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Autore: Ariana_Silente    19/02/2017    0 recensioni
Storia scritta di mio pugno, che mi accompagna da qualche anno a questa parte. Versione nuova, rivista, corretta ed ampliata.
"Una rabbia autodistruttiva, pronta a esplodere e l'unico modo per gestirla è indirizzarla verso se stesso. Una perdita mai del tutto accettata e ancora senza un motivo valido.
Un uomo non del tutto fiorito, dibattuto tra passato e presente, tra morte e amore.
Una verità da scoprire ed accettare per poter tornare a vivere."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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§Capitolo Terzo§

 
Era ancora immerso nel ricordo-sogno del lago, quando una voce lo richiamò con insistenza.
«Svegliati.» Elia rimase immobile, cercando di fare mente locale su dove fosse e perché una voce dovesse svegliarlo dal suo sonno. Quindi ricordò e aprì gli occhi.
«Mamma, è successo qualcosa?» chiese mettendosi a sedere, sbadigliando.
«No, ma lo sai che non puoi dormire fino a tardi.» lui acchiappò il cellulare e lanciò un'occhiata allo schermo.
«Mamma, non so se te ne sei accorta, ma sono le sette e mezza di domenica mattina.» ribatté lasciandosi ricadere sul materasso che cigolò.
«Io non mi farei trovare a letto da tuo padre.» lo avvisò cupa.
«Oh, immagino sia di malumore perché non voglio impalmare la ragazza e quindi lui non ha certezza sulla fusione.» rispose a metà tra l'irritato e l'ironico.
«Non parlare in questo modo volgare! Potresti parlar chiaro e dire che sei già fidanzato, allora.» Elia si alzò e si vestì, tenendo d'occhio la madre e cercando di decidere se fuggire subito dalla finestra oppure fare uno sforzo e uscire in maniera meno originale ma più sicura dalla porta di casa.
«Potrei farlo, se non fossi sicuro che dopo farebbe di tutto per fare del male a questa ipotetica fidanzata.» rispose piano. Sua madre lo fulminò con lo sguardo.
«Come puoi parlare in questo modo di lui!»
Ecco, lo stava rifacendo.
Gli occhi sgranati da bambina, l'espressione incredula, la faccia di chi si sente dire un'assurdità immensa.
Elia scosse la testa, preparandosi a ribattere.
«Mah, magari perché pretende che mi sposi con una tipa che ho visto per una sera?»
Ecco, di nuovo.
Lo stupore scomparve dal suo viso segnato. L'espressione divenne dura e ostinata, di chi chiude le porte alla realtà.
«Vuole solo il meglio per te. Se ti propone Chiara è perché è una ragazza squisita che ha davanti un progetto di vita serio e responsabile. Come il tuo. Ti impedisce di perdere la testa per la prima che si vende. Non farmi ripetere che...»
«Che ti ha accettato per quello che eri, una madre sola che faticava ad arrivare a fine mese, mi ha amato come un figlio e ha voluto darmi un tenore di vita e un'istruzione superiori.» ripeté meccanicamente, con tono freddo e distaccato così come era sempre stato il rapporto tra lui e Diego.
«Che lo abbia fatto perché quello della famiglia felice era uno status sociale che gli mancava non ti ha mai sfiorata, vero, mamma?» le ringhiò a un passo dal viso.
Ma come al solito, le sue ragioni sarebbero cadute nel vuoto. Sua madre era già sorda da prima. Glielo diceva la sua postura rigida, il volto impassibile e impallidito.
«Sei...» iniziò rabbiosa, con i pugni serrati.
«Un testardo ingrato.» completò per lei senza dare importanza alle parole, uscendo dalla stanza e dirigendosi in cucina.
Un’ora più tardi tornò Diego dal suo jogging quotidiano ed Elia aveva preparato lo zaino e stava studiando su alcuni testi.
Lo sentì entrare e salutare la mamma che gli aveva preparato il bagno e l'acqua fresca. Quindi per un'altra mezz'ora studiò con tranquillità.
