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Autore: Pandroso    21/02/2017    5 recensioni
Due fratelli si separano, ma in un giorno non casuale uno di loro decide che è ora di mettere le cose in chiaro verbalmente, carnalmente, con tanto amore fraterno.
*Fan Fiction partecipante allo Sfiga&Crack's Day indetto dal Forum Fairy Piece*
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Corazòn, Donquijote Doflamingo, Donquijote Family, Donquijote Rocinante, Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Let it snow 

(Rapimento alla Vigilia)

 

Capitolo Primo

 

Frozen in the place I hide
Not afraid to paint my sky with
Some who say I've lost my mind
Brother try and hope to find

You were always so far away
I know that pain so don't you run away
Like you used to do

 

24 dicembre, ore 15:14

 

Le scatole andavano sistemate con un determinato criterio, studiando gli equilibri necessari, quasi un compito di ingegneria volto al fine di realizzare una solida piramide di confezioni natalizie resistente anche alla presa del cliente più distratto. Rosinante ci stava prendendo gusto: alternava al panettone con lo spumante, la confezione più costosa, ma sempre in offerta, con le lenticchie e il cotechino. 
Mise in cima l’ultima scatola, senza usare la scala, lui era un ragazzo alto. 
Aveva finito, quella piramide fatta di confezioni brillanti sembrava una scultura, un ready-made che mandava a braccetto la pop e l’arte povera, ed era più adatta a stare all’aperto, magari al centro di una piazza, anziché incastrata fra gli scaffali opprimenti di un angusto mini-market di periferia. Meritava una foto.
Mancava solo il cartellone col prezzo. Rosinante acchiappò il filo di nylon che calava dal soffitto, lo intrecciò facendo due nodi e lasciò penzolare la plastica lucida e colorata che riportava i numeri cubitali della vantaggiosa promozione, dedicata ai quei ritardatari che correvano a far spese e regali all’ultimo minuto.  Il cartello roteò su se stesso, dopo trovò anche lui il suo equilibrio. Perfetto.
Il primo cliente che passò prese via una scatola, infilandola nel carrello. L’aveva sfilata velocemente e niente aveva ceduto, neppure traballato; Rosinante aveva compiuto un ottimo lavoro. Era felice. Non si sarebbe mai aspettato da se stesso tanta meticolosità, stava risolvendo la sua sbadataggine, sì, perché doveva convincere la sua ragazza che non era un imbranato e ci sapeva fare. 


Ad addolcire l’ambiente c’erano le canzoncine di Natale, e che da metà novembre gli stamburavano le orecchie, lui le aveva imparate a memoria ed era in piena sintonia col clima festoso, persino il suo grembiule da dipendente Coop gli piaceva, perché era rosso e lo faceva sentire come uno degli operosi aiutanti di Babbo Natale. 
Stava andando bene, a lavoro era arrivato puntuale quella mattina, e il giorno prima aveva ricevuto lo stipendio; anche il direttore era stato puntuale come non mai, poiché, solitamente, gli faceva tirare il collo pagandolo in ritardo. E stavolta non era accaduto. 
Forse davvero a Natale tutti diventavano più buoni.

Aveva saltato la pausa pranzo per poter staccare e andare via alle quattro e mezzo, prima di ogni suo collega, per sfrecciare a casa, farsi una doccia, e andare da Jenny, la ragazza. La sua fidanzata. E le aveva comprato un regalo, grazie ai soldi arrivati con tempismo miracoloso: un solitario chiuso in un cofanetto blu. Perché era quello che si regalava ad una donna a un certo punto.
I soldi rimasti sarebbero bastati per offrirle la cena in uno fra i locali più chic della Capitale, come piacevano a lei. Lì, le avrebbe dato il regalo. E dopo a casa, a farsi le coccole sotto le coperte calde.
Rosinante sorrideva, fischiettava seguendo il jingle in filodiffusione, andava a tempo con Dean Martin che cantava Let it snow, let it snow, let it snow! 
Ma un frusciare sporco e metallico gracchiò per brevi secondi interrompendo la musica: "Comunicazione di servizio: Rosinante è atteso alla cassa quattro, ripeto, Rosinante è atteso alla cassa quattro"
Lo stavano chiamando, lui guardò l’orologio legato al polso: 15:47
Non c’era da preoccuparsi, aveva ancora tempo. 
Si districò tra gli scaffali con le passate di pomodoro, fece slalom superando una lunga fila di gente incolonnata alle casse, evitò di travolgere un bambino che mangiava Chipster non ancora pagate, e arrivò alla n.4
I più svegli, quelli con due o tre articoli fra le mani, si catapultarono da lui sgomitando e dando la polvere a chi aveva il carrello straripante. 
Rosinante avviò il registratore di cassa, scrocchiò le dita, pronto a fare i numeri. Iniziò. 

Andava talmente veloce che i suoi colleghi si voltavano a guardarlo sconcertati, la gente pagava e gli sorrideva. Non sbagliava nulla. Avrebbero dovuto promuoverlo caporeparto, e allora sì che Jenny si sarebbe ricreduta. Il Direttore da lontano gli faceva l’occhiolino con approvazione.

«Sono 28 euro e 85 centesimi, paga in contanti o bancomat?» chiese all’ennesimo cliente, guardando solo il display laterale che riportava la cifra, evitando di incrociare gli occhi con la persona che aveva davanti. Perché farlo gli avrebbe tolto secondi preziosi.

