sfugge dalla labbra.

Me ne pento?

Assolutamente no.

 

*

 

Se non facesse così caldo sarebbe più facile lavorare. Ma i computer vanno in sovraccarico facilmente, e nonostante il sistema di raffreddamento che ho costruito, il termometro continua a segnare i 40°. Una temperatura inaccettabile sia per un cervello umano, sia per uno potenziato.

Continuo ad avere tremende fitte, e le mani corrono in automatico verso gli innesti che affiorano da un lato della testa.

Mi sembra di essere io stesso un computer surriscaldato.

I vestiti mi si sono appiccicati addosso, e per quanto continui a fare e rifare la coda, c'è sempre qualche capello che mi scivola davanti al viso. Stanno ricrescendo sui lati rasati, è difficile tenerli ordinati.

Ma non posso fermarmi, non adesso.

È tutta questione di equilibrio. In programmazione è davvero sottile la differenza tra vittoria e sconfitta, e questa partita non posso perderla.

Il sudore mi cola sugli occhi, a malapena riesco a distinguere le stringhe di codice nelle loro celle.

Basta Francis, è il momento di una pausa.

Tutto il mio corpo prega perché la mia mente smetta di lavorare, ma i circuiti impiantati nel mio cervello lo rendono instancabile.

È un'ascesi mistica. Le dita mi fanno male a furia di battere sulla tastiera, i muscoli in tensione non reggono più lo sforzo, eppure vado avanti.

Riesco a pensare, divertito, a tutti coloro che pensano ai potenziamenti come a qualcosa che ci rende meno umani. Non mi sono mai sentito più umano di così, più vivo, più vero.

Con un semplice, quasi invisibile potenziamento riesco a spingere la mia mente verso frontiere inesplorate, oltre i vertici di montagne prima invalicabili. Ho quasi le vertigini, la sensazione è inebriante.

Ho ventisei anni, e il mondo è mio. È sulla punta delle mie dita, è nella serie di numeri e lettere che si susseguono sullo schermo.

È così che deve essersi sentito Dio mentre programmava l'Universo?

Ah, basta!

Sollevo le mani dalla tastiera e finalmente appoggio la schiena sulla sedia.

Mi sento andare in pezzi.

Che ore sono? Ho di nuovo perso la concezione del tempo.

A tentoni nel semibuio cerco una barretta cyberboost e quando la trovo la scarto e la divoro in tre rapidi morsi. Già va meglio.

Sul pavimento devono esserci gli involucri delle altre, consumate durante la giornata, perché quando sposto la sedia per alzarmi sento un crack crack di carta plastificata non molto confortante.

Dovrei decidermi a mettere ordine in questa dannata stanza.

Ho letto da qualche parte che una mente ordinata ha bisogno di un ambiente disordinato, o forse sto solo giustificando il mio totale disinteresse in qualcosa che non sia il mio lavoro.

Avrò tempo di ordinare dopo.

Tutto sommato il piano è abbastanza semplice: programmare un virus non tracciabile che possa aprire una breccia nel firewall delle Sarif Industries e tenere impegnato il sistema di sicurezza abbastanza a lungo da permettere ai miei complici di copiare dati sensibili direttamente dal computer del big boss. Numeri di carte di credito, numeri della previdenza sociale, password, codici d'accesso: prenderanno a due mani tutto quello che troveranno. Una volta usciti dal sistema, il mio compito sarà cancellare le tracce dell'effrazione e rimettere tutto al suo posto, come togliere i cocci di vetro di una finestra rotta e sostituire il vetro.

Facile a parole, difficile nei fatti.

Non conosco il firewall, non conosco il sistema di sicurezza, non conosco niente di niente.

David Sarif non solo è sinonimo di milionario, è anche sinonimo di fortezza inespugnabile, lui e le sue industrie di conseguenza.

Comincia a diventare una questione di principio, e quando è così diventa difficile fermarmi.

Trovare la mappatura del sistema non è stato così complicato, capire da dove entrare lo è un po' di più.

Anche se le mani sono lontane dalla tastiera continuo a muoverle come se lo fossero.

Con gli occhi socchiusi riesco a immaginare tutte le possibile alternative, tutti i possibili successi, e tutte le possibili disfatte.

Se dovesse scattare un allarme silenzioso, il controllo remoto del sistema mi localizzerebbe all'istante. Posso disturbare il segnale, ma mi servirebbe un macchinario più potente. Potrei creare un secondo virus che disturbi il segnale, ma non posso controllarne l'imprevedibilità. Potrei...potrei...

