Storie originali > Fantascienza
Ricorda la storia  |      
Autore: Xeduful    24/02/2017    1 recensioni
In un futuro non molto lontano, l'uomo vaga tra le stelle in cerca di nuovi mondi da colonizzare. Per questa missione vengono selezionate solo le menti più brillanti, il meglio del genere umano; eppure a nulla valgono anni di preparazione per ciò che si nasconde su Itaca.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Rapporto dell'Assistente personale del Dott. M. Rossetti (31/10/2492): Daniel Eldrich
Cargo Terra-formante: Ulisse
Assegnato a: Programma Pandora, pianeta denominato "Itaca"
Oggetto: Dettagli sul fallimento della missione.
Apertura registri:

Questa sarà la mia prima ed ultima trasmissione, tutto è perduto, la missione, i miei compagni e la possibilità di terraformare il pianeta. Li sento ancora lottare tra loro come bestie. Dopo aver trasmesso questo messaggio tutto sarà finito, sono pronto a far detonare le cariche in prossimità della base nella speranza che quella cosa muoia assieme a tutto il resto. Spero che capiate il motivo di questo mio gesto e che possiate perdonarmi.
Siamo giunti su Itaca dopo i cinque anni previsti, nessun guasto al sistema dell'ipersonno. Quando ci siamo destati il pianeta era li davanti ai nostri occhi, rosso e inospitale come probabilmente apparve Marte ai primi Terra-formatori Lo abbiamo battezzato Itaca in onore del nome portato dalla nostra astronave.
"Finalmente baceremo la nostra petrosa Itaca."
Aveva detto Michael Rossetti, il nostro capitano e mio punto di riferimento. Ero affascinato da quell'uomo e dalla sua mente e assisterlo in questa impresa in qualità di suo studente migliore era un onore.
"Ha preparato questa battuta cinque anni fa."
Commentò Michael J. Rossetti, chiamato "Piccolo Mick" scatenando spensierate risa tra l'equipaggio. Era il figlio maggiore di Rossetti, orgoglio ed erede del padre e mio amico. Il resto dell'equipaggio era composto da altre menti geniali, il meglio del genere umano inviato tra le stelle per trovare una nuova casa per l'umanità.
L'atterraggio è stato turbolento, uno dei motori di stabilizzazione di tribordo è stato tranciato via ma alla fine abbiamo guadagnato (grazie principalmente all'abilità di Rossetti) un buon punto di attracco e qui nell'arco di poco più di un mese abbiamo realizzato, come da protocollo, la nostra Cupola Abitativa.
Il terzo mese eravamo già pronti ad eseguire le prime esplorazioni della calotta polare del pianeta. Avevamo rilevato un potenziale punto in cui piazzare le testate a centocinquanta chilometri più a nord ed occorreva una squadra per andare a verificare di persona. Piccolo Mick avrebbe guidato la missione, ed io mi ero offerto volontario per prendervi parte.
Il giorno della partenza salutai Rossetti assieme a Piccolo Mick, ero ansioso di dimostrare a entrambi il frutto dei miei studi, non ero certo carismatico e risoluto quanto il primogenito del
capitano, ma ero ansioso di compiacere il mio Maestro. Era un uomo giusto, dai sani principi e del tutto estraneo a sentimenti malvagi, nonostante la sana competizione tra me e Piccolo Mick, Rossetti non si sbilanciava in alcun tipo di preferenza. Contava sulle nostre capacità e ci spronava a fare del nostro meglio indipendentemente dal sangue che scorreva nelle nostre vene.

Ci avventurammo a bordo dei Rover tra i ghiacci di quel mondo alieno. La strada si rivelò più impervia del previsto, percorremmo stretti crepacci tra enormi blocchi di ghiaccio frastagliati simili a colossali schegge di vetro che lacrimavano sotto i raggi emanati da Eridani. Mi trovavo all'interno del Rover di testa assieme a Piccolo Mick, a proteggerci dalla temperatura esterna di centinaia di gradi al di sotto dello 0 c'era soltanto la cabina del veicolo e le nostre tute. Eppure il gelo penetrò il veicolo e le nostre tute, fino ad insinuarsi nelle nostre ossa. Minuscoli cristalli di ghiaccio, simili a centinaia di formiche albine, cominciarono a scemare per l'abitacolo e nelle nostre visiere. Avvenne tutto troppo in fretta. Arrestammo il Rover, comunicando il problema agli altri. I due veicoli di scorta sembravano illesi, il nostro invece venne invaso dal ghiaccio e con un ultimo rantolo si arrestò.
"Dan rapporto."