Quando l'uomo finì di sistemarsi, la mamma disse che usciva ed Elia e Diego rimasero da soli. Quando l'uomo si sedette difronte a lui, Elia capì che sarebbe stata meglio l'opzione finestra, quella mattina.
«Sei impegnato?» gli chiese accendendosi uno dei suoi sigari.
«Sto studiando, in effetti.» rispose lui.
«Non puoi prenderti una pausa?» Elia girò la pagina e seguì a leggere. 
«Non mi interessano le manovre della tua società.» gli disse quieto.
«Avrai tutto il tempo per approfondirle quando mi tutelerai. Non era di questo che volevo parlarti.» fortuna aveva il viso chinato sul libro, perché le sue sopracciglia schizzarono così in alto da confondersi con i capelli.
Finalmente Elia alzò lo sguardo e chiuse il libro. C'era un solo altro argomento su cui Diego insisteva a tormentarlo.
«Ti ascolto.» lo guardò negli occhi.
«Non sopporto l'idea che tu passi il tempo in un cimitero.» centrò il punto senza troppi giri, Elia si preparò al secondo scontro verbale in poche ore.
Doveva aver vinto il primo posto a un qualche concorso per il peggior primo premio della storia.
«Quindi?» incrociò le braccia.
Una volta aveva avuto paura. Non protestava mai troppo, alla seconda occhiataccia di Diego.
Quando la madre andava al cimitero, Diego faceva in modo di portarlo via con sé. Gli faceva fare cose divertente e gli prendeva quello che chiedeva. Lo portava a giocare a calcio con i suoi amici o nei parchi giochi per bambini. Quando la madre si recava a trovare la figlia, per lui era un momento di svago e divertimento. L'uomo pensava così di “togliergli il vizio” come spiegava agli amici. Ma il bambino che era stato aveva intuito ben presto che invece era solo un'ingiustizia. Ed era riuscito ad ottenere di accompagnare la mamma ogni tanto. 
Ma adesso non era più un bambino.
«È per donnicciole e vecchi. Tu non sei né vecchio né una donnicciola. Sei mio figlio ed è il caso che ti comporti come conviene.»
«Non ci andavo da mesi. Fine della storia, Diego.» gli rispose a tono.
«Sono tuo padre!» Elia sorrise. L'espressione fredda e aggrottata dell'uomo la dicevano lunga sul livello di scontento. Non poteva negare l'evidenza: aveva il diritto di andare al cimitero.
«Ha soltanto causato un sacco di problemi, sempre, e noi ne abbiamo pagato le conseguenze!» ringhiò ancora, seguì un tonfo e gli oggetti sul tavolo sobbalzarono. Il sigaro e la cenere erano finiti per terra, la sedia caduta all'indietro per l'improvviso movimento in avanti dell'occupante che si era chinato, minaccioso, verso il ragazzo, picchiando violentemente il pugno sul tavolo.
Fino a quel momento, Elia se l'era cavata.
Era riuscito a stare calmo, a tenere a bada la voglia di prenderlo a pugni.  
A un centimetro dal viso contorto del patrigno, anche la sua espressione ebbe un tremito, ma fu più bravo e non mostrò quanta rabbia avesse in corpo. Se l'avesse fatto...
«Non un'altra parola, Diego.» sussurrò pianissimo, i denti stridevano gli uni sugli altri con un rumore sinistro.
«Altrimenti cosa fai? Sono io che ti mantengo.» lo apostrofò con quella strafottenza insopportabile.  
Una volta sarebbe bastato a fargli chiudere la bocca e ad abbassare gli occhi. Ora aveva una visione d'insieme migliore.
«Tu mi mantieni solo gli studi perché ti serve.» gli rispose con un'improvvisa calma sepolcrale. Fu una goduria osservare i suoi muscoli facciali contrarsi e l’ira palpitare nei suoi occhi.
Rimasero a guardarsi in cagnesco per diversi minuti, mentre l'uomo cercava qualcosa da ribattere e più i secondi di silenzio aumentavano, più Elia si rendeva conto di averla spuntata.
