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Autore: Ormhaxan    21/02/2017    3 recensioni
Scandinavia, IX secolo. Nella società norrena, molti sono quelli che desiderano il potere, ma pochi sono quelli che lo detengono: Ragnar Loðbrók è il sovrano più rispettato e temuto di tutti e i suoi figli, vichinghi forgiati da numerose battaglie, sono pronti a prendere il suo posto, disposti a tutto pur di salvaguardare il loro onore e il proprio nome.
In una storia che narra di vendetta, di morte, ma anche di amore, si intrecceranno le vite di Sigurd Ragnarsson, Occhio di Serpente, e di Heluna, principessa di Northumbria, figlia dell'uomo che, più di ogni altro, ha osato sfidare l'ira dei giovani vichinghi.
Dal Prologo: "Vedo il serpente strisciare nella tana del cinghiale e la sua prole dilaniarlo, vendicando il proprio nome; vedo un’aquila ricoperta di sangue sorvolare i cieli oltre il mare, un giovane serpente venire addomesticato da una principessa dagli occhi tristi e i Figli del Nord prosperare per mille anni."
Genere: Avventura, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Medioevo
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NORD_3

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CAPITOLO REVISIONATO E AMPIAMENTE MODIFICATO IL 24/09/18


 


Il sole non era ancora sorto quando si ridestò. Occhi spalancati nella penombra della stanza illuminata solo da una fioca luce che, timida, penetrava delle tende della finestra, Heluna continuava a pensare e ripensare a ciò che sarebbe accaduto dopo poche ore: il suo signore e padre avrebbe incontrato la morte in quel giorno di fine Marzo, sarebbe stato sottoposto ad una condanna a morte crudele, lenta e sanguinosa a cui ogni norreno avrebbe assistito.
Vendetta si sarebbe compiuta, come continuava a ricordarle Sigurd, e l’onore del condottiero Ragnar e quello dei suoi figli sarebbe stato risanato.
Tutto era oramai pronto, al morire del sole nascente il rito avrebbe avuto inizio ed Heluna, unica erede al trono di Northumbria e discendente del condannato sovrano, avrebbe assistito impotente a tutto ciò, cercando di dimostrarsi forte e distaccata.
Non molti anni prima aveva visto sua madre morire dissanguata dopo un parto lungo e complicato, due giorni dopo il bambino nato prematuramente: era una bambina all’epoca, aveva solo dieci anni, ma ricordava ancora vividamente le coperte imbrattate di sangue, la pelle pallida di sua madre da cui si intravedevano le violacee vene; ricordava i suoi lamenti sommessi e, più di tutto, ricordava lo sguardo colmo di terrore che le aveva riservato quando si era accorta della sua presenza nella stanza da letto impregnata dell’odore metallico dal sangue e la sua voce stridula che ordinava alle dame di condurre la sua unica figlia il più lontano possibile da quella stanza in cui, poco a poco, la Morte stava strisciando silenziosa.


Ora lei è in Paradiso, di questo ne sono sicura, — si disse Heluna, prima di voltare il capo verso Sigurd, ancora placidamente addormentato — eppure se diverrò la moglie di Sigurd dovrò abbandonare la mia religione, il mio Dio, e abbracciare quella dei pagani; dovrò credere in un luogo diverso dal Paradiso celeste, popolato dai puri di spirito e dai beati, un posto di cui non possiedo conoscenza…
Sigurd le aveva parlato di un luogo governato da Hel, regina dei morti dal volto per metà livido e dall’animo freddo e impassibile, e poi ovviamente c’era il Valhalla, la grande sala in cui venivano accolti coloro che cadevano in battaglia e a cui ogni norreno aspirava.
Non c’è alcun Paradiso per loro, solo il buio eterno e la fine del mondo… —

 Si mise a sedere e, portate entrambe le mani al petto, cercò di rallentare il battito del suo cuore: una parte di lei, quella che credeva fermamente nel Paradiso, sarebbe per sempre rimasta fedele alla fede cristiana; l’altra, invece, quella che credeva ai sogni voluti da Odino, negli stessi sogni che le avevano concesso di avere Sigurd nella sua vita, sarebbe stata per sempre debitrice agli Æsir e non avrebbe mai messo in discussione la loro esistenza.
Potevano, dunque, esistere entrambi? Poteva Dio convivere con Odino, Thor e tutti gli altri dèi venerati dal popolo giunto da Est? Era giusto credere in entrambi o solo e soltanto uno era la scelta giusta? Heluna non sapeva dare una risposta a tutte queste domande, persino farsele le sembrava sbagliato, un atto di tradimento verso ciò in cui aveva sempre creduto.

