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Autore: BabaYagaIsBack    19/02/2017    2 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo Sesto - Parte Prima

"Your imagination gets so twisted when you
Think you've seen my worst but 
have an instinct that can never be reversed
My vengeance is a curse"

- Kill or be killed (new year's day)

Innsbruck, Primavera del 1743

Zenas fece per avvicinarsi alla sconosciuta. Allungando una mano verso il suo viso, incuriosito dallo stato di mutazione tanto avanzato, provò a scostarle una ciocca di capelli, ma ella balzò indietro, muovendosi al pari di un animale in trappola. La vide arretrate fin quando il muro non le impedì di proseguire nella fuga e, poi, rannicchiarsi a terra in un gesto d'inutile difesa. Nascosta tra la libreria e il camino, nella penombra inframmezzata dalle lingue di fuoco che di tanto in tanto facevano scoppiettare i tocchi di legno, il Greco poteva leggerle in viso paura e confusione - e amaramente, come già era capitato in passato, rivide in lei il sé che aveva seguito il lazerikhah
Ricordava ancora la moltitudine di emozioni che lo avevano assalito quel giorno, la percezione differente di tutte le cose che gli stavano attorno; la vista più acuta, l'udito più fine, la carne stranamente insensibile. Non aveva dimenticato l'agitazione nel ritrovarsi coperti di sangue, il panico dato da un incubo atroce che non pareva avere conclusione e, men che meno, i pensieri di quella sera - pensieri che si era presto reso conto essere più veri e terrificanti di quanto la sua umana concezione avesse mai potuto concepire. Morire e resuscitare nelle stesse carni di sempre, seppure diverse, era qualcosa di spiazzante, ma non impossibile a quanto aveva scoperto, esattamente come accettare quella verità. E la sconosciuta che aveva di fronte in quel momento avrebbe a sua volta dovuto comprenderlo: in caso contrario, se non il corpo, sarebbe stata la mente a tradirla - e probabilmente ucciderla.

Con la mano ancora a mezz'aria, rivolta verso la ragazza, Akràv si chiese per quale stupida ragione Salomone ne aveva infine creata un'altra. Per quale motivo, il suo Re, aveva voluto aggiungere alla propria collezione una nuova Chimera, o l'ennesimo fallimento, in caso il suo involucro di carne avesse rigettato l'anima e l'Ars? Possibile che dopo tutti quegli anni, i decenni e i secoli, per non parlare delle promesse, il loro Signore non aveva ancora compreso quanto orribile poteva essere un'esistenza come quella? Erano perennemente costretti a fuggire, mentire e uccidere al pari di sicari, nascondendosi senza mai costruire nulla di realmente concreto. Zenas non lo avrebbe mai augurato a nessuno, nemmeno ai suoi peggiori nemici - seppur in tutto quel male avesse trovato anche del bene.  
Però, mentre i suoi occhi scuri si concedevano qualche altro istante di esitazione sull'estranea, si ricordò le parole che erano state pronunciate qualche tempo prima proprio dall'uomo che ora se ne stava seduto alle sue spalle, in attesa: niente più figli del sangue e dell'alchimia, nessuna riapertura delle porte dell'Inferno. Erano già in cinque, accollarsi una nuova vita avrebbe significato un maggior consumo dell'Hagufah e, quindi, trasmutazioni più frequenti. Per quanto Salomone sembrasse essere immortale, nonché imperturbabile di fronte alle leggi del mondo, la continua pratica dell'Ars faceva sì che i contenitori si consumassero più velocemente, costringendo tutta la famiglia a compiere un nuovo trasferimento dell'anima in lassi di tempo sempre meno lunghi. 

Nonostante quella consapevolezza però, il Re aveva deciso di venir meno alla sua stessa parola, dando vita a lei: ma perché? Cosa aveva di tanto speciale una fanciulla del genere? Non era bella come Colette e men che meno sembrava astuta o calcolatrice come Willhelmina, ma a prescindere da ciò era lì, in casa loro, e condannata al medesimo destino.

«Mi zeh?» chiese ritirando la mano. Con un sospiro tutt'altro che rassicurante Akràv si rimise dritto, scrutando senza sosta la giovane ancora rannicchiata nell'angolo. Da sotto al cappotto con cui Levi l'aveva avvolta si poteva intravedere l'elegante vestito ornato di pizzi e merletti, di un colore simile al tramonto. In più punti, soprattutto nella parte appena sotto al bustino, ma probabilmente anche più su, chiazze scure raccontavano l'atrocità di ciò che l'aveva portata sin lì. Sicuramente, oltre che della sua morte, quell'abito recava con sé informazioni riguardanti le sue origini: a occhio e croce, constatò la Chimera, quella fanciulla doveva far parte della borghesia con cui Salomone, Nakhaš e Wòréb s'intrattenevano nei salottini di Innsbruck alla ricerca di persone o investimenti con cui assicurarsi affari proficui.