Il ragazzo si rimise diritto, forte di quel benedetto silenzio che puzzava di fumo del sigaro a terra, e raccolse velocemente i libri che aveva lasciato fuori e le penne, li ficcò nello zaino e recuperò il cappotto.
«Dove diavolo pensi di andare?» esplose Diego. Elia si girò e gli fece un cenno del capo.
«Di' a mia madre che non mi fermo per pranzo, ho il treno che parte a mezzogiorno. Salutala e dille pure che non deve più portarmi con lei al cimitero, che ho altro di meglio da fare che perdere quel tempo.» fece per uscire, ma sentì i passi dell'uomo che veniva verso di lui. Gli afferrò il braccio. Si girò di scatto liberandosi dalla sua presa e fece un passo avanti per fronteggiarlo, tenendo d'occhio le mani del patrigno. Parlò prima che potesse farlo lui.
«Un'ultima cosa. Trovati un altro modo per annettere le tue società. La poligamia è reato da noi, se per caso ti fosse sfuggito. Te lo do per certo, l'ho studiato.» senza attendere oltre, uscì dalla porta e se la sbatté alle spalle, scese i tre piani il più rapidamente possibile. Alla porta salutò frettolosamente il portiere di turno e si fermò al cancello delle auto.
Vista l'ora non dovette attendere molto il ritorno della madre.
«Dove stai andando?» gli chiese subito, scendendo dall'auto accesa.
«Mi dai un passaggio in stazione?» la donna dovette leggergli in faccia che la sua pazienza era esaurita da un pezzo, tornò in macchina ed Elia saltò su.
«Ho pensato molto a quello che mi hai detto.» gli disse a un tratto, prima che scendesse dalla macchina una volta alla stazione. Elia rimase un attimo in silenzio.
«Riguardo a cosa?»
«A quello che abbiamo fatto con Chiara Rogi.» Elia la guardò. Avrebbe preferito non parlasse al plurale. Attese che trovasse le parole per continuare.
«Mi dispiace per quello che ho detto riguardo a questa persona che tanto difendi, non la conosco nemmeno. E ti chiedo scusa anche per quello che dice papà.» lui scosse la testa.
«Per quello che papà dice, solo lui è responsabile. Non te la porterò in casa, mamma, né te ne parlerò mai.» gli costava tutta la sua determinazione essere così duro. La donna si asciugò alcune lacrime dietro gli occhiali scuri. Gli stessi che portava da quando era morta la figlia.
«Sì lo capisco.» Elia allungò timidamente una mano e si rese conto di tremare.
Non ci badò e strinse la mano della madre.
«Non ho mai discusso sulle tue decisioni, mamma. E ti prego di non mettere in discussione le mie. Non è colpa tua.» la donna si lasciò sfuggire un singhiozzo ed Elia si allungò per abbracciarla.
«Mi dispiace per il pranzo, mi avrebbe fatto piacere restare, ma se sto con Diego altri cinque minuti potrei uccidere.» lei gli si strinse ancora più forte e lui aumentò la forza con cui la cingeva, dicendole quello che a parole non sarebbe mai riuscito.
«Non devi prendere il treno?» gli chiese quando ritrovò la voce. Lui scosse le spalle.
«Fra un po'. Ma Diego non li fa più i suoi viaggi di lavoro?» le chiese tutto d'un tratto.
«Capita ancora qualche volta, sì. Perché?» rispose la donna, mentre il figlio scendeva, mise dentro solo la testa.
«L'Arena merita di essere vista.» fece lui con un occhiolino, chiuse la portiera e si incamminò. La donna rimase a guardare il figlio finché non scomparve oltre l'ingresso della stazione.
 
Viaggiare in treno gli piaceva sempre un sacco, lo portavano fondamentalmente lontano dai problemi. E più si allontanava da Milano, più si spogliava di tutte le maschere e corazze di cui si vestiva tutte le volte che ci doveva tornare.
Seduto al suo posto, la fronte appoggiata al finestrino, guardava scorrere il paesaggio, pensando alla foto che aveva lasciato a casa, alle cose dette e alla rabbia che aveva ancora dentro.