Eravamo addestrati per situazioni del genere, la calma di Piccolo Mick era totale, e finché lui aveva il controllo della situazione io lo avevo di me stesso. Ho eseguito una diagnostica dei sistemi, il motore e le ruote erano bloccate dal ghiaccio e di li a poco, sarebbe congelato anche il carburante nel serbatoio d'emergenza. Dovevamo uscire di li il più in fretta possibile. I cristalli di ghiaccio ricoprirono l'intero abitacolo ad una velocità inaudita, di quel passo saremmo rimasti intrappolati li dentro. Poi è arrivato lo schianto, e subito dopo il tuono. Piccolo Mick ha urlato qualcosa, non ricordo, probabilmente un ultimo ordine, una parola di conforto o un semplice "reggiti".
Ricordo il sapore del sangue attaccato al palato, primo ricordo del risveglio, dopodiché ho realizzato di trovarmi ancora assicurato al sedile del Rover. Dolore martellante alla testa, e altri dolori sparsi per tutto il corpo, era come se mi avessero pestato brutalmente. Ero vivo. Fortunatamente la tuta non aveva riportato danni, ma quel dannato freddo continuava a tenermi nella sua morsa, ma quando realizzai di essere da solo nell'abitacolo tutto il resto perse importanza.
Sganciai le cinture di sicurezza e mi catapultai verso il portello che miracolosamente trovai aperto. Qualcuno era già uscito di li, Piccolo Mick doveva essere li fuori in comunicazione con la base, già me lo immaginavo li fuori in piedi con le braccia conserte a dirmi con bonaria arroganza.
"Finito il sonnellino?"
Pieno si speranza sono saltato giù dal veicolo ed è stato in quel momento che la mia mente ha vacillato, incapace di reggere tanto orrore. Ricordo distintamente quei cristalli, erano ovunque,
enormi e dalle linee bizzarre. Quando coglievo le linee del reticolo cristallino esso mutava, seguendo leggi proprie sconosciute al nostro mondo. La meraviglia suscitata da quelle formazioni aliene è morta non appena ho visto le speranze di un futuro pianeta, anni di studi, sacrifici, dolori, risate e amori riversi su quei cristalli al centro di una ragnatela cremisi. Mi ha annientato li sul posto, le ginocchia hanno ceduto, non ho pianto, ne urlato, le tenebre mi hanno inghiottito. L'ultima cosa che ricordo sono quei cristalli che si avventano sul corpo di Piccolo Mick.

Il primo ricordo è stato il tetto conosciuto dell'infermeria e il sorriso tirato del Dottor Coleman, candido e gelido come la mia tomba di ghiaccio. Ero vivo. Ho subito chiesto di Mick, una flebile domanda retorica alimentata dalle ultime braci della mia speranza. Coleman ha scosso il capo debolmente e dopo una breve contrattazione mi ha condotto dove lo avevano collocato. L'uomo che tanto ammiravo era li, chino sul corpo ancora forte e giovane che non avrebbe mai conosciuto le crudeltà del tempo. Rossetti non riusciva a staccargli gli occhi di dosso con le lacrime già esaurite. Solo Coleman si è curato di me, l'imponente medico di colore serrava l'enorme mano destra sulla mia spalla ed in cuor mio speravo che il medico volesse spezzarmi il collo, non dubito che ci sarebbe riuscito, invece sì limitava a rivolgermi frasi di circostanza e altre banalità del caso con quel suo profondo vocione. Non doveva andare cosi. Notai lo sguardo di Rossetti puntato su di me, uno sguardo solcato da emozioni indefinibili, dopotutto quali sono le parole che possono descrivere lo sguardo di un padre che ha appena perso un figlio? Con mio sommo rammarico in quegli occhi non vi era accusa ne rancore nei miei confronti. Non riuscivo a reggere quell'intreccio di sguardi, tornai a posare gli occhi fuggiaschi su quel corpo e per un attimo, nel buio della camera, illuminato dalle fiamme del forno, ebbi come l'impressione di star guardando una di quelle imponenti e antiche statue che da ragazzino adoravo ammirare e studiare. Poi la rottura. Quella statua, perfetta, marmorea, giovane, spalanca gli occhi che di nuovo si affacciano alla vita mortale. Coleman si lanciava in una corsa folle verso quel corpo che tornava alla vita. Io rimasi al mio posto, pietrificato da un soverchiante terrore che teneva a freno la mia tanto preziosa curiosità, non riuscivo a distogliere lo sguardo dai gelidi occhi di Mick in cui bruciava una nuova fiamma vitale che posso solamente definire come aliena; e quella luminescenza azzurra che emanava il suo corpo per un istante, uno solo, proiettava sulla parete un'ombra, un'oscura creatura demoniaca in agguato pronta a ghermire le sue prede con artigli grotteschi. Mi ero lasciato cadere su uno sgabello li vicino, ricordo Coleman che armeggiava con il suo Pad personale, Rossetti che abbracciava quel corpo, nessuno capiva cosa stesse succedendo, tutte quelle menti geniali erano appena state testimoni di un miracolo.