«Giovano’ ma quale bancomat?! Tiè, controllame quanti spicci me mancheno che nun ce vedo» 

A seguire la cadenza dialettale, una mano tremolante e macchiata dalla senilità gli buttò avanti un astuccio marrone di pelle, era liso sui bordi. Lui lo prese. Era pesante, utile da lanciare come un sasso da un cavalcavia e ammazzarci qualche disgraziato.

«Sì signora, certo, dia a me», Rosinante era educato e gentile con i clienti.

Fra le mani strinse il vaso di Pandora, o roba simile: dentro al portamonete si nascondeva il male. Aprì la cerniera e trovò la sorpresa: tante, ma tante, monetine da cinque o due centesimi. Lui ci vorticò dentro il dito indice, come una sonda utile a verificare se tra tutto quel rame ci fosse qualche monetina dorata, pure dieci centesimi andavano bene, s’accontentava facile. 
Non ne trovò neanche una.

16:18, l’orologio era chiaro, doveva affrettarsi.

La signora aveva acquistato un torrone a 3,90 e cinque confezioni in promozione a 4,99 che includevano panettone e spumante, quelle confezioni che proprio lui aveva sistemato poc’anzi.  

«Eh, te sto a fa ’n favore co tutti sti spicci! Che poi dite che nun ciavete pe dà er resto», disse la vecchia, annuendo con la testa; aveva capelli bianchi e cotonati all’insù, infilzati da un pettine in madreperla. Quell’acconciatura la faceva assomigliare ad un marshmallow gigante munito di gambe.

«Ho quasi fatto signora, non si preoccupi!» rispose lui, più a se stesso che all’anziana donna.
Era arrivato a contare una quindicina di euro, stava a metà strada, poteva farcela. Intanto, la gente in coda aumentava, proliferava, si moltiplicava. I minuti invece si sottraevano, scomparivano.

 

 

***


 

Ore 17:42

Jenny non rispondeva al telefono, Rosinante era appena uscito da lavoro, un’oretta più tardi rispetto a come aveva pianificato.
Le aveva mandato anche un messaggio, per avvisarla che sarebbe passato a prenderla con l’automobile, una Fiat Uno rossa del '97 ancora in buone condizioni e con un nuovo impianto GPL a basso consumo, fatto montare da Franky il meccanico, che gli aveva fatto un bel lavoretto a un prezzo da amici. 
Ros’ insisteva a inviarle messaggi attraverso Whatsapp, ma sullo schermo dello smartphone non si visualizzava la seconda spunta che certificava l’avvenuta ricezione del messaggio da parte del destinatario. Improvvisamente sparì anche l’immagine sul profilo della sua ragazza. Rosinante non stava capendo. Forse Jenny si era arrabbiata con lui perché era in ritardo... ma non poteva esserlo realmente, non c’era un vero e proprio ritardo, a parte che nella testa del ragazzo. 
Perché prima di quel momento, Rosinante aveva tenuto Jenny all’oscuro dei suoi piani, ovvero che si sarebbero visti e che avrebbero passato la Vigilia di Natale assieme... e che sarebbero quindi tornati insieme
Be’, lui aveva le sue ragioni per avvisarla solo ora: doveva essere una sorpresa, simbolica, importante. Non poteva chiamarla prima! Non avrebbe funzionato. Secondo lui.
I due non si sentivano precisamente da una settimana, e l’ultima volta che era accaduto era stata sempre attraverso il telefono, lui le aveva chiesto come stava e che desiderava vederla e le mancava da morire; lei gli aveva risposto con un magro smile, formato da due punti e una parentesi tonda. Fine. Non aveva aggiunto altro, ma a Rosinante non era venuto alcun dubbio e, in astinenza di affetto, s’era accontentato delle briciole, interpretando il messaggio in maniera positiva. 
Dall’ultima volta in cui si erano visti faccia a faccia, invece, erano passati due mesi, quando avevano discusso, quando lo avevano cacciato dall’ospedale per aver sferrato un pugno a un medico. Lui non li sopportava i dottori.
E Jenny era una brava ragazza, frequentava l’università, doveva dare diversi esami a gennaio, era impegnata, Rosinante le aveva lasciato lo spazio che le serviva e si fidava.
Il cellulare gli squillò tra le mani, era un messaggio. Lo aprì e lesse: 

"Ciao Ros’, ti scrivo perché non ho voglia di parlarti, perché l’abbiamo già fatto e ti avevo detto che tra noi poteva finire. È finita. Sul serio. Mi sono trasferita a Londra circa una settimana fa, perché è questo quello che voglio, qui sento di potermi realizzare e di stare bene. Cerca di capirlo, noi... le nostre vite, siamo diversi, abbiamo strade diverse. Mi auguro che anche tu possa essere felice un giorno. E con la ragazza giusta per te. Addio." 

Rosinante inchiodò bruscamente rischiando di farsi tamponare. Si beccò le imprecazioni dell’automobilista che aveva dietro e un breve concertino di clacson, ma lui neanche se ne accorse. 
Chiuse il messaggio e lo riaprì per verificare di aver letto bene. Aprì, chiuse, aprì, chiuse... la chiamò, irraggiungibile. La richiamò, irraggiungibile.

 

17:58, troppo tardi.


 

***


 

Una cena a portar via presa da “Mario”, il cinese vicino casa, era stata l’idea migliore che Rosinante era riuscito a raccattare nel tumulto confuso dei suoi sentimenti ridotti a una pappetta andata a male. E l’aveva fatto per consuetudine, non per fame, lo stomaco s’ara aggrovigliato su se stesso per fare spazio al dolore. La sua storia aveva trovato epilogo in un sms.
Parcheggiò ad un isolato di distanza da casa. Strascicando i passi, arrivò davanti al portone. Abitava in periferia, dove aveva un piccolo appartamento in una palazzina di sei piani.