Fa troppo caldo, non riesco a pensare.

Mi alzo e lancio le braccia in alto, stiracchiandole. La schiena scrocchia.

Solo lontano dal computer comincio a sentire la stanchezza.

Cerco di farmi strada tra gli oggetti sparsi sul pavimento e raggiungo la finestra. Quando la spalanco quasi mi stupisco che in cielo brilli uno spicchio di luna, e innumerevoli piccole stelle lontane.

È calata la notte e non me ne sono neanche accorto.

Nonostante il caldo asfissiante, riesco a gioire dell'aria nuova che mi riempie i polmoni, e sento il sudore sul collo raffreddarsi. Ci passo una mano sopra e non mi sorprendo che sia rigido e quasi immobile.

Ho lavorato instancabilmente per più di diciotto ore, e ho a malapena gettato le basi del progetto.

Fin adesso sono andato per esclusione, eliminando tutto quanto potesse nuocere all'operazione, e costruito una minuscola parte del virus da sguinzagliare nel sistema di Sarif.

Sarà il mio più grande capolavoro.

Devo avere delle sigarette da qualche parte, un tiro mi farebbe bene.

Allontanarmi dalla finestra per andare a frugare nel mio disordine buio mi fa quasi male al cuore, e ancor di più me ne fa quando scopro che l'ultimo pacchetto di sigarette è...vuoto, desolatamente vuoto. Lo stomaco si rivolta alla sola idea di dover digerire un'altra barretta cyberboost.

Alzo lo sguardo cercando un orologio digitale che mi informi su che ore siano.

03:00 am, l'orario perfetto per fare la spesa.

Prima di infilare le scarpe, mi lascio cadere sulla sedia davanti al computer e digito i codici di sicurezza per bloccare il sistema. Spero che nessuno provi ad hackerarlo stanotte, o perderò il lavoro di tutta una giornata. È triste sapere che in caso di effrazione ogni singolo dato sul mio disco rigido verrebbe cancellato fino all'ultimo nanobyte, davvero davvero triste.

Un ultimo sguardo alla mia creatura in codice binario, e poi vado.

Le chiavi della moto tintinnano appena quando passo. Non c'è molta strada da qui alla 2nd Street, e benché io senta il bisogno di avere il vento sul viso e di spingere al massimo il motore, sarebbe solo un inutile spreco di carburante.

Mentre esco riesco a lanciare un'occhiata allo specchio. Il ragazzo che mi guarda di rimando sembra davvero stanco, e probabilmente dovrebbe smettere di stare tutte quelle ore al computer. Gli occhi blu arrossati dalla fatica, l'incarnato pallido, i capelli sfatti dal caldo e dal poco interesse nel dargli un senso. Eppure ha un che di affascinante.

Francis, stai peccando di superbia.

Sorrido, il central labret crea una fossetta al centro del labbro inferiore. Il ragazzo allo specchio ricambia. È un bel sorriso.

Mi chiudo alle spalle la porta dell'appartamento e inserisco il codice d'allarme velocemente. Più tempo passo fuori casa, più tempo tolgo al lavoro.

Scendo le scale di corsa.

A quest'ora persino il portiere è andato a letto, il palazzo è virtualmente indifeso. Se non fosse per il cancello con tastierino a combinazione che lo delimita saremmo completamente indifesi.

Digito l'ennesimo codice e mi chiudo il cancello alle spalle. Se penso che anche un hacker con un potenziamento base potrebbe scoprire qual è mi vengono i brividi. Fortuna che almeno la serratura del mio appartamento svolge il suo lavoro.

Broolyn Court è deserta e buia a quest'ora della notte come del giorno, e dire che è solo una traversa laterale non così lontana da Grand River Road. Siamo in pieno centro, diamine.

I miei passi risuonano sull'asfalto umido, da qualche parte un cane ulula verso il cielo, per il resto è silenzio.

A parte me e i graffiti sui muri non c'è nessuno, sembra di camminare in una città fantasma.

Deve essere per il caldo. Non ricordo un luglio più caldo di questo, sarà vera quella storia del riscaldamento globale? Bah, chi lo sa.

Svolto l'angolo e mi ritrovo alle spalle dell'Oron. In fondo alla strada riesco a vedere le insegne della Clinica LIMB, troppo grandi, troppo luminose, troppo invitanti. Ricordo ancora quando è stata aperta, e quando è stato aggiunto il simbolo a croce con la scritta Liberty in Mind and Body International.