«Cosa succede?» chiese Sigurd con voce impastata di sonno.
Qualcosa lo aveva destato, il suo istinto lo aveva prontamente avvertito che qualcosa stava accadendo, che Heluna non era più addormentata al suo fianco e che quest’ultima aveva bisogno di lui e del suo affetto.
«Dove vanno le anime dei defunti quando muoiono?» chiese senza guardarlo «Mi parlate sempre del Valhalla, della dimora che attende coloro che cadono in battaglia, ma non avete mai detto dove vengono portate le altre, quelle che muoiono di vecchiaia o malattia.»
Sigurd si accigliò nell’udire quella domanda, ma senza indugi rispose: «Hella, figlia di Loki l’ingannatore, provvede a quelle anime per volontà di Odino. Lei è signora dell’Niflheirm, il mondo della nebbia e del gelo situato a Nord, e giudica le anime e le trattiene nella sua dimora dalle alte mura.»
«Dunque è l’Inferno, il posto dove vanno le anime dei defunti è l’Inferno?»
Sigurd scosse la testa: «No, poiché per chi ha vissuto nella giustizia e nel rispetto delle leggi non subisce punizioni o la dannazione.» chiarì prontamente «Per i malvagi c’è un altro regno, più oscuro e profondo, dove non c’è luce o speranza alcuna: esso è chiamato Niflhel e ospita le loro anime dopo che queste sono transitate al cospetto di Hella.»
Heluna annuì quasi impercettibilmente, ascoltando quelle ancor confuse spiegazioni e non proferì parola: era ancora tutto troppo nuovo per lei, probabilmente non avrebbe mai accettato totalmente l’idea di un luogo così tetro e raccapricciante, il pensiero di ciò che, se quello che credevano i vichinghi era vero, attendeva le anime dei suoi cari e la propria.
«Perché tali domande, cosa turba la vostra mente?»
Heluna guardò Sigurd con la coda dell’occhio, cercando di osservare ogni sfumatura del suo viso nella penombra che li circondava: «Mi sono destata dal mio sonno pensando a mio padre, a ciò che lo attenderà dopo…» sospirò, cercando a non pensare a ciò che sarebbe accaduto nel giro di poche ore «Poi ho ripensato a mia madre, all’ultima volta che l’ho vista e al giorno in cui e morta; ho pensato a lei, alla sua anima beata in Paradiso, ma poi mi sono domandata…»
La voce della principessa si incrinò leggermente e fu Sigurd a proseguire: «Vi siete chiesta dove vanno le anime dei pagani dopo la morte, se crediamo in qualcosa di simile al vostro Paradiso. Non è così?» chiese retoricamente e lei annuì «Mi dispiace di non aver potuto consolare la vostra anima, darvi delle risposte più liete, ma è in questo che non crediamo. Tuttavia, questo non significa che voi non dobbiate credere nel Paradiso, sperare che l’anima di vostra madre abbia raggiunto il luogo in cui, per tutta la sua vita, ha creduto.»
Heluna sorrise, ma il suo sorriso non conteneva gioia, ma solo tristezza: «Credo di aver iniziato a pensare al dopo a causa di mio padre, ma ora è per la mia anima che temo: sono confusa, sento di aver perso la retta via, di non saper più distinguere ciò che è vero dal falso; ho il terrore di venir condannata alle fiamme dell’inferno per ciò che ho fatto e farò, ma più di ogni altra cosa è la paura di non poter trascorrere l’eternità con voi a farmi spavento.»
I suoi occhi si riempirono di lacrime e, prontamente, Sigurd le circondò il corpo con le braccia e la strinse forte al suo petto: «Non dovete pensare a questo, non adesso: il futuro davanti a noi è così luminoso e non permetterò a queste paure di rovinarlo.»  le asciugò le lacrime con i polpastrelli callosi «Dal canto mio, non permetterò alla vostra anima di essere dannata, come dite voi, tantomeno di entrare nel più buio dei nove mondi.»
«Non spetta a voi decidere della mia anima.»
«No, ma se posso farò tutto ciò che è in mio potere per preservarla… - si accigliò per un istante – Potrei far costruire una piccola chiesa da qualche parte, portare uno o due di quei dannatissimi preti con noi e, non so, permettervi di pregare e continuare a professare la vostra religione se lo vorrete.»
«Lo fareste davvero?» chiese la principessa, sbalordita.
«Suppongo di sì…» scrollò le spalle «Sì, credo di sì.»
 