«Rosinante, solo? E Jenny? È da molto che non la vedo»

Il ragazzo si voltò verso il gabbiotto della portineria, accanto a una stufa, seduto di fronte a un tavolo con sopra un mini alberello traboccante di luci colorate e pieno di palle luccicanti, c’era Sengoku il portiere. Aveva in mano l’immancabile settimana enigmistica con le orecchie alle pagine. 

«Ah, ciao Sen’! Sì, ho un appuntamento con lei più tardi» mentì, non era il momento per sviscerare la verità. E nascose il sacchetto con la cena take away dietro la schiena.

«Tsuru ha preparato gli spaghetti con le cozze e il baccalà, se vuoi passa a cena questa sera, con Jenny s’intende. Ci saranno anche i miei nipoti Aokiji e Kizaru, trascorreremo la Vigilia insieme», il portiere aveva molta confidenza col ragazzo, gli voleva bene come un padre con suo figlio e gli aveva dato in affitto l’appartamento al primo piano. Per Rosinante l’uomo era un benefattore, non si lamentava mai anche se gli pagava la pigione in ritardo e spesso nemmeno li aveva voluti i soldi; perché Sengoku conosceva le difficili condizioni in cui viveva il ragazzo, immaginava quanto poteva esser dura vivere da soli.

«Grazie per l’invito Sen’, ma io e Jenny staremo dai suoi durante le feste, come se avessi accettato, davvero»

«D’accordo, allora fatti salutare» l’uomo uscì dal gabbiotto, andò incontro a Rosinante e lo abbracciò.

«Buon Natale Ros’, salutami Jenny. E se ci ripensate siamo qui, voi siete i benvenuti»
Sengoku era convinto che i due ragazzi si sarebbero sposati, prima o poi, ne era convinto pure Rosinante, almeno fino a prima di quel pomeriggio. Ci aveva sperato. L’anello avrebbe dovuto suggellare la promessa, riunirli.
Ros' sorrise, «Grazie, buon Natale anche a te, ora vado sennò faccio tardi»

«Sì, sì, non farla aspettare, alle donne non piace... Ecco, sono le 18:37 e Tsuru sicuramente si starà chiedendo perché ancora non torno a casa».

 

***

 

Le unghiate sulla porta blindata anticiparono l’ingresso di Rosinante nel suo modesto appartamento. Entrando, venne assalito e ricoperto di slinguazzate: «Buono, Law, sono io! Sta giù!»
Law era il suo cane, un cucciolo di razza lupo cecoslovacco, dal pelo morbido e con due grandi e ipnotici occhi grigi. Le feste di Law gli fecero scivolare la cena dalle mani, «No, quella è mia! Non mangiarla tu, fermo!», non fece in tempo a dirlo che gli involtini primavera finirono tra le fauci del cucciolo. Riuscì a salvare solo il pollo fritto con le mandorle.
Ros' richiuse la porta alle sue spalle con una pedata e appoggiò le chiavi sul muretto adiacente all’ingresso, come gli era solito fare. Là sopra c’era una foto sua e di Jenny, era protetta in una cornice a forma di cuore che gli aveva regalato proprio lei. La foto l’avevano scattata al mare qualche anno prima. Lui indugiò con le dita seguendo i contorni del viso della ragazza, sembrava così felice in quella foto. Fingeva forse? Aveva sempre finto? Oppure era stato lui a fraintendere tutto?
In fondo, rinunciare a un figlio era stata la scelta migliore, perché non se lo sarebbero potuto permettere, perché lei era ancora troppo giovane e doveva finire gli studi. Eppure, lui si sarebbe dato da fare per loro, senza tirarsi indietro, assumendosi ogni responsabilità. 
Lei non lo aveva desiderato, non aveva voluto che accadesse nulla, non gli aveva dato la possibilità di essere padre. 
Rosinante era venuto a saperlo solo quando il guaio era stato già raschiato fuori e gettato. Da lì il silenzio e la lontananza. Credere che non lo cercasse a causa dello studio era una bugia magnifica che il ragazzo aveva ripetuto a se stesso per stare meglio. Perché in realtà tra loro era finita da allora.
Rovesciò la foto, delicatamente, non voleva più vedere né il passato né il chimerico futuro dei  “se”, che se ne stava già in agguato, forse nascosto vicino all'abat-jour accanto alla cornice.

Rosinante non aveva molta fame ma piluccò un po’ della cena rimasta per far compagnia a Law, che sgranocchiava i suoi deliziosi croccantini. 
Nel sacchetto col pollo trovò un piccolo gadget, era un accendino con stampigliata la scritta buone feste, gliel’avevano regalato al ristorante come augurio di Natale. Era il primo regalo che riceveva, e tra l’altro utile. Rosinante fumava da quando aveva sedici anni. 
Se lo mise nella tasca dei jeans.

«Siamo rimasti io e te, Law. Jenny se ne è andata» disse, inespressivo. 

Coccolò il cane lisciandogli il pelo chiaro del petto. 
Si sentiva sfinito, d’improvviso la stanchezza gli era piombata addosso sfracellandolo. E pensare che le aveva anche comprato l’anello. La scatolina con il gioiello ora si trovava sopra al tavolo vicino al divano. Il divano dove spesso aveva fatto l’amore con lei, dove l'aveva amata. 
Rosinante prese e aprì il cofanetto, il diamante brillava da accecare gli occhi. Jenny non lo avrebbe mai visto. 
Doveva restituirlo alla gioielleria, non voleva averlo davanti nemmeno lui. 
Lo infilò nel cappotto per non dimenticare di disfarsene, e lo avrebbe fatto immediatamente nei giorni a seguire le feste. Aveva conservato lo scontrino apposta, così ad ogni evenienza avrebbero potuto rimborsarlo. 
Tempi addietro lo avrebbe perso o buttato quel pezzetto di carta, ma s'era messo in testa di essere attento, e già si odiava per questo. Pensò che la colpa fosse sua, perché così facendo si era dato la possibilità che l'occasione di dover tornare per restituirlo accadesse. 