Mi viene istintivo tornare a sfiorare con le dita il potenziamento innestato nel mio cranio. Faccio parte dell'élite, i pochi e primi esseri umani potenziati al mondo. Mi fa strano solo a pensarci. Che tempi meravigliosi in cui vivere.

La monorotaia sopraelevata, silenziosa, scivola sopra la mia testa. Immagino che sia una delle ultime corse, o forse una delle prime?

L'Oron rimane aperto tutta la notte, non offre una gran varietà di prodotti ma non sono pretenzioso. Non è altro che un piccolo buco quadrato che odora di benzina. Il commesso è rude, ma efficace.

Quando spingo la porta, una campanella trilla annunciando il mio ingresso.

L'uomo alla cassa doveva essersi appisolato perché tira su la testa di scatto dal bancone e mi guarda con aria assonnata. Gli faccio solo un cenno con la mano e lui torna ad appoggiare la testa sulle braccia incrociate, però stavolta mi osserva, più vigile.

Come se qui dentro ci fosse un qualche tesoro nascosto. Anche se dal mio punto di vista patatine e sigarette sono un tesoro dal valore inestimabile.

Mi riempio le braccia di svariati snack dolci e salati – oh sì, molto meglio di quelle barrette rinsecchite – da innaffiare con una bottiglia di soda, due pacchi di sigarette e dovrei essere apposto per i prossimi due giorni. Per allora avrò finito di programmare il virus, e magari potrò permettermi un pasto come si deve.

È mentre porto alla cassa la mia poco salutare spesa che la porta si apre, accompagnata dal consueto scampanellio, e un poliziotto fa il suo ingresso.

Istintivamente trattengo il fiato, per poi ricordarmi che non ho fatto niente di male, non ancora almeno.

Sembra in assetto di guerra, con giubbotto antiproiettile arancione fluo con la scritta “POLICE” in grande sul petto, il caschetto con la visiera e il fucile d'assalto alla cintura.

Calmati cowboy, i tempi delle sparatorie sono finiti.

Sento il suo sguardo da sotto la visiera sondarmi a fondo, è una sensazione elettrica che non riesco a scrollarmi di dosso.

Che fastidio.

Il poliziotto mi fa un cenno con il capo, a mo' di saluto credo, e poi si avvia verso gli scaffali e sceglie un pacchetto delle mie sigarette preferite. Quantomeno ha degli ottimi gusti.

Cerco di ignorarlo, anche se la sua presenza mi fa formicolare la nuca, e porgo un chip di credito al cassiere così che possa andarmene, in fretta.

Fatto il conto e imbustata la spesa, mi augura una “buona serata”, con finto tono insonnolito. Il poliziotto deve aver reso sospettoso persino lui.

Con la mia busta e un brutto presentimento, esco dal rifornimento, senza correre, senza dare l'impressione di voler scappare.

Non arrivo neanche a voltare l'angolo, perché una voce leggermente gracchiante mi intima di fermarmi.

Il poliziotto del rifornimento, chi altri sennò.

Mi scappa un mugolio infastidito, e allora mi volto, mostrandomi armato solo di patatine, dolci e sigarette.

« Qualcosa non va, agente? » credo di suonare più acido di quanto vorrei.

« Mi mostri i documenti. »

Vedo la sua mano pronta ad estrarre la pistola infilata nella fondina sotto al braccio.

Quanto meno non intende ridurmi a formaggio svizzero con il fucile.

Mi ritrovo a sospirare, irritato, e colpevole.

« Chiedo scusa, ma sono uscito da casa senza prenderli. » gli indico vagamente la mia sciatta tenuta da casa, e la busta di snack che urla: “mi è venuta voglia di schifezze nel bel mezzo della notte e sono uscito a comprarle, è già tanto se ho portato i crediti con me”.

« Quei potenziamenti, sono autorizzati? »

Oh certo, perché io mi farei infilare mani dal cervello da qualcuno di non autorizzato.

I poliziotti sono stupidi. O lo è solo questo.

« Sissignore, regolari e autorizzati. Può chiedere alla LIMB se non mi crede. »

« A cosa servono? »

Sul serio?

« Sono un programmatore, mi aiutano ad essere più veloce. »

Per un attimo cala un imbarazzato silenzio.

Come ci si deve comportare di fronte ad un potenziato? Non tutti l'hanno ancora capito.

« Bene, può andare. »

« Oh, grazie. Servire e proteggere, eh? »

Spero non mi spari appena gli do le spalle.

Per fortuna non lo fa, e riesco a svoltare l'angolo senza effetti collaterali se non il battito cardiaco accelerato. Mi ha quasi fatto venire un infarto.

