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A lui piacevano le gambe lunghe e i capelli vaporosi; l'assenza di qualsivoglia inibizione intrisa in ogni tocco, in ogni affondo, in ogni spinta, in ogni bacio.

Voleva emozioni, voleva sentire l'adrenalina di un velocista allo stremo dello sforzo fisico. Voleva sesso.

Carnale, spontaneo, idilliaco, peccaminoso sesso — e non se ne vergognava perché, diamine, era un uomo.

Un portentoso uomo, dotato di occhi capaci di osservare e carpire, e di una mente acuta abbastanza da comprendere e inventare.

E gli piaceva il sapore di un paio di fossette perché era sensibile alla bellezza, vero; ma amava troppo le nuvole.

Milioni di trilioni di molecole tra di loro assemblate e combinate e reagenti, malleabili e al tempo stesso indipendenti. Granelli di un puzzle che circondava le case, che era parte di ogni cuore palpitante sul pianeta.

Tony Stark amava la vita, amava la sua essenza, e chiunque riuscisse a vederla davvero.

Amava il brillante, l'ingegnoso, l'ironico genio.

E Jane Foster lo era; era un genio davvero.

Un genio che guardava più in là delle nuvole, che parlava di parti della sua stessa musa a lui ignote, che irradiava conoscenza — qualità degna del più intenso degli orgasmi, a parer suo.

Jane aveva milioni di sillabe intrecciate tra i capelli, combinabili in uno sfiorar di dita in tante parole diverse.

Era tutto un mondo racchiuso in meno di un metro e mezzo di sagace parlantina. Implacabile, instancabile, curiosa, degna rivale e pari.

Era geniale, era brillante. Era testarda. Era umana, dunque tangibile e reale, ma al tempo stesso, in qualche modo, lontana un centimetro di troppo.

E come avrebbe potuto, Tony, in qualsivoglia modo, non amarla?

 

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