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Autore: Black Swallowtail    19/02/2017    1 recensioni
Nelle profondità dei Labirinti Phtumeriani, attraverso lunghe, intricate gallerie oscure ed abbandonate, si nasconde quel che resta di un dono di creature irraggiungibili dall'uomo. Attraversando questa antica tomba, un gruppo di scolari di Byrgenwerth scopre ciò che metterà in moto gli eventi che cambieranno il mondo — il Sangue Antico.
I giovani studiosi, con in mano la chiave di volta per trascendere l'umanità, daranno il via ad una catena di eventi che li porterà a lacerare il velo che divide umanità da bestialità, che aprirà i loro Occhi su quel che risiede sopra di loro.
Anni prima degli eventi di Bloodborne, si snoda la storia di Gehrman, Maria, Laurence, Micolash, Caryll e Willem — gli Scolari del Sangue Antico.
"Se solo avessimo saputo a cosa stavamo andando incontro, forse ci saremmo fermati.
O forse, come falene attirate da una fiamma, avremmo seguito fino all'ultimo il pallido fantasma di una sapienza cosmica, trascendentale.
Forse, eravamo destinati a bruciare fin dal principio. "
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gehrman, Lady Maria, Laurence, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autore: La storia è ambientata svariati anni prima degli avvenimenti narrati nel videogioco e ripercorre, cronologicamente, le vicende che hanno portato alla scoperta del Sangue Antico, allo scisma, alla creazione della Chiesa della Cura; la mia ricostruzione dei fatti è basata sul saggio "The Paleblood Hunt", una dettagliata analisi della storia e dei suoi personaggi, e cerca di attenersi, per quanto possibile, al canone di Bloodborne.

Scholars of the Old Blood

 

I “Prologue”

I Labirinti Phutmeriani sono l'eredità più oscura che l'uomo possieda; un'eredità che si estende sotto di noi, sempre più in profondità, allungando i suoi cunicoli sotterranei come tentacoli, a formare gigantesche città in rovina composte di una quantità infinita di stanze e corridoi, la cui diffusione capillare è testamento di una grandezza ormai perduta.

Da essi, spira una sorta di silenzioso magnetismo che attrae le menti più acute, come invitandole ad avventurarsi nel suo cuore, a perdersi tra i resti di una civiltà crollata, ridotta ormai solo a grandiosi quanto claustrofobici monumenti decadenti, nascosti agli occhi del mondo. I segreti che covano le malevoli pietre consunte, attraversate da sporcizia e blandamente illuminate da lanterne che non hanno mai perso pallidi riflessi bluastri, sono come un canto folle alle orecchie di chi può udirlo.

Un richiamo talmente melenso e pieno di promesse, da smuovere all'aziona anche i più riluttanti. Forse è una regola non scritta, nascosta, che le menti più acute, per quanto tentino di avvicinarsi alla conoscenza, vacillino e si perdano più facilmente, come richiamate proprio in virtù della loro disperata sete di sapere.

I sussurri che tormentavano tutti noi, non erano lontanamente paragonabili a quelli che Caryll diceva di udire. Per noi, erano come lontanissimi gemiti, come il fruscio delle foglie nel mezzo di un tifone; per lei, invece, erano rumorosi ululati e parole disumane che risuonavano e vibravano di un timbro cosmico, che la spingevano a piegarsi sul banco da lavoro, giorno e notte, incidendo ogni singolo suono che udiva in uno strano, contorto simbolo, un alfabeto di complicate rune che non andavano mai a formare una frase di senso compiuto.

E fu proprio Caryll a guidarci fino al luogo dove tutta la nostra storia ebbe inizio.

Se solo avessimo saputo a cosa stavamo andando incontro, forse ci saremmo fermati.

O forse, come falene attirate da una fiamma, avremmo seguito fino all'ultimo il pallido fantasma di una sapienza cosmica, trascendentale.

Forse, eravamo destinati a bruciare fin dal principio.

 

Venticinquesimo giorno di esplorazione, o almeno è quello che ha detto Micolash sedendosi attorno al fuoco da campo. I suoi occhi nervosi non smettono di guardarsi attorno, per tutto il tempo in cui consumiamo l'ennesima parca cena, senza parlare molto, ognuno perso nei propri pensieri.