Per calmarsi pensò a Greta e dopo che si sentì tranquillizzato la chiamò.
Rispose dopo un paio di squilli, chiacchierarono del più e del meno, decisero di vedersi l'indomani per pranzo poi si salutarono.
Cercò nelle email ma il giornalista non aveva risposto, quindi tirò fuori il libro e si immerse nella lettura.
Due ore più tardi era sulla strada per il suo appartamento.
Aprì le finestre, tirò fuori i libri e studiò per le ore successive, poi cenò e si mise a sfogliare i suoi fogli fitti di appunti per la tesi, molti riportavano la sua calligrafia infantile, e i vecchi articoli di giornale che aveva recuperato e conservato con gelosia.
In tutti i reportage e nelle interviste su cui nel tempo era riuscito a mettere le mani c'era sempre la stessa versione: una studentessa del collegio Celestino V presso Fornaci, in barba alle regole, aveva abbandonato di notte il suo dormitorio e si era inoltrata nella foresta del comprensorio, per altro vietata agli studenti, e lì aveva trovato la morte cadendo da un'altezza imprecisata. Il caso era stato archiviato come una fatale bravata o una sorta di rito di iniziazione.
Solo in certi articoli di giornali minori si era fatto cenno al fatto strano che la ragazzina indossasse solo la camicia da notte e che erano stati ritrovati alcuni libri di testo e una torcia. E in un numero ancora minore di articoli erano riportate interviste che sostenevano versioni diverse da quella più famosa.
Elia aveva sempre provato a parlarne con sua mamma, cercando di mettere in risalto i particolari di quelle voci fuori dal coro, ponendo quelle domande che gli ronzavano in testa da sempre.
Ma il dolore della donna era sempre stato così profondo e straziante che era come parlare a un muro invalicabile.
Poi Diego era sempre stato molto abile nel farlo sentire in colpa a trattare di quegli argomenti con la madre: non vedeva che già soffriva abbastanza? Non poteva semplicemente credere al dato di fatto che quella ragazzina era sempre stata indisciplinata e ribelle? E la conclusione era sempre la stessa: non doveva rimuginare, già soffriva per la perdita. A cosa serviva cacciare il dito nella piaga? Dimenticare era la parola d'ordine.
Così Diego lo redarguiva, tutte le volte.
E per molti anni Elia aveva tenuto la bocca chiusa, con quelle domande a vorticargli perennemente di sottofondo in testa: perché nel bosco praticamente nuda? Chi aveva messo quei libri nel bosco? Perché mai Arianna, una ragazzina di buon senso, si era cacciata in quella situazione?
Tutte quelle domande si concretizzavano poi in incubi notturni più o meno vividi, a cui col tempo aveva fatto l'abitudine.
Sua mamma, presa dal suo cieco amore per Diego, non lo aveva mai saputo, certo, ma non occorreva essere un sensitivo per capire che la sorella non stava affatto bene in quel collegio. La mamma non aveva visto lo sguardo della preside, quel giorno...
 
Gli occhi pieni di lacrime e il cuore gonfio di dolore, il piccolo passò lo sguardo sulla madre sconvolta, sul patrigno che aveva disegnato la sua versione dei fatti e poi lanciò un'occhiata alla preside.
Per un istante i loro occhi si incrociarono.
Il bambino deglutì, c'era qualcosa in quello sguardo...
 
Allora come in quel momento deglutì e sentì qualcosa di indistinto gonfiarsi a dismisura nel petto, qualcosa di grosso, enorme, impetuoso e incandescente che per un attimo gli tolse quasi il respiro...
 
Scosse la testa per liberarsi da quella sensazione che era diventata familiare. In fondo era per dare una risposta a quelle domande che Elia aveva intrapreso la facoltà di giurisprudenza: diventare avvocato, scoprire la verità sulla morte della sorella e difenderne la memoria. Anche se ovviamente il patrigno aveva insistito per quel mestiere per ben differenti ragioni.
Elia ricordava quando aveva deciso che sarebbe diventato avvocato: dopo il diploma del liceo, durante una vacanza al mare.