19:39, era l’ora segnata  dall'orologio a forma di gatto che stava appeso alla parete del salotto. Dal piano superiore iniziarono a provenire rumori di passi e il vociare di persone che si salutavano; la famiglia che abitava al secondo piano aveva ospiti e parecchi marmocchi che correvano, «Marco fermo! Non fare i dispetti a tua cugina!», udì Rosinante, era la voce della signora Kokoro, donna simpatica, lo salutava sempre quando si incontravano, «Ma non ho cominciato io!» questo era Marco, uno dei figli. 
Quando alle voci s’aggiunse pure lo strusciare delle sedie che venivano spostate, perché i commensali stavano prendendo posto a tavola, insieme, arrivò il disagio e gli si attaccò come una seconda pelle collosa: a vederla, casa sua era piccola, solo tre camere col bagno compreso, ci si stava stretti anche in due, ma con Jenny sarebbe andata bene lo stesso. 
Senza Jenny appariva immensamente vuota e gelida. 
Lei s’era portata via tutto, risucchiando ogni progetto futuro con un volo verso Londra, come fosse stata un buco nero.  
Rosinante non voleva stare lì, ogni angolo gli sventolava in faccia bei ricordi, che lo schiaffeggiavano indefessi.
Ripensò all’invito di Sengoku, ma lo scartò: avrebbe dovuto spiegargli cosa era accaduto con la sua ragazza, e non voleva. 
Qualche amico da chiamare e con il quale trascorrere la serata c’era, ma con tutti i problemi avuti con Jenny, e il lavoro che lo faceva sgobbare da mattina a sera, i rapporti si erano allentati. 
Il ragazzo era completamente solo, a parte Law ovviamente che, per quanto potesse essergli affezionato, non disponeva del dono della parola.
E, importante, Ros’ era completamente solo se escludeva anche la sua famiglia. Saltò l’ostacolo, evitando abilmente di ricordarla.

«Ok Law, andiamo a farci una passeggiata! Ce lo meritiamo!»

Affermò prendendo il guinzaglio, doveva smuovere in ogni modo quella situazione stagnante. 
Infilò il cappotto, riprese le chiavi e aprì la porta: credette che il cervello gli stesse giocando un brutto tiro, e per verificarlo si morse la lingua.
Mai vista una scena più vera: il passaggio era sbarrato da due uomini. 
Occupavano completamente la larghezza del pianerottolo, uno era basso e tarchiato, l'altro un culturista che aveva esagerato con le dosi di steroidi. A guardare la loro statura, accoppiati insieme, uno nano l’altro alto, quei due tizi potevano comporre l'articolo "il". 
Entrambi erano vestiti elegantemente, in smoking nero, e avevano un insolito fazzoletto rosa che sbucava lucido dal taschino delle loro giacche opache; l’abito non mitigava le loro facce, di chi stava bene chiuso in carcere. Avevano sguardi obliqui e indossavano bizzarri accessori che vanificavano lo sforzo di alta moda: uno portava sulla testa un elmo, presumibilmente vero e di tipo Berkasovo con tanto di paranaso, e l’altro; da tenersi forte perché era un uomo sulla cinquantina, di quelli con le zampe di gallina ai lati degli occhi; aveva il coraggio di indossare un copricapo scuro con ingiustificate orecchie di coniglio. 

E questi chi cavolo sono? 

Si domandò Rosinante. Law ringhiò, ma era un cucciolo e la coda gli finì presto fra le zampette.
I tipacci non si mossero da lì, imbalsamati; Rosinante, che non era spaventato, perché aveva tanti di quei pensieri che posto per un’ennesima preoccupazione non ce n’era, s’azzardò a dare ingenuamente le spalle ai loschi figuri per chiudere la porta del suo appartamento.

«È Natale, non Carnevale... » aggiunse.

Ma a fare la figura dell'idiota fu lui: che stupido, avrebbe pensato un secondo più tardi: prima che potesse infilare la chiave nella serratura, venne spinto in casa e sbattuto a terra. 
In brevi attimi, quello grosso gli schiacciò la testa sul pavimento e gli tenne fermi i polsi dietro la schiena. L’altro lo imbavagliò rapido, usando un pezzo di stoffa bagnato (pure questo rosa) che gli infilò tra i denti, a segargli la bocca. I lembi del bavaglio gli vennero legati dietro la nuca, annodandoli con alcune ciocche dei suoi capelli biondo cenere. 
Rosinante provò a gridare, a chiamare aiuto, ma oltre a fare ridicoli suoni gutturali, gli era impossibile usare la voce. 
Tentò di tirar calci, le gambe le aveva ancora libere, ma il “testa di coniglio” gli bloccò i piedi con una corda.

Abbaia Law! Fa’ casino, falli scappare! Sbranali!

Pensò Ros’, inutilmente: il cucciolo forse l’aveva preso per un gioco e saltellava attorno a loro.
Gli legarono anche le mani, con la stessa corda con la quale gli avevano stretto i piedi. Così immobilizzato sembrava pronto per essere cotto allo spiedo. 
Rosinante cercò di forzare i legacci muovendosi come un elastico, non andava da nessuna parte.
L’energumeno con l’elmo tirò fuori un telefono dalla giacca e lo diede al suo collega, che rispose: «Due ore e arriviamo, digli di stare tranquillo»

Arrivare dove?!