Mi sporgo per vedere se è ancora lì, e sollevo un sopracciglio per la sorpresa.

Si è sfilato il casco e sta accendendo velocemente una sigaretta. Immagino che sia una pausa non consentita durante il turno di lavoro.

Quasi mi dispiace aver attaccato briga con lui, perché è estremamente affascinante. Cavolo, a saperlo l'avrei invitato a venire a prendere i documenti a casa mia.

Non avrà più di ventiquattro anni, e nonostante la giovane età il suo volto è serio, così professionale.

L'avranno assunto da poco, perché sembra uno di quei poliziotti che crede ancora nella Legge.

Riesco a cogliere il colore brillante dei suoi occhi: acquamarina. I capelli castani scompigliati lo fanno sembrare un ragazzino.

Peccato, sì, un vero peccato.

Ormai mi sono giocato la mia possibilità, tanto vale che me ne torni a casa.

 

*

 

Ah, non posso crederci.

Dopo due giorni di intenso lavoro – esattamente come avevo pronosticato – il virus è pronto.

È così bello a vedersi, così semplice eppure efficace, che non riesco a smettere di fissarlo.

Ho percorso e ripercorso il codice tante di quelle volte che ormai lo conosco a memoria. Ho fatto più di una simulazione e in tutti i casi ne sono uscito vincitore. C'è una remota possibilità che fallisca, ma in ogni caso cancellerò le nostre tracce abbastanza velocemente da non correre rischi.

Siamo in una botte di ferro.

Dovrei contattare TinCan e comunicargli che è tutto pronto. Spero che nel frattempo lui e gli altri abbiano fatto la loro parte, perché a questo punto è inutile perdere tempo.

Bisogna agire. Subito.

Metto l'auricolare e avvio la chiamata.

TinCan risponde al secondo squillo, è ovvio che mi stesse aspettando.

« Hai finito? » esordisce, frettoloso, eccitato.

Capisco benissimo come si sente.

« Sì. È tutto pronto. »

« Com'è? »

« Il virus? Meraviglioso. Non sapranno neanche cosa li ha colpiti. »

« Distruggerà il firewall? »

« No, lo terrà impegnato, ci penserò io a tenervi aperta una backdoor. »

« Quanto tempo abbiamo? »

« Secondo i miei calcoli, una quarantina di minuti prima che il sistema riconosca l'intrusione, più una finestra bonus di dieci minuti dataci dal virus. »

Mi aspetto che TinCan commenti con qualcosa di stupido, qualcosa che mi farà arrabbiare. Deve solo provare ad insinuare che potevo fare di più. Quell'idiota non sa neanche come fare CTRL+C.

« Bene. Allora possiamo procedere. »

Oh, sono quasi stupito dalla sua assenza di reazioni. Meglio così, non avevo voglia di insultare la sua inesistente massa celebrale.

Sento un click e sullo schermo appare la conferma che RoadToDawn, SchwarzSchatten, GreenHat, e BigHeart sono stati aggiunti alla conversazione.

Loro non sanno che ho localizzato ognuna delle loro posizioni, e che so benissimo da dove operano. Serve a me nel caso decidano di fare i furbi. Non che mi piaccia ricattare la gente, sia chiaro. Mi tengo solo qualche porta aperta.

« Sto inviando il virus...adesso. »

Il conto alla rovescia parte in un angolo del mio schermo, e così anche in quello degli altri. Non c'è bisogno che gli dica che hanno cinquanta minuti a partire da ora, lo vedono benissimo da soli.

Riesco a superare la prima difesa del firewall, mentre il virus si diverte a spegnere gli allarmi in remoto.

Mi piacerebbe essere all'interno del palazzo Sarif.

In questo momento, tutti i computer dovrebbero mostrare lo stesso segnale: connessione internet interrotta.

Niente di grave, e serve soltanto perché i tecnici Sarif vadano a concentrarsi sui router e non sul sistema di sicurezza.

Probabilmente qualcuno si è già alzato dalla sedia per chiedere al collega della stanza accanto se anche lui sta avendo problemi con la connessione.

Mi sembra di essere il direttore d'orchestra di un'opera in cui tutti gli strumenti suonano perfettamente in sincrono con un mio cenno.

La seconda breccia nel firewall mi fornisce succulente password d'acceso, tengo per me quelle dei sistemi di controllo, mentre le altre le distribuisco equamente ai miei complici.

Nelle orecchie sento il mio e il loro ticchettare sulle tastiere, i loro respiri, la loro eccitazione.