In quel periodo Diego non faceva che ripetere che sarebbe stato un'ottima idea quella di essere un avvocato per difendere una persona o una società in difficoltà. Il patrigno poi aggiungeva che in particolare, difendere la società da cui dipende il proprio livello di benessere sarebbe stato proprio il raggiungimento massimo dell'obiettivo, un po' come unire l'utile al dilettevole. E così aveva stabilito il percorso del ragazzo.
Elia come al solito l'aveva lasciato parlare, per metà ascoltandolo e per metà perdendosi nella musica che si sparava a palla nelle orecchie. Per molti giorni i discorsi di Diego erano stati solo un noioso ronzio di sottofondo. Ma un pomeriggio, seduto in riva al mare ad osservare l'andirivieni delle onde con Diego al suo fianco a parlargli, la sua attenzione si era soffermata sulle parole “difendere” e “persona in difficoltà”. E nella sua mente si era acceso un lampo di luce che era arrivato al viso pallido e immoto della sorellina. Il suo cuore aveva smesso di battere: l'abisso di solitudine in cui era sprofondato si fece sentire in tutta la sua immensità.
Più tardi, quello stesso giorno, aveva fatto una ricerca sulla professione di avvocato ed era andato a scartabellare le carte che sua madre custodiva con cura sul caso della figlia.
Sì, si era detto: sarebbe diventato avvocato.
E avrebbe trovato la verità sulla morte della sorella, rimasta impunita per tutti quegli anni e per molti ancora a venire.
Ovviamente a Diego questa parte dei suoi scopi non l'aveva mai rivelata.
I veri passi sulla sua personale strada della ribellione li aveva compiuti quando aveva cercato un relatore per la tesi le cui aree di competenza fossero la materia penale e la difesa delle persone invischiate in casi di verità controverse. E poi aveva contattato il giornalista, autore di alcuni articoli dove si faceva cenno agli elementi strani del caso, alcuni membri del corpo degli inservienti e degli insegnanti, nonché tutte le compagne di corso di cui era riuscito a reperire almeno un recapito.
Ora si trovava con un appuntamento da prendere con il giornalista, che poteva accendere chissà quale nuova luce o addirittura la possibilità di riuscire a far riaprire il caso, con le notizie che sarebbe riuscito ad acquisire... Era decisamente ansioso di conoscere di persona l'uomo che aveva saputo indicare i dettagli che non tornavano nella versione della “bravata finita male”.
Erano ormai le dieci quando iniziò a stilare una serie di domande che avrebbe voluto porre all'uomo che sperava di incontrare presto. Alla fine si trovò una lista di trenta e passa, quindi cercò di ridurle, di accorparle dove possibile e riuscì ad arrivare a una ventina.
Sbadigliò.
L'indomani doveva svegliarsi presto, e decise che poteva ritenersi soddisfatto.
Mise via le sue carte, gli appunti e i libri, quindi andò a dormire.
L'unica cosa degna di nota della giornata fu il pranzo con Greta.
Fu come se tutte e due avessero abbassato le difese e si fossero riproposti soltanto per quello che erano, due ragazzi innamorati. Ciascuno evitò accuratamente quegli argomenti che potevano mettere in crisi quell'apparente armonia e si godettero le loro risate, i commenti su questo o quel libro o le loro impressione sull'ultimo film, visto da Greta e di cui, come sempre, Elia ne aveva solo sentito parlare.
Alla fine trascorsero il pomeriggio insieme, finché a Greta non venne in mente che doveva tornare a casa.
«Va bene, ti riaccompagno.» Elia la prese sottobraccio.
«Ma così poi ti devi fare il doppio della strada. Guarda che non mi perdo.» protestò debolmente lei.
«Poi voi donne dite che la cavalleria è morta.» si lamentò lui, sollevando lo sguardo al cielo con aria affranta. Lei scoppiò a ridere.
«Non sia mai, cavaliere senza macchia e senza paura!» recitò a tono. E così si avviarono verso la periferia. Presero un autobus e fecero un altro quarto d'ora a piedi e finalmente arrivarono al condominio dove viveva Greta.