Laurence si è seduto insieme a me e Gehrman per tracciare la piantina dell'ultima parte che abbiamo percorso, disegnando meticolosamente ogni stanza, ogni corridoio, ogni angolo. Fino ad ora, non abbiamo incontrato nessun ostacolo degno di menzione, al di fuori di numerose strade inagibili e nuovi tunnel che sembrano stati scavati recentemente; qualche ragno fuori proporzione, una bestia che strisciava nei corridoi debole e stanca, ma nessun altro. Effettivamente, come è possibile che viva ancora qualcuno, in queste profondità abbandonate da secoli, forse millenni?

Siamo lontani dalla luce del sole e la via è rischiarata solo da funghi fluorescenti o lanterne che risalgono ai tempi dell'antica Phtumeru, ma che non hanno perso la loro lucentezza. Secondo Laurence, abbiamo percorso almeno sei o sette piani di profondità, corrispondenti ad altrettanti ascensori, il che rende questo luogo il più profondo in assoluto tra quelli esplorati in precedenza.

Gehrman è dubbioso, posso vederlo dal suo sguardo accigliato. Tra tutti i presenti, è probabilmente il più preoccupato dai possibili pericoli, abbastanza da avere la coscienza di potarsi dietro un'arma e di avermi fatto fare lo stesso. Nonostante, fino ad ora, non siamo stati costretti ad usarle più del necessario, ho un continuo, orribile presentimento, come se dalle ombre qualcuno seguisse i nostri movimenti, come se, più scendessimo, più ci avventurassimo nelle profondità di questo Labirinto, più qualcosa di chiami.

Caryll negli ultimi giorni ha iniziato a lavorare sempre più frettolosamente, adducendo a questo suo febbricitante incidere l'aumentare della chiarezza della voce che la chiama. C'è qualcuno, o qualcosa, che ci attende più in basso e ne siamo perfettamente consapevoli. Per tale ragione, siamo sempre in allerta, in attesa che accada qualcosa; non sappiamo di preciso cosa, non sappiamo se effettivamente verremmo attaccati, o quando, ma una cosa è certa – mai, prima d'ora, un Labirinto è stato così profondo ed ostile, ma allo stesso tempo mortalmente immobile, come acquattato in attesa di prenderci alla sprovvista.

Ho perso il conto delle missioni di esplorazione che noi scolari di Byrgenwerth abbiamo intrapreso. La nascita del nostro gruppo, dopotutto, è dovuta proprio alla nostra volontà di scoprire cosa si nasconde nelle viscere dei sotterranei abbandonati dagli scomparsi Phtumeriani; e più crescevano i nostri successi, più i nostri ranghi si sono rimpolpati. Nuovi scolari, desiderosi di conoscer,e di scoprire, di mettersi alla prova, sono giunti fino a noi, avvicinandosi alla nostra modesta dimora, poco più che una grande torre contorta stipata di libri e alambicchi, di scartoffie e polvere. Le sue sale vuote si sono animate e riempite e sempre più esploratori hanno iniziato ad avventurarsi nei tunnel. Molti non fanno ritorno, ma nessuno sembra essersi mai scoraggiato per qualche vita umana spezzata nell'oscurità brutale delle rovine.

Abbiamo scoperto numerose città e combattuto una quantità di creature orripilanti, come vomitate da incubi reconditi e strisciate fuori da essi solo per tormentarci. Creature che, al di fuori dei Labirinti, non avremmo mai visto, simili a grossi lupi, a volte dalle sembianze vagamente umanoidi, a volte talmente grandi da poter arrampicarsi sul loro pelo ricoperto di scintille e scariche elettriche.

Ogni nostra esplorazione ci ha sempre messo di fronte a qualche nuovo, più letale pericolo, che si trattasse di una trappola o di un sinistro e bestiale abominio.

Ma mai prima d'ora, ci siamo ritrovati in una situazione come questa, così in profondità, lontani da tutto e da tutti, circondati da una calma assoluta. Non c'è nessun rumore, tra questi resti, se non i nostri sussurri, i nostri respiri, i nostri scalpiccii, il crepitare del fuoco o lo scribacchiare della piuma d'oca sulla pergamena. Mai prima d'ora qualcosa ci ha chiamato tanto intensamente.