Da quel momento ogni cosa è cambiata. Tutti i membri dell'equipaggio volevano vedere Mick per capire come fosse possibile, erano  uomini per cui tutto doveva avere una spiegazione logica; dinnanzi ad un fatto tanto straordinario anche la missione di terra-formazione passava in secondo piano. Rossetti si opponeva a tutto ciò, ha chiuso Mick nella sua stanza, nessuno poteva vederlo senza il suo permesso. Osservavo da lontano il mio mondo andare in pezzi, in quell'uomo tanto geniale quanto di cuore nobile vedevo solo un padre che tentava di tenere lontano dal suo unico figlio appena ritrovato quella calca di domande e timori. Un'ombra oscura
era discesa sulla Cupola, la comunità si era spaccata in due, chi rispettava la scelta di Rossetti di non sottoporre Mick a degli studi approfonditi, chi invece, Coleman per primo, sembrava ansioso di sezionare il ragazzo. Ed io? Io ero diviso tra la mia ammirazione per Rossetti che nonostante tutto perdurava e il terrore atavico che provavo nei confronti di Mick, o qualunque cosa fosse diventato. I cristalli di ghiaccio, quei dannati cristalli, li vedevo formarsi dovunque ma nessuno oltre me sembrava accorgersene. Coleman era ossessionato da quell'evento, mi ha preso da parte una volta inchiodandomi al muro.
"Tu c'eri, cosa hai visto!?"
 Mi domandava con un'espressione mista di terrore ed eccitazione, era dimagrito molto, occhi che quasi fuoriuscivano dalle orbite ed iridi di un candore poco rassicurante. Non avevo idea di cosa rispondergli, neanche io sapevo con precisione cos'era successo laggiù e dopo diverse ore ero riuscito a convincerlo della mia ignoranza. A quel punto mi ha illustrato un suo piano.
 "Rossetti si fida di te, tu devi entrare li e dirmi cosa sta succedendo, devi Dan, hai capito? Ne va del futuro della razza umana, DOBBIAMO CAPIRE COME HA FATTO."
Lo aveva detto con tanta rabbia e tanta foga che se avessi rifiutato mi avrebbe ucciso li sul posto. Dovevo tradire l'uomo che avevo ammirato per anni, ma l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era: volevo davvero sapere?
Ho detto a Coleman che avevo bisogno di tempo per pensarci, non era molto soddisfatto della risposta. Anche lui ammirava Rossetti ma a differenza mia non si sarebbe fatto tanti scrupoli. La mia decisione comunque è arrivata solo il giorno dopo. I cristalli oramai erano giunti sulla soglia della mia cella annunciando una mattina gelida e nefanda, potevo vedere i sostenitori di Rossetti aggirarsi circospetti proprio sotto la mia finestra, oramai l'equipaggio era diviso in due fazioni e la tensione cresceva giorno dopo giorno, cristallo dopo cristallo. Quelli li stavano armeggiando con alcuni materiali per l'estrazione mineraria, li stavano smantellando per condurli negli alloggi di Rossetti che era diventata la loro roccaforte.
Nel pomeriggio il Capitano, Rossetti in persona, annunciava che le comunicazioni con l'esterno erano interdette fino a nuovo ordine e che tutto il personale non autorizzato doveva star lontano dalla torre radio.
"Ora basta."
Il vocione di Coleman riusciva a competere con gli altoparlanti della base. Alla testa di un folto gruppo di suoi fedeli l'enorme medico partiva alla volta della torre radio. Le cose stavano volgendo per il peggio, io rimanevo indietro spaesato come un bambino che non riesce più a trovare i propri genitori, quegli uomini invece avevano già fatto la loro scelta ed avevano una nuova guida. Lo sparo successivo aveva dato il colpo di grazia alla mia già fragile psiche, mandando in pezzi il mio mondo. Finalmente mi ero deciso a seguire quella calca e quando raggiunsi la loro destinazione e lì che svettava sopra tutti gli altri vidi l'uomo che per anni era
stato tutto per me. Rossetti se ne stava in piedi sopra uno sperone di roccia, braccio destro teso verso l'alto con la pistola fumante ancora in pugno. I Temerari non portavano mai armi nei loro viaggi, ma Rossetti teneva sempre la vecchia pistola di suo padre nascosta nella sua cabina personale. Quell'uomo non avrebbe mai usato quell'arma, fidatevi, lo conoscevo troppo bene. Quello non era più Lui.