«Eccoci qui. Vuoi salire?» disse lei, una volta al cancello.
«No, tranquilla. Ti saluto qua.» l'attirò a sé e la baciò.
«Ehm, ciao sorella.» i ragazzi voltarono la testa in direzione della voce.
«Mattia, cosa ci fai tu qui?» indagò Greta, lanciando un'occhiata divertita ad Elia.
«Potrei farti la stessa domanda. Non dovevi tornare per le due? Sai che ore sono oppure siete andati sul pianeta Venere e non siete ancora tornati?» il ragazzino fece la linguaccia alla sorella che scosse le spalle.
«Touche.» rise Elia scompigliando i capelli a Mattia.
«Ciao mascalzone, come stai?» 
«Bene, ma starei meglio se vi toglieste dai piedi e mi faceste entrare. Poi potete continuare a limonarvi.»  ribatté il monello facendo un salto avanti e suonando il campanello.
«Mattia!» esclamò scandalizzata Greta, ma il suo rimprovero si perse nel freddo.
«Greta?» rispose una voce femminile dal citofono.
«Sì mamma siamo noi. E c'è anche Elia che si...» rispose il bambino, ma Grata gli tappò la bocca prima che potesse concludere la frase.
«Vi aspetto, coraggio.» disse la voce e i cancelli vennero aperti.
Elia rimase indietro titubante. Fu Mattia a tornare indietro e afferrandogli la mano dicendogli che non poteva scappare.
Non era la prima volta che capitava che venisse invitato a casa di Greta. Nei primi tempi era riuscito ad evitare di incontrare gli altri membri della sua famiglia, nonostante gli sembrasse di conoscerli per via dei commenti e dei racconti della ragazza.
Attraverso le parole di Greta, Elia aveva conosciuto per primo il fratellino, un bimbo sveglio e monello di undici anni, di cui la ragazza non finiva mai di lamentarsi, ma si preoccupava ogni volta che avesse fatto i compiti, lo accompagnava quando poteva dagli amici, a scuola o a nuoto. Quindi aveva imparato a conoscere i suoi genitori: lui lavorava, lei casalinga che riusciva a farsi in quattro e ad essere onnipresente per le esigenze dei figli.
Erano il ritratto di quella che si definisce una famiglia felice, insomma. Pensare a loro in un certo senso gli faceva sempre molto male: era vedere un piccolo universo composto di gesti, parole, attenzioni che non gli erano familiari, ma allo stesso tempo respirare l'aria di quella casa era un barlume di luce su quanto lui non avesse e di cui sentiva fortemente bisogno.
Dall'altra parte era una gioia ritrovarsi coinvolto, era come tornare indietro nel tempo ed era una sorta di balsamo per le sue inquietudini.
Mattia, il fratello monello, si era legato a lui quasi subito ed Elia ricambiava quell'affetto sincero con tutto il cuore. Poi c'era la signora Cerri, una donna serena e ridente, in grado di tenere a bada l'esuberanza del figlio con un'occhiata minacciosa e spronare la figlia con poche parole azzeccate.
Il padre di Greta era un architetto e aveva un suo studio in centro, preciso e corretto in ogni suo gesto e parola. Quando tornava a casa la sera abbandonava la ventiquattrore e il cappotto e salutava tutti con un sorriso stanco.
La prima volta che si erano incontrati aveva stretto la mano di Elia scrutandolo con attenzione, mano a mano però che si erano conosciuti era passato da quell'aria di diffidenza, a cui infondo Elia era abituato, a una molto più amichevole e complice, il che lo lasciava alquanto a disagio, non sapendo come comportarsi: viveva nella costante ansia di doversi difendere da un attacco improvviso, come una preda braccata.
«Mi stavo per preoccupare, Greta. La prossima volta avvisa, un sms non ti uccide mica.»
«La perdoni signora, la colpa è mia. Mi sono messo a camminare e il tempo ci è volato via.» si frappose Elia.
«Non difenderla sempre, tu. E dai a Mattia la tua borsa che la mettiamo di là.» lui si rese conto di stringere la tracolla.