La connessione internet sarà tornata in tutto il palazzo, ma saranno disponibili solo pagine generiche. C'erano tante di quelle variabili che ho dovuto lasciar perdere, non potevo certo creare un virus più potente del mio hard drive.

Ho limitato le funzionalità di rete a pagine comuni, abbastanza da non destare sospetti. Certo, se qualcuno dovesse cercare flora e fauna del Perù si accorgerebbe che non c'è alcuna connessione internet in tempo reale, e che le pagine caricate non sono che l'ultima versione registrata dal sistema.

Confido nel fatto che i dipendenti Sarif non perdano il loro tempo in pieno orario d'ufficio gironzolando nel world wild web come se fosse il parcogiochi dietro casa.

« Ho ottenuti i codici di accesso ai conti bancari. » la voce eccitata di BigHeart.

Sento gli altri trattenere il fiato.

Non posso distrarmi, sto seguendo il percorso del virus verso un datastore promettente. Non sono riuscito a visualizzarne il contenuto, nonostante i miei tentativi, quindi deve essere per forza qualcosa di importante.

Ad uno ad uno mi arrivano conferme dagli altri.

La seconda fase del piano – Dio, speravo davvero di riuscire ad arrivare alla seconda fase del piano – comprende biglietti di sola andata per l'Europa per tutti noi, da diversi aeroporti a diverse ore di distanza l'uno dall'altro, onde evitare di suscitare qualche sospetto.

Con i soldi di Sarif faremo la bella vita all'estero, e quando si accorgerà che lo stiamo facendo saremo troppo lontani per pagarne le conseguenze.

Ho fatto le valige stamattina, prima di completare il virus.

Mi dispiace solo lasciare la moto, ma sono convinto che potrò comprarmene una nuova una volta arrivato a Roma.

Ah, l'Italia. Ho sempre sognato andarci.

Con i soldi di Sarif potrò persino comprarmi un appartamentino, e chissà, potrei trovare qualche altro multimiliardario da frodare una volta lì.

Sto già pregustando quel momento, ma sullo schermo comprare un triangolo con un enorme punto esclamativo al centro.

Breach level critical.

Il triangolo pulsa, e così anche il mio cuore, mandato in corsa all'improvviso.

« Cosa succede, Snake? » TinCan, agitato.

Lo schermo glitcha all'improvviso, la connessione si interrompe per un attimo.

Gli occhi schizzano sul secondo schermo. Il conto alla rovescia si è bloccato, e insieme con lui parte del virus.

« Oh no. » riesco solo a mormorare.

Niente risponde più ai miei comandi, e più passa il tempo, più mi sento allo scoperto.

Ogni parola che digito sulla tastiera scatena un blip irritante accompagnato da un messaggio di errore.

Andiamo, andiamo, andiamo!

Sudo freddo, i brividi mi scuotono dalla testa ai piedi, mentre passo a guardare un altro monitor. Spento.

Batto un pugno sul tavolo che fa sobbalzare una matita, abbastanza da farla rotolare oltre il tavolo e cadere a terra.

Non è possibile. Non è possibile!

Sono riusciti ad individuarmi?

Attention, attention!

Il conto alla rovescia riprende, ma è quasi arrivato a zero, mancano pochi secondi.

« No no no no. Merda! »

Mi sembra di non riuscire più a muovermi tra i codici come prima, ovunque trovo delle falle irreparabili come burroni che non riesco ad attraversare.

Mi stanno tagliando fuori, e stanno ripercorrendo i miei passi per trovare la mia posizione, la nostra, nel mio computer sono segnalate anche quelle degli agli.

Veloce, muoviti, forza!

Niente funziona come deve, sento i circuiti del pc scendere di giro, come stessero per spegnersi.

Il sistema va in crash all'improvviso quando il conto alla rovescia arriva a 0, e non riesco a cancellare in tempo i dati sensibili.

Mi allontano dalla scrivania prima che le scintille sprigionate dal computer mi colpiscano il volto.

Andato, tutto il mio lavoro è semplicemente andato. E non posso recuperarlo o cancellarlo di persona.

Da qualche parte, in questo momento, qualcuno sta scaricando tutti i miei dati, se non l'ha già fatto mentre caricavo il virus nel sistema.

Ma non può essere, sono sicuro che nessuno potrebbe mai fare una cosa del genere! Nessuno!

Riesco a recuperare la connessione almeno con TinCan, e soltanto perché abbiamo una linea dedicata.

« Scappate. Andatevene di lì! Stanno venendo a prendervi! »

Spero che mi abbia sentito, perché non ho il tempo di ribadirlo una seconda volta.