Il Signore d'Israele si sistemò una ciocca sfuggita dalla coda. Da quando erano rientrati, con quella tizia al seguito, non doveva essersi concesso alcuna tregua, visto l'aspetto.


«Alexandria Orsòlya Vàradi. Zott habatt rozenn Gàbor Andràs Vàradi» il tono pacato fu un mero tentativo del Re di far apparire la confessione meno grave, peccato che non ebbe l'effetto sperato. 
Ci fu un lungo istante di silenzio in cui Zenas corrugò le sopracciglia tanto d'avvertire una specie di fastidio, ma rimase muto, incapace di comprendere se quello del suo Sovrano fosse un pessimo scherzo o la terribile verità. Aveva idea di cosa comportasse la trasmutazione di quella donna? Non era una prostituta qualsiasi, come loro sorella maggiore, e nemmeno si trattava di una condannata a morte al pari di Akavish: quell'affarino terrorizzato era la figlia di un nobile, un uomo che avrebbe potuto aizzargli contro i seguaci del Cultus.

«Zott atsili!» ringhiando, Akràv ribaltò una delle sedie presenti attorno al tavolo a cui era appoggiato Salomone. Il legno colpì con inaspettata violenza il pavimento, facendo ancora una volta sussultare la nuova arrivata. Con la coda dell'occhio il Greco scorse Alexandria prendersi la testa tra le mani, soffocare l'ennesimo singulto. Un gemito però le sfuggì di bocca, attirando con preoccupazione le attenzioni del Re che, fino a quel momento, non aveva smesso di osservare l'amico. Sul suo viso, pallido e scavato dopo lo sforzo della trasmutazione, fu fin troppo facile scorgere l'intensità dell'interesse che nutriva per quella creatura e, voltandosi a sua volta nella direzione di lei, Zenas si sentì stringere il cuore. Nell'osservarla in quella posa di totale fragilità, gli fu impossibile non provare per lei una tenerezza assoluta, un'empatia tale da fargli desiderare di placare tutto ciò che in quel momento la stava tormentando - purtroppo però, in un angolo recondito del suo cuore, non poté fare a meno di pensare alla sua involontaria pericolosità. Alexandria Orsòlya Vàradi era una Contessa, non sarebbe mai passata inosservata fino al giorno in cui i suoi cari sarebbero rimasti in vita, ma soprattutto, era stata la prima persona a far cambiare idea a Salomone: per lei, il loro Signore aveva infranto una delle sue promesse.
 


 

 

Venezia, giorni nostri

In quel preciso momento, con Z'èv riversa sul pavimento, a Zenas parve di fare un salto indietro nel tempo. Con la mente tornò al giorno in cui l'aveva vista per la prima volta, spaventata e piagnucolante in un angolo, con la stoffa del bell'abito imbrattata di sangue e il corpo soggiogato da una mutazione che, ora, a distanza di anni, era diventato il suo vero aspetto. La Contessina Vàradi era nuovamente ai suoi piedi e, come in precedenza, Akràv si sentì un mostro di fronte a quegli occhi sbarrati.

«Alexandria...» la chiamò con voce spezzata, ignorando gli insulti che il fratello continuava a rivolgergli mentre lo strattonava lontano da lei: «ani mitseta'erett. I-io... no-non so cosa-cosa...» Levi tirò ancora, costringendolo a spostare lo sguardo sui suoi occhi serpentini. 
Le pupille di Nakhaš, due spilli in un mare d'oro e smeraldo, se ne stavano fisse nelle sue e i canini, così lunghi e sottili, riuscirono ad apparire fragili e al contempo pericolosamente letali, forse più della sua coda a pungiglione. La pelle sugli zigomi della prima Chimera iniziò a sollevarsi, dando forma a piccolissime scaglie rosee e dalla sua gola, in profondità, un verso raggelante impedì al Greco di distrarsi da ciò che aveva innanzi. 

«Non ti azzardare a toccarla di nuovo». Nella voce del Generale d'Israele vi era un'imperiosità tutt'altro che rassicurante; la sua sembrò una vera e propria minaccia, una lama d'argento puntata alla gola di Zenas che, involontariamente, se ne sentì realmente addosso la punta. L'uomo avvertì la pericolosità di qualsiasi movimento, sarebbe persino bastato un respiro sbagliato per riversarsi contro la furia di Levi - ed era conscio che, mutazione o meno, non sarebbe riuscito ad avere la meglio contro la creatura più antica del mondo. 