«Oh...»
«Perché, non ti fermi a cena?» gli chiese la signora. «Guarda che non è un problema, un piatto di minestra lo tiriamo fuori.»
«Perfavoreperfavoreperfavore.» gli fece gli occhioni dolci il bambino, aggrappato anche lui alla tracolla, ripetendo quelle parole come una cantilena. Elia alzò lo sguardo e intercettò quello di Greta che gli sorrise.
«Non guardare me, la colpa è sua.» gli disse, indicando il fratello.
«Ehi! Io non ho fatto niente!» protestò lui, ma Elia si stava già togliendo la borsa e con una mano acchiappò il bambino.
«Tu sei il solito ficcanaso.» lo rimbrottò sollevandolo di peso.
«Lasciami! Lasciami!» gridò ridendo il ragazzino, cercando di divincolarsi.
Quando Mattia si interessò alla televisione, Elia si spostò in cucina, dove Greta e sua mamma stavano chiacchierando mentre iniziavano i preparativi per la cena.
«Sono andate bene le lezioni?» le stava chiedendo.
«Sì, come al solito. Il problema sono i tirocini, lo sai. Non si capisce mai niente e organizzazione zero.»
«Ne devi fare ancora molti?» si intromise lui, sedendosi al tavolo e aiutandola a sbucciare le patate.
«Mi mancano ancora cento ore circa. E poi, se Dio vuole, posso iniziare a cercare qualcuno per fare la tesi.» gli rispose.
«Hai deciso l'argomento che ti piacerebbe?» fece la signora, di spalle perché rivolta ai fornelli.
«Sì, mamma, ne abbiamo già parlato. Se voglio diventare ostetrica, l'argomento deve essere qualcosa collegato al parto e alla nascita del bambino.» Elia le sorrise. La vedeva con guanti e mascherina a far nascere piccoli mostriciattoli urlanti.
«E tu Elia, tutto bene? Greta mi ha detto che sei stato dai tuoi questo weekend.» fu come se delle unghie si fossero messe tutte assieme a grattare su una lavagna. Elia però si fece forza e deglutì.
«Tutto bene, grazie.» si concentrò sul lavoro che stava facendo e non vide che Greta faceva segno alla mamma di smettere.
«Hai più visto la signora Abis, Elia?» ruppe quel momentaneo silenzio la voce tranquilla di Greta.
Lui sollevò di nuovo lo sguardo e cercò di riprendere la conversazione.
«Non ancora, tra l'altro devo sempre sistemarle la tapparella del bagno che è bloccata.»
«Se serve una mano possiamo chiedere anche a Fede.» tentò la mamma di Greta. Elia la guardò, cercando di dirle che non era in alcun modo contrariato.
«Credo di potermela cavare da solo, a ogni modo grazie.»
Arrivarono le venti, il padre di Greta rientrò dal lavoro e tutti si misero a tavola ridendo e scherzando.
«Signori, la compagnia è magnifica, ma l'ora è tarda e io devo far ritorno all'ovile.» disse ad un tratto Elia quando si rese conto dell'ora.
La signora guardò l'orologio.
«Accidenti è vero. È tardissimo. Mattia smettila subito di giocare e vai a letto.» spronò il figlio che prontamente si lamentò.
«Dai, mamma, finisco la partita.»
«Nemmeno per idea, la finisci domani dopo i compiti.» ribatté la mamma mentre si alzava.
I due iniziarono una trattativa fatta di botta e risposta.
Greta sbadigliò.
«È tardi, sì.» disse piano Elia, facendo scorrere un dito sulla guancia della fidanzata.
«E domani tutti ci alziamo presto. Greta porti di là tu queste tazzine, così posso dare uno strappo al nostro Elia?» lui girò di colpo la testa.
«Non si deve preoccupare per me, signor Cerri. Ci sono i bus.» cercò di dissuadere l'altro.
«Non fare complimenti, non so più come dirtelo.» gli disse con gentile fermezza, facendo morire tutte le proteste del ragazzo, che sorrise e accettò l'offerta.