Andai nella struttura centrale quella sera stessa, quel luogo era ormai il QG della fazione fedele a Rossetti. L'esterno era sorvegliato dai due giovani Becket che nel vedere me si fecero da parte senza darmi noia, probabilmente ero atteso. Notai immediatamente che imbracciavano i laser minerari.

Da questo momento in poi tutto ciò che è successo la mia mente tenta di bollarlo come un incubo tant'era surreale quel luogo. Ad ogni passo sotto i miei stivali gracchiavano i cristalli che mandavo in frantumi, all'interno delle celle branchi composti dalle menti migliori dell'umanità se ne stavano rannicchiate in degli angoli bui a guardarsi attorno con occhi demoniaci sussurrando  parole prive di significato. Alla fine di quella discesa surreale mi trovavo dinnanzi alla stanza che Rossetti aveva scelto come sua "sala del trono", un brivido mi percorse la schiena nel constatare che una patina di cristalli ghiacciati la ricopriva interamente.
Quando si spalancò fu come aprire una finestra sugli strati più bassi dell'inferno dantesco. L'unica fonte di luce li dentro era una flebile luminescenza azzurra che rimbalzava sulle sagome mutevoli di quei cristalli, essa filtrava dalle fessure di una porta sulla parete destra mentre quelle strutture ricoprivano ogni cosa e con rinnovato orrore notavo che neanche l'uomo che era stato il mio modello per una vita intera era stato risparmiato. Chiamando a raccolta il poco coraggio rimasto mi addentravo in quella bolgia.
 "Dan, sapevo che saresti venuto."
 Quella voce calda, sicura che per anni avevo ascoltato con reverenza in quel momento mi provocava solo disgusto. Se ne era accorto.
 "Dan... sei come loro? Nutrivo cosi tante speranze in te."
 Per la prima volta in vita mia riuscivo a reggere quello sguardo divenuto vacuo e morto, notando con la coda dell'occhio la 10mm adagiata sulla scrivania dinnanzi a lui.
"Lascia che ti mostri cosa mi ha insegnato Lui, Dan. Ho esplorato luoghi meravigliosi, li ho visti con i miei occhi, ed è solo l'inizio Dan. Non siamo arrivati qui per caso, ci ha chiamati, tutti devono sapere. Non sei come loro Dan. Tu non sei un bruto, sei diverso lo so..."
Aveva ragione, ero diverso,. Ho spinto con forza la scrivania schiacciando quell'uomo tra essa e la preziosa libreria da cui cadevano tomi già deturpati dal gelo. La mia mano destra tastava la scrivania, mentre la sinistra si avvolgeva attorno alla pelle gelida del suo collo, afferrata l'arma in un singolo istante di quiete in quel caos incrociavo per un'ultima fatale volta gli occhi del mio maestro. Ho premuto il grilletto due volte, solo due semplici gesti per porre fine all'esistenza di una delle più grandi menti dell'umanità. Il suono dei colpi gettava la base e l'intera Cupola nel
caos, atti di inumana ferocia venivano perpetrati da quegli uomini ridotti oramai a bestie primitive. Non era ancora finita, avevo ancora un ultimo colpo in canna.  Mentre la scrivania si tingeva di rosso ero già davanti la porta sulla destra. Un ansimare frenetico riecheggiava per la stanza accompagnato da piccoli scricchioli, simili al suono del vetro che si incrina mi penetravano nelle orecchie: stava cercando di muoversi. Spinto il pulsante di apertura, prima che il buonsenso mi suggerisse di fuggire via finalmente cacciai un urlo, un urlo di rabbia, urlavo perché avevo appena ucciso il mio maestro e amico e urlavo perché ero terrorizzato da quella cosa. Se ne stava rannicchiata sul letto incastonata nei cristalli dalla vita in giù, nuda, pelle candida come il ghiaccio che emanava una gelida luminescenza blu, esili protuberanze gli cascavano giù dalle scapole muovendosi come le zampette di un gigantesco artropode; braccia sottili come rami secchi terminavano con dita piegate in posizioni impossibili per qualunque anatomia umana che avvinghiavano come enormi e magre zecche il volto dell'essere precludendomene la vista; ma negli spazi tra quelle dita oscene vedevo gelidi occhi alieni e familiari al tempo stesso che mi scrutavano. I cristalli attorno alla creatura cambiavano forma con dei rumorosi schianti come ghiaccio che si frantuma mentre la cosa cominciava a far scivolare le mani da quel volto ma a quel punto ero già fuggito.
Mi sono nascosto, lei mi cerca. Una follia omicida ha preso possesso dei miei compagni, ma ora non combattono più. Non la lascerò decollare, farò detonare le cariche. Perdonatemi.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Xeduful