Heluna posò la guancia contro il petto di Sigurd e sospirò con gli occhi chiusi: forse, per il momento, quelle paure potevano essere messe da parte; forse, la cosa più giusta era non pensarci e concentrarsi sul presente, su ciò che aveva e ciò che presto avrebbe avuto.
«Stendetevi nuovamente al mio fianco, stringetevi a me. C’è ancora tempo prima che la città si svegli e possiamo spenderlo insieme, abbracciati l’uno all’altra come una di quelle coppie di innamorati di cui cantano i menestrelli.»

E così rimasero, abbracciati nella luce dell’aurora: non parlarono per molto tempo, i loro occhi non si incontrarono e le loro menti diventarono due isole distanti, proprio come lo erano le terre in cui erano nati.
Quella stessa distanza avrebbe potuto distruggerli lentamente con il passare degli anni, condannarli ad una vita di rimpianti, in cui l’amore che adesso provavano avrebbe potuto tramutarsi in odio e dolore. Tutto era in bilico, il loro futuro era sospeso su di una linea sottile come quella che divideva il mare dal cielo; stava a loro decidere se tagliarla o renderla più forte, immune alle intemperie e all’erosione delle stagioni.

 

**



Il sole stava morendo ad Ovest con la stessa eleganza con cui, al mattino, era sorto ad Est.
Nell’ampio cortile cinto da mure, alle cui spalle si erigeva la dimora dei sovrani della Northumbria, era stato allestito un altare di legno, attorno al quale erano state accese fiaccole dalle vivide e alte fiamme, disposti suonatori che, con ritmo regolare, battevano con forza contro le pelli dei rudimentali tamburi dai suoi spettrali.
Ogni pagano si era radunato, gremendo ogni più piccolo pezzo di terra bruna, impaziente di assistere all’antico rito dell’Aquila di sangue, alla morte dell’uomo che, più di ogni altro, si era macchiato di una colpa imperdonabile e aveva attirato sul suo capo l’ira degli dèi.
Heluna, come tutti gli altri presenti, era stata convocata a partecipare al rito, a guardare suo padre venir ucciso in un modo barbaro, udire le sue urla strazianti e osservare la sua anima abbandonare lentamente il corpo mortale.
«Credo che possa andare più che bene così.» disse al suo riflesso leggermente opaco nello specchio, sfiorandosi distrattamente i capelli perfettamente acconciati «Grazie, Mary.»
La ragazza, sua coetanea e amica, sorrise: era l’unica di tutte le sue ancelle a cui era ancora concesso di vederla; l’unica, in quanto moglie da quasi due lune di uno dei più fidati uomini dei figli di Ragnar, a cui era permesso di passare del tempo con la principessa e passeggiare indisturbata al suo fianco per il palazzo e i modesti giardini adiacenti.
«Non credo di essere pronta a ciò che accadrà tra poco. – confessò preoccupata la ragazza – Il sol pensiero di tutto quel sangue, del corpo dilaniato del mio sovrano mi nausea.»
«Neanche io trarrò piacere dalla morte di mio padre, ma in quanto futura moglie di Sigurd è mio dovere stargli accanto e dimostrare a tutti i presenti a chi va la mia lealtà. – sospirò – Solo così sarò accettata dal loro popolo, potrò sperare di essere accolta e, un giorno, persino amata.»
«A volte mi domando se queste persone siano davvero capaci di amare…  — sussurrò Mary – Io stessa sono stata data in sposa contro la mia volontà a un uomo che sa essere il più attento degli amanti, ma al tempo stesso il più spietato del soldati. Un attimo prima mi bacia gentilmente una guancia e quello dopo si comporta come un barbaro; inoltre non so mai cosa pensi in realtà e avendo entrambi difficoltà con la lingua dell’altro facciamo molta fatica a comprenderci.»
«Ti ha mai fatto del male?” chiede Heluna, preoccupata.
«No, certo che no!» risponde prontamente l’altra «È un uomo gentile, mi rispetta, eppure insieme a lui non riesco a sentirmi mai totalmente al sicuro, felice. Ho sempre il timore che il suo lato barbaro si scagli contro di me e che un giorno, stanco della mia vista, mi ucciderà nel sonno…»
«Perché mai dovrebbe farlo?»
«Non saprei…» Mary sospirò «Probabilmente penso queste cose a causa di tutte le storie che mio padre era solito raccontarmi su di loro. Racconti orribili, in cui non mancavano i dettagli di come i pagani avessero ucciso senza pietà donne e bambini, ogni cristiano. E io sono sempre una cristiana, una fervente e devota cristiana ed è proprio questo che mi fa temere per la mia sorte futura.»
Heluna posò una mano sulla spalla dell’amica e cercò di tranquillizzarla: «Questo non ha impedito a Olaf di sposarti, di dividere il con te il suo letto; se provasse ribrezzo e odio nei tuoi confronti non ti farebbe visita ogni notte, desideroso di possedervi.»
Mary alzò lo sguardo e assottigliò le labbra: era vero, Olaf non aveva mai mancato di farle visita ogni notte, di dimostrale con i gesti e con le poche parole che conosceva quanto fosse attratto da lei e la considerasse importante; persino la prima notte di nozze si era dimostrato, contro ogni aspettativa, gentile e attento, un balsamo per la sua anima terrorizzata e le sue lacrime copiose.
In quel preciso istante la porta si spalancò, facendo sussultare entrambie, e fu proprio Olaf a fare capolino: “Pronti!»  disse con il suo accento spigoloso, guardando prima la moglie e poi la principessa «Sigurd Ragnarsson e i fratelli stanno aspettando. Venite con me, presto.»
Heluna deglutì a fatica, stringendo di riflesso una mano della sua amica: era troppo presto, lei non era pronta, non ancora. Prese un profondo respiro, cercando in tutti i modi di rallentare il battito del suo cuore e, dopo un frettoloso cenno di assenso, lasciò la stanza.