Di corsa, afferro la valigia e le chiavi della moto. Non so quanto tempo mi rimane prima che qualcuno butti giù la porta del mio appartamento.

La vista mi si offusca di lacrime, lacrime di rabbia e di delusione.

Cosa ho sbagliato, cosa ho dimenticato di fare? Perché non ha funzionato?

Il progetto del virus era perfetto, i suoi modi di agire nelle simulazioni erano perfetti, e stava andando tutto come avrebbe dovuto.

Cosa ho fatto? Quando ho scoperto il fianco?

Ho già il fiatone alla seconda rampa di scale, mi fermo solo perché sento la porta di ingresso del palazzo venire divelta bruscamente.

« DENTRO DENTRO, ALL'ULTIMO PIANO! » urlo qualcuno da sotto, e lo stomaco fa una capriola nel ventre.

Mi guardo intorno, disperatamente, e l'unica via di fuga disponibile è la finestra che da sulle scale antincendio. Se raggiungo il vicolo e la moto, ho ancora una possibilità di scappare.

Non ci penso due volte.

Passi pesanti, in corsa, riempiono la stretta tromba delle scale. Sono contento di vivere in questo bugigattolo non a norma di legge.

Mi getto sulla finestra e la spalanco, lo spazio è sufficiente per infilarmici dentro piegandomi in avanti.

Mi stringo al petto la valigia, tutto ciò che valeva la pena salvare di me e della mia vita si trova qui dentro.

Volo giù per le scale, sapendo perfettamente di avere pochi secondi prima che si rendano conto che sto scappando, quasi non riesco a vedermi i piedi, tanto sto correndo.

« ECCOLO! »

Il ping di un proiettile mi fa sobbalzare. Mi ha mancato per poco, ho sentito il calore sfiorarmi l'orecchio.

Un secondo colpisce il punto dove prima avevo la gamba.

Sparano per fermarmi, non per uccidermi, ma in ogni caso non posso permetterglielo.

Salta Francis, salta!

L'ultima rampa di scale la supero con un balzo, e per poco non mi sfracello contro l'asfalto. Recupero l'equilibrio all'ultimo secondo, le gambe mi fanno male per l'impatto, ma non ho tempo per lamentarmene.

La moto è parcheggiata dietro l'angolo, devo solo raggiungerla, solo raggiungerla. Presto!

« Fermo, polizia di Detroit, sei in arresto! »

Col cazzo, col cazzo sono in arresto.

Imbocco il vicolo e salto sulla moto. Tutto il corpo scricchiola e urla il suo dissenso, ma il vibrare del motore che riprende vita tiene lontano tutto.

Sgommo alla massima velocità e supero due agenti con le pistole puntate, forse per istinto si gettano di lato prima che possa travolgerli.

Il vento mi sbatte i capelli in faccia, l'aria si insinua a forza nel naso, nella bocca, le orecchie mi fischiano, ma ce l'ho fatta.

Arrivato alla 2nd Street girerò per Grand River Road e farò perdere le mie tracce passando da Derelict Row, con un po' di fortuna riuscirò a raggiungere l'autostrada e...

E perdo il controllo del manubrio all'improvviso, la moto geme ed io vedo tutto come a rallentatore.

L'impatto con l'asfalto non è così doloroso come mi aspettavo, forse perché, mentre la moto sgomma in avanti con uno pneumatico bucato, io rotolo su un fianco evitando lo schianto.

Qualcosa nell'addome reclama attenzione, devo aver sbattuto cadendo.

Alzati, alzati, alzati!

Riesco a mettermi in piedi a fatica, non riesco a capire dove sono, ho a malapena registrato cos'è successo .

Earl's Court, posso nascondermi lì.

Corri, corri, corri!

Due mani mi afferrano prima che possa muovere un passo. Sento una voce biascicare informazioni riguardo i miei diritti, ma tutto quello che riesco a capire è solo un brusio di sottofondo, sfocato e contorto.

Forse ho battuto la testa e ho rovinato il mio potenziamento, o forse l'adrenalina ha mandato in tilt il mio cervello.

Istintivamente riesco a dare un gomitata al poliziotto che mi sta tenendo fermo. Non se lo aspetta, e il casco gli vola via.

Un lampo di occhi acquamarina, un viso giovane e una zazzera di scompigliati capelli castani. Il poliziotto del rifornimento, ancora lui. Da vicino è davvero carino.

« Sei in arresto... » tenta, ma una seconda gomitata lo fa arrivare dritto a terra.