Dalla sua visuale Ros’ non poteva vedere molto, ma per quanto gli era possibile cercò di memorizzare il maggior numero di dettagli, pensando ad una futura denuncia.

 Sono le 19:52 e... sì bastardi, sì! Fatevi guardare bene in faccia perché appena mi libererò ve la farò pagare! 

Cioè, una futura denuncia non prima di averli pestati a dovere.

No! Merda, non vedo più nulla! 

L’avevano bendato. Finito di sistemarlo, i due sequestratori passarono a Law: gli imbavagliarono il musetto, impedendogli di abbaiare, e il testa di coniglio lo afferrò tenendolo in braccio.  
Portarono entrambi fuori dall’appartamento e chiusero la porta, senza fare troppo rumore e con le chiavi di casa sottratte comodamente dalle dita di cassiere del ragazzo.
Ros' non  poteva pensarci, un attimo prima era malinconico e pensava a Jenny, e a come lei gli aveva distrutto la vita, adesso stava accadendo questo, un sequestro, il suo sequestro!

A fare il palo davanti al portone, c’era un uomo alto e secco con la faccia tatuata, due strisce rosse e arancioni gli rigavano le guance; l’uomo segnò il via libera ai due assalitori. 
Fuori, un SUV nero dai vetri oscurati li attendeva col motore acceso. Rosinante venne caricato sui sedili posteriori insieme a Law,  con loro salì anche lo "strisciato", a fargli da guardia. 
Chiusa la portiera il SUV partì. Si mossero altre tre automobili nere che erano parcheggiate lungo il marciapiede, e lo seguirono. Non ci fu nessun testimone, sfortunatamente per Rosinante, i sequestratori avevano eseguito un lavoro da professionisti, pulito, in soli sette minuti. 
Veloci e puntuali, loro. 


 

***

 

Quando gli tolsero la benda, aprire gli occhi fu urticante e sorprendente: Ros' si trovava all’interno di un sontuoso salotto, con gli arazzi appesi alle pareti raffiguranti scene di caccia, e sculture in marmo a riempire il grande spazio, erano copie di figure classiche, c’era il Fauno Barberini, la Venere Callipigia e ah... qualcuno gli slegò le mani! Lui non ci pensò due volte, s’alzò saltellando, buffo e imbranato, piroettò su se stesso, perché i piedi li aveva ancora legati, e caricò un gancio contro l’uomo che lo aveva liberato. 
Dallo schioccò che s'udì forte, e che lui avvertì sotto le sue nocche, gli ruppe sicuramente il naso, oltre agli occhiali neri. Quello con una mano cercò di tappare l’emorragia che gli colò a fiotti dalle narici. 
Ros' venne immobilizzato, e di nuovo dal tipaccio con l’elmo in testa. Doveva esserci un certo gusto perverso da parte di quell'armadio, perché quando lo sbatteva a terra trovava sempre il modo migliore per fargli male.
Provò a ribellarsi, un grughuuuguuhuh  fu il meglio che riuscì a produrre.
Lo circondarono sette, otto persone, tra loro c’era anche il vecchio con le orecchie di coniglio. 
Non gli piaceva, non capiva cosa volesse quella gentaglia da lui. E per quanto la situazione potesse confonderlo però, un’idea su chi stesse manovrando i fili di nascosto ce l’aveva. Anche se non la credeva possibile, e non la voleva possibile.

«Tiratelo su» ordinò qualcuno. Ros' non vide chi parlò, però lo alzarono subito per farlo sedere su una comoda sedia Luigi XV.
Una mano gli accarezzò una spalla. 
Era fin troppo evidente adesso: davanti a lui comparve Doflamingo. Suo fratello. 

«Ciao Rosy»

 


***

 

Con minuziosa attenzione Doflamingo studiava il volto di Rosinante: un sopracciglio era livido, lo zigomo a seguire tumefatto, segni rossi gli allargavano il sorriso ai lati della labbra e lo facevano somigliare  ad un Joker non troppo felice; i capelli in disordine, «Vi avevo detto di fare piano, me lo avete ammaccato» 

«Scusaci Dofy» risposero all’unisono i suoi fedelissimi uomini.

Ros’ invece mugugnò una risata isterica, ma aveva ancora lo straccio bagnato a tappargli la bocca e sembrò stare per morire soffocato. 
Non poteva deglutire con la bocca così invasa, la saliva gli aveva reso il mento lucido ed era finita a bagnargli i pantaloni. 
Doflamingo se ne accorse, ordinò di liberarlo definitivamente.

«Dofy, ma ne sei sicuro?», chiese il testa di coniglio avvicinandosi al boss.

«È tutto sotto controllo, Lao, non ti preoccupare, ora che mi ha visto non tenterà di fare nulla... non a voi», Lao era il nome del testa di coniglio.  
Dopo pochi minuti di incertezza, l’omone che amava atterrare il ragazzo gli slegò le mani, gli tolse il bavaglio e gli sciolse il nodo ai piedi.  
Rosinante s’asciugò la saliva con la manica del maglione che sbucava appena dal cappotto, si toccò i polsi contusi dalle corde strette, massaggiandosi qua e là. Ma non aggredì nessuno, esattamente come aveva previsto Doflamingo.

«Dov’è Law?» chiese, rivolto al fratello ma evitando di guardarlo in faccia.

