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Autore: Caesar    03/06/2009    3 recensioni
10 Gennaio 49 a.C.
Giulio Cesare attraversa il Rubicone, dichiarando guerra al Senato.
*
Avrebbe sciolto quegli interrogativi con un unico, deciso colpo di spada, affrontandone le conseguenze a testa alta, senza guardarsi indietro.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Rubicone

 

10 gennaio 49 a.C.

 

L’ultimo, pallido tremolare della stelle non si era ancora spezzato del tutto, quando Giulio Cesare uscì dalla sua tenda.

A oriente il riverbero lontano dell’aurora rischiarava debolmente un cielo livido, allora Cesare spostò lo sguardo –era torbido, nero e torbido- verso occidente.

Il fragore del Rubicone si udiva ovattato, immerso in quel silenzio assoluto proprio dell’alba, quando tutto tace e l’unico sospiro è quello del vento.

Il fiume scorreva tranquillo davanti a lui, come un serpente di vetro che snodava, sinuoso, le sue spire in quella valle stretta e angusta.

Brandelli di nubi plumbee precipitavano sulla sua superficie, e Cesare li guardò a lungo, chiedendosi silenziosamente cosa nascondessero quelle correnti che s’infrangevano, spumeggianti, sul pietrisco fine della riva.

Poi volse lo sguardo verso le stelle, là, dove era ancora notte.

Poteva veramente fare ciò che si era proposto?

Lui se lo chiese più volte, rimanendo lì, immobile come una statua di marmo, rigida mentre il sole sorgeva allungando discretamente le sue dita sottili.

Era un accavallarsi d’interrogativi a cui non sapeva dare risposta; dubbi e incertezze che nascondeva in fondo ai suoi occhi, sperando che non emergessero, come fugaci forme di chiaroscuri, in un istante di colpevole debolezza.

Poteva farlo?

Attraversare quel fiume, come recidendo l’ultimo filo con se stesso, ordinare la marcia e osservare con sguardo indecifrabile i suoi uomini stritolare quel serpente di vetro.

Violare tutte le leggi, umane e divine, assassinare definitivamente quel Cesare giovane, ingenuo, fresco di vita; un Cesare già morto – quando? si chiese, per poi rendersi conto di non voler conoscere la risposta.

Un vento freddo aveva cominciato a spirare, allora lui piegò le labbra sottili in un sorriso amaro.

Sapeva che chiunque, se solo lo avesse osservato con attenzione, avrebbe potuto scorgere il vuoto nei suoi occhi, neri e torbidi, le fiamme dell’ambizione che lo stavano bruciando, quel lago aspro e infinito di lacrime asciutte e urla mute, pietrificate dietro le labbra.

Ma nessuno sembrava farci caso – ciechi, erano tutti ciechi davanti all’evidenza.

Era un’aurora buia, quasi incapace di sorgere dietro la linea dell’orizzonte, e lui continuò a domandarsi se potesse veramente farlo.

Dopo tante battaglie

                               vinte,

dopo tanto sangue

                           sparso,

dopo tante veglie

                         in attesa dell’alba.

Poteva farlo?

Affrontare Pompeo, dichiarare guerra al Senato scagliando lontano quella maschera che aveva indossato per una vita intera.

Spostò nuovamente lo sguardo, questa volta verso il fiume; i suoi occhi sembravano cercare un appiglio, da qualche parte, forse sulle creste dei monti o in quelle correnti torbide e fredde.

Erano incerti.

Troppo.Soli.Infine.

 

Il Rubicone continuava a scorrere, il cielo livido era rischiarato da un’alba assente.

Poteva farlo?

Sapeva che sarebbe stato solo contro tutto e contro tutti, notti solitarie e fuochi gelidi; quel lago aspro e infinito avrebbe travolto ogni argine, gonfio e malevolo.

Poteva farlo?

- Comandante?

Sentì qualcuno chiamarlo, ma non si volse; spostò lo sguardo verso quell’aurora oscura, e si disse che era troppo tardi per i ripensamenti. Un luce folle –determinata?- gli illuminava il volto.

- L’hanno voluto loro

Mormorò a bassa voce, poi si rivolse all’attendente.

- Date la sveglia con le trombe, che gli uomini siano pronti ad attraversare il Rubicone al mio ordine

Cesare non poteva vedere il proprio viso, ma lo immaginò pallido e incavato, con gli occhi neri e vuoti, come quello di un morto.

Come.Quello.Di.Un.Morto.

 

*

 

Alla fine il sole era sorto, lacerando le nubi e illuminando la valle.

Cesare si scostò una ciocca dei capelli mori dietro un orecchio, e si chiese, per un ultima volta, se fosse giusto ciò che stava facendo.

Poi si disse che, sì, era veramente troppo tardi per i ripensamenti.

Avrebbe sciolto quegli interrogativi con un unico, deciso colpo di spada, affrontandone le conseguenze a testa alta, senza guardarsi indietro.

- Alea iacta est

Sussurrò, poi diede l’ordine per la marcia.

Osservò i suoi uomini attraversare il fiume con sguardo indecifrabile, e gli parve che il Rubicone somigliasse veramente a un serpente agonizzante, stritolato sotto i suoi piedi.

Sorrise. Da qualche parte, lontano, la sua maschera s’infranse al suolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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