Appoggiata con la schiena contro un polveroso e gelido muro ricoperto di crepe e macchie scure, la mano guantata che giocherella pensosamente con l'elsa della spada, esamino il gruppetto così mal assortito di esploratori che armeggia attorno al falò, ognuno preso dai suoi pensieri, ognuno turbato profondamente, chiedendosi inevitabilmente cosa ci attende oltre, appena sotto di noi; quando arriveremo alla fine di questo viaggio—se ne usciremo vivi.

È una sensazione, più che una certezza, e nessuno ha osato ancora dirlo ad alta voce, ma sono sicura che tutti, dentro di noi, stiamo pensando la stessa cosa: non è una spedizione come le altre. C'è qualcosa che non va, qualcosa di diverso, come un vento gelido che ci manda i brividi, ma non sappiamo dire esattamente cosa.

Che si tratti del febbricitante lavorare di Caryll, il suo continuo sussurrare, come se stesse parlando con qualcuno che non possiamo udire?

Che sia il nervosismo spasmodico di Micolash, del suo voltarsi a guardare, del suo passarsi le mani tra i capelli?

Oppure l'improvvisa mancanza di avversità che rende Gehrman così nervoso, sempre pronto a scattare con l'arma già in mano?

O ancora, sono io, che vengo inutilmente plagiata da qualcosa che non esiste, che continuo a sfocare e distorcere la realtà secondo le mie impressioni?

Laurence, dal canto suo, sembra crescere in eccitazione ogni volta che esploriamo una nuova stanza, ogni volta che troviamo un nuovo ascensore. Non so dire quante volte ci abbia già incitato a proseguire, con una determinazione che sembra quasi sfociare nell'ossessione, aizzato all'esplorazione da tutti questi strani elementi, piuttosto che dissuaso.

Probabilmente, se non ci fosse lui, avremmo già abbandonato questa avventura per riprenderla con un gruppo più numeroso e preparato. Nessuno si aspettava di dover scendere fino ad una tale profondità; ad una profondità stimata di sei piani, dieci contando anche il labirinto da quattro immediatamente collegato a questo, siamo talmente lontani ed isolati da ogni cosa, da rischiare di perdere la nostra sanità mentale.

Siamo tutti più irritabili, preoccupati, nervosi, troppo eccitati nel caso di Laurence, per questo le nostre interazioni sono ridotte al minimo indispensabile. Dopo quasi un mese di combattimenti e di accampamenti, di stretti cunicoli, di luci pallide e stanche, di cibo freddo e duro, di marce logoranti, è normale mostrare segni di cedimento. Le provviste stanno scarseggiando, ho notato mentre Laurence le ha distribuite, il che potrebbe spingerci a tornare sui nostri passi, nel migliore dei casi.

Nel peggiore, potremmo dover continuare la discesa…

Fino a perderci del tutto nel cuore delle rovine Phtumeriane.

“Ci siamo.”

La debole, bassa voce di Caryll attira immediatamente l'attenzione di tutti, distogliendomi dalle mie riflessioni. Le sue mani tremanti hanno smesso di incidere febbrilmente le sue rune, depositando le pietre lisce, già terminate, in un piccolo mucchietto ai piedi delle fiamme del falò. Volta appena la testa verso il corridoio che si dilunga a partire da questa stanza, verso l'ignoto, divorata dall'oscurità più avanti.

“Qualunque cosa mi stia chiamando, è laggiù.”

Laurence scatta in piedi, “Ne sei sicura? Non c'è alcun errore, vero?” Le afferra le spalle, delicatamente, come farebbe con una figlia, piegandosi fino a guardarle negli occhi lattiginosi, “Sei stata davvero brava, Caryll.”