«Intendi il tuo piccolo sacco di pulci, vero? Sta bene e sta giocando con le mie ragazze» 

«Lo voglio qui»

«Fufu... Ros’, non ci vediamo da anni e tutto quello che riesci a chiedermi è a proposito di un cane?!»

«Come scusa? Hai parlato? Perché non credo di averti sentito e pensandoci non mi ricordo chi sei»

La risposta creò scalpore tra gli scagnozzi di ‘Mingo, mai si sarebbero aspettati di sentire qualcuno avere il coraggio di rispondere in modo insolente al loro venerabile capo.

«Non fare il maleducato con me»

«Cos’era quel tono, un rimprovero forse?! Hai la faccia tosta di rimproverarmi dicendo di non essere maleducato?! Proprio tu che mi hai fatto sequestrare! Cosa ti aspettavi, che venissi ad abbracciarti?!»

«Potrebbe essere un inizio. E non ti lamentare, non avevo altro modo per vederti, se vuoi sai renderti irraggiungibile»

«Io, eh... Però immaginavo ci fossi tu dietro tutto questo...»

«Sono così palese?»

Doflamingo parlava calmo, l’unico ad agitarsi e a non stare più in sé era Rosinante.

«Dimmi immediatamente in che razza di posto mi trovo! Un circo?! Chi è questa gente mascherata?! E perché prendono ordini da te?! Tu... cosa sei?!»

«Questa è la mia casa e loro sono la Famiglia. Io sono tuo fratello»

Famiglia?!

Rifletté Ros’, sbigottito. Dofy non aveva un concetto sano di famiglia, l’aveva perduto da tempo.

«Per quale motivo mi trovo qui?» riprese con tono incalzante il piccolo Ros'. Piccolo perché Doflamingo era più grande di lui, tra loro passavano dieci anni di differenza.

«È la Vigilia» rispose ‘Mingo.

«Ah, e allora? Tra l’altro non vedo nemmeno un albero di Natele qui dentro»

 «A Natale si sta con la Famiglia» ribadì ancora Doflamingo.

«Di quale famiglia parli? Perché io non credo di farne parte»

«Sei mio fratello»

«Che bello, improvvisamente ti ricordi che è Natale e di avere un fratello... lo trovo toccante, davvero, peccato che il copione non sia credibile»

«Io non ti ho mai dimenticato, ti ho sempre cercato, t’ho pure scritto lettere, inviato soldi... – Dofy si fermò un attimo per squadrare bene il fratello, Rosinante indossava un paio di jeans consumati e un cappotto giallo ossido con fasce fluorescenti, somigliava alla divisa di un netturbino; fece una smorfia, non sopportava la sciatteria, in ogni suo genere – e mi sono tornati sempre indietro»

«Non mi fidavo, e non ho voluto mai usare il tuo denaro, sono contento di non averlo fatto. Sai, preferisco vivere con le pezze al culo ed essere onesto, piuttosto che affogare nei soldi e somigliarti»

Ros’ lanciò un dardo contro una verità chiara ad entrambi. Era a conoscenza del fatto che suo fratello fosse entrato in un losco giro, quello che non immaginava era quale vertice della malavita avesse conquistato. Ma da ciò che vedeva, Dofy doveva aver fatto del male a molte, innumerevoli persone per trovarsi là.

Mutismo e sgomento riempirono la sala fino al soffitto che non c'era più spazio per rimanerci. 
Doflamingo aveva indurito l’espressione. Ma sorrise, amaro, contraddittoriamente compiaciuto. Il suo amabile fratellino era cresciuto, sapeva disprezzare.

«Lasciateci soli, adesso»

Il pubblico silenzioso se ne andò ubbidendogli. 

«Dofy, per qualsiasi cosa, siamo qui fuori» 

«Sì, Lao. Ora esci anche tu»

La sala si svuotò rapidamente. Ros’ era esterrefatto, suo fratello sembrava il capo di una congrega; si aspettava che da un momento all’altro entrasse qualcuno con un mantello, una candela e una spada e che venisse organizzato un rito di iniziazione.
‘Mingo avvicinò un’altra sedia, prendendola da quelle sistemate attorno a un lungo tavolo rivestito in lamine d’oro. 
La piazzò di fronte al fratello, a poca distanza da lui, e sedendosi le sue ginocchia sfiorarono quelle di Rosinante.

«Ah, ti prego, risparmiamela! Cos’è, vuoi interrogarmi adesso?»

«Voglio capire»

«Non c’è nulla da capire, ti ho detto quello che penso... tu sai benissimo quello che penso»

Rosinante incrociò le braccia al petto, stizzito. Era seduto scomposto, a gambe larghe, con la voglia di non parlare stampata sulla faccia. Non era così che aveva pensato di trascorrere la Vigilia. Colpa di Jenny.

«Voglio sapere quanto mi detesti... per il male che ti ho fatto», dichiarò Doflamingo

«Conosci la risposta», suo fratello era un muro in cemento armato.

«Potresti dirmela tu guardandomi negli occhi?»

Nel tono di Doflamingo c’era qualcosa che rendeva triste il povero Ros’, una sorta di magone che lo accalappiava e lo tirava giù verso un dolore e un’assenza dimenticati con la forza. E c’era anche collera, non era lui a doversi confessare e invece suo fratello lo stava costringendo.

«Guardami Ros’», ‘Mingo si tolse gli occhiali da sole scuri, lasciandoli cadere a terra.