Salutò i signori Cerri, il piccolo di casa addirittura corse in pigiama dal bagno, lo abbracciò e proseguì a spazzolarsi i denti, poi Elia strinse a sé la ragazza, aspirando il suo aroma che sapeva di cose buone.
Quindi con il signor Cerri scesero e salirono in macchina, iniziando il viaggio di ritorno.
«Ehi, domenica porto la truppa a vedere un film da ridere, visto che ultimamente il lavoro mi rapisce. Ti va di unirti a noi o devi studiare?» gli chiese con tono allegro il signor Cerri, mentre superavano incroci e rotonde, seguendo le indicazioni del ragazzo.
«Guardi verrei più che volentieri, ma lo studio mi reclama.»
«Immagino, comunque se cambi idea non farti problemi.»
«Grazie davvero.»
«Ma di cosa.›› rimase in silenzio per qualche attimo, poi riprese a parlare. 
‹‹Sai, Greta non ci ha presentato tutti i suoi spasimanti. E tu sei quello che è riuscito più di tutti a conquistarsi l'affetto di Mattia. Essendo il fratellino minore, è sempre stato geloso. Bisogna dire che ci mette del suo per combinarle, ma tu hai resistito e vinto i suoi attacchi» Elia annuì, stava cercando di capire dove volesse andare a parare il padre di Greta.
«In realtà non ho dovuto fare chissà cosa. E poi è un ragazzino a posto, sa come farsi voler bene se si sa leggere tra le righe.» spiegò Elia. L'uomo lo guardò con quella sua aria calma e serena.
«Non è da tutti, credimi.» fece una piccola pausa ed Elia si rese conto che quello era il punto cruciale che gli interessava discutere, aveva cambiato tono: «Greta mi ha confidato che ogni tanto sparisci nel tuo appartamento. Ora, senza girarci troppo attorno, siamo entrambe persone adulte: Greta ne rimane sempre molto turbata perché non è in grado di aiutarti.
Da parte mia posso dirti che ormai ho visto di che stoffa sei fatto, ma se hai problemi possiamo provare a parlarne e cercare una soluzione.» erano arrivati al palazzetto di Elia e avevano parcheggiato.
Aveva ascoltato tutto il discorso dell'uomo e per la prima volta non aveva avuto sentore di nessuna minaccia né giudizio. Gli aveva fatto solo un discorso preciso in cui metteva in chiaro i punti in ombra.   
Fece per parlare, ma l'uomo riprese parola.
«Vorrei chiederti di non prendertela con Greta, lei mi ha parlato in confidenza perché ho insistito.»
«Non sono in alcun modo arrabbiato con Greta e sono molto dispiaciuto di farla preoccupare, a dirla tutta.»
«Ma non puoi farne a meno?»
«È così.»
«Si percepisce che sotto l'apparenza c'è qualcosa di molto più oscuro e profondo, infatti. Sembri convinto di dover affrontare tutto da solo.» Elia lo guardò negli occhi, poi concentrò lo sguardo in avanti oltre il parabrezza. La notte era buia, le nuvole coprivano il cielo. Sentì la mano dell'uomo posarsi sulla sua spalla, non si mosse.
«Non so contro cosa ti stai battendo, Elia. Ma smettila, altrimenti la tua guerra ti consumerà.» lui chinò il capo.
«Voi siete persone di buon cuore. Io conosco persone che non sono buone e pensano solo ai propri fini. E ho un compito da svolgere, prima che io possa mettere fine alla mia guerra.» mormorò tra i denti.
«Immaginavo avresti risposto così. Ricorda però che anche la persona più paziente del mondo si può spazientire.» Elia annuì, sentendo un nodo allo stomaco.
«Lo so.» aprì la portiera e scese, ma prima di chiuderla si chinò in avanti.
«Signor Cerri?» chiamò.
«Sì?»
«Grazie.» l'altro gli sorrise.
«C'è un motivo per cui i capelli diventano bianchi, tranquillo. Buona notte.»
«Anche a lei.» Elia rimase a guardare la macchina allontanarsi fino a diventare due puntini luminosi.  
  
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