 


**




Heluna stentò a riconoscere come suo padre l’uomo che venne legato, mani e piedi, all’altare al centro del cortile. Il suo sguardo era vitreo, continuava a fissare un punto indefinito, non osava sollevarsi per guardare in faccia il suo popolo o i suoi carnefici.
Prima del rito era stato lavato e i norreni gli avevano fatto indossare una tunica bianca, come bianca era quella indossata da Ivar Ragnarsson, colui che avrebbe compiuto fisicamente il rito dell’Aquila di sangue.
«Odino, padre di tutti gli Æsir e signore di Asgard, volgi il tuo sguardo su noi tutti e sii testimone di questo sacrificio, della vendetta che noi, figli di Ragnar, compiano in onore di colui a cui, per molte lune, tu stesso hai sorriso. – si fermò, prendendo tra le mani l’athame, il coltello cerimoniale usato dai norreni durante ogni sacrificio, e levandolo al cielo costellato di stelle — Che giustizia sia fatta e che il sangue di questo assassino possa bagnare questa terra e renderla fertile per tutti noi.»
Sentendo quelle parole a lei sconosciute, Heluna girò lentamente il viso, cerando con lo sguardo Sigurd, il quale era concentrato su ciò che stava avvenendo e pregustava il momento in cui il sangue avrebbe iniziato a scorrere copioso.
Egli non rispose alla sua muta domanda, sembrava dimentico della sua presenza e nei tratti del suo viso Heluna lesse euforia, desiderio di vendetta, di sangue: in quel preciso momento, il figlio di Ragnar non era il giovane gentile e premuroso che amava, ma il temuto Occhio di Serpente di cui molti cantavano le gesta e la crudeltà.
In quel momento, per la prima volta da quando si erano confessati reciproco amore, Heluna ebbe paura di lui e comprese le parole che, poco prima, Mary le aveva rivolto.