Rosinante sentiva mancargli l’aria. Sciolse le braccia, le mani andarono ad arpionarsi sulle ginocchia. Provava il bisogno di mangiarsi le unghie, non lo faceva da quando, da bambino, aveva smesso di fare la pipì a letto. 
Doflamingo gli toccò il ginocchio con un dito, come a fargli capire che era lì anche se Ros’ non voleva rivolgergli nemmeno uno sguardo.

«Me ne voglio andare da qui»

La sedia cadde seguendo il ragazzo, che s’era alzato concitato per raggiungere la prima porta che gli capitava a tiro, in cerca di ossigeno, lontano da suo fratello maggiore.

«Mollami subito!»

Dofy lo acciuffò.

«No!»

Lo costrinse a chinarsi, a finire spiaccicato sul pavimento.
Rosinante continuò a muoversi, ci provò. Allungava le braccia in direzione delle maniglie della porta, come fossero state la sua unica salvezza dai ricordi nei quali Dofy l'avrebbe affogato. 
Sentiva di stare per esplodere, non ce la faceva più, era troppo: nella frazione di poche ore aveva perduto definitivamente Jenny e ora suo fratello tornava a tormentarlo. Si chiese se non fosse una punizione. Eppure lui non aveva fatto del male a nessuno, nemmeno a quella vecchietta che s’era presentata con un astuccio zeppo di monetine.

Dofy era più forte, ma Ros’ non s’arrese: cercò di prenderlo a pugni, gli morse anche una mano. Doflamingo pareva non sentire niente, anzi, non si sottraeva a nulla che provenisse dal fratellino.

«Perché non mi lasci andare?!»

«Perché voglio sentirlo, Ros’»

«Ma di che cazzo stai parlando?!»

«Che mi odii, dimmelo!»

Doflamingo era riuscito ad afferrargli i polsi e glieli stringeva possente, da scavargli la pelle con le dita, con l'intenzione di spremergli fuori la verità.
Ros’ muoveva la testa, a dire no, per sfuggire agli occhi di Dofy che lo stava pressando col peso del suo corpo vigoroso.

«Perché adesso?! Che ti importa?! Non te ne è mai fregato nulla di me, non te ne è mai fregato nulla di mamma, di papà, di nessuno! E quando sono morti non sei venuto nemmeno al loro funerale! Anche adesso non te ne importa un cazzo!  – Ros’ stava urlando a squarciagola, a tratti la voce si spezzava dallo sforzo; batteva i piedi scosso dalla rabbia, tutta la rabbia, contro suo fratello, contro Jenny, contro l’incidente aereo che gli aveva distrutto la famiglia – Tu mi hai voltato le spalle, Dofy! Mi hai abbandonato come un cane, non hai il diritto di rientrare nella mia vita ora, io non ho bisogno di te! Non ho più bisogno di nessuno! Capito?! NESSUNO!»

Buttò fuori tutto il rancore che aveva, quello accumulato per anni, che s’era inasprito e che non credeva di covare. 
Tossì, senza respiro, s'era quasi strozzato con la sua stessa saliva. Guardava il soffitto, spaesato, e piangeva in silenzio, neanche un singhiozzo, le lacrime scendevano da sole.
Suo fratello gli lasciò i polsi, la forza non era più necessaria. 
Per una decina di minuti, rimasero entrambi abbattuti sul pavimento come naufraghi delle loro stesse vite.

Non gli aveva detto di odiarlo, alla fine.
Rosinante non lo aveva detto, Doflamingo sorrise, ma non con le labbra, col cuore, in segreto. Per lui c’era ancora una possibilità.

E Ros' come poteva odiarlo? Era attacato al fratello, da piccoli si volevano bene e a casa Doflamingo era sempre stato l’esempio da seguire. Fino a quando non iniziarono dissapori con suo padre. Una porta sbattuta e la mamma che piangeva, Ros’ se la ricordava benissimo quella porta, e pure i giorni in cui attendeva il ritorno di suo fratello, anche quando, morti i genitori, era stato affidato a un centro sociale che si occupava di accudire minori rimasti orfani. Andava a letto cullato dal pensiero che un giorno suo fratello sarebbe venuto a prenderlo e si addormentava stringendo forte un fenicottero di peluche che Dofy gli aveva regalato. 
Ma quel giorno non arrivò mai.
Aveva dieci anni quando suo fratello maggiore se ne andò, dodici quando i suoi genitori morirono. Ventiquattro anni adesso che Doflamingo era tornato ad abbracciarlo.

«Hai ragione tu – Dofy riprese a parlare – ma allora c’erano cose che... Non potevo starti accanto, Ros', non saresti stato al sicuro con me. Io non sono una brava persona, papà non si sbagliava...»

Doflamingo si sporse avanti per baciare la fronte del fratellino, gli asciugò le lacrime con le labbra. Ros’ glielo lasciò fare.

«Lo so che questo non cambierà le cose tra noi, ma vorrei che rimanessi qui, fino a domani... Ti chiedo un giorno, uno soltanto, poi ti lascerò andare»

Rosinante infilò una mano nella tasca esterna del cappotto, tirò fuori il suo smartphone, pigiò il tasto laterale per accendere il display. 

«00:13, è già domani»

«E credi sia troppo tardi per iniziare a perdonare tuo fratello?»