Vedo uno schizzo di sangue, ma non mi faccio domande, né su quello, né sulla macchia rossa sulla mia manica.

Devo solo correre.

Al secondo passo che muovo in avanti, il poliziotto – o forse la forza di gravità, o il destino, o il karma – mi afferra la caviglia.

Stupito, confuso, sorpreso, non riesco a mettere le mani avanti per proteggere il viso.

Batto forte il mento e la perdita di coscienza è istantanea.

Uno shut down completo dei miei sistemi.

 

*

 

Francis Wendell Pritchard.


 

Arrestato: 17 luglio 20**, Polizia di Detroit


- 18 U.S. Code § 1029 – Frode e relativa attività in connessione con accesso di dispositivi.

- 18 U.S. Code § 1030 – Frode e relativa attività in connessione con computer.

Quattro complici presi in carico

[redatto]

[redatto]

[redatto]

[redatto]


 

Dalla mia cella riesco a vedere un pezzetto di cielo.

L'aria è ancora così calda da non riuscire a respirare, ma di tanto in tanto un po' di brezza pomeridiana raffredda l'ambiente.

Sono passati una decina di giorni dal mio arresto, aspetto l'udienza primaria in tribunale.

Considerando i capi d'accusa mi aspettano dieci anni di prigione, anno più, anno meno.

Ma in tutto ciò quello che non riesco a spiegarmi è come mi abbiano scoperto.

Stanno ancora cercando TinCan, è l'unico di noi che sia riuscito a scappare, tutti gli altri sono stati trasferiti altrove.

Sono l'unico rimasto nel distretto di Detroit.

Dopo la mia imbarazzante caduta, il poliziotto dagli occhi acquamarina ha approfittato del mio stato di incoscienza per ammanettarmi e caricarmi sul furgone cellulare. Non è stato il massimo risvegliarmi in cella, ma tutto sommato me lo aspettavo.

Ho spaccato il sopracciglio al ragazzino, l'ho visto passare un paio di volte davanti alla mia cella come un leone davanti alla preda, lo sguardo assassino ma l'espressione neutrale. Un effetto che rasenta il comico.

Al cowboy piacerebbe svuotare il suo caricatore su di me. Il fatto di avergli lasciato quella bella cicatrice sul sopracciglio mi fa sorridere. Non tollera di vedermi vincitore mentre sto dietro alle sbarre, non gli da la soddisfazione che cercava da un arresto così spettacolare.

Povero ragazzo. Un giorno crescerà e rimpiangerà il momento in cui non ha potuto approfittare del suo potere, e della mia vulnerabilità, e allora sarà troppo tardi per rimediare.

Chissà dove sarà tra dieci anni, e dove sarò io. Ah, no, io probabilmente sarò in prigione.

Certo però che non si dimenticherà di me, visto il regalino che gli ho lasciato.

Finché il mio caso non passerà davanti al Giudice sarò costretto a rimanere qui, in una cella tutta mia, mentre ubriaconi, molestatori, prostitute e agitatori affollano le altre di fianco e di fronte.

È da considerarsi come una stanza di lusso in un albergo a cinque stelle.

Con un sospiro torno a sedermi sulla brandina – chiamarlo “letto” mi sembra pretenzioso –.

Come trofeo dello scontro ho un bel livido sotto il mento, e uno più esteso sull'addome, oltre ad un muscolo stirato nella coscia che la notte mi fa impazzire.

Questa immobilità forzata non mi aiuta. Vorrei poter avere qualcosa da fare per allontanare il pensiero da quello che è successo.

Non me lo spiego, non me ne faccio una ragione, mi tormenta, mi perseguita.

Non faccio che ripercorrere quei momenti, ossessivamente, e più lo faccio più mi rendo conto che no, non ho sbagliato nulla, era tutto perfetto, fino al minimo dettaglio.

Un mugolio frustrato mi esce dalle labbra e mi passo una mano sul viso.

« Scommetto che vorresti sapere come abbiamo fatto a scoprirti, Nucl3arSnake. »

Quasi salto in aria, più per la sorpresa che per la paura.

Mi volto, un ringhio arrabbiato già pronto a superare la protezione delle labbra, ma muore non appena gli occhi incontrano quelli blugrigi di...

« David Sarif? » mi piacerebbe non reagire come invece reagisco, ossia scattando in piedi come davanti ad un Messia. Per poi rendermi conto che stavo per gettarlo sul lastrico. « Cosa ci fa lei qui? »

Come se non fosse abbastanza strano che il truffato parli al truffatore.