Così attese, sentendo la tensione aumentare a ogni secondo di silenzio. Le pupille del fratello sembrarono voler recidergli la pelle del viso, oltrepassare la carne e strappargli dal cranio i pensieri, ma dopo un tempo che parve infinito, ciò che accadde fu ben diverso. Seppur evidentemente riluttante all'idea di lasciarlo andare, Nakhaš mollò la presa su di lui, volgendosi infine verso la sorella e porgendole con riverenza le proprie dita in aiuto - fu inevitabile, osservando quell'insolita scena, non sentirsi un vero mostro. L'aveva quasi uccisa, Sant'Iddio! Lui, che si era sempre prodigato nel proteggere lei e qualsiasi altro dei fratelli più piccoli, aveva infine attentato alla sua vita; e l'avrebbe ammazzata, ne era certo, se per miracolo divino non si fosse accorto del grigio dei suoi capelli, se nel passargli accanto non avesse generato un fastidioso pizzicorio alla schiena. 

Eppure era riuscito a evitare la tragedia, anche se con alcuni noiosi risvolti. Come avrebbe fatto a fidarsi ancora di lui, a guardarlo con il solito cipiglio amorevole, tipico di una sorella, dopo che le aveva puntato il pungiglione  alla nuca con il chiaro intento di spezzarle l'osso del collo?

Zenas strinse i pugni, li serrò tanto che le nocche sbiancarono e, con un gesto di stizza, allontanò lo sguardo dai due visitatori: non se la sentiva d'incontrare le loro espressioni colme di paura e disprezzo - non un'altra volta. Gli erano già bastati l'odio di Colette, la disapprovazione di Willhelmina e la delusione di Hamza, non aveva bisogno d'altro. Dopo trent'anni dall'ultimo incontro con la sua famiglia, tutt'altro che roseo, il Greco aveva sperato che la riunione successiva fosse meno brutale, che tra i presenti riaffiorasse solo il desiderio di stare insieme, non di allontanarsi il più in fretta possibile dalla sua persona, da colui che si era assunto la responsabilità di colpe non sue.

Con gli occhi rivolti altrove, sempre più combattuto, provò a trovare dentro di sé la forza per dire qualcosa, per sibilare l'ennesima scusa, per giustificarsi, per cacciare quei due prima che potessero accanirsi contro di lui, ma le labbra parvero incollarsi tra loro, rifiutandosi di ubbidire alla volontà.
Dekára!, sibilò allora tra i pensieri, mordendosi la lingua. Possibile che fosse diventato così incapace? Possibile che non riuscisse a prendere alcuna posizione, nemmeno in una situazione del genere? Avrebbe dovuto agire, eppure ogni gesto gli sembrava sbagliato. Scusarsi aveva un sapore amaro, sapeva che avrebbe nuovamente aizzato le ire di Levi, eppure persino cacciarli gli appariva come la scelta peggiore da prendere: dopotutto erano arrivati sino a Venezia per lui, qualcosa doveva pur dire, no?
Imprecando tra sé e sé, Zenas si estraniò da ciò che stava avvenendo poco più in là, così, quando un tocco dapprima lieve, poi sempre più intenso lo sfiorò, si ritrovò a sussultare. Le sue membra vibrarono, i brividi lo invasero senza alcun preavviso e il cuore gli balzò in gola.
Lentamente avvertì il corpo di Alexandria stringersi al suo, cingergli la vita con le braccia esili, poggiare la testa contro il suo torace e restare innocentemente in ascolto - e a quel punto, nonostante sapesse a quali guai sarebbe potuto andare incontro, sentì la gioia scoppiargli nel petto.
Era sì, un mostro tra mostri, il peggiore tra i diavoli visto ciò che era successo poco prima, eppure era anche l'uomo più felice del mondo nel poter affondare il viso tra i capelli della sorella e ricambiare con vigore quell'abbraccio.

«Ani mitseta'erett...» le sussurrò a ridosso dell'orecchio, certo che quelle scuse avrebbe ora avuto tutt'altro significato.
C'era un tempo per ogni parola, avrebbe dovuto saperlo ormai, e alle volte persino pochi minuti, se non addirittura secondi, potevano fare la differenza.

Z'év aumentò lo stretta: «Lo khashuv, akh» e, scostando il viso dal suo petto, tentò di abbozzare un sorriso. 
Non era cambiata, constatò l'uomo, nel suo sguardo poté ritrovare la stessa bontà che aveva abbandonato anni prima - e fu abbastanza per fargli capire che, nel pronunciare quelle parole, sua sorella non stava mentendo, era realmente consapevole di quanto fosse dispiaciuto per quell'incidente.

Restarono fermi a guardarsi per lunghissimi istanti, entrambi commossi nel ritrovarsi - perché seppur trent'anni non fossero nulla per i loro corpi, lo erano per le anime e, forse, pensò l'uomo a quel punto, umani erano stati e umani sarebbero sempre rimasti.

Lazerikhah : Risveglio
Hagufah : Corpo
Mi zeh : Chi è?
Zott habatt rozenn : E' figlia del Conte
Zott atsili : E' nobile
Dekára : Dannazione (greco)
Ani mitseta'erett : Mi dispiace
Lo khashuv : Non importa 

(Nonostante la revisione sono ancora poco convinta...)

 
 
   
 
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