 

 

Roses in a vase of white
Bloodied by the thorns beside the leaves
That fall because my hand is
Pulling them hard as I can

 

 

Song scelta da ascoltare: Brother, Alice in Chains, cliccate per ascoltarla. Fatelo.
Mi piace da morire il testo e credo stia divinamente su questa FF. ^_^
Vediamo se riusciamo a risolverla con due capitoli. E basta.
Comunque, alla faccia delle mie seghe varie sul partecipare ai contest e simili, l'ho fatto e ringrazio molto Zomi per avermi invitato allo Sfiga&Crack's Day. =)
Non scriverò nulla a riguardo di quello che ho scritto, perché io so cosa ho scritto, mi farebbe piacere leggere i vostri pareri.
Grazie a tutti.
Pandroso
A seguire le mie altre FF pubblicate

 

Amanti segreti nel lontano Regno di Wa
Dal testo: [...] Quel pirata non si comportava mai solo come un pirata.
«Roronoa!... »
Pronunciò, sfiatata, incredula [...]
*Fan Fiction partecipante allo Sfiga&Crack's Day indetto dal Forum Fairy Piece*
Con DISEGNINO per le fan ^_^
Pubblicata: 21/02/17 | Aggiornata: 21/02/17 | Rating: Arancione
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Capitoli: 1 | In corso
Tipo di coppia: Het | Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! 
Personaggi: Roronoa Zoro, Tashiji, Zoro/Tashigi 
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DAUGHTER (Dofy~Viola)

La Principessa Viola è maledetta, la Principessa Viola è un’assassina. La Principessa Viola è l'amante del Re di Dressrosa Donquijote Doflamingo.
Dal testo: «Violet, oggi abbiamo qui un uomo che si dichiara innocente. In verità, mi ha rubato cose che mi appartengono. Sai quanto io non sopporti i traditori. Viola... – Doflamingo la chiamò col suo vero nome – svelaci la sua colpevolezza, facci godere tesoro»
Coppia: Dofy ~ Viola (come Oda ci suggerisce, o qualcosa di più).
Buona lettura!
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Donquijote Doflamingo, Donquijote Family, Monet, Violet 
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Mein Herz Brennt

QUARTA ONE SHOT PUBBLICATA, INIZIATE ANCHE DALL'ULTIMA (Guest star di turno: CROCODILE) 
Non importa quanto si creda crudele, ogni cuore è capace di ferirsi.
A volte, le ferite non guariscono, continuano a sanguinare, diventano più profonde, e uccidono, se si è fortunati. Ma se si sceglie di non morire, queste si tramutano in una spietata condanna.
Raccolta dedicata alla Famiglia Donquijote. NON è una Yaoi anche se... scopritelo da soli.
Dal QUARTO CAPITOLO: 
«[...] Cosa pensi, che basti allungare uno di quei tuoi odiosi sorrisetti e Kaido ti obbedirà come una sgualdrina?» 
«Fu fu fu, allora sai perché sono qui... Comunque, caro secchio di sabbia asciutta, Kaido farà di meglio: me lo succhierà tutti i giorni e gli piacerà farlo!»
Consigliata come lettura serale. Ma attenzione che i contenuti sono forti, l’ho messo pure nelle note.
Autore: Pandroso | Pubblicata: 10/09/16 | Aggiornata: 16/01/17 | Rating: Arancione
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Capitoli: 4 | In corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza 
Personaggi: Crocodile, Donquijote Doflamingo, Donquijote Family, Donquijote Rocinante, Trafalgar Law 
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A Zou si affrontano problemi ontologici (ZoSan) Aveva lasciato un biglietto, doveva sposarsi, prometteva di tornare. Tutti erano preoccupati per lui.
A Zoro non interessava.
One Shot breve, Yaoi della coppia ZoSan, per voi fan e per me felicemente disperata a riguardo delle sorti di Sanji. Contiene Spoiler.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! LEGGI

Curami (Zoro/Perona/Mihawk) NEW: pubblicato IV CAPITOLO!
Una convivenza forzata, un addestramento in corso e forse un’attrazione accidentale che non vuole nessuno. L’isola Kuraigana non è solo un luogo di morte; e Perona e Zoro non sono soltanto una coppia di disgraziati spediti sulla stessa macchia di terra.
Facciamo luce su due anni di buio.
Buona lettura.
III capitolo on-line
Pubblicata: 11/09/13 | Aggiornata: 31/08/16 | Rating: Arancione
Genere: Azione, Romantico | Capitoli: 4 | In corso
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Drakul Mihawk, Perona, Roronoa Zoro
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Loverman… (ZoSan)
Sanji non avrebbe mai dovuto provarlo, non avrebbe mai voluto scoprirlo, non avrebbe mai dovuto desiderarlo. Anche la più piccola mancanza di volontà verso se stessi è ripagata con un tormento peggiore; a meno che si accetti la propria natura.
Consiglio: lasciate perde’ sto trip di parole, buona lettura.
Pubblicata: 15/08/16 | Aggiornata: 15/08/16 | Rating: Arancione
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 | In corso
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Nessuna | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Mugiwara, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
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L’impensabile inaspettato (ZoSan) 
Sanji ha un urgente problema. Zoro… beh, lui fa quello che può.
One Shot che disturba persino chi l’ha scritta, attenzione alle note. E a voi la lettura.
Pubblicata: 03/11/13 | Aggiornata: 03/11/13 | Rating: Rosso
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Lime | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Nico Robin, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro 
LEGGI 

Ultime previsioni prima di Dressrosa (Rufy/Nami/Trafalgar Law) 
Meno di un giorno all’arrivo sulla prossima isola. A bordo della Sunny chi può si riposa, altri non dormono: si incontrano casualmente, o per mistico volere.
Una One Shot breve e indolore, e con i personaggi IC; però spetta a voi valutarlo.
Buona lettura.
Pubblicata: 20/10/13 | Aggiornata: 20/10/13 | Rating: Giallo
Genere: Sentimentale | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Trafalgar Law | Coppie: Rufy/Nami
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