Lei annuisce, abbassando leggermente il viso, il palmo della mano che strofina la fronte, come disturbata dal richiamo che ha udito arrivare così vicino. Gehrman mi fa cenno di mettermi in piedi, stringendosi meglio nella sua veste, seguendo le direttive di Laurence che si sta già preparando a mettersi in moto. Micolash sembra esitare, aggrotta la fronte, ma non trova nulla da dire o la forza di protestare; dopotutto, rimanere fermi qui una notte sarebbe inutile. Ci logorerebbe ancora di più, come è accaduto in precedenza.

Dormire all'interno dei Labirinti è un incubo. Lontano dalla luce del sole, perennemente minacciato da una possibile imboscata, non c'è modo di riposare, nemmeno con un'arma accanto, a portata di mano.

Vogliamo tutti che questo incubo finisca il prima possibile. E se per farlo dobbiamo metterci in marcia ora, verso la direzione indicata da Caryll, che così sia. Dopotutto, non possiamo fare altro, non c'è una scelta; tornare indietro, arrivati così vicino, non è qualcosa che Laurence farebbe. Possiamo solo proseguire e sperare che, qualunque cosa ci abbia chiamati, qualunque cosa ci aspetti, non sia troppo per noi o per le nostre menti.

La porta che emerge dalle tenebre fitte, allontanate dalle torce che Micolash e Laurence tengono alte, non è diversa dalle altre. Una semplice lastra di ferro scorrevole che, afferrata dal basso, viene spinta in un'intercapedine, lasciando libero il passaggio. Ho perso il conto di quante ne abbiamo sollevate, simili a questa.

Gehrman mi fa un secco cenno della testa, al quale rispondo annuendo e scivolando accanto all'uscio, la mano già poggiata sulla Rakuyo, pronta ad estrarla al minimo accenno di pericolo. Laurence offre la torcia a Micolash, mentre lui si china a sollevare la porta afferrandola dal bordo sporgente. Senza alcuno sforzo o resistenza, sollevando solo un nugolo di polvere e ragnatele, il meccanismo scorre permettendoci di passare, di avanzare all'interno della stanza ovale.

Sento Laurence trattenere il fiato, quando alza la sua fiaccola abbastanza da gettare uno sprazzo di luce verso un altare riccamente decorato, una specie di piccolo santuario attorno al quale sorgono innumerevoli, ripugnanti statue di creature mostruose e deformi, dalle molteplici braccia e occhi su tutto il corpo, scolpite nel marmo con un dettaglio talmente minuzioso, che solo un folle avrebbe potuto creare.

“La voce… mi chiama. La sento.”

Caryll si avvicina al santuario, il braccio teso verso l'alcova dove sta l'effige di una donna che regge tra le delicate mani, uno scrigno.

“—Finalmente, siamo arrivati.”

Le sue dita esitanti si avvicinano alla serratura, sfiorandone il lucchetto intarsiato, ricoperto di un alfabeto Phtumeriano oscuro ed insensato, che nemmeno lei può capire.

MARIA!” L'avvertimento urlato da Gehrman è sufficiente a farmi scattare come una corda tesa. Non so dove sia il pericolo, da dove provenga, ma non c'è dubbio a cosa stai mirando. Quindi, con un balzo, mi precipito su Caryll, rotolando assieme a lei sul pavimento duro e spigoloso, ricoprendomi di polvere e calcinacci, appena prima di sentire un violento spostamento d'aria passare accanto alla mia spalla, ed una lama graffiare l'edicola dove la mia compagna era in piedi.

La luce rossastra rivela un essere che non ho mai visto, una creatura che sembra avvicinarsi alle fattezze umane, abbozzate, ma non terminate, come uno schizzo allungato, pallido e contorto di un uomo. La pelle grigiastra, quasi lattea, per la mancanza di luce, è ricoperta di una fitta ragnatela di rughe che la rendono incartapecorita, ma che aderisce perfettamente alle braccia e alle gambe oblunghe, come un sottile strato avvolto attorno alle ossa deformi. Le sue dita, lunghe ed ossute, che spasmodicamente si agitano attorno all'elsa dei due shotel, sono affilate, come artigli posticci e consunti.
Ma la cosa peggiore, è l'espressione congelata sul suo viso, nei suoi neri occhi ciechi che a malapena vedono nel buio. Un urlo rauco che fuoriesce dalla sua bocca aperta, in un viso come quello di uno scheletro, poco più di un teschio su cui sia stato poggiato delicatamente uno strato di pelle umana.