David Sarif ha sempre avuto un fascino retrò che me lo fa paragonare ad una bottiglia di vino: migliora invecchiando. A quarantanni, poco più o poco meno, è diventato capo di un impero, ma il peso delle responsabilità non lo piegano, anzi, lo fanno camminare dritto.

Nonostante i capelli bianchi che cominciano, timidamente, a spuntare qui e lì, è un uomo piacente.

Sorride, neanche fossimo vecchi amici, e si avvicina di più alle sbarre della cella.

« Ce l'avevi quasi fatta, sai Frank? Il tuo virus era a tanto così dal mandare all'aria il mio sistema. E devo ammettere, che se non fossi stato sotto sorveglianza da un pezzo ci saresti decisamente riuscito. » ogni parola è come un pugno nel mio stomaco. Sento la bocca secca ma non rispondo. Ecco perché il poliziotto acquamarina era al rifornimento quella sera. « Sei un ragazzo promettente, davvero. È un peccato che tu finisca in galera. »

« Non conosco nessuno in grado di pagarmi la cauzione. » bofonchio, distrattamente.

Se fossi riuscito a prendere i suoi soldi avrei potuto pagarla due o tre volte, la cauzione.

Un altro sorriso, e David mi ha conquistato. Perché non mettono la sua faccia su ogni cartellone pubblicitario? È irresistibile, e mellifluo. Si appiccica addosso.

« Mettiamo il caso...che una persona che conosci in grado di pagarti la cauzione ha già pagato la tua cauzione, e che sei libero di andare, a patto che tu da lunedì cominci a lavorare per lei. »

« Prego? »

« Ti sto offrendo un lavoro, Frank, come capo della Cyber-Security delle Sarif Industries. Insieme con la tua libertà. »

Fa un passo indietro e un poliziotto – rimasto lì, dietro di lui, per tutto il tempo – apre la cella con uno sbuffo di dissenso.

Per un attimo non so che fare. Mi sembra un brutto scherzo uscito fuori da una commedia anni 90.

Rimango immobile, soppesando la possibilità di lanciarmi in corsa dalla cella e sparire, proprio come avevo deciso di fare, in Europa. Ho abbastanza crediti per poter sopravvivere per un po', anche senza l'ultimo colpo.

« Perché lo sta facendo? Le avrei rubato fino all'ultimo centesimo senza il minimo senso di colpa. E se mi lascia libero tenterò di nuovo di farlo. » mi riesce da dire.

Sarif alza gli occhi verso l'alto, come cercando ispirazione, per poi tornare a fissare i miei. Un brivido mi fa tremare.

« Io penso che tu sia una delle menti più brillanti di questo secolo. Voglio che tu rifaccia quello che hai fatto contro di me per me. Almeno dammi una possibilità. Se dopo vorrai ancora scappare con i soldi...beh... » si stringe nelle spalle, come se non stesse parlando della sua fortuna. « ...avrò imparato una lezione, Frank. »

Muovo un passo fuori dalla cella, e un altro, e un altro ancora. Sono abbastanza vicino a Sarif da far mettere la mano sulla pistola al poliziotto, nel caso tentassi qualcosa di avventato, certo.

« Pritchard. Non Francis, non Frank. Pritchard. Non lavoro nel week-end e voglio un ufficio grande al primo piano. »

« Vedrò cosa posso fare. »

« Bene. » sbuffo dal naso e mi rivolgo al poliziotto, rimasto come un ebete a fissarci. « Vorrei riavere i miei effetti personali, grazie. »

Lui mormora un confuso “da questa parte”.

« Ci vediamo lunedì allora, Pritchard? »

Non mi volto verso l'uomo quando gli rispondo:

« Vedrò cosa posso fare, signor Sarif. »



-----------------------------------

The Corner 

Qualche giorno fa Eggy mi ha mostrato qualcosa che non avrebbe dovuto farmi vedere.
Una meravigliosa fanart di un giovane, attraente Pritchard.
Immediatamente sono stata colpita dall'ispirazione e ho cominciato a scrivere.
Non potevo perdere l'occasione di ritrarre un Francis così aitante nel suo ambiente di lavoro.
Ma alla fine...questa storia non è assolutamente come sarebbe dovuta essere, 
ha preso una piega del tutto inspettata e mi ha impedito di scrivere più della metà di quello che avrei voluto scrivere.
Immagino che siano i rischi del mestiere, e immagino di doverne scrivere un'altra.
Riuscirò a far decollare questa ship, 
promesso.

Chii

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Deus Ex / Vai alla pagina dell'autore: ChiiCat92