L’athame iniziò ad incidere la pallida carne, affondare nella pelle della schiena, lungo tutta la colonna vertebrale; gocce di sangue presero a sgorgare, a imbrattare i lembi strappati della tunica indossato dal deposto sovrano della Northumbria, le maniche di quella indossata da Ivar, il quale iniziò a separare lentamente la pelle dal resto del corpo, rivelando piano piano le ossa del costato, le pallide ali dell’aquila che aspettava di spiccare il volo. Rivoli di sangue sgocciolarono sulla pedana di legno, andarono a riempire poco a poco ciotole di terra cotta precedentemente posizionate; il sangue del traditore avrebbe bagnato come da tradizione i campi, sarebbe stato offerto per compiacere la Frey e Freya, divinità fertili.
Ælle urlò, un suono acuto e straziante che rimbombò nella testa di Heluna e la fece impallidire: nulla l’aveva preparata a quelle urla, neanche le storie di Sigurd, il quale le aveva descritto ogni fase di quel sanguinoso rito.
Rumore di ossa spezzate giunsero alle orecchie dei più vicini mentre i tamburi cessavano il loro costante suono di morte ed Heluna pensò di essere in un incubo dal quale voleva risvegliarsi quanto prima — mai, prima d’ora, aveva assistito a una tale violenza; nemmeno le impiccagioni a cui suo padre l’aveva costretta ad assistere sin da piccole si erano dimostrate uno spettacolo così difficile da vedere.
Una dopo l’altra, le costole vennero separate dalle vertebre, rotte con forza per creare il manto dell’aquila, le sue ampie e robuste ali; le urla cessarono, il dolore aveva fatto perdere i sensi all’uomo sul punto di more, ma nessuno smise di infierire: il rito doveva essere concluso, ogni osso doveva essere spezzato, i polmoni presi a mani nude e posti al di fuori del corpo, sulle placide ali fatte di sangue, ossa e carni.
Heluna impallidì, ma non vacillò. Sebbene sentì le forze venirle meno e nonostante quello spettacolo raccapricciante per molti non adatto a una fanciulla delicata come lei, non avrebbe rotto la promessa fatta a Sigurd, non si sarebbe mostrata debole.
Dopo tutto, si disse cercando di mostrarsi forte, era pur sempre figlia di un sovrano inglese - un sovrano che aveva preso il potere attraverso il sangue e l’inganno, che a dire di molti era un traditore e un usurpatore, ma pur sempre un sovrano consacrato.
Un ultimo, spaventoso urlò si levò in cielo, ma questa volta non fu il sovrano morente a lanciarlo: al centro della pedana, la tunica insanguinata e le mani zuppe di sangue, Ivar aveva volto il suo sguardo al cielo e, come un lupo selvaggio e feroce, aveva esternato il suo spaventoso e sinistro grido simile a un latrato.

«Sigurd…» senza accorgersene, la principessa aveva allungato l’esile mano verso il condottiero vichingo, sfiorandola appena con le dita pallide e affusolate.
Il semplice tocco sembrò far risvegliare dal suo torpore il norreno che, sussultando lievemente, rivolse il suo sguardo nuovamente limpido e privo di vendetta verso le loro mani, intrecciando subito dopo le proprie dita callose con quelle molto più piccole della bionda dama alla sua sinistra.
«State bene?» chiese con un velo di preoccupazione nella sua bassa e rauca voce, notando il viso pallido e i grandi occhi sgranati di Heluna.
«Non lo so.» rispose sinceramente, cercando di guardare oltre il cadavere di quello che era stato suo padre, oltre i fuochi e le ombre dei norreni tutt’intorno «L’ultimo componente della mia famiglia è stato appena macellato come un animale e io non provo nulla. Orrore, certo, poiché l’atto è stato sanguinolento e barbarico, ma nient’altro.»
«Heluna…»
«Sto bene.» lo rassicurò ancora, stringendo più forte la sua mano e cercando di sorridere nonostante tutto «Starò bene. Non preoccupatevi per me.»