Gli abiti che indossa, una sontuosa pelliccia nera e cremisi, un tempo dovevano essere stati segno di gran nobiltà, ma ora, dopo tutto questo tempo, sono poco più che stracci che ancora veste con orgoglio, come a volerci impressionare.

L'umanoide scivola accanto alla statua, accarezzandone il volto come con nostalgia, prima di controllare che lo scrigno non sia stato toccato. Solo allora, dopo essersi accertato che le mani di Caryll non abbiano insozzato il suo santuario, si volta contorcendosi verso di noi, urlando, stridendo e battendo le lame una contro l'altra. Micolash fa un passo indietro, intimidito, quasi sul punto di fuggire, ma una mano di Laurence sulla spalla lo trattiene dallo scappare nell'oscurità dei tunnel alle nostre spalle.

“Quello è...” la sua voce tremante non riesce a terminare la frase, ma Laurence annuisce, aumentando la forza della sua presa, “Sì. Uno Phtumeriano in carne ed ossa. O almeno, quel che ne rimane.” Si volta verso me e Gehrman, “Questo è un lavoro per te e la tua apprendista, amico mio.”

Preparo la Rakuyo alla battaglia, aprendone la lama con uno schiocco, prima di rivolgermi a Laurence, “Non dovrebbero essere tutti morti?”

“Queste rovine sono luoghi che sfuggono alla nostra comprensione, al tempo e allo spazio.”

“Non importa, ora.” mi ammonisce Gehrman, di colpo, riportandomi alla realtà, “Pensiamo solo ad ucciderlo.” La sua Lama della Sepoltura si trasforma in una falce con lo schiocco del meccanismo che si salda, lasciando che la afferri con due mani, piegandosi appena sulle ginocchia, pronto a scattare.

“Non fatevi uccidere. Non ora che siamo così vicini.”

Gehrman sogghigna, senza nemmeno guardarlo, gli occhi che seguono i fluidi movimenti dello Phtumeriano, “Per chi mi hai preso?”

Lo Phtumeriano balza contro di me, il mantello che svolazza dietro di lui, seguendone l'ampio scatto, in un movimento tanto veloce da lasciarmi quasi scoperta; il movimento della Rakuyo che mi permette di difendermi, di evitare che le lame trancino la mia carne, è puramente un riflesso, che non è sufficiente a contrastare la prodigiosa forza di questa creatura. Vacillo, perdendo terreno per un istante, il braccio che minaccia di cedere, dandomi a malapena il tempo di far scattare la mano verso la pistola e puntarla contro il viso dell'umanoide. Il colpo che esplodo solleva uno spruzzo di sangue sufficiente a farlo indietreggiare, ferito di striscio al polso, ma non abbastanza da renderlo un bersaglio ottimale per Gehrman.

Quando la Lama della Sepoltura rotea seguendo i movimenti del maestro, la sua lama ricurva è già stata intrappolata da uno dei due shotel, producendo una pioggia di scintille rossastre. Ci allontaniamo con un balzo, mettendo tra noi e il nemico una distanza di sicurezza sufficiente. È molto più forte di qualunque altra creatura che abbiamo affrontato nei sotterranei.

E sopratutto, sembra abituato al combattimento. Non si muove casualmente, come farebbe una bestia ferale. No, questo Phtumeriano duella per uccidere. Ed uccidendo, protegge.

Digrigno i denti. Il sangue palpita nelle mie vene, come chiamandomi, invitandomi; mi ricorda che, per quanto io possa allontanarmi, la mia stirpe mi accompagnerà sempre e con essa, i suoi doni… e le sue maledizioni. Potrei rilasciare tutto con uno schizzo di sangue e annichilirlo nelle fiamme.

Ma non voglio cedere. Non voglio piegarmi a quel sangue di Cainhurst che mi avvelena.

