Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Killer_queen_    21/02/2017    0 recensioni
Suonano i The Calling, una lacrima scivola sul volto. Non fa in tempo ad arrestarla, cade sull'album fotografico che sta sfogliando.
La canzone finisce, arrestata in anticipo, prima che l'ultima nota le entri nelle orecchie.
Si asciuga la guancia, asciuga la fotografia. La goccia era caduta sul sorriso del padre, ingrandendolo, storpiandolo un po'.
Genere: Angst, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
You're not allowed to cry

«Babbo, guarda!»
Lo chiamava così, suo padre, da quando si erano trasferiti a Firenze, in Italia. Parlava un italiano incerto, sbagliava alcune concordanze di genere: in inglese non esistevano. Tornava a rifugiarsi in quella lingua, così semplice per lei, nei momenti in cui si sentiva vulnerabile, facile preda del mondo.

Aveva sei anni ed era già una piccola donna. Si guardava attorno, occhi vispi che catturavano fotogrammi di una fredda mattina invernale.  Camminava in una via poco lontana dal centro. Costeggiava l'Arno, la piccola mano gelida in quella grande e rassicurante di suo padre.
Aveva richiamato la sua attenzione, indicandogli un gruppetto di fate che sembravano fare a gara per arrivare prima, chissà dove. Voleva seguirle, correre dietro alle loro ali.
Si aggrappò alla manica del pesante giaccone di suo padre, la tirò verso il basso.
Cercò di convincerlo, poi di trascinarlo.
Niente da fare. «Sono pericolose» aveva detto, le creature più ingannevoli che la piccola avrebbe mai potuto incontrare.
Keira sbuffò sonoramente. «Voglio solo giocare, babbo!» Era stato irremovibile. «Mi dispiace, principessa» aveva concluso, mettendo fine alla questione.
L'aveva portata a prendere un gelato, in quella fredda mattina invernale, per farle tornare il buon umore. Lui avrebbe voluto una cioccolata calda, di quelle che arriva nello stomaco ma ti scioglie anche le vene, congelate da quel freddo. Alla piccola però non piaceva.
Aveva preso dalla madre, che aveva mangiato un pezzo di cioccolato fondente solamente durante la gravidanza, dopo anni di astinenza. Che non era neanche astinenza, perché non ne sentiva la mancanza. Aveva comunque mangiato quell'unico pezzo, per poi sorridere, quasi sconsolata. «Fa più schifo di quanto ricordassi», furono le sue parole.
Così Keira era seduta su una sedia, davanti ad un tavolo di cui non riusciva a vedere la superficie. Mangiava avidamente quel gelato. Fragola e limone, i gusti più classici del mondo, i soliti. Suo padre la guardava dall'alto del suo metro e novanta, sorridendole affabile.
«Ti garba?», le chiese. Annuì: «Sì babbo!»
Adesso, dopo sei anni, ripensa a quella giornata allegra. È sul letto, seduta a gambe incrociate, come quando ascoltava le storie di suo padre. In sottofondo la radio, accesa su una stazione qualunque.
 
I'll go wherever you will go
Way up high or down low
I'll go wherever you will go
Run away with my heart
Run away with my hope
Run away with my love


Suonano i The Calling, una lacrima scivola sul volto. Non fa in tempo ad arrestarla, cade sull'album fotografico che sta sfogliando.
La canzone finisce, arrestata in anticipo, prima che l'ultima nota le entri nelle orecchie.
Si asciuga la guancia, asciuga la fotografia. La goccia era caduta sul sorriso del padre, ingrandendolo, storpiandolo un po'.
Qualcuno parla alla stazione radiofonica, ma lei non distingue i suoni. Sa che parlano in inglese. Quella lingua semplice, nella quale si rifugiava da piccola. Quella che, per tre anni, si era rifiutata di utilizzare.
 
Era tornata in Inghilterra. «Lì andrà meglio» aveva detto sua madre, in un sussurro. Invece Keira si era rifiutata di parlare inglese, per tre anni. Lo faceva per suo padre, per quell'italiano pieno di difetti, di eccezioni, che lui tanto amava.
A scuola le parlavano in inglese. Lei ascoltava, annuiva, metteva in pratica gli insegnamenti.
I suoi coetanei chiacchieravano, inizialmente cercavano di coinvolgerla, ma lei rispondeva in italiano e loro non capivano. Rimase sola, ci si abituò.
Dopo tre anni si era dovuta adeguare, aveva perso le speranze di tornare in Italia.            
 
Ne sono passati altri due da allora. È seduta, sul letto, come quando c'era suo padre. Ascolta la radio, in inglese, perché non abita più a Firenze. Sfoglia un album di vecchie foto, del matrimonio di mamma e "babbo". Un sorriso amaro le lacera il volto. Resiste all'impulso di gettare ciò che ha fra le mani verso la radio che non tace, non le lascia vivere quel dolore.
Sono passati cinque anni. Il dolore, però, no: quello non è passato.
Suo fratello è scomparso, come ogni anno. Sa che sta male, così come sa di non poterlo raggiungere, di non poterlo aiutare.
Sono passati cinque anni e l'unica cosa che le rimane è il riflesso nello specchio, di quel naso così simile al suo.
Chiude l'album, lo mette sotto al letto: sa che lo riprenderà in mano, prima della fine della giornata.
Si butta all'indietro, appoggiando la schiena contro il morbido materasso. Lascia le gambe immobili, ancora incrociate in quella posizione scomoda.
Chiude gli occhi, gli sembra di vederlo. Gli sorride, si mostra forte, niente lacrime.
"Vietato piangere" recitava un cartello, affisso nel salotto a Firenze. Era diventato il suo mantra, una patetica àncora di salvezza. Se suo padre non voleva pianti, lei avrebbe ubbidito.
Allunga una mano verso di lui, rinchiusa nel buio delle palpebre abbassate, nella sua fervida fantasia.
«Ti voglio bene, babbo» gli dice. In italiano, così è sicura che lui capisca bene.
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Killer_queen_