Ed era vero: in qualche modo, in qualche strano e complesso modo, la morte di suo padre era stata per Heluna una liberazione. Per quanto, si disse, una figlia devota avrebbe pianto e si sarebbe disperata per la perdita di un padre, la giovane principessa provava come un senso di libertà al centro del proprio petto.
Qualcosa, o meglio qualcuno, una voce lontana a cui non avrebbe saputo dare un volto, le diceva che quello sarebbe stato l’inizio di una nuova vita, una vita senza soprusi, senza ingiustizie, in cui sarebbe stata amata e avrebbe amato a sua volta.
Con Ælle anche la piccola Heluna era morta, permettendone a una nuova, più caparbia e forte, di nascere e vivere la vita che era destinata a vivere — e lo avrebbe fatto, ma molto lontano da York, oltre il mare, in una terra lontana non più nemica. Una terra che, finalmente, avrebbe potuto chiamare casa.
 


**




Sognò una terra lontana, montagne dalla cime innevate che si specchiavano nell’insenatura del mare dallo scuro fondale; sognò una dimora fatta di legno secolare e uno scranno ricoperto da pellicce di lupo su cui era intagliato il suo nome; sognò canti, feste, brindisi in suo onore e una madre pronta ad accoglierla tra le sue braccia come una figlia.
Percepì il calore che solo una famiglia sapeva dare, l’affetto di un fratello e, sopra ogni cosa, l’amore incondizionato di un uomo che avrebbe amato solo e soltanto lei per tutto il resto della sua vita.

Heluna riaprì piano gli occhi, infastidita dalla luce del primo mattino che filtrava dalla finestra rimasta aperta, e muovendosi piano sotto le pesanti coperte sfiorò con una gamba il ginocchio della figura ancora assopita alla sua destra.
Per un istante non ricordò altro se non i tamburi, i fuochi e poi le urla strazianti di un uomo morente. Le urla di suo padre.
Rabbrividì, chiudendo gli occhi e cerando di scacciare via quelle immagini che, lo sapeva, per molto tempo avrebbero popolato i suoi incubi e non avrebbero mai lasciato del tutto la sua mente.
«State tremando.» la voce assonnata di Sigurd la liberò dai suoi pensieri.
«No, sto bene. Stavo solo… ecco, ripensavo a quello che è successo e…»
«Siete stata forte, avete dimostrato la vostra lealtà, di essere degna di un condottiero norreno.» Sigurd le sfiorò delicatamente una guancia e sorrise «Mi avete reso fiero.»
Heluna si accoccolò tra le sue braccia, stringendosi e respirando il suo odore divenuto così familiare in quei pochi mesi passati insieme. Il sol pensiero di non svegliarsi più con il giovane vichingo al suo fianco, di non sentire più la sua voce, il calore del suo corpo era qualcosa di insopportabile. Sigurd era tutto per lei: il suo amore, la sua casa, la sua vita.
«Ho fatto un sogno questa notte.» confessò con lieve imbarazzo «Ho sognato una terra lontana, un regno sulle sponde del mare circondato da montagne innevate; ho sognato una donna dal sorriso gentile e i capelli bianchi striati d’argento e… ho udito risate di bambini.»
Sigurd si portò a sedere, guardandola con curiosità e sorpresa: la terra che Heluna aveva appena descritto era così simile a quella che chiamava da sempre casa, mentre la donna ricordava sua madre, Aslaug e i bambini…
«Gli dei ti hanno concesso un fugace sguardo sul vostro futuro, su ciò che vi attenderà adesso che la guerra è finalmente terminata.» Sigurd prese entrambe le mani di Heluna tra le sue e le baciò dolcemente «Mitt Hjärta1, credo che tu abbia sognato la mia casa, la mia nobile madre e… i nostri figli.»
«La tua… i nostri…» Heluna abbassò lo sguardo e arrossì «Ne siete sicuro, Sigurd?»
«Più che sicuro.» il norreno sorrise e, in un impeto, la baciò con passione «Verrete con me adesso che la guerra è terminata? Tornerete a casa con me, così che io possa sposarvi e fare di voi la mia consorte?»
«Sì.» rispose senza dubbi, annuendo con decisione e intrecciando le braccia attorno al collo di quello che sarebbe presto divenuto il suo sposo «Con tutto il mio cuore e la mia anima, Sigurd, è quello che voglio.»

 


*



1. In antico norreno, ma anche in odierno svedese, significa "Mio cuore".
  
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