Stringo la Rakuyo, mettendomi nuovamente in posizione, pronta ad attaccare ancora una volta. Gehrman, al mio fianco, scivola accanto allo Phtumeriano, che esattamente come prima para il colpo della falce, spingendolo leggermente indietro… per poi ululare di dolore quando la lama della falce si separa dal manico e Gherman vi mena un fendente, scivolando attraverso la sua guardia. Prova a saltare all'indietro, a trovare riparo, ma sono già alle spalle ossute della creatura, affondando la lama sottile della Rakuyo fino in fondo, trapassando il suo petto da parte a parte. Lo schizzo di sangue, come una fontana nerastra, gocciola sul pavimento, facendomi traballare sotto il peso del corpo dell'umanoide.

Tenta di scuotermi via, di allontanarmi, ma nonostante le mie braccia stiano scricchiolando, mi sforzo di tenerlo bloccato sul posto, lasciando che la Lama della Sepoltura, con un unico, rapido movimento, abbracci il suo collo e ne fenda la tenera carne, estirpando il cranio dalle spalle e lasciando il corpo senza vita crollare sul selciato.

Quante volte abbiamo combattuto così? Molte più di quante possa ricordare. L'addestramento è diventato ben presto una lotta per la sopravvivenza quotidiana, una routine sempre più sfiancante. Gehrman mi ha forgiata nella battaglia, mentre scendevamo nei sotterranei.

Possibile che ora, finalmente, la nostra affannosa missione sia giunta al termine?

Caryll si avvicina nuovamente all'altare, rimanendo in contemplazione della statua, senza più osare allungare la mano verso lo scrigno, nonostante ormai il suo guardiano giaccia a terra, decapitato, senza più vita nel corpo. Micolash, invece, si china con mano tremante a toccare qualcosa, un oggetto sul pavimento che, appena sfiorato, rilascia un liquido biancastro, etereo, che riluce debolmente nel buio.

“Un guscio..?” lo stringe tra i polpastrelli, delicatamente, portandolo all'attenzione di Laurence, “Non ho mai visto nulla di simile prima.”

Ma il loro discorso viene bruscamente zittito dalle parole di Caryll, che allunga la mano ad aprire lo scrigno, affondando la mano in esso, producendo un sinistro rumore di qualcosa di molle, come bagnaticcio, che viene rimestato.

“Mi ha chiamato per tutto questo tempo. Sangue che chiama sangue, un lontano canto che ci ha guidato fino a qui.”

“Cos'è questa… cosa?” chiedo, guardando intimorita all'interno del baule. Nel momento in cui i miei occhi si poggiano sul contenuto, qualcosa in me si spezza. È come se un occhio fino ad ora nascosto si fosse aperto, finalmente, mostrandomi qualcosa appena al di sotto della superficie. Stringo le labbra, faticando perfino a respirare, il corpo tremante e sconquassato dalla nausea. Devo fare appello a tutte le mie forze per non crollare in ginocchio.

“Non lo so...” sussurra Caryll, “Ma la sua voce, riesco a sentirla. È poco più che un sussurro, che arriva da lontano, come se dentro di esso fosse rimasto un frammento di qualcosa di più grande. Come se questo...”

“Fosse sangue di un dio.” conclude Micolash, gettando un'occhiata a Laurence. Siamo tutti confusi, di fronte alla sostanza all'interno del forziere. Confusi, perché la verità verso la quale vuole condurci sembra impossibile da afferrare. È qualcosa che va ben oltre ciò che l'uomo può comprendere. Questo non è il nostro territorio. Eppure… in qualche modo, mi sento terribilmente attratta da esso.

Laurence esita. Apre la bocca, come per parlare, ma sembra spaventato dalle sue stesse parole. Sta combattendo anche lui, dentro di sé, per decidere se prestare fede a quella sensazione.

“—è possibile che...” ci guarda, uno ad uno. Ci guarda, con una scintilla nel profondo del suo sguardo, la scintilla di chi brama la conoscenza. Di chi ha appena deciso di violare un territorio mai prima d'ora toccato da alcuno, “che gli Phtumeriani ci abbiano lasciato più che mostri e labirinti. È possibile che gli Phtumeriani...” stringe tra le mani il guscio fluorescente, “Siano riusciti a contattare delle creature che vanno oltre l'umanità.

Degli dei.”

   
 
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